Fabrizio De André
Dietro quel testamento
di Laura Medda
La canzone di Fabrizio De André Il testamento di Tito a confronto con la poesia Andrew Winslow contenuta ne “Il nuovo Spoon River” di Edgar Lee Masters. Al centro: libertà, giustizia e perdono.
All'ombra d'una croce affiora il canto del ladrone Tito e, in controluce, sembra di potervi rintracciare l'eco spiritualmente affine di un'altra voce, quella del poeta americano Edgard Lee Masters. Attraverso questo filo si delinea l'incontro tra i due poeti, in uno spazio inedito e quasi insospettabile.
Fabrizio De André scrisse La Buona Novella sulla scia dei Vangeli Apocrifi: autori armeni, bizantini, greci raccontavano la figura scomoda del profeta che predicò la fratellanza universale e la cui storia si concluse tragicamente con una condanna a morte.
Una maggiore umanità attraversava laicamente la narrazione di queste vicende e investiva la figurazione dei suoi protagonisti, ispirando il giovane cantautore genovese nella composizione della sua opera in musica. Con la mediazione di testi lontani dal canone e dal dogma, accolse le vicende dei personaggi vicini a Gesù, concentrandosi sulla specialità e valenza simbolica di due momenti cardine della sua vicenda esistenziale: il misterioso concepimento e la crocifissione. Attorno a questi due momenti rivisitò una storia sacra straordinariamente sciolta dall'illusione di possedere e dominare tutto e per sempre, una storia spezzata per potersi concretizzare ed essere trattenuta nella storia dell'uomo. I dettami dell'allegoria permisero al cantautore di poter raccontare il suo tempo, di richiamare le istanze migliori del movimento sessantottino attraverso l'esperienza di un eroe rivoluzionario contro gli abusi del potere. Istanze che rovesciavano il presunto aspetto anacronistico del disco: i moti contemporanei potevano trasporsi simbolicamente nello spirito antiautoritario che animò l'operato di Gesù di Nazareth.
Nella seconda parte dell'album si racconta un trascinarsi di voci, un seguire di occhi, una folla di gesti confusi che, lungo la via della croce, accompagna il Cristo morente. Vediamo i passi della voce narrante quasi giungere ai piedi dell'altura e ascoltare il pianto vivo delle tre madri, riunite a contemplare l'agonia di quei figli stretti alla croce. La crocifissione del figlio di Maria, prefiguratasi nella bottega di un falegname, si fa visivamente presente lungo la via che lo condurrà al Golgota, dove il potere e il terrore diverranno i protagonisti storici di una morte esemplare.
Accanto all'evidente fallimento di ogni tentativo di poter rovesciare
l'ordine costituito, l'epilogo dell'opera deposita sull'altura
anche la voce del ladrone Tito che precede immediatamente e
significativamente il coro degli umili e degli straccioni. Si
scatena un coro d'accusa contro il potere che uccise nel
nome d'un dio / che il male non volle / e poi si assolse
nel nome di quel dio.1 Sull'altura
del Golgota la morte di Gesù, come quella di Tito e Dimaco,
si fissa simbolicamente come traccia terrena della potenzialità
distruttiva del potere. Il testamento di Tito è il momento
in cui la narrazione raggiungerà il momento etico - sociale
più alto e l'autore vi troverà spazio per esprimere
il suo punto di vista, spiritualmente proteso ai moti di rivolta
contemporanei.
Se il brano in questione esibisce vistosamente la struttura
del dettato di Mosè, è stata proprio questa impronta
parodica a rivelarsi determinante nella possibilità di
rintracciare un testo particolarmente vicino ad esso. Si tratta
di una poesia compresa nella raccolta The New Spoon River, pubblicata
dal poeta americano Edgard Lee Masters nel 1924 e intitolata
Andrew Winslow2.
Slancio libertario, marcatamente eversivo
Notoriamente, Fabrizio De André ebbe modo di conoscere
la poesia di Masters in giovanissima età, attraverso
la traduzione italiana dell'Antologia di Spoon River
firmata da Fernanda Pivano. Riprese poi queste poesie durante
la rivolta del '68, un momento di fortissimi sconvolgimenti
sociali per le giovani generazioni dell'epoca.
Furono anni di intenso periodo creativo per il cantautore, a
distanza di poco tempo apparvero infatti i due album “a
tema”: La Buona Novella e Non al denaro non
all'amore né al cielo, la cui materia narrativa è
dichiaratamente legata alla celebre antologia del poeta americano.
In relazione a queste considerazioni, è possibile stabilire
ragionevolmente un' ipotesi di relazione tra la poesia di Masters
e la canzone composta da De André.Considerata la vicinanza
temporale relativa alla composizione e pubblicazione tra i due
concept album, non stupisce il fatto che in quegli stessi anni
il cantautore fosse particolarmente vicino alla poetica di Masters.
Il dialogo a distanza ebbe a stabilirsi da un punto di vista
prettamente umano ma anche secondo uno slancio libertario, marcatamente
eversivo nei confronti dei rispettivi contesti socio-politici.
La poesia di Masters, strutturata sul medesimo modello, esibisce
anch'essa una precisa tipologia dialettica di confutazione dei
dieci comandamenti. Tuttavia, se il canto sepolcrale di Andrew
Winslow, pur nelle divergenze, non avesse stabilito una
serie di consonanze spiritualmente affini con il successivo
canto di Tito, l'esteriore omologia compositiva avrebbe forse
veicolato delle considerazioni di superficie, anche in ragione
della natura, delle prerogative e della diffusione proprie di
un modello come quello del Decalogo cristiano.
Nasce da qui un controcanto al potere che avvicina i due orizzonti
poetici, nel caso di Masters più interno al testo biblico,
nell'altro veicolante un moto di ribellione legato alla libertà
individuale e implicante una più ampia riflessione di
tipo sociale, fortemente connessa all'ideologia anarchica e
alle esigenze poetiche improntate all'umana pietà proprie
del cantautore. Un'attenta analisi dei due testi poetici mette
in luce uno scarto decisivo: è relativo alla disposizione
della struttura argomentativa che, seppur determinata dalla
confutazione di ogni singolo comandamento, nel caso del poeta
americano è impostata precisamente sul perfetto parallelismo
in botta e risposta, mentre nel secondo caso procede
alla costruzione di piccoli nuclei narrativi esemplari. Una
divergenza non solo di tipo formale: la modalità scrittoria
del cantautore è ciò che permette di poter scavare,
attraverso l'esperienza umana del ladrone Tito, le stringenti
contraddizioni interne che Masters individua in ogni comandamento
e costringe nello spazio ridotto di uno o pochissimi versi.
Dalla lettura del testo scritto dal poeta americano si ricava
una messa in discussione fortemente irrisoria e sintetica dei
precetti del Decalogo: Andrew Winslow scardina l'assolutezza
di ogni comandamento secondo le contraddizioni insite nelle
loro stesse regolamentazioni. Il narratore De André invece
diviene parte integrante di una visione, si apre a questa ricerca
terrena che accoglie la voce del ladrone buono come l'incisione
di un controcanto alternativo, perché umano, ai precetti
del Decalogo. E sarà una visione dove l'assenza diventa
predominante perché Tito ha chiamato invano il suo Dio
e tutto si organizzerà intorno a questa mancanza. La
scansione strofica allestita da Fabrizio De André per
il suo testamento diventa quindi la possibilità
ampiamente narrabile di un esperire umano che nel suo attraversare
la vita si è schiantato contro la certezza dogmatica
della sacralità e ne costituisce testimonianza viva.
Non appare, in questo senso, casuale che la voce di Tito sia
certo quella di un uomo portato a morire sulla croce ma pur
sempre vivo, come viva è la sua memoria che si trasmuta
in ricordo in atto.
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La copertina dell'LP La buona novella,
1970 |
Un personalissimo concetto di giustizia
Il divieto di privare la vita altrui viene sancito nel Decalogo attraverso il quinto comandamento. Andrew Winsolw richiama alcune delle circostanze e modalità che giustificherebbero la legittima eccezionalità dell'azione: sarebbe concesso uccidere in guerra, con il cappio e con le pietre.
Non uccidere – salvo che in guerra, con il cappio e
con le pietre3
Il Codice deuteronomico4, relativo
alla legislazione religiosa e civile di Israele, conserva infatti
alcune regolamentazioni relative alla pena di morte e allo stato
di guerra. La pena di morte, all'interno del quadro comunitario
e legale ebraico, costituiva uno dei più consolidati
mezzi punitivi, pertanto il comandamento dovette proibitivamente
vincolarsi all'assassinio slegato dalla consuetudinarietà
del diritto tradizionale. Uccidere sarebbe lecito, secondo il
comandamento, qualora si debba doverosamente estirpare il male
o si debba combattere in guerra contro il nemico: la voce di
Andrew Winslow suggerisce, secondo questa disposizione, l'assurdo
cortocircuito manifesto nella stessa regolamentazione del precetto.
In diversa misura, e spostando lo sguardo verso chi muore accanto
a lui, anche Tito ne svela la sacrale violenza e la strumentalizzazione
da parte del potere. Il cantautore richiama visivamente l'attenzione:
lo sguardo deve concentrarsi sulla croce dove Gesù, condannato
a morte dalle autorità, finisce per identificarsi con
quella stessa legge che proibisce la violenza dell'uccidere
e che viene inchiodata tre volte nel legno.5
La forza visiva di questa immagine si trattiene nella morte
del nazareno e in quella di un ladro.6
Il settimo dice non ammazzare
se del cielo vuoi essere degno
guardatela oggi, questa legge di Dio
tre volte inchiodata nel legno:
guardate la fine di quel nazareno,
e un ladro non muore di meno
guardate la fine di quel nazareno,
e un ladro non muore di meno
Immagine che in controluce richiama la voce della Ballata
degli impiccati7, simbolicamente
veicolante la feroce critica verso una giustizia che si determina
attraverso la pena di morte. E si determina, non a caso, nell'assenza
del perdono e della compassione umana.
Ancora, all'interno dello stesso quadro comunitario, la proibizione dell'atto del rubare – dice Andrew Winslow – non riguarda i Filistei, la schiavitù e il gioco di proprietà.
Non rubare – salvo che ai Filistei, con la schiavitù,
e nel gioco di proprietà8
Anche Tito, da buon ladrone, può riservare all'azione
un certo margine di legittimità, giustificandola nei
termini di una necessità che non si nasconde dietro false
pretese né si veste del nome di Dio ma si attua secondo
un personalissimo senso di giustizia. Vuotare le tasche già
gonfie di quelli che avevan rubato9
risponde al principio di una redistribuzione della ricchezza
che, in termini allegorici, implicava evidente connessione con
i moti sessantottini.
Il quinto dice non devi rubare
e forse io l'ho rispettato
vuotando, in silenzio, le tasche già gonfie
di quelli che avevan rubato:
ma io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli altri nel nome di Dio
ma io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli altri nel nome di Dio
Il punto di vista del ladrone Tito non è quello di chi
ruba nel nome di Dio10
e si distanzia da quello legato alla contestazione di Andrew
Winslow ma ne richiama il sottofondo ideologico secondo delle
connessioni più profonde. I due comandamenti analizzati
risultano, in questo senso, particolarmente vicini nell'impatto
eversivo che prefigura il codice mosaico come la concessione
di un sistema di privilegi. Il Decalogo, in entrambi i casi,
implode nell'incongruenza tra i precetti sacri e la connessa
realizzazione terrena, nella profonda immoralità della
disuguaglianza sociale che ne consegue: un apparato funzionale
all'esercizio del potere che riscopre l'atavico e insuperato
contrasto tra oppressi ed oppressori. Questo aspetto risalta
limpidamente nella contrapposizione tra schiavi e padroni presente
nella quarta strofa del testamento deandreaiano riguardante
il terzo comandamento.
Ricorda di santificare le feste,
facile per noi ladroni
entrare nei templi che rigurgitan salmi
di schiavi e dei loro padroni
senza finire legati agli altari
sgozzati come animali
senza finire legati agli altari
sgozzati come animali
L'osservazione del culto festivo appare riservata ad una religiosità esclusiva e l'altare, come la croce sul Golgota, il luogo della punizione esemplare dove viene legata la vittima sacrificale secondo la volontà del potere sacralmente costituito.
I due testi sembrano suggerire una comune, immediata e profonda esigenza di liberazione dalle costrizioni moralistiche e ideologiche imposte da un sistema di potere che si autogiustifica e autorappresenta nel nome di una superiore autorità; si legano a doppio filo attraverso l'arma da esso più temuta: la parola. Non ci sono Inferno né Paradiso che aspettino Andrew e il ladrone Tito: i due autori sembrano incontrarsi proprio nell'assenza del versante religioso della morte, probabilmente a significarne un'implicita negazione. Il nome proprio identifica i due testamenti spirituali, forse un modo perché possano materializzarsi nella pubblica dimensione. Anche la voce terrena di Andrew Winslow sembra in qualche modo sfogare la propria incapacità nel conformarsi ai codici comportamentali e alle leggi della sua comunità, sembra possedere una vividezza della propria tensione etica che esorbita dallo status sepolcrale per fermarsi sulla terra. E il cantautore, chiedendo a Tito di strappare l'ultima coscienza d'uomo che ha in sé le proprie leggi e le proprie profonde risposte, in qualche modo, sembra voler continuare il respiro interrotto del testo poetico americano.
Una pluralità di punti di vista
I versi dei due testi posti a confronto mostrano dunque le radici di una violenza velata di sacralità. Andrebbero ricercate significativamente, queste radici, nella storia e nella figurazione del modello comune. Il Decalogo cristiano nasce all'insegna del patto che il popolo d'Israele ha stretto con Dio. Uno speciale dovere di gratitudine e obbedienza grava su queste genti, un meccanismo salvifico e implicitamente punitivo diventa funzionale al suo attuarsi. Il popolo di Israele viene affidato al comando di Dio e del suo profeta Mosè e la rivelazione sul Sinai, per conservarsi quale figura identitaria fondante, traspone la propria memoria nella scrittura. Il primo dei comandamenti veicola alcuni significati fondamentali che, rispetto ai precetti successivi, appaiono polarizzanti: “Non avrai altro Dio fuori che me. Non ti fare nessuna scultura, né immagine delle cose che splendono su nel cielo, o sono sulla terra, o nelle acque sotto la terra. Non adorar tali cose, né servir loro, perché io, il Signore Iddio tuo, sono un Dio geloso, che punisco l'iniquità dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione di coloro, che mi odiano; ma uso clemenza fino alla millesima generazione verso coloro, che mi amano e osservano i miei comandamenti.” (Esodo 20, 3-6)
Edgard Lee Masters e Fabrizio De André ne misero principalmente in discussione non solo il carattere esclusivo ma anche l'inconsistenza dell'autorità emanante. Non appare casuale, seppur secondo declinazioni diverse, che abbiano relativizzato l'esistenza di un unico Dio in favore di una pluralità di punti di vista.
E se il secondo dei comandamenti ricorda il divieto di richiamare
il Signore invano, Andrew Winslow si fermerà all'interrogativo
sul paradosso rispetto all'atto del pregare mentre Tito chiamerà
il Signore gridando la propria pena e il suo nome. Lo chiama
a gran voce, lo aspetta ma forse era stanco, forse troppo
occupato.11 Prova a misurarne
la distanza, forse era troppo lontano12,
poi constata di averlo nominato davvero invano.13
Dio non si è presentato, così si stabilisce il
segno dell'Assenza.
In controluce, la prima strofa del testamento deandreaino, e in qualche modo anche l'incipit di Masters, richiamano i concetti di verità e falsità, amicizia e inimicizia. Concetti che informeranno del proprio spirito la natura dell'intero Decalogo, alimentandone le radici.
Andrew Winslow e Tito tracciano così un confine sottilissimo sul quale incontrarsi: la codificazione del Decalogo mosaico si polverizza nel corpo a corpo con la forza eversiva della parola che mette in discussione la verità rivelata in una stringente contrapposizione terrena.
Libertà integrale e valore del perdono
Del resto, una sacralità violenta è nettamente
inconciliabile con i propositi di un Dio nel quale il cantautore
dichiarò di nutrire speranza: Il Dio in cui nutro
speranza non ha mai suggerito ai suoi seguaci i sentimenti dell'odio,
della vendetta, sfociati in orribili guerre, in devastanti persecuzioni,
in una spaventosa varietà di tormenti fisici e morali.
Il Dio in cui, nonostante tutto, continuo a sperare è
un'entità al di sopra delle parti, delle fazioni, delle
ipocrite preci collettive; un Dio che dovrebbe sostituirsi alla
così detta giustizia terrena in cui non nutro alcuna
fiducia, alla stessa maniera in cui non la nutriva Gesù,
il più grande filosofo dell'amore che donna riuscì
mai a mettere al mondo.14
Le strofe finali dei due canti convalidano il diverso modus
operandi dei due autori ma ne rivelano la spirituale
affinità nella proposizione del comandamento d'amore.
Non una novità assoluta: secondo il Nuovo Testamento,
Gesù avrebbe infatti semplificato il Decalogo nel doppio
comandamento dell'amore a Dio e al prossimo. Nel Vangelo di
S. Marco si racconta di uno scriba che avvicinatosi a Gesù
gli chiese: “Qual è il primo di tutti i Comandamenti?”
Gesù rispose: “Il primo è: Ascolta, Israele:
il Signore Dio nostro è l'unico Signore, e tu amerai
il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua
anima, con tutta la tua mente, e con tutte le tue forze. Il
secondo è questo: Tu amerai il tuo prossimo come te stesso.
Non c'è altro comandamento più grande di questi”.
(S. Marco 12, 28-31)
Andrew Winslow e Tito, tuttavia, rintracciano il suo più
profondo significato e il suo costituirsi non in senso verticale
ma attraverso uno sguardo orizzontale che si è disposto
intorno all'uomo. Attraverso la loro voce, la difesa di una
libertà integrale e il valore del perdono hanno spezzato
la verticalità del Decalogo. Si è innescato il
disincanto della fissità sacrale propria di un codice
costruito a misura di una legge dis-umana, di una giustizia
terrena che detti obbedienza e sia privilegio di pochi. I due
poeti sembrano incontrarsi nuovamente in questo punto precisissimo
del confine per riscrivere un solo comandamento.
Sentiamo la voce di Andrew Winslow richiudersi su se stessa
e sprofondare nella morte: Un nuovo comandamento ti consegno:
ama te stesso. / Fui uno apprezzato? / La mia tomba è
un santuario? / Guarda quanta erba e quanta gramigna!15
E segue la voce di Tito, il narratore De André entra
silenziosamente in quest'ultimo anelito del suo ladrone che,
accanto all'uomo Gesù, trascina la croce dell'ingiustizia
e muore alla sua destra. Si spegne così la verticalità
di una preghiera d'obbedienza e sembra avanzare lentamente una
pietas che detta e riscrive: sul finire della vita, l'anima
del ladrone buono avvicina il suo sguardo all'inumano amore
e ne raccoglie la buona novella.
Ma adesso che viene la sera ed il buio
mi toglie il dolore dagli occhi
e scivola il sole al di là delle dune
a violentare altre notti:
io, nel vedere quest'uomo che muore,
madre, io provo dolore
nella pietà che non cede al rancore,
madre, ho imparato l'amore
Solo attraverso la sua voce, la riscrittura del comandamento
potrà dirsi compiuta: il dettato aprirà quel vuoto
in cui la voce di Andrew Winslow sprofondò per essersi
invocata unicamente all'amore nei confronti di se stesso.
All'ombra della croce più grande, Tito scruta le oscurità
e sentiamo il suo affanno carico di memoria trasformarsi in
suono inquieto. Adesso che viene la sera il suo sguardo si abbandona
al sentire dell'umana pietà per trattenersi, qui sulla
terra, come segno d'amore.
Laura Medda
Note
- Laudate hominem in La Buona novella, 1970.
- Edgard Lee Masters in Il nuovo Spoor River, traduzione
di Umberto Capra e Attilia Lavagno, Newton Compton editori,
Roma 2010.
- Thou shalt not kill – except in war, with the noose
and stones
- Il riferimento è correlato ai contenuti nel Deuteronomio,
il quinto libro della Torah ebraica e della Bibbia cristiana.
- Il Testamento di Tito in La Buona novella, 1970.
- Ibidem.
- Fabrizio De André, La Ballata degli impiccati in
Tutti morimmo a stento (cantata in si minore per solo, coro
e orchestra), Bluebell Record, 1968.
- Thou shalt not steal – save from the Philistine, by
slavery and in the game of property.
- Il Testamento di Tito in La Buona novella, 1970.
- Ibidem.
- Il Testamento di Tito in La Buona Novella,
1970.
- Ibidem.
- Ibidem.
- Fabrizio De André in E poi il futuro (a cura
di) Guido Harari, Mondadori, Milano, 2001, pag.180.
- Edgard Lee Masters, Andrew Winslow, in Il nuovo Spoor
River, cit.
Il parere di don Gallo/ Spezzare il pane nei vicoli oscuri
Si
intitolava così l'intervista fatta da Renzo Sabatini
a don Andrea Gallo, pubblicata
in “A” 381 (giugno 2013) - per pura casualità
all'indomani della morte del “prete da marciapiedi”,
carissimo amico comune di noi di “A” e di
Fabrizio De André. Il Gallo era stato sentito da
Sabatini nell'ambito del ciclo di 20 interviste “in
direzione ostinata e contraria”, tutte incentrate
sul pensiero del cantautore genovese e pubblicate su “A”
tra l'aprile 2012 (”A” 370) e il maggio 2014
(”A” 389).
In questa si parlò naturalmente del pensiero
religioso di Fabrizio, con riferimento alla Buona Novella
e anche alla canzone Il testamento di Tito, di cui si
occupa Laura Medda in queste pagine. Ne ripubblichiamo
uno stralcio.
[...]
Fabrizio è l'unico che riesce ad accomunare in
una medesima storia vincitori e vinti, per una liberazione
comune. È vero che questa avviene solo per un momento,
magari solo lo spazio di una canzone. Ma lì avviene,
perché rimescola le categorie del bene e del male,
fino a far emergere gli imprevisti: le prostitute insegnano
e i professori vanno a lezione! E allora ecco che mi ricorda
la frase di Gesù: “le prostitute e i pubblicani
vi precederanno nel Regno”.
Ecco allora la mia vita di comunità e il nostro
incontro: perché i suoi personaggi sono i miei
e lui dice che questi ragazzi, con cui vivo, appaiono
ricchi di una fragilità che ce li rende cari, come
nel Vangelo. Personaggi capaci di coinvolgerci, che ci
inducono a cercarli, come cerco di fare io tra i vicoli
della città vecchia, tra i vicoli delle periferie.
Quanti Miché, Marinella, Bocca di Rosa, Princesa,
incontro! Fabrizio poi si rivolge soprattutto a quelli
che sono tormentati.
È vero, molti mi fanno delle obiezioni e mi dicono:
“non ti sembra che il rapporto di De André
con la religione fosse veramente strano?”. E io
rispondo: non era forse strano, all'epoca, il rapporto
di Gesù con i Farisei, che chiamava “sepolcri
imbiancati”? Chiaramente il Dio di cui parla viene
continuamente invitato a presentarsi come uomo, forse
l'unico modo in cui De André trova possibile e
desiderabile l'incontro. L'intero album de La Buona
Novella è una testimonianza di questo, ma già
con Si chiamava Gesù raccontava di un uomo
fra gli uomini. Anche la contestazione dei comandamenti
nel Testamento di Tito è del tutto coerente:
Fabrizio contesta i comandamenti uno a uno ma propone,
per ciascuno di essi, un suo personale, terreno e schiettamente
imperfetto modo di appropriarsene. Prende dentro lo sguardo
dell'uomo quanta più vita possibile, bonificando
l'umana pietà dal rancore. Per arrivare, alla fine,
a quella Smisurata preghiera: “ricorda signore
questi servi disobbedienti alla legge del branco, non
trascurare il loro volto...”, ecco perché
dopo tanti anni dalla morte di Fabrizio è tutto
un susseguirsi di iniziative che parlano di lui e non
c'è stato un vero addio alla chiesa di Carignano.
E quindi avrai capito che per me è il mio poeta,
il mio evangelista, il mio anarchico, il mio artista.
Ricordo quando abbiamo fondato la comunità, nel
1970: qui tutti i ragazzi cantavano La guerra di Piero
e le altre canzoni dell'epoca.
don Andrea Gallo |
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