Rudolf Rocker/2
Il rifiuto del totalitarismo
di David Bernardini
Il ruolo dell'anarchico tedesco nell'ambito della critica al mito della Rivoluzione Russa. “Chi crede nei decreti non sa cosa significa la libertà”.
Lo Stato comunista in azione
è esattamente ciò che noi anarchici abbiamo
sempre sostenuto che sarebbe stato
Bill Shatov (1897-1939)
Le catene dell'umanità torturata sono di carta di
protocollo
Franz Kafka (1883-1924)
In un libro pubblicato qualche tempo fa e dedicato alla critica da parte della sinistra tedesca ai totalitarismi del novecento, balza all'occhio una strana assenza: gli anarchici sono sì presi in considerazione come una componente di questa “sinistra” intesa in senso molto ampio, ma vengono subito messi da parte. Ciò appare tanto più incomprensibile se si considera la centralità della critica agli esiti della rivoluzione d'Ottobre per la riflessione libertaria, una critica che si connette proprio al più generale problema del totalitarismo, come si manifesta chiaramente nel pensiero di Rudolf Rocker. Dato che si tratta di un autore tedesco, il breve scritto che segue vuole idealmente “tappare” il buco lasciato dal volume citato in apertura. Inoltre, analizzare la critica di Rocker nei confronti della rivoluzione russa significa scoprire un tassello tutt'altro che secondario di quell'analisi corale del totalitarismo in generale, e della realtà sovietica in particolare, che diversi esponenti del movimento libertario internazionale tentarono di intraprendere praticamente in presa diretta. Nella riflessione di Rocker al riguardo si sommano perciò suggestioni provenienti da autori come Bakunin e Kropotkin alle testimonianze di prima mano degli anarchici in fuga dalla Russia, il tutto collocato in una prospettiva di ampio respiro.
Della necessità di distinguersi
Nel marzo del 1917, Rocker era imprigionato nel campo di concentramento
inglese di Alexandra Palace a causa delle sue origini
tedesche. Le prime notizie della rivoluzione russa che gli giunsero
suscitarono il suo entusiasmo, tanto da scrivere alla compagna
Milly Witkop che “siamo alla vigilia di un nuovo capitolo
nella storia d'Europa” e che “se la rivoluzione
in Russia sarà forte abbastanza- e io spero che lo sarà-
da sconfiggere tutti i suoi nemici, allora il suo suono presto
o tardi si sentirà anche in Austria e Germania”.
Nel secondo volume delle sue memorie scritte dopo la seconda
guerra mondiale, l'oramai anziano anarchico tedesco rievocava
l'atmosfera nel campo di concentramento al giungere di quelle
novità:
“anche nel campo la notizia dei grandi avvenimenti russi
produsse una reazione poderosa. Tutti erano fermamente convinti
che la guerra sarebbe finita presto. Dove esisteva uno straccio
rosso, se ne fecero piccole bandiere che furono legate a capo
dei letti (...). Finalmente ricevetti una lettera da Milly.
Da ogni rigo sgorgava l'entusiasmo per la nuova Russia, ma anche
il sentimento doloroso di trovarci impotenti e di non potere
essere dove si stava forgiando un mondo nuovo”.
Secondo la ricostruzione della studiosa Mirella Larizza Lolli,
la notizia degli eventi rivoluzionari in Russia aveva destato
quindi l'entusiasmo in un'Europa sconvolta dalla prima guerra
mondiale, con milioni di persone al fronte a massacrarsi a vicenda
e una pesante militarizzazione che gravava su tutta la società.
Anche se i dubbi non tardarono a sopraggiungere, per molti anarchici
dare un giudizio netto su quanto avveniva in Russia era una
questione decisamente complessa. La scarsità delle informazioni
che riuscivano a filtrare e le minacce che incombevano sulla
giovane rivoluzione spingevano in secondo piano le perplessità,
in nome delle difesa di ciò che c'era positivo in quanto
stava accadendo. Gli aspetti più autoritari del regime
tendevano a venire giustificati sulla base delle condizioni
estreme della guerra civile ed era opinione diffusa che, venuta
meno la situazione d'emergenza, sarebbero scomparsi anche gli
eccessi del regime che si andava strutturando. Tra le poche
voci critiche, in questo frangente, spiccava, secondo Larizza,
quella di Rocker, “certo (tra) le più intransigenti
dal punto di vista politico e le più lucide sotto il
profilo dell'analisi teorica”.
L'anarchico tedesco aveva già infatti preso polemicamente
posizione nel 1920 contro il tentativo bolscevico di egemonizzare
il movimento sindacale internazionale. Rocker aveva scritto
per la Freie Arbeiter Stimme, giornale pubblicato dagli
anarchici di lingua yiddish negli Stati Uniti, un duro articolo
intitolato Il Sistema dei Soviet o la dittatura del proletariato?.
Al suo interno Rocker sosteneva l'incompatibilità tra
la concezione dei consigli (i soviet), nata nell'ala libertaria
della Prima Internazionale e “oggi (...) pietra angolare
del movimento operaio internazionale” da un lato, e dall'altro
quella della dittatura del proletariato, una “miserabile
eredità borghese”. Questa presa di posizione si
inseriva in quel percorso che porterà alla fondazione
a Berlino, tra la fine del 1922 e l'inizio del 1923, dell'Associazione
Internazionale del Lavoratori, solitamente conosciuta con l'acronimo
AIT. Come scrisse l'anarcosindacalista Arthur Lehning, l'AIT
era nata anche dalla necessità di differenziarsi dal
regime bolscevico. Gli anarchici legati ai sindacati avevano
in altre parole riaffermato la propria autonomia. Ciò
era diventato inevitabile soprattutto dopo il 1921, proprio
nell'anno in cui Rocker aveva scritto, riferendosi agli avvenimenti
in Russia, “oggi non possiamo più tacere”.
“Come se lo Stato non fosse sempre il creatore di nuove classi”
Il 1921 costituì dunque uno spartiacque: con la fine
della guerra civile si rese evidente che i metodi bolscevichi
non erano il prodotto passeggero di condizioni straordinariamente
critiche, bensì l'espressione di qualcosa di ben più
profondo. La repressione di Kronstadt e della machnovcina
in Ucraina, così come la persecuzione sistematica nei
confronti degli anarchici (e non solo) dimostravano la fondatezza
di quella critica al regime bolscevico che iniziava a diffondersi
e precisarsi.
A Berlino, proprio dove molti esiliati politici avevano trovato
rifugio grazie al supporto dell'organizzazione anarcosindacalista
FAUD (Libera Unione dei Lavoratori tedeschi), venne pubblicato
in quell'anno decisivo un opuscolo intitolato Il fallimento
del Comunismo di Stato russo. Il suo autore, Rudolf Rocker,
riprendeva quanto scritto l'anno precedente e rilancia: “oggi
dobbiamo prendere una posizione: dobbiamo opporci al socialismo
di Stato” o, meglio, a quel “capitalismo di Stato”
sorto dalla rivoluzione russa.
Dopo aver ribadito l'importanza del ruolo degli anarchici negli
eventi rivoluzionari, Rocker dichiarava che la società
russa era “in cammino verso destra”. Ciò
era stato possibile a causa di una specifica ideologia e metodologia
rivoluzionaria. In primo luogo, la concezione della dittatura
del proletariato, che da un lato aveva soffocato i soviet, espressione
di un movimento di massa dal basso, creativo e davvero rivoluzionario,
dall'altro aveva rafforzato il potere dello Stato, creando le
premesse per la dominazione di una “nuova classe”,
quella “commissariocrazia” tirannica ed inefficiente
che si poneva in diretta continuità, in quanto a modalità
di esercizio del potere, con la vecchia classe dirigente zarista.
Queste erano le basi per quel “feticcio del decreto”,
come lo chiamava Rocker, tipico dei bolscevichi, che a colpi
di leggi avevano soffocato ogni iniziativa autonoma. Connesso
a questo genere di concezione, si poneva il centralismo come
metodo organizzativo, colpevole di generare solo paralisi, unità
artificiale dal basso che riduceva l'individuo a mero ingranaggio
di un meccanismo posto al di fuori del suo controllo. La logica
dei bolscevichi era insomma quella del potere, contraddistinta
dallo stesso utilizzo sistematico della calunnia e della menzogna
in nome della ragion di Stato.
Contrariamente alle concezioni rivoluzionarie dei bolscevichi,
Rocker ribadiva la centralità dell'aspirazione alla libertà
e all'uguaglianza sociale, fondamentale per ogni movimento di
rottura con il presente. In altre parole, secondo l'anarchico
tedesco esisteva, a fianco della questione economica, anche
una dimensione etica che non poteva essere trascurata.
La questione stava dunque nella logica stessa dei bolscevichi.
Questo tema venne ripreso da Rocker in quello che è solitamente
definito come il suo capolavoro, cioè Nazionalismo
e Cultura. Il problema centrale del marxismo risiedeva suo
parere in quella comparazione tra natura e società, o
meglio tra sfera della necessità e della volontà,
che portava ad una logica rigidamente deterministica, contraddistinta
dalla pretesa di spiegare tutto.Il marxismo poneva al centro
della sua analisi il primato del momento economico, escludendo
altri fattori e diverse chiavi di lettura. Si generava così
una spiegazione della realtà che si pretendeva scientifica
e quindi incontestabile, in un certo senso totale. In realtà,
rifletteva Rocker, il marxismo non era che l'ennesima forma
di fatalismo politico che, pur presentandosi sotto una veste
per l'appunto scientifica, rimaneva caratterizzato da un aspetto
religioso. Ciò accadeva in quanto tutti i fatalismi erano
uguali: spiegavano senza cambiare, sacrificavano il futuro al
passato e generavano un tipo di narrazione che annichiliva la
volontà degli individui. In sintesi, il fatalismo era
nella sua stessa logica interna autoritario, e il materialismo
marxista non faceva eccezione.
Nelle vicende umane, sosteneva Rocker, non esisteva il “dover-essere”,
ma solo il “poter-essere”. Nel pieno degli anni
Trenta, in un'epoca che sembrava sempre più dominata
da regimi che cercavano di distruggere le possibilità
dell'iniziativa dal basso, Rocker riaffermava la centralità
dell'individuo e della sua volontà, incontrollabile e
imprevedibile, sempre capace di plasmare la realtà. L'anarchico
tedesco inoltre utilizzava la categoria di “totalitarismo”
per leggere quelle nuove forme di dominio che stavano prendendo
piede in Europa: oltre alla Russia, c'erano i regimi fascisti
e quello nazista in Germania. Di questi sottolineava la loro
comune radice, una tematica diffusa nella pubblicistica anarchica
del tempo. Secondo Rocker, essenziale nell'affermazione del
totalitarismo era stato il momento democratico dell'organizzazione
dello Stato. Rousseau e i giacobini avevano infatti posto le
premesse per quel mito della collettività che si incarnerà
successivamente nel nazionalismo e per quella prassi rivoluzionaria,
fatta propria dai bolscevichi, in base alla quale la rivoluzione
si esauriva nella conquista del potere politico.
Rocker vide la prova di questa comune attitudine nella drammatica
vicenda di Zensl Elfinger Mühsam, compagna del poeta anarchico
Erich. Dopo aver perso il compagno in campo di concentramento,
ucciso dagli aguzzini nazisti, Zensl aveva passato molti anni
nelle prigioni sovietiche, arrestata per “aver abusato
dell'ospitalità dell'Unione Sovietica”. Rocker
scrisse un opuscolo sulla questione, un accorato appello per
sapere la sorte di questa donna, “una libertaria in lotta
contro i totalitarismi”.
Cosa rimane
Avevo poco più di un anno quando il muro di Berlino
cadde. Da qualche mese vivo temporaneamente a Dresda, dove nei
quartieri meridionali si possono ancora “ammirare”
i giganteschi palazzoni tipici dell'architettura sovietica.
Quel dibattito interno al movimento anarchico internazionale,
di cui le riflessioni di Rocker costituiscono solo un tassello,
su quanto era avvenuto in Russia dopo la rivoluzione d'Ottobre
sembra come quegli edifici: vecchio, vestigia di un mondo che
fu.
Eppure, mentre nello spazio lasciato libero dall'Urss si sono
affermati nuovi (o forse non proprio così nuovi) domini
e nuovi movimenti xenofobo-autoritari emergono (come la Pegida),
del discorso di Rocker qualcosa rimane: il rifiuto di qualsiasi
fatalismo che tende a far apparire l'esistente come immutabile
e l'affermazione della possibilità per l'individuo di
scegliere di trasformare il suo presente. Un percorso difficile
e accidentato, certo, ma è tutto quello che c'è.
E non sembra poco.
David Bernardini
La prima puntata
di questa serie di tre articoli su Rudolf Rocker è
apparsa nello scorso numero con il titolo “Aderire
o sabotare”, incentrata sul dibattito sulla Prima
Guerra Mondiale. La prossima puntata, conclusiva, apparirà
su uno dei prossimi due numeri.
Leggere Rocker (e la rivoluzione russa)
Il
volume citato in apertura è: (a cura di) Mike Schmeitzner,
Totalitarismuskritik von links. Deutsche Diskurse im
20.Jahrhundert, Vandenhoeck&Ruprecht, Göttingen,
2007.
Per una panoramica sul dibattito in campo anarchico sulla
rivoluzione russa si veda l'ottavo capitolo di: Mirella
Larizza Lolli, Stato e potere nell'anarchismo,
FrancoAngeli, Milano 2010.
Per l'argomento trattato sono interessanti anche: Paul
Avrich, L'altra anima della rivoluzione. Storia del
movimento anarchico russo, Edizioni Antistato, Milano
1978; Vadim Damier, Anarcho-syndicalism in the 20th
Century, Black Cat Press, Alberta, 2009; Arthur Lehning,
L'anarcosindacalismo scritti scelti, BFS, Pisa,
1994.
Per quanto riguarda i testi di Rudolf Rocker presi in
considerazione in queste pagine, la lettera a Milly si
trova in: (a cura di Pietro Di Paola) Rudolf Rocker, Sindrome
da filo spinato. Rapporto di un tedesco internato a Londra
(1914-1918), Edizioni Spartaco, Santa Maria Capua
Vetere 2006. Il secondo volume delle memorie di Rocker
è: Rudolf Rocker, Nella tormenta (Anni d'esilio)
(1895-1918), Centro studi libertari/Archivio G. Pinelli,
Milano, di prossima pubblicazione. L'articolo del 1920
si trova tradotto in: Rudolf Rocker, Il sistema dei Soviet
o la dittatura del proletariato?, in (a cura di) Alexander
Skirda, Gli anarchici russi, i soviet e l'autogestione,
C.P. editore, Firenze 1978. Infine: Rudolf Rocker, Der
Bankrott des russischen Staatskommunismus, Verlag Syndikalist,
Berlin 1921 (tradotto in Italiano come Bolscevismo e anarchismo,
La fiaccola, Ragusa 1976); Rudolf Rocker, Nazionalismo
e Cultura, edizioni Anarchismo, Catania 1977 (in due volumi,
per l'argomento trattato è interessante soprattutto
il primo); Rudolf Rocker, Zensl Enfinger Mühsam.
Una libertaria in lotta contro i totalitarismi,
Edizioni La Fiaccola, Ragusa 2003.
D.B. |
|