Le radici di Omero
omaggio ad Alan Lomax nel centenario della
sua nascita
Le radici erano buone e antiche, la pianticella appena nata si caricò
di sforzi sovrumani, volle trarre i frutti di millenni e tutt'assieme
raccoglierli, catalogarli, offrirli, trasformarli. Tutta l'esperienza
della raccolta e della catalogazione della musica popolare di
tradizione orale, per quel che ci riguarda con particolare attenzione
per la forma canzone, avvenne nell'arco di pochi decenni. Il
grande lavoro continua tutt'oggi con feroci discussioni, rimaneggiamenti,
in una storia di “amore e furto”, ingenuità
e sospetto, passione e arricchimento. Il “corpus”
però si costituì con impressionante voracità
fra gli anni '40 e gli anni '70: occhi mai sazi di spazi, fiato
continuo a soffiare nelle launeddas del folklore progressivo.
Avevano furia, avevano fretta di raccogliere e di vivere, di
ubriacarsi e cantare, di registrare e capire.
Avete presente quel “topos” che si vede in qualche
film di avventura archeologica? Lo studioso che scopre una stanza
inviolata, sigillata da secoli, intatta e splendente... entra
e, mentre il tesoro gli si svela davanti agli occhi, gli affreschi
si polverizzano e cadono, le colonne si sbriciolano, il pavimento
si sfalda?
Si ha l'impressione che così avvenisse: i ricercatori
registravano melodie e parole trasmesse dalla notte dei tempi,
sopravvissute alle colonizzazioni e alle religioni, ed ecco
che proprio quei mezzi che permettevano per la prima volta di
giungere a fissare ciò che si era trasmesso, fedele nell'intenzione
e impreciso nei contorni, si cancellava obliterato dalla radio,
dal cinema, dalla televisione, da quella stessa modernità
che col magnetofono aveva dato lo strumento per concretizzare
l'oralità.
Fu una corsa contro il tempo, affannosa che fece perdere anni
di vita: spesso i ricercatori morirono sul campo, stremati.
Il vino pure aveva il suo ruolo: il mondo contadino è
una miniera diffidente e l'alcool era un potente mezzo per vincere
timori e ritrosie... solo che non puoi far ubriacare senza ubriacarti
tu, partecipare al rito pretende l'immersione. Andare a fare
ricerca voleva dire partecipare a molti riti in uno spazio terribilmente
piccolo, vivere la vita non di un uomo, ma di una comunità
nel tempo di un sospiro e ripartire subito per nuovi riti, nuovi
dei, nuove danze. Non fu una vita sana, fu una passione divorante
e dolorosa.
In senso politico e sociale
L'inizio, per convenzione, si deve a un corpulento americano
che quest'anno avrebbe compiuto i suoi cento: Alan Lomax (1915-2002).
Intendiamoci, non era affatto il primo ricercatore, lui stesso
derivava per diretta eredità dal padre John, un vero
pioniere, colui che ottenne dalla Biblioteca del Congresso di
Washington fondi e compito di raccogliere il patrimonio del
folklore per la prima volta con campagne organiche di registrazioni
sul campo. Allargando il cerchio di tempo e di spazio possiamo
anche dire che dalla fine del '700 e per tutto l'800 l'interesse
per la poesia popolare era stato intenso (solo in Italia abbiamo
le fondamentali raccolte di Nigra e Pitré) e che Bela
Bartok cominciò a documentare con registrazioni i canti
popolari ungheresi già nei primi anni del secolo.
Omero stesso non inventò la poesia. Alan Lomax è
l'Omero della musica popolare, perché si immerse mani
e piedi definendo (e identificandosi con) personaggi, limiti,
contraddizioni della storia del folklore. Militante comunista
e antirazzista, quando era una provocazione già solo
chiamare “signore” un negro - come gli fece notare
uno sceriffo in un paese del sud, mettendo mano alla pistola
- volle sempre ragionare in senso politico e sociale su ogni
fenomeno sonoro. Polemico e provocatorio, era uno straordinario
affabulatore e scrittore, come emerge bene da alcuni suoi libri,
e mancò sempre di ogni distacco scientifico dalla sua
materia, inserendola nel contempo in un discutibilissimo e arido
sistema di classificazione. Non importa: se non ci fosse stato
lui noi avremmo molto meno passato e condivideremmo una fonte
di canti assai più esigua.
Recentemente abbiamo affrontato la montagna dell'argomento Lomax
davanti al preparato e battagliero pubblico dell'ARCI Scighera
di Milano, il nostro circolo di riferimento che, nella persona
di Davide Kortatub Bergna, ha organizzato una tre giorni di
concerti e incontri dedicata al suo centenario. Lea Tommasi
- amica e compagna di molte battaglie culturali, giovane militante
del Premio Tenco - s'è laureata con una tesi che ci restituisce
i contorni della figura di Lomax. Con lei, nel pomeriggio del
12 settembre, abbiamo svolto il seguente tema: “Da Lomax
in poi: seminario sull'uso delle fonti orali nella canzone d'autore,
nel rock, nella militanza politica e musicale.” Di qui
in avanti citerò abbondantemente anche le sue parole.
«Alan Lomax registrò documenti sonori per tutta
la sua vita. Viaggiò in molti paesi raccogliendo materiale
immateriale per farlo diventare patrimonio di tutti, quindi
condivisibile. La condivisione è anche la spinta iniziale
che porta i gruppi umani a cantare. Avvicinarsi al lavoro di
Lomax permette, mi ha permesso, di compiere un viaggio nella
musica, un percorso dal lontano al vicino.
Conoscevo questo personaggio perché aveva registrato
e divulgato il blues nato nei campi di lavoro e nelle prigioni
del sud degli Stati Uniti, una mia grande passione musicale.
Poi ho scoperto che aveva girato tutto il mondo ed era stato
anche in Italia. Lo stupore e la curiosità a riguardo
mi hanno spinto a indagare sulla figura di Lomax e in generale
sul mondo delle canzoni e del loro senso.
Ogni produzione orale, canora o musicale è strettamente
connessa al luogo dove ha inizio, Lomax insisteva sulla valorizzazione
di ogni singola cultura. Una sera si racconta che Lomax entrò
in un locale di Roma dove stavano suonando musica americana
e si incazzò, domandando come mai ci fosse quella musica
venuta da fuori invece che quella italiana e trasformando la
serata in una sorta di assemblea! In tutto il periodo di scrittura
della tesi non ho mai smesso di scoprire novità su Lomax,
ci sono molti materiali da lui prodotti e mi è sembrato
che tutto il suo lavoro potesse essere inserito in un contesto
molto ampio, non solo quello della ricerca sul campo, nel quale
è stato un pioniere entusiasta, entusiasmo che traspare
leggendo le sue parole, guardando le sue fotografie, pensando
alla tenacia con cui ha sempre agito. Era un grande etnomusicologo
ma limitarsi a definirlo in questi termini è riduttivo.
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La
copertina del disco prodotto da Alan Lomax
con le registrazioni effettuate in Italia |
Attività antiamericana?
Nato ad Austin in Texas nel 1915, iniziò nemmeno diciottenne
ad accompagnare il padre a compiere registrazioni nel sud degli
Stati Uniti con l'intento di documentare la cultura di chi in
quelle zone si trovava nei campi di lavoro e nelle prigioni,
dove vi erano molti discendenti di schiavi deportati dall'Africa;
il panorama era quello della Grande Depressione. Queste registrazioni,
tra il 1933 e il 1942, fanno parte della raccolta di nastri
dell'Archive of American Folk Song della Biblioteca del Congresso.
In quegli anni, proprio in un penitenziario, conobbe William
Leadbetter ovvero Leadbelly, personaggio fondamentale per il
blues americano.
Un altro incontro è stato quello di Lomax con Woody Guthrie,
una figura di enorme portata per il folk americano e la canzone
mondiale, che arrivò ad essere la voce del popolo, di
chi è sfruttato e dimenticato, con una visione politica
ben precisa: famosa la scritta sulla sua chitarra: “This
machine kills fascists”, “Questa macchina uccide
fascisti”. Si è tentato di non considerarlo per
la sua valenza politica, che è stata invece preponderante
poiché Guthrie parlava della classe operaia avendone
esperienza interna e diretta.
Quel che registrò Lomax negli Stati Uniti avrebbe poi
profondamente influenzato l'andamento della musica dei decenni
successivi. Lomax si fece anche cantante e interprete, incise
molte canzoni, altre ne scrisse, finché l'FBI –
insospettitasi di questo professore troppo interessato ai ribelli,
agli hobos, ai musicisti neri - aprì un'inchiesta per
attività anti-americane: un paradosso, visto che lui
stava proprio eriggendo un monumento all'America popolare. Fu
anche per questo che Lomax negli anni '50 si allontanò
dagli Stati Uniti, dove dilagava il maccartismo con le sue liste
nere di proscrizione, e portò avanti il suo lavoro in
Inghilterra, poi in Spagna e in Italia.
Nel 1954 la documentazione sulla cultura popolare nel nostro
paese era in un deprimente stato pre-aurorale, le ricerche più
convincenti erano quelle svolte da Ernesto de Martino, che però
essendo uno storico delle religioni, pur con tutto il suo genio
non poteva allargarsi all'intero campo della musica di tradizione
orale. Il viaggio di Lomax in Italia, accompagnato dal musicologo
Diego Carpitella, durò sette mesi dal luglio di quell'anno,
e partì da Sciacca, provincia di Agrigento, proseguì
in Calabria, Puglia, Friuli, Lombardia, Piemonte, Val d'Aosta,
poi Lomax da solo si recò in Liguria, Veneto, Emilia-Romagna,
Toscana, Abruzzo, Marche, Lazio, Umbria e di nuovo Calabria.
Roberto Leydi definisce la presenza di Lomax in Italia come
“decisiva per lo sviluppo di una ricerca etnomusicologica
moderna e culturalmente aperta nel nostro Paese”.
La sua era una ricerca partecipata, svolta in prima persona,
immersa nel mondo che sondava. Forse agiva con troppa fretta,
con la foga di raccogliere e registrare il più possibile,
non si fermava a lungo nei luoghi, turbinava nell'affascinante
indigestione di suoni e di voci in cui era immerso. Arrivava
in un paese, convocava lavoratori ramazzati per strada all'osteria,
entrava in stretto contatto bevendo e suonando alla chitarra
canzoni dei cowboys - suo cavallo di battaglia - e si proseguiva
per ore tutti assieme sempre suonando e bevendo... considerate
che i registratori all'epoca erano molto invasivi con le loro
dimensioni monumentali e non era facile farne scordare la presenza.
Lomax rientrava in una stanza d'albergo o dormiva nel suo camioncino,
e ascoltava compulsivamente tutti i nastri registrati, acquisendo
in pochi giorni un dominio caotico e totale della materia, come
un vero ossesso. Al mattino ripartiva, spesso provando a non
pagare il conto: nelle sue note di viaggio la cifra più
ragguardevole sono le spese per gli alcolici.
Lomax ha raccolto materiali in molte parti del mondo e le sue
registrazioni sono tantissime, innumerevoli... in una lettera
a Woody Guthrie, che nel 1952 giaceva già mortalmente
malato in un letto d'ospedale, scriveva di voler raccogliere
il patrimonio musicale mondiale in una quarantina di LP con
lo scopo creare la Columbia World Library. Ne pubblicò
solamente diciotto.»
Tanto è il lavoro che ci ha lasciato da fare.
Alessio Lega
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