Intervista a Jesùs Lizano/
Cultura come arma contro il potere
Si poteva incontrare Jesùs Lizano, con la lunga barba
bianca da autentico profeta, nel piccolo studio sovraccarico
di libri, carte e macchine da scrivere fuori uso. Era evidente
che non possedeva alcun computer. In Italia era quasi sconosciuto,
noto solo ai frequentatori del movimento barcellonese, in particolare
dell'Ateneu Enciclopédic Popular. La sua opera, scritta
fino al 2000, è riunita in Lizania. Aventura poética
(ed. Lumen, 2000), un imponente lavoro di più di mille
pagine. Ha pubblicato altre espressioni della sua singolare,
schietta e forse ingenua maniera di vedere la vita, tra cui
Cartas al Poder Literario, La vuelta del mundo en 80 años,
¡Hola compañeros! Manifiesto Anarquista, Lizanote
de la Acracia o la conquista de la inocencia (ed. Virus).
Ci ha lasciati il 25 maggio, all'età di 84 anni vissuti
in una ostinata solitudine, interrotta saltuariamente da manifestazioni
pubbliche come quel corteo spontaneo di qualche anno fa quando,
insieme a centinaia di giovani, sfilò sulle Ramblas di
Barcellona con lo striscione Para un mundo poético
y natural.
Riproduciamo parte dell'intervista di Antonio Orihuela, apparsa
su CNT, n. 379, del giugno 2011. E altre sue dichiarazioni
dello stesso periodo.
Claudio Venza
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Jesùs Lizano (Barcellona, 1931-2015) |
Qual è la novità del libro, appena pubblicato,
¡Hola Compañeros! Manifiesto Anarquista?
Più che una novità è il culmine del mio
pensiero, cioè la fusione definitiva della creazione
poetica con quella libertaria. In realtà questa fusione
si intuiva già all'inizio dell'avventura che tuttora
vivo e che mi ha fatto scrivere molte poesie oltre a diari,
lettere, articoli. Questo culmine è la fusione a cui
deve aspirare la nostra specie e alla quale solo il pensiero
anarchico, unito a quello poetico insieme all'innocenza del
dato naturale, può condurci superando il compromesso
con la politica. A questa conclusione sono arrivato attraverso
poesie e poesie, sofferenze e sofferenze, comprensioni e comprensioni.
Come ti senti agli 80 anni?
L'artista non vive per se stesso, bensì per la sua opera.
E la sua opera non è per lui, ma per gli altri. Mi chiedo
solamente: “Cosa ne sarà della mia opera, la Lizania?
Fino a che punto sarà riconosciuta e compresa?”.
Nel contesto culturale dominante, sono malvisto dal Poder
Literario che peraltro ho duramente contestato nelle mie
cartas (lettere).
Di cosa abbiamo bisogno per conquistare l'innocenza?
Non si tratta di conquistare l'innocenza, bensì del fatto
che l'innocenza conquisti noi stessi. Questo è possibile
solo avvicinandosi al dato naturale, vedendoci come frammenti
della natura in quanto mammiferi e non della struttura dominatori-dominati
che tuttora ci determina.
La cultura è un'arma del Potere?
È inevitabile che la cultura sia in mano al Potere, ai
dominatori. Per i potenti è un'arma fondamentale con
la quale possono manipolarci, imporci la loro mentalità,
usarci e, se conviene, sacrificarci.
Di quale bussola avrebbe bisogno l'umanità per
incontrare se stessa?
Già un secolo e mezzo fa, il primo Manifesto Anarchico
la trovò: rifiuto di ogni potere e della politica che
è lotta per il potere. Allora, e ancora oggi, occorre
cominciare ad organizzarsi in comunità umane e non politiche,
religiose o familiari.
Perché costa tanto riconoscersi come mammiferi?
È molto semplice. Durante secoli e secoli, il dominio
ci ha fatto impazzire. Ci hanno impedito di vedere ciò
che è naturale e reale. Hanno sottomesso le nostre vite
all'idea centrale di ogni dominatore, quella che ostacola la
presa di coscienza della necessaria conquista del naturale.
Il Potere impedisce di vederci tutti come compagni, di considerare
il mutuo appoggio come l'unica “legge”, l'unica
“morale”, l'unica “verità”. Occorre
vedere ciò che francamente siamo: mammiferi.
Resta lontano il Mundo Real Poético?
Il Mondo Reale Poetico è qui: nella sua bellezza, nella
sua innocenza, nella fusione dell'unitario e del diverso. Solo
la nostra progressiva pazzia ci nega il godimento di questo
Mondo che ha le sue luci e le ombre sue naturali. Siamo sepolti
nel pozzo della politica. È ovvio che dobbiamo avere
fede in ciò che è umano, nel naturale per aspirare
al possibile cambio di struttura.
Come vedi il ruolo di un poeta?
Penso che un poeta sia un messaggero di bellezza. Io cerco di
esserlo. Anzi, non posso evitarlo, come non posso evitare di
fare la pipì.
Credi che esistano falsi poeti?
Certo. Sono quelli che cercano premi, riconoscimenti, medaglie,
incarichi di prestigio, poltrone di accademici... L'artista
vero, come il poeta, non ha amor proprio, non conosce la vanità.
In effetti, l'artista è consapevole di non avere alcun
merito personale, ma sa che è l'energia creativa che
lo fa vivere. Per questo motivo non si può conoscerlo
senza leggere la sua opera.
Cosa si aspetta il Potere dagli artisti e dai poeti?
Al Potere fa piacere che si rispettino le forme, l'educazione,
vuole che tu sia un adulatore e che lo esalti in vari modi.
Da parte mia, non stiro i vestiti, non controllo l'aspetto,
dimentico di curarmi. In sostanza conservo e sviluppo molto
la vita interiore, per nulla quella esteriore. È normale
che io non piaccia alla borghesia. Ma, per favore, si leggano
i miei lavori!
Come hai potuto vivere, con quali fonti economiche?
Come laureato in filosofia, insegnai per qualche anno. Entrando
in classe dissi agli studenti: “Siete tutti promossi.
Seguite le lezioni solo se volete!”. Il direttore mi ordinò
di cambiare atteggiamento. Non lo feci, naturalmente. E al terzo
anno non mi rinnovarono il contratto.
E allora?
Trovai lavoro come correttore letterario in una casa editrice.
Ma la necessità irresistibile di scrivere poesie diede
fastidio al mio capo che mi denunciò al superiore. Quindi
feci leggere al direttore i miei lavori. E lui mi comprese!
Mi collocò in un piccolo ufficio dove ero da solo. Una
volta terminato il lavoro di correttore, potevo dedicarmi a
scrivere. Così feci per 22 anni.
Hai avuto molta fortuna...
Sì, certo. Infatti non si può creare senza disporre
di tempo libero, di libertà di pensare e sentire. Per
questo motivo la compagna della mia vita è stata la solitudine,
il mio unico amore. Ora la mia consolazione è fare gli
acquisti ogni mattina e salutare le venditrici del mercato che
mi vogliono molto bene. Questo mi dà alimento all'anima.
Penso di uscire un giorno per strada con un cartello “Ho
bisogno di affetto”.
E come va la vita alla tua età?
Ho la leucemia. Sto morendo. Sono ammalato, esaurito. Però
non sono depresso! La morte da vecchio è un fatto naturale.
Ho avuto molte esperienze e ora comprendo meglio che non bisogna
farne un dramma. Insomma ho vissuto abbastanza.
Vuoi recitare una tua poesia?
“Il capitano
non è il capitano.
Il capitano
è il mare...”
Antonio Orihuela
Caso Mastrogiovanni/
Sei anni alla ricerca di verità e giustizia
Dopo circa cinque anni di processi ci avviciniamo, finalmente,
al momento della verità.
La sentenza del processo d'appello per la morte di Francesco
Mastrogiovanni, insegnante libertario deceduto il 4 agosto 2009,
presso l'Ospedale San Luca di Vallo della Lucania (SA), dopo
83 ore di contenzione e torture, sarà emessa, dalla Corte
di appello di Salerno, molto probabilmente, entro la fine del
2015.
Prima della pausa estiva si sono svolte, presso il Tribunale
di Salerno, due udienze: rispettivamente il 26 e il 30 giugno.
Il primo a prendere la parola, nell'udienza del 26 giugno, è
stato l'avvocato Raffaele Giorgio che difende l'Asl Salerno
3. A proposito dell'eventuale responsabilità dell'azienda
sanitaria, Giorgio ha affermato che la stessa conta circa cinquemila
dipendenti e che l'azione di controllo, su un numero così
elevato di operatori, è praticamente impossibile per
cui valgono le norme in materia e i regolamenti che sono a conoscenza
sia dei medici che degli infermieri. Il secondo legale che è
intervenuto è stato Francesco Bellucci, a difesa degli
infermieri Antonio Luongo e Alfredo Gaudio. L'avvocato ha messo
a dura prova la pazienza della corte parlando per circa un'ora
di un fantomatico processo mediatico messo in atto dal “Comitato
verità e giustizia per Franco” paragonando le legittime
iniziative di movimento, giornalistiche e culturali promosse
in tutta Italia da quest'ultimo, alla sovraesposizione mediatica
dei protagonisti di altri processi quali quello di Avetrana,
Cogne ecc.
Alla fine della sua arringa il presidente ha ricordato, a Francesco
Bellucci, “maestro del giure e dell'eloquenza” come
lo avrebbe definito Errico Malatesta, che la sua è stata
“una introduzione pregevolissima sul processo mediatico
ma che non è questo processo”.
Dopo una breve pausa, fallito il tentativo di spostare il dibattito
su un tema non pertinente (quello del processo mediatico), Francesco
Bellucci ha ripreso nuovamente la parola ed ha analizzato, dal
suo punto di vista, le cause della morte dell'insegnante cilentano.
L'udienza si è chiusa con l'arringa dell'avvocato Agostino
Bellucci, figlio del più noto, il quale ha ipotizzato
l'inammissibilità del ricorso della procura di Vallo.
Più aderenti ai temi, le arringhe dell'udienza del 30
giugno nella quale si sono succeduti quattro avvocati. Il primo
a prendere la parola è stato l'avvocato Francesco Maria
Torrusio che difende gli infermieri Antonio De Vita e Maria
Carmela Cortazzo, il quale ha ribadito che l'ordine della contenzione
è partito dai medici di reparto e che l'applicazione
delle fascette di contenzione è stata ritenuta evidentemente
necessaria dagli infermieri per impedire a Mastrogiovanni di
cadere dal letto, considerato il suo stato di agitazione.
Giovanni Laurito, difensore dell'infermiere Juan Josè
Casaburi, assolto in primo grado per non aver commesso il fatto,
ha ribadito l'estraneità ai fatti contestati del suo
assistito.
A seguire, Claudio Mastrogiovanni, difensore di Raffaele Russo
ha affermato che l'infermiere da lui difeso ha svolto bene il
suo ruolo e che le cartelle cliniche erano tenute lontane dal
luogo di cura, in una stanza lontana da quelle dei ricoverati,
per cui gli infermieri non potevano accedervi.
L'avvocato Michele Avallone, difensore dell'infermiere Antonio
Tardio, ha criticato l'atto d'appello dell'accusa e ha parlato,
come aveva già fatto il suo collega Bellucci nella seduta
del 26 giugno, di processo mediatico. In aula, a fianco dei
familiari di Mastrogiovanni, erano presenti rappresentanti di
Acad (Associazione contro gli abusi in divisa) e Gianfranco
Malzone, fratello di Massimiliano, anche lui cilentano come
Mastrogiovanni deceduto a seguito di un ricovero, in regime
di TSO, presso il reparto di psichiatria di Polla-Sant'Arsenio,
in situazioni poco chiare. Anche nel caso di Malzone il medico
legale incaricato di eseguire l'autopsia è Adamo Maiese,
lo stesso stimato professionista che eseguì l'autopsia
sul corpo appartenuto a Franco.
Infine, dobbiamo segnalare con grande piacere che, nei primi
giorni di agosto, in piazza Vittorio Emanuele a Vallo della
Lucania, in concomitanza con il sesto anniversario della morte
di Mastrogiovanni, il pittore Felice Pugliese ha dipinto la
“pazzia” e il modo in cui viene recepita dal mondo.
Pugliese, per disegnare usa solo un paio di lenti che, tenute
ad una certa distanza da una tavola di legno, concentra i raggi
del sole in un punto permettendogli di creare figure. La sua
performance, che ha avuto il sapore di una dura critica al sistema
dei ricoveri, ha suscitato grande interesse tra passanti e turisti.
Dopo quelle dello scorso 18 settembre e del 27 ottobre, le prossime
udienze sono state programmate per i giorni: 3 e 6 novembre
2015.
Angelo Pagliaro
angelopagliaro@hotmail.com
Migranti/
Tra Isis e identificazione
Ciò che indigna è che il potere guardi alla gente
che cerca riparo in Europa come se si trattasse di vittime di
calamità naturali.
Giusto se l'esodo fosse causato da terremoti, tsunami ecc. che,
se pur entro certi limiti prevedibili, necessitano dell'immediatezza
di soccorsi, ma quest' esodo è tutt'altro che una calamità
naturale. Questo ha alla base politiche delle quali si evita
di indicare i responsabili. Questa differenza, poco decisiva
per chi, intanto, si mette in salvo è fondamentale, invece,
per chi, sia tra loro sia tra chi li accoglie, deve e vuole
avere un ruolo positivo. Quando la causa della fuga è
“naturale”, molti di coloro che fuggono e tutti
coloro che li accolgono sanno che la causa avrà, in se
stessa, un termine naturale e chi scappa, finita l'emergenza,
vorrà tornare nella propria terra chiedendo ai soccorritori
soltanto aiuti per ricominciare.
Ma un esodo di natura politica (e la miseria è sempre
di derivazione politica) può aver fine per fatti altrettanto
politici. Chi è scappato dalla Germania, dall'Italia
o dalla Spagna o dalla Russia o dalla Cina, è tornato
solo quando la situazione politica lo ha permesso (per gli ebrei
ci son voluti migliaia di anni). Anche la fuga dalla miseria,
non induce al ritorno raggiunta la semplice crescita economica
(sic), se a questa non si aggiunge il cambiamento del fattore
che ha generato la miseria.
Ora, né a loro né agli Europei viene detto se
e quando potranno tornare nelle loro terre. Ma tacere non è
privo di conseguenze. I popoli europei temono, non senza ragione,
che il destino di buona parte dell'Europa si livellerà
al presente degli emigranti se non cambierà la situazione
politica nei paesi di provenienza. Questa presa di coscienza
è tragicamente frustrante. È da questa frustrazione
che nasce il senso di rancorosa impotenza che viene strumentalizzato
contro gli incolpevoli profughi, ma mai contro i governanti
europei che tacciono su quando, come e perchè finirà
tutto questo. E nessuno ricorda che non è contro il sintomo
che si deve combattere ma contro la malattia.
La protesta, male indirizzata, che vediamo disgustosamente crescere,
si rende complice della politica che genera muri, arresti, morti
ecc. Chi non vuole accettare questa complicità deve almeno
denunciare le contraddizioni tra quello che i governi dicono
e quello che veramente fanno.
C'è la guerra. Ci dicono che, perdurando, non si potrà
fermare quest'esodo. Ci dicono che tutta la responsabilità
è dell'Isis in certi posti, delle tribù in altri,
dei dittatori siriani, iraniani, irakeni o dei russi. Ci dicono,
però, che vogliono aprire trattative con i governi per
il rimpatrio dei profughi ed anche di coloro che profughi non
sono. (Come se non si sia profugo dalla miseria, freddamente
indotta).
Ma dicono che vogliono combattere l'Isis. E come la vinceranno
questa guerra:
- aiutando i turchi a bombardare i curdi, che hanno dimostrato
di saperli contrastare e, soprattutto, di saper creare territori
laici e democratici che attirano molti volontari dallo stesso
medio oriente?
- esercitando, nei confronti dell'Iran, una politica di dissuasione
promettendo la fine dell'embargo?
- aiutando i sunniti dello Yemen?
- non fermando i rifornimenti di armi all' Isis attraverso le
democratiche Arabia Saudita, Qatar e Turchia?
- lasciando che i mercanti occidentali comprino il petrolio
dall'Isis?
- accusando la Russia di mire espansionistiche, dopo che loro
hanno invaso con i loro eserciti mezza Africa?
- non ostacolando l'esodo a pagamento che permette all'Isis,
di sbarazzarsi di oppositori (se quelli che scappano fossero
loro favorevoli non scapperebbero) e, forse, guadagnare con
i trasporti?
Facilitare il depauperamento di quelle terre di giovani uomini
e donne con un buon grado di istruzione e un barlume di formazione
sociale laica (vedi Siria) è quello che serve? Va bene
così? Non ci sono alternative? Se fosse vero il desiderio
di creare in Africa le possibilità di democrazia e di
vita, forse qualcosa di diverso da fare ci sarebbe. La gente
che, pur di salvarsi, sfida la morte ogni giorno non sono turisti
alla ricerca di buoni alberghi e luoghi ameni dove passare il
resto della propria vita, come tendono a descriverceli i vari
Salvini e Borghezi di turno. Sono gente giovane, spesso scolarizzata,
e probabilmente, desiderosa di aver data una mano per aiutarli
a creare una vita decente nei loro paesi.
Probabilmente, una forza armata multinazionale formata da una
relativa minima quantità di operatori occidentali specializzati
e da una quantità considerevole di profughi, potrebbe
diventare decisiva per liberare e rifondare i loro paesi. Inoltre
una forza militare autoctona avrebbe una forte capacità
di attrazione verso i loro connazionali giovani uomini e donne.
L'esperienza nelle guerre che man mano liberano i territori
e ricostruiscono la vita, darebbe loro la possibilità
di selezionare i futuri responsabili politici. È così
successo in tutti i paesi che si sono liberati.
Questo progetto necessita di una selezione tra “coloro
che arrivano” da fare nei paesi Europei di primo transito,
come sul mare, organizzando corridoi protetti e centri di prima
selezione. Va da sé che verranno, come oggi, famiglie
intere da accogliere, non per farne ostaggi che costringano
i combattenti ad essere fedeli e coraggiosi, ma per dar loro
la sicurezza e la soddisfazione di sapere che finalmente rischieranno
la vita per costruire qualcosa che vale e che, comunque, le
persone a loro più care, saranno protette ed aiutate.
In Europa la lotta partigiana ha insegnato che questo è
possibile realizzarlo. L'Isis o i terroristi di tutto il mondo
ci insegnano, quotidianamente, che, se motivati, addestrare
in poco tempo ottimi combattenti è possibile.
Perchè nessuno propone qualcosa del genere? Eppure se
si vuole un'Africa diversa è questa la strada da battere.
Se no si avrà un Africa diversa, ma sarà quella
del Califfato.
Si può credere che i “poteri” non sappiano
quale sia la differenza tra una calamità naturale ed
una tragedia politica indotta? E che non abbiano già
contemplata una soluzione che però non viene comunicata
forse perchè sanno che la cura è peggiore della
malattia?
In verità ci hanno già descritto la direzione
nella quale intendono muoversi. Per rimpatriare occorrerà
stipulare trattati con governi, che dimostrino piena affidabilità.
È stato già fatto con Gheddafi! I trattati c'erano,
costavano un sacco di soldi, ma i rimpatri ed il fermo alle
fughe erano realizzati. Non si accertava, naturalmente, che
fine facessero coloro che rientravano o non partivano. Occhio
che non vede... Soprattutto non provvede e non reca che scarsissimo
turbamento nelle felici popolazioni europee e grande consenso
politico per i governanti.
E chi potrà nel breve tempo, almeno in medio oriente,
garantire il rispetto di trattati “liberamente”
stipulati e finanziati? Si vede oggi una entità “affidabile”
diversa dal Califfato? L'Arabia Saudita, il Qatar, la Turchia,
in breve i nostri migliori amici, appoggiano già
il califfato certamente non per vederlo sconfitto. Ma al di
là della “totale accoglienza per i siriani”,
ciò che turba molto è la fregola della Merkel
di identificarli, tutti e subito.
Qualcuno spiega come funziona una operazione di identificazione
internazionale? Stabilito che non si può credere a quello
che ci dicono i migranti o ai documenti rilasciati dal dittatore
Assad, bisogna svolgere indagini direttamente in Siria anche
nella parte in mano all'Isis.
L' Europa ha affidabili canali diplomatici o di altra natura
con l'Isis in quelle zone occupate? (andrà di moda chiamarle
liberate). E se non li hanno questi canali, come fanno ad identificare?
E comunque facciano, una volta identificati, come ne salvano
la riservatezza per evitare che l'Isis ne venga a conoscenza
ed eserciti nei confronti dei loro genitori (si vede dalle riprese
televisive che sono per la quasi totalità giovani), dei
loro parenti, dei loro amici, quel tipo di attenzione cui l'Isis
ci ha abituati e che utilizza verso coloro che ritiene non siano
accoliti fedeli?
Angelo Tirrito
”A”
400/ Qualcuno ne parla
Sul quotidiano “il manifesto” del 5 settembre è apparso questo articolo del vice-direttore Angelo Mastrandrea.
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