Sir Chatterley e altri argomentanti alla canna del gas
1.
Durante una lezione avevo citato Ratzinger, sia come teologo
che come Papa, a proposito dell'atteggiamento della Chiesa Cattolica
nei confronti della teoria dell'evoluzione.
Alla fine, vengo preso da parte da un allievo che mi dice di
non essere affatto d'accordo con me. Lo invito a spiegarmi e
lui mi dice che, da cattolico integralista, mi spiega i miei
errori. Innanzitutto, non si può e non si deve citare
un Papa quando si deve citare direttamente la parola di Dio
– così com'è nella Bibbia. Poi, io avrei “rovesciato le cose” parlando della scienza e delle
sue scoperte, perché queste scoperte sono già
tutte chiaramente espresse nella Bibbia. Il secondo principio
della termodinamica? C'è. È lì. Perché
dovrei parlare della fisica ottocentesca? La Terra che gira
intorno al Sole e non viceversa? Alla faccia di Galileo è
già nella Bibbia. Le bolle papali, tutta questa storia
del processo a Galileo, è roba inutile, perché
i Papi possono sbagliarsi. E Darwin? “Oh, beh, quella
è una teoria come le altre...”.
A questo punto, provo a trovare un terreno di discussione e
gli dico che le sue sono “interpretazioni” della
Bibbia, ma lui sorride con superiorità e perentoriamente
mi dice di no, che le sue non sono “interpretazioni”
ma esattamente le parole di Dio.
Gli porgo la mano e lo saluto. C'è un crinale nelle discussioni
umane – quello costituito dagli impegni semantici –
che, una volta superato, impedisce qualsiasi forma di relazione.
Non so quanto costui possa effettivamente e legittimamente considerarsi “cattolico” – il mancato riconoscimento dell'autorità
papale potrebbe costargli il bando dalla comunità dei
cattolici –, ma so che le modalità con cui pratica
questa sua religione sono analoghe a quelle dei membri di altre
sette – islamici, scientisti, padroni.
2.
Ho finalmente letto L'amante di Lady Chatterley di David
Herbert Lawrence. Dico “finalmente” perché
come titolo e ben poco più – una nobildonna che
tradisce il marito con il suo guardiacaccia – mi ha accompagnato
per tutta la mia vita. Romanzo “scabroso” per eccellenza,
sequestrato dalle censure di mezzomondo, stampato alla macchia,
stampato malamente apocrifo, venduto sottobanco da librai pruriginosi
– scritto a Firenze tra il 1926 e il 1928 ma “legalizzato”
in Inghilterra soltanto a partire dal 2 novembre del 1960 a
trent'anni dalla morte del suo autore -, l'ho letto in una traduzione
che ormai mostra la corda del tempo (dove, tanto per intenderci,
l'organo sessuale femminile viene designato come “potta”
e dove l'“egli” e l'“ella” stanno al
posto del “lui” e della “lei”) e ciò
nonostante ne ho ricavato molti spunti di riflessione.
Uno, per esempio. Lawrence si rende conto del fatto che tutta
la storia della filosofia è la storia della giustificazione
dei poteri e comprende come questa abbia portato alla contraffazione
degli aspetti più rilevanti della vita di relazione –
denuncia l'amore contraffatto, le emozioni contraffatte, il
sesso contraffatto della società borghese e individua
con chiarezza il rapporto velenoso instauratosi tra istituzione
del matrimonio e istituzione della proprietà. Tuttavia,
al momento di proporci qualcosa in positivo non trova di meglio
che auspicare di “rimettere radici nell'universo”
e tornare alle “forme antiche”. Straparla di un
mitologico “tempo che precedette le religioni e le filosofie
idealistiche, prima di Platone, prima che sorgesse l'idea tragica
della vita” e si rifugia in metafore ottimistiche. Offerti
all'uomo, allora, vi sarebbero “due modi di conoscere”:
il conoscere “in termini di separatezza”, e questo
sarebbe “il modo mentale, razionale, scientifico”,
e il conoscere “in termini d'unità”, e questo
sarebbe “il modo religioso, poetico”. Che lui ci
proponga il secondo come medicina per i nostri mali va da sé,
ma che ciò lo conduca, poi, ad escludere che nella sua
opera non vi sia “niente di politico” – dice
tutto ciò in una lunga difesa del romanzo che scrisse
prima di morire – è decisamente erroneo e gravemente
autolesionista.
Due. Il romanzo abbonda di consapevolezze fondamentali. Lo sviluppo
dell'impresa capitalista implica la distruzione dell'ambiente
in cui si vive, è necessario ribellarsi alla logica dei
consumi, l'intellettuale – colui che trasforma “ogni
cosa in parole” – è un servo del sistema
e presto – sta parlando prima del 1930 – i governi
distribuiranno droga il sabato sera per un più efficace
asservimento delle masse. A differenza che negli Anni difficili
di Dickens, qui, di operai illuminati ed eticamente irreprensibili
non ce n'è: i minatori di cui parla Lawrence –
figlio di un minatore – sono torvi e privi di qualsiasi
vitalità, sostanzialmente complici del sistema che li
opprime.
Tre. I tre personaggi principali del romanzo sono “personaggi”,
ovvero schematizzati quel tanto che basta a che svolgano la
loro funzione narrativa, ma sono costruiti con profonde cognizioni
di cause e grande attenzione alle sfumature. Nessuno di loro
è esente da pecche e contraddizioni – sia l'incantevole
Connie (la Lady Chatterley del titolo), sia il nobile suo marito
ridotto in carrozzella, sia il ruvido e al contempo tenero guardiacaccia
hanno le loro ragioni e, nell'aggrovigliarsi dei loro rapporti,
sanno farle emergere.
Quattro. Connie si butta fra le braccia del guardiacaccia per
affinità ideologica più che per sesso e/o amore.
Lui è una sorta di neo-luddista scettico – contro
la macchina e contro “l'avidità meccanizzata”
e contro “il meccanicismo avido” ma senza illusioni
nei confronti della classe operaia –, e non si troverebbe
invischiato in una relazione di cui ha bisogno ma che non cerca
affatto se non fosse per le contraddizioni del rappresentante
del capitale. Infatti, è dalle improvvise discussioni
fra Connie e suo marito che sorge, crescendo gradualmente, l'esigenza
di investire tutto il proprio amore in un'alternativa –
un'alternativa costosissima sul piano sociale. Lui definisce
la moglie una “bolscevica” solo perché anela
un minimo di giustizia intorno a sé, solo perché
si interroga angosciata su “cosa ha mai fatto l'uomo all'uomo”.
Tanta è la sua consapevolezza di classe – un figlio
maschio che portasse “avanti” il nome del casato
– che accetterebbe perfino che lei tornasse a casa incinta
purché la cosa non trapelasse. Ma si dice “anarco-conservatore”,
che, detto in soldoni, vuol dire che “la gente può
essere e pensare come vuole, in privato, purché mantenga
inalterate la forma e la struttura della società”.
Quando lei, povera cara, gli ribatte: sì, vabbé,
ma come la mettiamo con l'ineguaglianza? L'anarco va a farsi
benedire e rimane il conservatore – risposta: “È
il destino”.
Cinque. In tre punti del romanzo, Lawrence riesce a sorprendermi.
Parla di qualcuno e lo definisce “corrotto come un ebreo
di bassi natali”, svilisce un altro facendo notare che
era come “un ebreo qualsiasi” e, infine, ad un onesto
gondoliere veneziano, fa pensare che “quando Gesù
rifiutò il denaro del diavolo lasciò il diavolo
padrone della situazione, come un banchiere ebraico”.
Tre attestati di antisemitismo che, più appaiono gratuiti
– privi di una qualsiasi giustificazione nell'economia
della narrazione –, più mi risultano offensivi
– nei confronti di quanto di buono seminato nel romanzo
e di me, lettore, che ho saputo apprezzarlo come tale –
e gravi.
3.
Lawrence, insomma, me lo vedo allo stesso posto del mio allievo.
C'è un punto in cui il dialogo non può proseguire.
Nel mio allievo – che non esito a definire una “buona
persona”, altruista, pronto a dare parecchio di sé
per il bene altrui – è subito chiaro, con Lawrence
la cosa è più complicata – il percorso per
giungere al punto morto è più tortuoso –,
ma non c'è dubbio che ad un dato momento a questo punto
morto si arrivi. Com'è possibile, mi chiedo, che una
persona come lui – tanto ben intenzionata e tanto attenta
alla genealogia dei quadri ideologici che sorreggono le classi
sociali – giunga a generalizzazioni così prive
di senso. Com'è possibile che attinga ad un sapere così
autocontraddittorio – com'è possibile che, entrambi
a questo punto, attingano a saperi così meschinamente
autocontraddittori. La Bibbia che sarebbe “parola diretta
di Dio”, la Bibbia che avrebbe anticipato qualsiasi possibile
scoperta scientifica, la Bibbia che annichilirebbe la teoria
dell'evoluzione e – non è possibile evitare di
metterla nello stesso calderone – la connotazione negativa
dell'ebraico in quanto tale. Di quante parole, mi dico, si tradisce
il significato per giungere a queste tesi? Non solo teoria,
leggi, scienza, cambiamento, stasi, ebreo, ma, forse, anche “Dio” stesso che in quanto autore di best sellers
uscirebbe piuttosto sminuito nelle proprie prerogative. Se si
considerasse la scienza come un sistema aperto sempre passibile
di modifiche, se una teoria fosse considerata semplicemente
un collettivo di leggi e se queste leggi fossero comunque ricondotte
ad operazioni umane potrebbe costituirsi alla svelta un terreno
di confronto – ci si potrebbe parlare. E ugualmente se
si ammettesse che “cambiamento” e “stasi”
sono da considerarsi due categorie applicabili a checchessia
in qualsiasi momento e che, pertanto, considerare qualcosa come “in evoluzione” di per sé e qualcosa no sarebbe
autocontraddittorio. E ugualmente se si ammettesse che “ebreo”
non designa alcunché di biologicamente determinato.
Un dialogo, voglio dire, è possibile soltanto a partire
dalla piena disponibilità degli interlocutori all'analisi
dei significati delle proprie parole. Senza questo passo –
un passo di incontro che sembrerebbe davvero minimo –
non è possibile alcun accordo. Purtroppo, però,
storia e presente alla mano, dobbiamo constatare che questo
passo non è minimo affatto, perché qualcuno, dietro
alle proprie parole – dietro a quelle parole che anche
se prive di un significato qualsiasi gli conferiscono sicurezza
costituendo per lui lo specchio del migliore dei mondi possibili
–, preferisce barricarsi e rintanarsi per la propria vita
intera. A scapito di migliori relazioni umane e di migliori
opportunità di convivenza.
Felice Accame
Nota: L'edizione de L'amante
di Lady Chatterley di cui mi sono servito è quella
pubblicata da Mondadori, a Milano nel 1969, nella traduzione
di Giulio Monteleone. In essa, tradotto da Carlo Izzo, è
anche il saggio A proposito di “L'amante di lady Chatterley”.
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