Rivista Anarchica Online


Expo

Orizzonti precari

di Carlotta Pedrazzini


A partire dalla prima edizione londinese del 1851, le esposizioni universali hanno sempre rivelato in anteprima i cambiamenti socio-economici che stavano per avvenire. Lo ha fatto anche Expo 2015, svelandoci come saranno il futuro del lavoro e quello della produzione di cibo.


Mentre scrivo questo articolo mancano pochi giorni alla chiusura dei padiglioni di Expo 2015. In questi mesi è stato impossibile non accorgersi del suo svolgimento, il bombardamento mediatico e le campagne di comunicazione del governo sono stati molto efficaci - sicuramente in termini di marketing, molto meno dal punto di vista dell'informazione. Diversi media hanno deciso di tralasciare le questioni critiche riguardanti l'edizione milanese dell'esposizione universale, dando invece spazio ai proclami; un fatto che ci dà modo di intendere la portata propagandistica di tutto ciò che ruota intorno ad Expo 2015.
Nelle discussioni ufficiali, chi ha provato ad avanzare delle critiche è stato etichettato come gufo o invidioso, il solito italiano incapace di godere delle gioie nazionali; un comportamento che ha contribuito a creare, a livello informativo, un clima in stile don't ask, don't tell (non chiedere, non dire) che non ha certo favorito la diffusione su larga scala di un'analisi critica dell'evento. Eppure di spunti Expo ne ha forniti tanti e probabilmente continuerà a farlo anche dopo la sua chiusura, per la questione - al momento irrisolta e incerta - della gestione futura del sito espositivo.
Dopo sette anni di preparazione e qualche mese di svolgimento, si può dire che la kermesse non è proprio filata via liscia. Cantieri bloccati, manifestazioni, precettazioni, processi, accuse di numeri e costi “gonfiati” hanno confermato l'equazione “grandi eventi = grandi problemi”. Non sono mancati scandali e critiche per le tipologie di contratto lavorativo utilizzate, l'impiego di lavoro volontario, ma anche presunti casi di corruzione e irregolarità riguardanti appalti e compravendita dei terreni sui quali ha avuto luogo l'evento, oltre all'effettivo sviluppo del tema attorno al quale Expo doveva svolgersi, ossia “Nutrire il pianeta, energia per la vita”.

Expo-laboratorio

Riprendendo le dichiarazioni fatte dai capi di governo che si sono susseguiti dal 2008 a oggi, da quando Milano si è aggiudicata l'evento - sfidando la città di Smirne (Turchia) -, scopriamo che l'esposizione universale era stata investita di capacità benefiche senza confini, oltreché ricoperta di aspettative salvifiche e sovrannaturali. Soprattutto in materia economica.
Definito motore per una ripartenza in un periodo prolungato di crisi, l'evento avrebbe dovuto sortire molteplici effetti benefici sull'occupazione (soprattutto quella giovanile) capaci di trainare la ripresa economica del paese. Ma soprattutto avrebbe dovuto intavolare un dibattito costruttivo sui temi del diritto alla terra, al cibo e all'acqua, della sostenibilità ambientale e della fame nel mondo; citando dal sito ufficiale, l'esposizione doveva essere “l'occasione per riflettere e confrontarsi sui diversi tentativi di trovare soluzioni alle contraddizioni del nostro mondo”. Questo era Expo 2015 in teoria, ma cos'è stato nella pratica?
Questa rivista si è già occupata più volte della questione dei contratti di lavoro stilati appositamente per Expo 2015 (“A” 395 febbraio 2015, “A” 397 aprile 2015, “A” 398 maggio 2015) e di come l'esposizione sia servita da laboratorio pre-Jobs Act, utile per capire quanto era possibile spingersi verso nuovi confini di sfruttamento. Questa considerazione va però integrata con alcuni fatti, poiché da quando - il 1° maggio scorso - i tornelli hanno iniziato a girare, molte cose sono successe sul versante lavoro. Ad iniziare dai licenziamenti preventivi.
700 è il numero delle persone che, il 30 aprile, quindi un giorno prima dell'inizio dell'esposizione, sono state licenziate. Il motivo, che non è stato chiarito né notificato ai lavoratori colpiti dal provvedimento, sembra essere quello della sicurezza. Non si sa su quali basi (tanto che c'è stata anche un'interrogazione parlamentare con richiesta al ministro dell'interno e a quello del lavoro di “fare chiarezza” sui criteri adottati), ma a sette centinaia di lavoratori regolarmente assunti è stato negato il pass necessario per mettere piede all'interno del sito espositivo. Non potendo entrare, i lavoratori sono stati licenziati.
La procedura prevedeva che ogni azienda mandasse a questura e prefettura i nominativi dei lavoratori assunti, al fine di ottenere il pass per poter varcare l'ingresso dell'esposizione; a 700 di questi, però, il pass è stato negato. Nessuna spiegazione ufficiale, solo il rifiuto accompagnato dal silenzio. Nessun criterio era stato precedentemente fissato, quindi la decisione risulta essere stata presa a discrezione degli organi di controllo; il risultato è una chiara violazione dello statuto dei lavoratori, come affermato anche dal responsabile Expo per Cgil Milano (“Il manifesto”, Expo, licenziamenti preventivi. Viminale nella bufera).
C'è stata poi la protesta dei lavoratori addetti ai tornelli, riportata dal sito www.lavoroexpo2015.com, contro l'orario “spezzato” (che prevedeva 4 ore di pausa e conseguenti 12 ore di permanenza all'interno del sito) e a denuncia di sottoinquadramento contrattuale e basso stipendio (Expo 2015, protestano i lavoratori ai tornelli in www.lavoroexpo2015.com). A questa va aggiunta la notizia di cento lavoratori del padiglione Italia che hanno visto “saltare” la busta paga del mese di giugno, a causa di un susseguirsi di aziende chiamate a gestire il padiglione che si sono poi defilate, lasciando i lavoratori senza retribuzione (Milano Expo, la denuncia di cento lavoratori del Padiglione Italia: «A giugno non ci hanno pagato» in milano.corriere.it). Per completare il quadro generale, va presa in considerazione anche una testimonianza, pubblicata sul sito www.lavoroexpo2015.com, fatta al Punto San Precario di Rho-Fiera (sportello che offre consulenza ai lavoratori precari) da un addetto alla vigilanza del sito espositivo che riguarda l'entità dei turni (fino a 12 ore) e del salario (4 euro netti l'ora) (Vigilanza Expo: «Turni massacranti, stipendi da fame in www.lavoroexpo2015.com). Aggiungiamo a questa lista anche gli scioperi - colpiti da precettazione - indetti nei mesi scorsi da CUB trasporti per denunciare i sacrifici richiesti ai lavoratori ATM durante i sei mesi di Expo: aumento degli straordinari, limitazione delle ferie, assunzioni limitate (Expo e trasporti: la battaglia sul lavoro ha preso un'altra corsa? da www.clashcityworkers.org).
Le tipologie di contratto, i sottoinquadramenti, i bassi stipendi (e le retribuzioni mancate), l'ampio ricorso al lavoro volontario ci dicono che non è stata data rilevanza alla qualità degli impieghi forniti, ma solo ad una crescita temporanea dell'occupazione. La situazione economica emergenziale che stiamo vivendo ha favorito questa “dimenticanza”, spingendo a concentrarsi solo sull'aumento dei dati statistici e tralasciando i dibattiti sulle tutele e sui diritti (negati). Su questo versante l'esposizione ha creato un (triste) precedente che, d'ora in avanti, influenzerà il mercato del lavoro; da questo punto di vista si può dire che Expo abbia segnato un vero punto di svolta. E nel campo dell'alimentazione?

Diritti a pagamento

Girando per i padiglioni, abbiamo scoperto che multinazionali e grandi marchi hanno trovato ampio spazio e rappresentazione; erano loro i protagonisti indiscussi dell'evento. I grandi assenti, invece, erano i piccoli, fagocitati e ignorati nell'esposizione proprio come nella vita economica di tutti i giorni.
Il messaggio passato era molto esplicito, il futuro che Expo ha proposto al mondo è fatto di multinazionali, di appiattimento e omologazione della produzione. Si basa sul marketing, sul profitto e sull'iper-consumismo.
Nel tentativo di dare un tono sociale a questa fiera lunga sei mesi, sono stati redatti documenti come la Carta di Milano o il Manifesto dell'Idratazione. Il succo di questi scritti? Per la vita dell'uomo, l'accesso a cibo e acqua è di assoluta necessità; per questo in materia alimentare e idrica serve più giustizia. Parole molto belle che stridono però con una realtà fatta di ricerca spasmodica di profitto, privatizzazioni, sprechi e prezzi in crescita, riproposta anche all'interno dell'esposizione (tra cibo buttato, prezzi alti e McDonald's come unica alternativa “popolare”). Per chiarire: acqua e cibo sono un diritto di tutti, ma solo se si sa come pagarli.
Storicamente le esposizioni universali hanno sempre proposto anticipazioni di un futuro che stava per concretizzarsi; gli appuntamenti del passato, a partire dalla prima edizione londinese del 1851, davano assaggi del possibile, mettendo in mostra gli sviluppi dell'industria, le frontiere che questa stava per raggiungere, svelando in anteprima i cambiamenti socio-economici in procinto di avvenire.
In questo senso, l'edizione milanese ha fatto il suo dovere e ha messo in mostra quello che ci aspetta. Ci ha rivelato come sarà il futuro del lavoro e anche quello della produzione di cibo. Un orizzonte di multinazionali e di precarietà.

Carlotta Pedrazzini