portfolio
Il gioco sovversivo
reportage di Mirko Orlando
In una società in cui conta solo produrre, giocare è un atto rivoluzionario.
I bambini giocano con tutto,
giocano anche a fare la guerra. Poi i grandi la fanno davvero
e i bambini giocano con ciò che resta. Il gioco rappresenta
l'unica vera forma di sovversione, e con questo pensiero in
tasca ogni volta che vedo qualcuno giocare non posso fare a
meno di fermarmi... e l'otturatore fa click.
Credo che giocare non significhi tanto il concedersi una breve
e intensa spensieratezza, ma al contrario un momento di autentica
emancipazione dalle logiche della produttività, e perciò
credo sia giocando che si fanno le rivoluzioni. Chiaramente
non parlo dell'ottuso circuito dell'entertainment in
cui l'intero Occidente (ed oggi l'Occidente si espande ben oltre
se stesso) è sprofondato, dacché non v'è
nulla di più produttivo di questa infame caricatura del
gioco, ma al contrario di quel giocare spontaneo, naif, di quella
voglia irrefrenabile di sprecare energie che ci assale d'improvviso,
anche e specialmente quando tutto intorno a noi richiama una
certa austerità, se non anche quelle facce da lutto di
chi ha preso coscienza del mondo in cui vive.
Questa energia non è addomesticabile, non può
esaurirsi dentro quattro mura perché è un'energia
che si nutre per strada, tra gli altri, dove le regole del gioco
le fanno, di volta in volta, i giocatori. Dunque fuori, anche
dove una quotidianità avversa scoraggia ogni forma d'allegria,
anche dove la povertà, un lavoro sottopagato o un governo
scellerato inducono gli individui a piangersi addosso. Bisognerebbe
imparare a piegarsi per essere all'altezza dei bambini e non
per soddisfare le voglie più basse degli adulti, sembra
dirci questa forza che ci portiamo dentro.
Le sacre regole del gioco
Sotto un cavalcavia di Bangkok un gruppo di operai spende il
proprio tempo libero calciando una palla al di là della
rete. È soltanto un gioco, ma con le scommesse ci si
può arrotondare lo stipendio, così come quell'uomo,
bocce alle mano, porta la pagnotta a casa per la sua famiglia
a Battambang (Cambogia). Accattoni, operai, imprenditori e uomini
di borsa, giocare è un lusso di cui non si può
privare nessuno. Fanculo tutto il resto!
A Vang Vieng (Laos) i fuochi d'artificio fanno più
rumore delle mine antiuomo che ancora infestano un paese distrutto
da una guerra a cui non ha mai partecipato, e benché
sia lontano il tempo del riscatto già oggi ci si appressa
ad esultare. Nulla di meno nelle baraccopoli indiane, dove a
viverci per qualche tempo per lo meno s'imparano le sacre regole
del Cricket (e magari qualche astuta tecnica per borseggiare
i più fortunati). Non fraintendetemi: sono terre orribili,
squallide e schifose non perché di fatto sporche, ma
prima ancora perché profondamente ingiuste. Sono terre
in cui vige la legge del più forte, e non v'è
alcun diritto se non quello a sopraffare il più debole,
l'indifeso, il pezzente di turno. Eppure capita che siano terre
di cui ci si possa innamorare, proprio così, ce ne si
innamora come si perde la testa per una grandissima stronza.
È un amore folle, irragionevole, persino pericoloso.
Il cuore dei cambiamenti
Tra una partita e l'altra, un giovane indiano mi dice che alla
fin fine è ottimista (la speranza è l'ultima a
morire?): l'economia del suo paese è in crescita e pertanto
si sente orgoglioso di appartenere ad un paese tanto determinato.
Tutte le statistiche gli danno ragione, ne sono a conoscenza,
e pur tuttavia non riesco proprio a capire in che modo questo
sviluppo possa in fine riguardare il mio interlocutore. Da quand'è
che ci hanno rincoglionito col PIL, la crescita, e il mercato
finanziario globale? Persino qui, lontano da casa, sono costretto
a sentire le solite stronzate? Il solo mercato che davvero dovrebbe
interessarci è quello dell'ortofrutta sotto casa, quello
alla periferia della città dove dopo un'estenuante contrattazione
riusciamo ancora ad ottenere qualcosa ad un prezzo ragionevole.
Il mercato finanziario, le cifre spasmodiche delle borse, sono
ciò che Guido Ceronetti chiama necroeconomie, mercati
di morte e disperazione dove se non sarà un crack finanziario
ad ucciderci sarà l'inevitabile depressione che ci accompagnerà
nella lettura del suo andamento.
Il ragazzo riprende a giocare come un bambino (sembra che
soltanto nelle pause ritorni cretino come un adulto). Io riparto.
Lontano. Voglio raggiungere Phnom Penh. Ci arrivo e presto trovo
una sistemazione: Gran View Guest house. Gran View perchè
un tempo affacciava sul lago ma oggi tu vedi un bambino giocare
e intorno nulla... è il nulla! Proprio qui, dalla finestra
della mia squallida camera da quattro soldi tu potevi vedere
un lago... l'hanno prosciugato. Hanno comprato tutto e domani
ci saranno un sacco di grattacieli, alberghi, shopping center.
Qui c'era un lago, e i bambini ci si tuffavano dentro per
ingannare il caldo di questi tempi ma ora ti giri e vedi il
nulla, sabbia e cemento... e i bambini continuano a giocare.
Quando cadono piangono, ma finisce sempre che si rialzano e
riprovano ancora, fintanto hanno le forze, fintanto non ci riescono,
e allora ti chiedi se davvero sapranno, demiurghi come sono,
ricostruire daccapo un paese come questo. Ci vuol troppa arroganza
per rispondere... io davvero non lo so se è nella logica
evoluzione del bambino diventare semplicemente un uomo. Soltanto
un uomo. Così tu vedi un bambino giocare e intorno nulla...
ecco di che è fatta la materia della vita. Ecco perché
non dovremmo mai smettere di giocare se davvero abbiamo a cuore
il cuore stesso d'ogni possibile cambiamento.
Mirko Orlando
|