politica
Un po' d'anarchia nell'oggi
di Andrea Papi
Continuano a sorgere nel mondo situazioni, momenti, movimenti, sperimentazioni, tutti segnati da metodologie profondamente libertarie, ma che quasi mai si autodefiniscono tali. Da questa realtà bisogna ripartire.
Ciò che quotidianamente siamo costretti a vivere è a dir poco convulso, propagatore di caos mentale ed esistenziale. Un disordine innaturale imposto e gestito da forze criminali avide di potere e di smisurate ricchezze, dominanti in questa fase del divenire dell'umanità. Come possono dunque prendere corpo esperienze propagatrici di una visione anarchica, inserirsi in un tale clima prospettive d'innovazione libertaria? L'anarchia, al di là di ogni preconcetto, dovrebbe essere la più alta espressione dell'ordine, come con saggezza scrisse Reclus.
Mi ha ispirato una proposizione di Francesco Codello che trovo particolarmente stimolante. Inoltre l'idea, dominante nelle pedagogie tradizionali, della linearità del processo di conoscenza, viene qui sostituita da una pratica di circolarità a spirale che, partendo dalla domanda, via via si evolve e, attraverso il ruolo positivo dell'errore, ritorna a un livello di volta in volta più elevato a farsi conoscenza attiva e ricerca condivisa. In questo modo vi è un passaggio da un'area di non conoscenza a una di conoscenza, continuamente e sistematicamente, che favorisce un'idea di costruzione del sapere fondato sull'esperienza e non sulla trasmissione. (In Per un'educazione libertaria, pubblicato in MicroMega, 8 settembre 2014. Tratto da La campanella non suona più, Edizioni La Baronata, pag. 104).
Con sintesi ed efficacia Francesco tratteggia una metodologia educativa di tipo libertario. Trovandomi pienamente concorde coi punti che enuncia, in varia maniera in qualche occasione li ho trattati anch'io. Li trovo interessanti perché sono fondamentali basi di riferimento non soltanto per l'ambito specifico educativo, bensì per sperimentazioni in qualsiasi campo. Rappresentano cioè un'impostazione scientifica che illumina il cammino per intraprendere esperienze all'insegna di orizzonti innovativi. Nelle cose di impronta anarchica e libertaria in fondo, qualunque sia il campo d'azione, c'è sempre una consapevolezza autoeducativa mutuale e socialmente scambievole.
Considerazioni particolarmente importanti se si considera che la messa in opera di esperienze e tentativi, oltre a veri e propri esperimenti sociali, nella loro molteplicità sono l'unica vera alternativa che si delinea all'orizzonte di possibili cambiamenti sociali radicali. Dico questo perché, come ho già affermato e analizzato più volte in precedenti scritti (anche in articoli pubblicati in questa rivista), il panorama rivoluzionario classico, che delinea il momento risolutivo attraverso un'auspicata vittoria nello scontro col potere facendolo soccombere, quasi una palingenesi rivoluzionaria, è ormai da considerarsi improponibile, privo com'è di fondamento realistico.
I semi sotto la neve
Detto in brevissima sintesi, non esistono più, se non illusori, palazzi del potere da prendere o da abbattere. Ammesso che ce la potessimo fare, attualmente potremmo pure distruggere tutti i palazzi del potere o uccidere tutti i tiranni che identifichiamo, ma non riusciremmo ugualmente neppure a scalfire in modo significativo il dominio di cui vorremmo liberarci, perché non alberga più in nessun palazzo né è rappresentato da nessun despota in particolare. Affinché le possibilità di una rivoluzione libertaria e anarchica continuino ad essere vive e realistiche, diventa perciò indispensabile ipotizzare strade e processi di cambiamento non più fondati sull'illusione di una qualsiasi forma di rivoluzione insurrezionale, da troppi ritenuta ancora indispensabile per l'auspicata rigenerazione sociale libertaria.
Le possibilità e le ipotesi di azione non sono più riscontrabili nelle logiche di scontro meramente, o essenzialmente, contrappositivo, antitetiche ai poteri dominanti. Vanno altresì ricercate e reinventate in tutti quegli ambiti, in genere poco manifesti o addirittura invisibili, riassumibili all'interno di quella geniale immagine metaforica che Colin Ward definì i semi sotto la neve, pronti ad essere fertili non appena se ne determinino le condizioni adatte. Sarebbe invero estremamente fecondo, sia per noi sia per i tracciati anarchici in divenire, se decidessimo di trasferire il pensiero e l'azione dalla dimensione prospettica dello scontro per l'abbattimento del potere, com'è nella tradizione in cui finora ci siamo autoeducati, a quella per la costruzione fin da ora della qualità sociale che si vuole proporre, in una logica non più dello scontro, dell'abbattimento, dell'insurrezione, ma del superamento della dimensione del potere attraverso la messa in opera di sperimentazioni alternative.
Metodologie profondamente libertarie
Non a caso, per esempio, oggi tutti noi guardiamo con trepidazione,
curiosità e interesse a ciò che sta accadendo
in Rojava, regione kurda del nord siriano, ma anche ancora alle
realizzazioni sociali che animano il Chiapas, che da oltre due
decenni porta avanti autonomamente un'esperienza sociale avanzata
e radicale. Entrambe, pur non dichiarandosi anarchiche, stanno
conducendo esperienze fondamentali dal punto di vista libertario,
nelle quali non a caso gli anarchici per primi riescono a riconoscersi.
Attirano la nostra attenzione perché stanno portando
avanti, con costanza intelligenza e profonda convinzione, esperimenti
sociali per diversi aspetti differenti tra loro, ma accomunati
da identico spirito di libertà e liberazione, che li
fanno annoverare tra le possibilità in divenire che da
sempre l'anarchismo auspica e propugna. Sono percorsi in cammino
che stanno preparando, assieme ad altri che ancora non sono
riusciti ad emergere (i famosi semi sotto la neve), il
nuovo da costruire per intraprendere una qualità della
vita associata non più fondata sul dominio, anzi oltre
il dominio come costante delle relazioni e interrelazioni.
La sintetica proposizione di Codello citata all'inizio riesce
a suggerire un senso e una metodologia che vanno profondamente
incontro all'insieme prospettico che sto tentando di delineare.
Ci dice che i processi di conoscenza invece di essere lineari,
cioè precostituiti e conformi come vorrebbe il potere,
devono essere caratterizzati da una “circolarità
a spirale”, cioè non verticali, condivisi e mutualmente
scambievoli, fondati su orizzontalità e reciprocità
nelle relazioni sperimentate direttamente. È un'esperienza
che ingenera richieste di partecipazione e condivisione, che
stimola una domanda che “...via via si evolve e, attraverso
il ruolo positivo dell'errore, ritorna a un livello di volta
in volta più elevato a farsi conoscenza attiva e ricerca
condivisa”.
Qui assume un valore esemplare quella che in altre occasioni
ho chiamato “autocorrezione”, cioè la capacità
di esercitare sul proprio operato una critica tesa a perfezionarsi,
in una logica per cui il senso dell'errore sparisce: “non
ci sono errori, ma esperienze differenti”. In questo modo
ciò che si fa vive un passaggio fecondo ed estremamente
significativo “da un'area di non conoscenza a una di conoscenza”,
perché vissuto direttamente in prima persona da tutti/e
coloro che vi partecipano. Tutto ciò non può non
favorire “un'idea di costruzione del sapere fondato sull'esperienza
e non sulla trasmissione”.
Una metodologia estremamente significativa, adatta a favorire
sperimentazioni fondate sull'autocostruzione e l'autogestione
delle stesse, allo stesso tempo stimolante per auto/educarsi
ad auto/costruire e auto/gestire in condivisione con altri.
Come giustamente sottolinea anche Graeber, in questa fase storica
continuano a sorgere nel mondo situazioni, momenti, movimenti,
sperimentazioni e quant'altro, tutti segnati da metodologie
profondamente libertarie, spesso con chiare caratteristiche
invariabilmente anarchiche, ma che quasi mai si autodefiniscono
tali. Bisognerebbe tenerne conto nel modo dovuto, perché
è un segnale che indica come ci sia una spinta spontanea
di rivolta per ricercare e sperimentare situazioni di tipo anarchico
e libertario, proprio per costruire fin da ora alternative che
diano un senso vero di liberazione e libertà sociale.
Purtroppo la gran parte degli anarchici sono collegati a questo
segno dei tempi, che fra l'altro li riguarda direttamente, in
modo episodico e frammentario. Dovrebbero invece farne pienamente
parte per stimolare verso una radicalità coerente fino
in fondo, proponendosi con proprie coerenti sperimentazioni
e valorizzando quelle già esistenti, cercando di creare
una rete diffusa e autogestita di collegamenti tra le diverse
esperienze in atto.
Questo insieme molteplice dovrebbe tendere ad essere un movimento
planetario, che agisce e lotta consapevolmente per percorrere
una strada realistica verso l'anarchia, diremmo noi, indipendentemente
che si definisca tale o in altro modo.
Andrea Papi
www.libertandreapapi.it
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