lavoro
Buon compleanno, Jobs Act!
del Collettivo Clash City Workers con un intervento di Cosimo Scarinzi / foto di Paolo Poce
Negli ultimi mesi il numero dei contratti a tempo indeterminato è aumentato? La disoccupazione è diminuita? A un anno dall'entrata in vigore del Jobs Act, cerchiamo di capire cos'è successo nel mercato del lavoro italiano. Al di là dei proclami e della propaganda.
A inizio 2015 il governo ha varato
i primi decreti che riformano il mercato del lavoro, il cosiddetto
Jobs Act, con lo scopo dichiarato di aumentare l'occupazione
stabile mediante un nuovo contratto a tempo indeterminato, denominato
a “tutele crescenti”. In sostanza, chi è
stato assunto col nuovo contratto in vigore dal 7 marzo, non
dispone più della protezione contro i licenziamenti illegittimi
garantito dal discusso articolo 18 che non tutelava i lavoratori
da tutti i licenziamenti, ma soltanto da quelli riconosciuti
come illegittimi in sede giudiziale.
Col nuovo contratto, invece, si potrà essere licenziati
anche senza giusta causa o giustificato motivo, perché
a crescere non sono le tutele, ma soltanto l'indennizzo cui
si ha diritto: due mensilità dell'ultima retribuzione
considerata per il Tfr per ogni anno di servizio, con un minimo
di quattro e un massimo di 24 mensilità.
Un lavoratore può dunque venire licenziato in qualunque
momento, senza una motivazione valida. Una volta avrebbe potuto
ricorrere contro il licenziamento e, constatata l'illegittimità
del provvedimento, poteva avere diritto al reintegro nelle vecchie
mansioni, oltre al ricevimento degli arretrati. Ora, invece,
anche nel caso in cui il giudice accertasse l'illegittimità
del licenziamento, il lavoratore avrebbe soltanto diritto all'indennizzo,
ma non ritornerebbe mai al suo posto. Un bel regalo per i padroni
che potranno così liberarsi di lavoratori indesiderati,
ad esempio perché particolarmente combattivi nel far
rispettare i diritti loro e dei loro compagni sul luogo di lavoro.
Per altro, per ricevere l'indennizzo, il lavoratore dovrebbe
intentare una causa all'azienda con tempi e costi crescenti
che non tutti potrebbero sostenere, tanto più in assenza
del reddito da stipendio. Per facilitare ulteriormente la vita
ai padroni, il governo ha comunque predisposto la possibilità
per l'azienda di proporre un indennizzo alternativo al lavoratore
che in cambio rinuncerebbe alla causa e, per rendere ancor più
appetibile questa soluzione, ha reso quell'importo esentasse.
In una situazione del genere quale lavoratore oserà opporsi
alle angherie aziendali col rischio quasi certo di essere defenestrato,
ricevendo in cambio un misero indennizzo, e con la prospettiva
di dover a breve trovare un nuovo lavoro in un contesto che
vede la disoccupazione ufficiale al 12%?
Facciamo l'esempio di un lavoratore ultracinquantenne che lavori
in azienda da vent'anni: questi, anche se vincesse la causa
contro il licenziamento, riceverebbe 24 mensilità, quindi
dovrebbe ricollocarsi al massimo entro due anni. Chi sarebbe
disposto a rischiare di finire in una simile situazione? E un
giovane che lavora da solo 2 anni sarebbe disposto a intentare
una causa anticipando i costi per portare a casa 4 mensilità
(di uno stipendio per altro prevedibilmente basso) e poi a dover
sgomitare in mezzo ad una disoccupazione giovanile del 44%?
Ovviamente i lavoratori che si esporranno a questi rischi saranno
comprensibilmente molto pochi e la diretta conseguenza sarà
che i padroni potranno imporre le loro decisioni sui lavoratori
senza che questi possano fiatare perché sempre a rischio
licenziamento.
Un caso particolare riguarda poi i settori gestiti con appalti,
dove il cambio frequente delle cooperative appaltatrici genera
un elevato turnover con lavoratori che cambiano spesso
azienda: in questi casi il licenziamento diventa ancora più
“leggero”, perché i mesi di occupazione su
cui si calcola l'indennizzo saranno sempre pochi. Ecco allora
che fin da subito proprio i settori dove sono frequenti appalti
e subappalti sono parsi quelli più in pericolo.
Tuttavia i padroni non si accontentano mai e la sola facoltà
di licenziare liberamente i lavoratori (flessibilità
in uscita) non era sufficiente a convincerli ad usare il nuovo
contratto a tutele crescenti al posto dei contratti precari
fin qui utilizzati (e il cui utilizzo era stato ulteriormente
incentivato grazie al Decreto Poletti del 2014 che aboliva l'obbligo
della causalità). Ecco allora che il governo Renzi lancia
per il 2015 una manovra che garantisce alle aziende che assumono
a tempo indeterminato (o convertono precedenti contratti precari)
sgravi fiscali fino a 24.180 euro in 3 anni per ogni lavoratore,
purché tale lavoratore non abbia avuto un contratto stabile
nei 6 mesi precedenti. Una postilla importante, questa dei 6
mesi, perché di fatto esclude dai benefici della Legge
di Stabilità tutti i casi di lavoratori che già
possedevano un contratto a tempo indeterminato.
Trovato l'inganno
Ma i padroni non si arrendono mai ed ecco che, tra le pieghe
della legge, hanno scovato la maniera di far fruttare anche
questa quota di lavoratori stabili: basta licenziarli,
fargli un contratto di 6 mesi, e poi riassumerli entro fine
anno per usufruire degli sgravi. Il lavoratore era a tempo indeterminato
e tale rimane (nessun nuovo posto stabile è stato creato),
ma l'azienda risparmia 24mila euro e si ritrova con un lavoratore
che ora può licenziare come e quando vuole.1
[...]
Ma andiamo ora a vedere gli effetti statistici dell'introduzione
del nuovo contratto a tutele crescenti e come questa riforma
è stata sfruttata dai padroni.
La prima domanda che ci facciamo è se davvero la riforma
del mercato del lavoro abbia creato nuovi posti di lavoro stabili.
“INPS Crescono i lavori stabili, più 36%. Come
era quella del Jobs Act che aumenta il precari? #italiariparte
tutto il resto è noia...” scrive Renzi su twitter
(il social network più usato dai politici) il 10 agosto,
dopo l'uscita del report dell'Inps sui contratti firmati nella
prima metà del 2015. Ovviamente non sono aumentati i
lavori stabili del 36%, come scrive Renzi, non avremmo di certo
la disoccupazione al 12% e gli inattivi (che non essendo passati
per il centro per l'impiego nell'ultimo mese non figurano tra
i disoccupati) al 36%. Ad essere aumentato è il numero
di nuovi contratti a tempo indeterminato firmati nei primi 6
mesi del 2015 rispetto ai primi 6 mesi dell'anno precedente:
286.000 in più.
La verità nei numeri
Qualche settimana dopo sono arrivati anche i dati del ministero
del Lavoro, il ministro Poletti esultava per 420.000 nuovi contratti
a tempo indeterminato “grazie al Jobs Act”. Qualche
giorno dopo è arrivata la rettifica “un errore
nei calcoli ha creato dati non esatti”, i nuovi contratti
a tempo indeterminato sono – poca la differenza con i
dati dell'Inps – 1.084.000, ma le cessazioni dei rapporti
a tempo indeterminato non sono 665.000 come precedentemente
annunciato, bensì... 960.000.
Chi vuole sfidare la massa di cifre dell'Inps può trovare
online il suo report, ma in sintesi si può dire che:
– Sono stati firmati 3.300.000 nuovi contratti, ma 2.600.000
sono arrivati al loro termine naturale o sono stati interrotti
per licenziamento. Di questo saldo positivo di 700.000
contratti, non tutti sono nuovi posti di lavoro perché
ci sono persone che lavorano passando da un contratto all'altro,
e nell'arco di 6 mesi firmano più contratti. L'Inps non
ci fornisce dati sul numero delle persone interessate, ma dai
dati dell'Istat per il periodo 2011-2013 si capisce che il numero
dei contratti è sempre maggiore del 25-40% delle persone
interessate.2
– Il tipo di rapporto di lavoro che ha subito una vera
e propria impennata non è quello a tempo indeterminato,
ma quello più precario in assoluto: il lavoro occasionale
pagato con i voucher dell'Inps. Sono buoni che si comprano
all'ufficio postale o dal tabaccaio, comprendono la quota da
versare per tasse e contributi (bassissimi) e servono a pagare
la singola ora di lavoro. In questo modo si può far lavorare
perfettamente in regola qualsiasi persona, senza dargli ferie,
malattia, maggiorazioni per straordinario, notturno o domenicale,
potendolo mandare a casa senza nemmeno bisogno della lettera
di licenziamento: il top della precarietà. Essendo
lavoro occasionale le leggi stabiliscono un limite al suo utilizzo:
la legge 30 (la Biagi-Sacconi del 2003) fissava un tetto di
5.000 euro l'anno, Renzi lo ha innalzato a 7.000. Grazie a queste
concessioni il valore dei voucher venduti è passato
da 36 a 62 milioni di euro, +73%!3
– I contratti a tempo indeterminato sono aumentati non
solo perché grazie al Jobs Act licenziare non è
mai stato così facile, rendendo instabile anche il contratto
a tempo indeterminato, ma soprattutto perché grazie alla
Legge di Stabilità le imprese che assumono non pagheranno
fino a € 8.060 di contributi previdenziali, coperti dalle
casse dello Stato. L'Inps ci dice che dei nuovi contratti (sempre
per il periodo gennaio-giugno) ben 787.000 si avvarranno di
questo regalo del governo. Vi sono comprese buona parte delle
320.000 trasformazioni di contratti a termine in contratti a
tempo indeterminato, infatti di questi ben 220.000 avranno diritto
agli sgravi contributivi.
Il regalo del governo alle imprese
“Lo Stato spreca troppi soldi! Bisogna fare una spending
review!”, ossia una “revisione della spesa”.
Si sa che i ciarlatani, dai tempi dell'azzeccagarbugli dei Promessi
sposi, usano tante parole incomprensibili solo per dare
l'impressione di saperla lunga. E intanto si fa passare l'idea
che i servizi pubblici costano troppo perché i lavoratori
sono assenteisti, che le case popolari non ci sono perché
si regalano ville agli zingari, che l'assistenza sanitaria fa
schifo perché si spendono € 35 al giorno per i rifugiati.
Sono tutte bugie, ma è pur vero che lo Stato spende un
sacco di soldi per dei parassiti del lavoro altrui, che pensano
in primo luogo al loro interesse privato: le imprese. Quante
megaopere inutili per favorire l'edilizia privata? Quanti finanziamenti
alla sanità privata per dare in convenzione un servizio
che lo Stato si dovrebbe incaricare di svolgere? Quanti servizi
esternalizzati nel pubblico (pulizia, portierato, facchinaggio,
biblioteche...) che gli enti potrebbero svolgere assumendo direttamente
i lavoratori con un minor costo e migliori condizioni di lavoro?
Un altro capitolo della spesa pubblica utilizzato per aiutare
chi dice di fare dell'intraprendenza, del merito e della libera
competizione la propria bandiera è quello dei finanziamenti
diretti alle imprese, attraverso gli sgravi contributivi e gli
incentivi al consumo. Ben un miliardo di euro l'anno dal 2015
al 2017 (500.000, per ora, per il 2018) sono stati destinati
dalla legge di stabilità per coprire gli sgravi contributivi
per le imprese che assumono con il nuovo contratto a tempo indeterminato
(quello che il governo ha chiamato “a tutele crescenti”)
dal 1 gennaio al 31 dicembre 2015.
Per ogni nuovo contratto a tempo indeterminato stipulato con
un lavoratore che non ha avuto contratti a tempo indeterminato
nei sei mesi precedenti, l'impresa riceve un esonero pari ad
un massimo di € 8.060 sui contributi Inps che saranno coperti
direttamente dalle casse dello Stato. L'esonero contributivo
vale per 36 mesi, arrivando a cumulare per ogni lavoratore €
24.180. Grazie tante che le imprese preferiscono convertire
i loro contratti!
“Ma come?”, avranno pensato tanti imprenditori che
avevano già alle loro dipendenze lavoratori a tempo indeterminato,
“Il governo, per dopare il numero dei nuovi contratti
stabili, per far vedere che il Jobs Act ha avuto successo, regala
soldi a chi teneva i lavoratori precari... e io non ci guadagno
nulla?”. Ma si sa che questa è gente che non si
lascia scoraggiare, che non si rassegna a perdere nemmeno un
centesimo, che – anche se non conosce tutte le scappatoie
della legge – ha i soldi per farsi aiutare da validi professionisti.
E allora avranno chiamato il loro commercialista o il loro consulente
legale: “Che dobbiamo fare Anto'? Ho letto sul Sole 24
Ore che gli sgravi fiscali per chi assume a tempo indeterminato
sono grossi, a questo punto conviene addirittura assumere così,
piuttosto che fare nuovi contratti di apprendistato...”,
“Ti dirò di più Fabrizio, possiamo provare
a licenziare un po' di lavoratori dalla ditta Fabrizio Pentole
s.r.l. e riassumerli con la Fabrizio Coperchi s.r.l.”
“Lo sai che c'avevo pensato... ma per accedere agli sgravi
c'è bisogno che i lavoratori vengano da 6 mesi di disoccupazione,
o di contratti a termine”, “Questo non è
assolutamente un problema, li assumiamo per sei mesi con un
contratto a tempo determinato, poi gli facciamo di nuovo l'indeterminato,
tanto gli sgravi valgono per tutti i contratti firmati entro
dicembre. Ci rientriamo alla grande”, “Fantastico
Anto', chiama i lavoratori e digli che per la salute dell'impresa
e per la salvezza del loro posto di lavoro li dobbiamo licenziare
e poi riassumere. Se qualcuno non firma o si lamenta digli che
è un gufo, che la crisi è a causa della sua rigidità,
che deve ringraziare di avere un lavoro, e poi lo cacciamo”.
Così da un lato le statistiche sui nuovi posti a tempo
indeterminato faranno contento il governo Renzi e le aziende
riceveranno un regalo da € 24.180; dall'altro i lavoratori
che prima erano protetti dall'art. 18 ora non lo saranno più,
i posti totali rimarranno gli stessi e la fiscalità generale
pagherà alle imprese 1 miliardo nei prossimi 3 anni:
in sostanza saremo tutti noi a pagare il turnover delle aziende.
La reazione dei lavoratori
Chissà quante situazioni del genere sono capitate in
questi mesi, in un clima in cui i lavoratori si sentono dire
di dover ringraziare solo per aver un lavoro, i più avranno
accettato senza colpo ferire. Magari anche nell'ignoranza di
quello che stavano facendo, consigliati da chi dovrebbe difenderne
gli interessi di fronte allo strapotere dei padroni, visto che
in alcuni casi – come alla Dhl di Sesto Fiorentino –
gli stessi sindacalisti confederali sono andati a consigliare
ai lavoratori di firmare la lettera di dimissioni.
In alcuni casi invece i lavoratori, o parte di loro, hanno alzato
la testa e hanno lottato contro questa truffa che non è
tanto nei confronti della finanze pubbliche, ma di chi paga
gran parte della spesa pubblica (gli stessi lavoratori) e di
loro stessi: visto che così prima si ritrovano per sei
mesi nel dubbio se il padrone farà veramente quanto ha
promesso e poi con il nuovo contratto a tempo indeterminato,
quello con il licenziamento facile offerto dal Jobs Act. Così
è successo ad esempio all'Arcese Trasporti di Vicenza
e Bologna, alla Dhl di Firenze, all'Inalca di Lodi, alla Sirap
Gema di San Vito al Tagliamento, al Consorzio Albatros di Piacenza,
al Consorzio Movimoda a Reggio Emilia, alla Funari a Caserta,
ma immaginiamo che i casi siano molti di più di quelli
che siamo arrivati a conoscere ed invitiamo tutti i lavoratori
che hanno avuto lo stesso trattamento a scriverci per intraprendere
insieme una lotta che ha maggiori possibilità di vittoria
se affrontata collettivamente.
Non tutte queste lotte hanno avuto gli stessi esiti, ad esempio
mentre all'Arcese Trasporti è stata strappata una vittoria
importante così non è stato alla Dhl e all'Inalca.
L'Arcese Trasporti ha due magazzini in provincia di Vicenza
(Montecchio Maggiore ed Altavilla Vicentina), dove 21 facchini
su 26 sono organizzati nell'Adl Cobas, ed altri nella provincia
di Bologna. A fine maggio alla cooperativa di cui sono formalmente
dipendenti, la Libera, ne devono subentrare altre aderenti a
consorzi diversi: Gaia per Vicenza, For Service e Alka per Bologna.
Il sistema di subappalto vigente nel mondo della logistica è
noto a chi conosce le lotte che si sono sviluppate nel settore
negli ultimi 7 anni: ben pochi dipendenti sono impiegati direttamente
dall'azienda, i facchini ed anche larga parte dei drivers
(quando non sono costretti a figurare come “padroncini”,
ossia lavoratori autonomi) sono invece impiegati in cooperative
che servono a frazionare i lavoratori, a pagare meno tasse (per
i primi due anni di vita della cooperativa i contributi sono
ancora più bassi, tanto che le cooperative cambiano nome
ogni due anni), a scaricare su un intermediario fantoccio le
responsabilità di buste paga false e mancati pagamenti
(che prima degli scioperi erano la regola ovunque), a riciclare
denaro sporco. Una delle forze delle lotte che hanno visto protagonisti
i lavoratori organizzatisi con i sindacati di base Adl e S.I.
Cobas è stata proprio l'aver individuato la controparte
a cui strappare condizioni migliori, non nelle cooperative,
ma nell'azienda committente.
La trattativa tra Arcese Trasporti e i Cobas per il cambio di
cooperativa si arena su un punto, come scrivono gli stessi sindacati
di base in un'informativa alle prefetture di Bologna e Vicenza:
“La discussione con il consorzio Gaia e con i consorzi
For Service e Alka si è arenata su un punto ritenuto
inaccettabile dalle scriventi OO.SS, ovvero la trasformazione
dei rapporti di lavoro, tutti attualmente con contratti a tempo
indeterminato, a tempo determinato per 6 mesi, con l'impegno
di trasformarlo a tempo indeterminato alla scadenza dei sei
mesi. Questa operazione gestita alla luce del sole da Arcese
e dalle cooperative rappresenta la messa in atto di una vera
e propria truffa legale per poter usufruire dello sgravio contributivo
previsto dal cosiddetto “contratto a tutele crescenti”
che peraltro cancella anche l'art. 18. Tutto questo in un periodo
nel quale tutti parlano di lotta alla corruzione, di stanare
“furbi” e “furbetti”, mentre è
proprio una legge dello Stato, il famigerato “Jobs Act”,
che dovrebbe servire a creare nuove opportunità di lavoro
stabile, che offre, su un piatto d'argento, l'opportunità
a migliaia di cooperative e società di vario genere di
compiere una magia sensazionale che consiste nel riuscire ad
avere uno sgravio contributivo che può arrivare fino
a € 8.000 all'anno, semplicemente trasformando contratti
da tempo indeterminato in tempo determinato, per poi ritrasformarli
in tempi indeterminati. La cosa incredibile è che si
chiede al sindacato di essere complice di quella che riteniamo
una truffa ai danni dell'Inps, peraltro senza alcuna garanzia
nemmeno su una certa futura trasformazione del contratto a tempo
determinato in tempo indeterminato.”4
Contrastare la truffa
A Vicenza a farsi promotore della truffa presso i lavoratori
è stato un dirigente della Filt-Cgil, ricoprendo un ruolo
di faccendiere dell'azienda che spesso i sindacati confederali
hanno nel settore logistica. Dopo tre settimane di stato di
agitazione, con scioperi e mobilitazioni fuori dal magazzino,
il 10 giugno è stato firmato un accordo molto positivo
che prevede:
– Eliminazione della figura del socio lavoratore, riassunzione
di tutti i lavoratori/lavoratrici impiegati nell'appalto come
dipendenti di una Srl con contratti a tempo indeterminato, senza
periodo di prova.
– Piena applicazione del CCNL logistica e trasporti. Malattia
e infortunio pagati al 100% dal primo giorno.
– Istituti contrattuali al 100%.
– Buoni pasto giornalieri da 5,29 € netti.
– Riconoscimento dell'anzianità lavorativa e applicazione
degli scatti di anzianità in continuità con il
precedente appalto.
– Non applicabilità delle nuove normative riguardanti
i licenziamenti e i contratti cosiddetti a “tutele crescenti”
(Jobs Act).
– Definizione entro 6 mesi di un Premio di Risultato.
– Adozione di tutti gli strumenti necessari per tutelare
la salute e la sicurezza dei lavoratori/lavoratrici.
– Dal 1° ottobre 2015 verifica dei livelli riconosciuti
ai dipendenti.
Alla Inalca-Cremonini di Ospedaletto Lodigiano la battaglia
è stata più dura e non ha ottenuto finora gli
stessi risultati. L'Inalca è il primo produttore ed esportatore
italiano di carne in scatola e confeziona sia carni fresche
che surgelate; quello di Ospedaletto, sull'autostrada che collega
Piacenza a Milano, è uno stabilimento di macellazione
e trasformazione carni che impiega circa 570 operai. Gli stipendi
pagati dal Consorzio Euro 2000 hanno sempre tardato ad arrivare,
e a giugno non sono stati ancora versati quelli di aprile. L'Inalca
decide allora di recidere il contratto con il Consorzio ma vuole
che i lavoratori presentino dimissioni volontarie ed accettino
di essere impiegati dalla società interinale Trenkwalder
con due contratti successivi di tre mesi l'uno: i sei mesi di
precarietà necessari per accedere agli sgravi fiscali.
La stragrande maggioranza dei lavoratori, su indicazione dei
sindacati confederali, firma le dimissioni ricevendo in cambio
1000 euro come “anticipo” delle mensilità
arretrate; non firmano solo in 54 tra i quali i 25 iscritti
al S.I. Cobas.
La prima settimana di giugno parte una lotta con presidi e blocchi
fuori dalla fabbrica, per il rifiuto della truffa e l'impegno
dell'azienda a pagare i tre mesi di stipendi arretrati lasciati
dalla cooperativa uscente. Il 10 giugno interviene anche la
polizia, naturalmente non per prendere informazioni su quella
che praticamente è una truffa anche ai danni dello Stato,
ma per sgomberare il picchetto dei lavoratori. La lotta non
riesce a costringere l'azienda a retrocedere, e nel corso di
giugno firmano le dimissioni volontarie anche altri lavoratori,
lasciando solo 16 iscritti al S.I. Cobas fuori dalla fabbrica.
Ancora il 24 luglio il presidio veniva sgomberato dalla polizia
ed attaccato dai camionisti che hanno provato a sfondare il
picchetto a tutta velocità. L'ultimo blocco è
di questa settimana.5
A giugno la segreteria CGIL rivelava di essere pronta a redigere
un dossier per testimoniare l'utilizzo “fraudolento”
da parte delle aziende di tali benefici previsti dalle leggi
anti-proletarie del governo Renzi. Peccato che gli stessi sindacati
confederali, CGIL in testa, sono già stati in diverse
occasioni complici di tale attacco alla classe operaia, come
testimoniano diversi accordi sottoscritti da questi servi, salvo
poi lavarsi la faccia sui giornali della borghesia. Uno dei
casi più lampanti è quello della Dhl a Firenze.
A Firenze la Dhl ha ben due magazzini. In uno di questi lavorano
circa 60 drivers, mentre nell'altro sono impiegati solo
facchini. Il meccanismo di appalto è molto semplice:
Dhl affida a Madilo s.r.l la gestione del magazzino. Madilo
a sua volta subappalta il servizio ad altre cooperative, quasi
tutte facenti parte del consorzio Dhs. A giugno il padrone della
cooperativa e il rappresentante sindacale della Filt-Cgil, unica
sigla presente in magazzino, invitano tutti i lavoratori della
cooperativa Flet a firmare dimissioni volontarie. Il meccanismo
è facile: se non vuoi perdere il lavoro firma il tuo
licenziamento “volontario” perché la cooperativa
Flet e tutto il consorzio Dhs non lavoreranno più in
questo magazzino. Verrai così riassunto in un'altra cooperativa,
ma solo per sei mesi, infine verrai assunto a tempo indeterminato
in una s.r.l. Quale s.r.l? Ma come quale? Una nuova, che il
sindacalista Cgil giura, promette, spergiura, che verrà
aperta giusto in tempo per la scadenza dei sei mesi.
E come verrai riassunto? Ma chiaro: con un contratto a tempo
indeterminato. Ma non è dato sapere se questo contratto
sarà scritto secondo il Jobs Act oppure se sarà
applicato il vecchio art.18, perché il sindacalista Cgil
si guarda bene dal mostrare anche solo una volta l'accordo sindacale.
Visto il rischio di perdere il lavoro e le rassicurazioni del
sindacalista Cgil, solo due lavoratori non firmano e si rivolgono
ai Cobas. Per loro comincia un vero e proprio calvario: vengono
messi in ferie forzate senza nessuna spiegazione, trasferiti
da Firenze a Pistoia a svolgere un lavoro demansionato rispetto
al loro inquadramento contrattuale e infine accompagnati all'ingresso.
Accettare la buona uscita diventa l'unica soluzione in una situazione
di forte mobbing e pressioni. Un esempio su tutti: la
reazione dei padroni delle cooperative al primo volantinaggio
davanti al magazzino (si, non se n'erano mai visti là:
la Cgil non s'era mai mossa) fu una sceneggiata con minacce
di licenziamento a chiunque avesse osato tesserarsi nei Cobas,
non firmare o scioperare.6
Altri esempi
Casi analoghi che non abbiamo potuto seguire direttamente si
sono verificati in altre aziende. Ad esempio in un'azienda bresciana,
la Sirap Gema, che produce contenitori per alimenti e materiali
isolanti in polistirolo. Qui fin dal 2011 la società
aveva affidato la gestione del magazzino a una cooperativa,
la Soluzioni Coop di Pavia, che dava lavoro a 59 persone, nove
nello stabilimento di San Vito e cinquanta negli altri impianti
Sirap, tra Mantova, Arezzo e Brescia. I problemi sono cominciati
ad aprile del 2015: la Soluzioni Coop, dichiarando difficoltà
economiche, ha aperto le procedure di licenziamento per tutti
i lavoratori. A questo punto, è entrata in scena una
nuova cooperativa, la Mag Solution, costituita, guarda caso,
appena prima, il 15 maggio 2015. Subito le viene affidato l'appalto
in precedenza gestito da Soluzioni Coop. Pochi giorni dopo,
le due aziende e i sindacati firmano due accordi, sancendo il
licenziamento di tutti i lavoratori dalla prima cooperativa
e la riassunzione nella seconda. L'intesa prevede che ai lavoratori
spetti un contratto a tempo determinato della durata di sei
mesi, giustificato con la “necessità della cooperativa
di valutare le compatibilità economiche dell'ingresso
nella gestione dell'appalto”. Una volta terminato questo
periodo definito di “sperimentazione”, la società
si impegna, “fatte salve condizioni economiche e non prevedibili,
alla massima stabilizzazione possibile dei lavoratori”.
Il solito trucchetto: dal primo dicembre è facile prevedere
che la Mag assumerà a tempo indeterminato col nuovo contratto
a tutele crescenti e ricevendo in cambio quasi un quasi un milione
e mezzo di euro in tre anni (24.180 euro per ogni dipendente)!
Un bel regalo considerando che quei 59 dipendenti già
possedevano un contratto a tempo indeterminato: l'ennesima dimostrazione
di come questa “geniale” legge sia un regalo per
i padroni e li invogli ancor di più, se ci fosse bisogno,
a trasformare vecchi contratti con art. 18 in nuovi a tutele
crescenti. Questa volta la CGIL non sostiene la “porcata”,
così l'azienda risponde licenziando i 9 lavoratori dello
stabilimento friulano: come all'Inalca si conferma l'estrema
ricattabilità dei lavoratori che o accettano le manovre
aziendali oppure restano a casa.
Negli ultimi tempi, in seguito alle denunce dei sindacati (soprattutto
il S.I. Cobas) ed all'interesse mediatico che la questione ha
sollevato, il ministro Poletti ha dichiarato di aver già
fornito indicazione alle sedi territoriali di effettuare ispezioni
per contrastare “comportamenti elusivi, volti alla precostituzione
artificiosa delle condizioni per poter godere del beneficio”
previsto dalla legge di Stabilità. Sarà, ma ormai
la fregatura è servita: i 6 mesi di tempo determinato
dovevano scattare entro fine giugno per dare tempo alle imprese
di passare al tutele crescenti entro fine anno e poter così
accedere agli sgravi. Ciò significa che, a meno che il
governo non decida di prolungare gli sgravi (cosa tutt'altro
che impossibile visto che la stampa si prodiga a riferire come
l'”impennata” di assunzioni sia dovuta proprio a
questi sgravi, col sottinteso che occorra prolungarli almeno
al 2016 se non si vuole arrestare la “crescita”
dei posti a tempo indeterminato), ormai le aziende che volevano
sfruttare la legge dovrebbero aver attivato i tempi determinati.
Se Poletti avesse voluto evitare questa fregatura avrebbe dovuto
attivarsi a suo tempo. Invece svegliandosi solo ora al massimo
potrà non pagare gli sgravi (limitando la truffa all'Inps
e il peso sulla fiscalità generale, cioè su tutti
i lavoratori), ma rischia di risultare un doppio danno per i
lavoratori coinvolti. Infatti, senza più l'incentivo
per assumere a tempo indeterminato, le aziende potranno optare
per 3 soluzioni:
1. Non rinnovare i contratti, lasciando scadere i 6 mesi di
tempo determinato: in questo caso i lavoratori, che prima avevano
un tempo indeterminato, si troveranno senza più un lavoro.
2. Rinnovare il contratto a tempo determinato: in questo caso
i lavoratori passano da un contratto indeterminato a un contratto
a tempo determinato: ottimo risultato per una legge che si proponeva
esattamente l'opposto.
3. Effettuare ugualmente la conversione col nuovo contratto
a tutele crescenti che di fatto è il contratto precario
per eccellenza visto che ora si può essere licenziati
in ogni momento dietro misero indennizzo. L'indennizzo infatti
viene calcolato sui mesi di lavoro presso l'attuale azienda:
in questo caso i lavoratori risulterebbero assunti solo da 6
mesi nonostante fossero in organico per una cooperativa che
svolgeva le stesse mansioni per la stessa committenza in tanti
casi da anni!
Nella migliore delle ipotesi insomma sarebbero sempre i lavoratori
a pagare questa truffa passando obtorto collo (ricordiamo
cosa è successo a chi ha rifiutato come a Inalca e Sirap,
due casi raccontati prima) da un contratto a tempo indeterminato
a un contratto molto più precario come quello a tutele
crescenti.
Qualche valutazione
Se il governo dice che la crescita dei contratti a tempo indeterminato
è dovuta al Jobs Act, gli imprenditori dicono che è
merito della decontribuzione sottintendendo che il governo dovrà
rinnovare gli sgravi nel 2016 se vorrà continuare a poter
twittare “mirabolanti” cifre sulla crescita dei
contratti stabili. Non a caso proprio nelle scorse settimane
Renzi ha lasciato intendere, intervenendo a “In 1/2h”,
il programma domenicale della Annunziata, che gli incentivi
saranno ridotti (probabilmente a 6.000 euro l'anno), ma dovrebbero
essere rinnovati anche per il 2016. A noi importa poco stabilire
quanto pesino l'una e l'altra causa. Il contratto a tutele crescenti
è un contratto certamente peggiore del vecchio contratto
con art. 18 che non proteggeva dai licenziamenti (forse prima
del 7 marzo 2015 le aziende non avevano facoltà di licenziare?!)
ma solo da quelli illegittimi (e solo quando riconosciuto da
un giudice), quindi la trasformazione di vecchi contratti con
art. 18 in tutele crescenti è comunque per la nostra
classe un passo indietro in una situazione già difficile.
Ciò che però ci preme denunciare è come
noi lavoratori oltre ad essere vittima di una flessibilizzazione
crescente siamo ora addirittura usati come ulteriore fonte di
profitto, come mezzo per ottenere sovvenzioni statali. Non solo
dobbiamo essere sempre più flessibili in entrata (contratti
precari anche quando spacciati da indeterminato come nel caso
del tutele crescenti), in uscita (licenziabilità continua
e priva di motivazione) e nell'orario di lavoro (possibilità
di demansionare il lavoratore, turnazione sempre più
estesa, ritmi sempre più veloci, orario variabile secondo
le convenienze dell'azienda da poche ore di part time a molte
di straordinario). Ora noi lavoratori dobbiamo far vincere anche
un premio alle aziende che ci assumono a queste condizioni:
lampante il caso della FCA che per le assunzioni che Marchionne
avrebbe comunque fatto, come da lui stesso ammesso, risparmierà
11 milioni in 3 anni! Sovvenzioni che, è bene ricordarlo,
ammonteranno a 1 miliardo l'anno almeno per i prossimi 3 anni.
Di fronte al moltiplicarsi dei casi di licenziamenti per poi
riassumere con gli sgravi fiscali, il governo, per bocca del
ministro del lavoro Poletti, rassicura che il ministero sta
già vigilando sui casi dei “furbetti”. Questa
rassicurazione però non ci tranquillizza per niente.
L'attività ispettiva potrà al massimo evitare
il danno erariale (e anche qui ne siamo dubbiosi perché
significherebbe mettere a repentaglio le conversioni a tempo
indeterminato minando le cifre entusiastiche, ancorché
spesso false o gonfiate, del ministero), ma a pagare saranno
sempre e comunque i lavoratori che, nella più “rosea”
delle situazioni, si ritroveranno con un contratto molto meno
sicuro del precedente.
Come dimostrano i casi di Inalca e Sirap i lavoratori che si
oppongono sono assolutamente privi di armi, perché il
rifiuto a sottostare alla truffa di fatto porta loro al licenziamento,
soprattutto per i lavoratori di cooperative in appalto dove
è molto facile far scadere il contratto e sostituire
la cooperativa.
La questione riguarda le politiche del governo e colpisce lavoratori
di migliaia di aziende sparse su tutto il territorio nazionale
per cui non può essere affrontata azienda per azienda
col rischio di subire sconfitte pagate care da lavoratori sempre
più ricattabili.
Occorre invece una campagna nazionale che sostenga e dia visibilità
alle lotte nei singoli posti di lavoro che a questo punto devono
avere come obiettivo minimo il riconoscimento delle vecchie
condizioni contrattuali (quelle con l'art. 18 per intenderci)
ai lavoratori licenziati e riassunti a tempo determinato, nonché
l'opposizione a nuove conversioni nel caso in cui l'estensione
degli incentivi dovesse venire confermata anche dalla Legge
di Stabilità per il 2016.
Collettivo Clash City Workers
Note
- Fonte: www.governo.it/backoffice/allegati/76978-9808.pdf.
- Fonte: http://www.lavoro.gov.it/Notizie/Documents/Rapporto_CO_2014.pdf,
- In teoria ogni voucher serve a pagare un'ora di lavoro, valore
lordo 10€ di cui 7,5 vanno in tasca al lavoratore, 2 sono
di contributi Inps (gestione separata) ed Inail, e 0,50 servono
a pagare il “servizio”. Ma nella pratica, chi controlla
quante ore si è lavorato per ottenere un voucher? Più
che all'emersione del lavoro nero, come è stata propagandata,
sembra finalizzata alla sua copertura visto che tenere una dozzina
di voucher nel cassetto può essere una comoda risposta
ad ogni controllo.
- Fonti: http://www.adlcobas.it/vicenza-arcese-trasporti-proclamato-lo-stato-di-agitazione-non-si-gioca-sulla-pelle-dei-lavoratori/
http://www.adlcobas.it/arcese-trasporti-siglato-laccordo-dopo-3-settimane-di-mobilitazione-la-lotta-paga/
Informativa prefetture: http://sicobas.org/logistica/2114-segnalazione-situazioni-arcese-bologna-e-vicenza.
- Fonti: http://sicobas.org/logistica/2117-vertenza-inalca-futuro-incerto-per-600-addetti-dopo-la-disdetta-alla-cooperativa
http://sicobas.org/logistica/2129-continua-la-lotta-alla-inalca-di-ospedaletto-la-polizia-interviene-contro-i-lavoratori
http://sicobas.org/logistica/2134-la-truffa-del-job-act-segnalazione-situazione-inalca-ospedaletto-lodigiano
http://sicobas.org/notizie/ultime-3/2171-nuovo-sciopero-alla-inalca-cremonini-interviene-la-polizia)
- Fonti: http://clashcityworkers.org/lotte/cosa-si-muove/2026-firenze-lavoratori-contro-la-truffa-delle-dimissioni-volontarie-in-dhl.html
http://www.clashcityworkers.org/rassegna-stampa/2060-firenze-mobilitazione-alla-dhl.html.
Renzi,
il governo e l'Istat
I dati oltre la retorica
Dai dati Istat sull'occupazione nel mese di ottobre 2015 emerge
un dato allarmante e ancora una volta Renzi e il suo governo
riescono a superare Berlusconi nelle balle che sparano, salutando
questi dati come segnali di miglioramento.
Innanzitutto il paventato calo della disoccupazione: rispetto
al mese di ottobre 2014 scende dello 0,1%. Una cifra irrisoria
e interamente spiegabile con l'aumento degli inattivi, infatti
nel frattempo è calata anche l'occupazione! Chi sono
gli inattivi? Persone che non hanno lavoro, ma non rientrano
tra i disoccupati perché non lo stanno cercando, soprattutto
perché scoraggiati. E questa è in generale la
componente che purtroppo conta di più nel famoso calo
dell'1,5% del tasso di disoccupazione vantato da Renzi rispetto
a ottobre 2014. Infatti se l'occupazione è aumentata
dello 0,3% (pari a 75 mila lavoratori), l'inattività
è aumentata dell'1,4& (196 mila unità). In
sostanza, in un anno meno disoccupazione, sì: ma ben
poca occupazione in più e molto scoraggiamento!
E ora andiamo un attimo a guardare dentro questa nuova
occupazione. Beh, Renzi e soci ci hanno riempito la testa
con le loro preoccupazioni verso i giovani precari a cui
è negato un futuro stabile e blablabla. Con questa
retorica hanno distrutto l'articolo 18 e garantito un
futuro instabile a tutti, non solo i giovani, mascherato
sotto il nome di “tutele crescenti”, che non
esistono. Per diffondere il loro nuovo bel contratto e
gonfiare i dati statistici hanno regalato milioni e milioni
di euro alle aziende attraverso gli sgravi fiscali, aziende
che poi dovrebbero avere tutta la convenienza ad adottarlo
perché possono licenziare quando gli pare. Risultato?
Nonostante tutto questo, i contratti che crescono di più
sono i classici contratti precari. Infatti rispetto a
tre mesi fa i dipendenti “permanenti” (che
poi non lo sono per niente!) diminuiscono dello 0,2%,
mentre quelli a termine aumentano del 3,6%! Rispetto ad
ottobre 2014 va ancora peggio: i permanenti aumentano
dello 0,1%, quelli a termine del 6,2%!
Ed infine, ciliegina sulla torta: se gli occupati tra i 25-34
anni aumentano su base trimestrale (+1,6%) e, meno, anche su
base annuale (+0,5%), diminuiscono sia su base trimestrale (-0,8%),
che annuale (-1.7%) gli occupati della fascia di età
dei 35-49 anni, mentre aumentano clamorosamente (+3,1%!) gli
over 50! In sostanza i lavoratori diventano sempre più
anziani. Perché? Invecchiamento della popolazione? In
parte. Ma soprattutto per via “dalle minori uscite per
pensionamento a seguito dei cambiamenti della normativa previdenziale”.
Perché non ci fanno più andare in pensione, parole
dell'Istat.
I segnali sono quindi gravissimi e ci indicano un futuro
in cui lavorare in meno, più vecchi, in condizioni
sempre peggiori e più precarie e con la minaccia
costante del licenziamento e della disoccupazione. Questo
è la realtà del Jobs Act dietro la retorica
che lo copre.
Collettivo Clash City Workers
|
Jobs Act
Se è lo stato ad attaccare i lavoratori
La
ricostruzione del concreto funzionamento del Jobs Act
fatta dai compagni del collettivo Clash City Workers è
particolarmente utile, per un verso perché smonta
puntualmente il discorso dominante sul Jobs Act come straordinario
stimolo alla crescita dell'occupazione e, per l'altro,
perché avvia un percorso di inchiesta sul campo
necessario a una concreta valutazione delle condizioni
materiali della working class in una fase di indebolimento
radicale dei suoi diritti formali.
Per noi, va da sé, conoscere gli effetti del Jobs
Act significa combatterli e, d'altro canto, solo combattendoli
li si può conoscere a fondo.
In concreto, per chi se ne occupa sul campo, agire sul
nuovo terreno disegnato dal Jobs Act significa oggi imporre
a quante più aziende possibile accordi che riconoscono
ai lavoratori i diritti che la legge ha loro sottratto
nella consapevolezza che solo un movimento generale potrà
garantire una vittoria significativa rispetto alla quale,
come è già chiaro dalla lettura dell'articolo,
gli attuali limitati successi a livello aziendale hanno
solo una funzione di preparazione.
L'articolo per altro allude a un problema generale di
teoria politica troppo spesso sottovalutato dalla sinistra
sindacale e politica e cioè la funzione dello stato
come dispositivo che permette un attacco efficace e generale
alle condizioni di vita dei lavoratori. Non mi riferisco
solo al fatto, assolutamente ovvio, che il governo individua
i diritti delle imprese come diritti generali a cui piegare
tutti gli altri, ma anche agli effetti devastanti della
burocratizzazione della società rispetto all'azione
del movimento dei lavoratori.
Decenni di pratica concertativa o, se si preferisce, di
corporativismo democratico hanno determinato una debolissima
capacità di resistenza alle misure governative
di attacco al salario, al reddito, ai diritti, con l'effetto
che è pienamente dispiegato un vero e proprio riformismo
al contrario.
Ed è proprio su questo terreno che si gioca la
partita, riprendendo una vecchia ma valida formula al
nuovo capitalismo si deve opporre la vecchia lotta di
classe nelle sue forme autonome, selvagge, non istituzionali.
Cosimo Scarinzi Coordinatore Nazionale CUB Scuola Università Ricerca |
Lavoratori
della metropoli in lotta
Clash
City Workers è un collettivo fatto di lavoratrici
e lavoratori, disoccupate e disoccupati, e di quelle e
quelli che vengono comunemente chiamati “giovani
precari”. La traduzione del nostro nome suona un
po' come “lavoratori della metropoli in lotta”.
Siamo nati alla metà del 2009 e siamo attivi in
particolare a Napoli, Roma, Firenze, Padova e Milano,
ma cerchiamo di seguire e sostenere tutte le lotte che
sono in corso in Italia.
Facciamo
inchiesta e proviamo a dar voce a tutti quelli che stanno
pagando questa crisi, attraverso il sito, la rassegna
stampa, le interviste, le corrispondenze e le denunce
che ci potete inviare...
Se siamo deboli, è innanzitutto perché non
sappiamo quanto potremmo essere forti, non sappiamo quanti
siamo e quante ragioni abbiamo.
Vogliamo dare visibilità a quello che succede nel
mondo del lavoro, alle violazioni dei padroni, alle situazioni
lavorative in crisi. Proviamo ad essere megafono per le
vittorie che lavoratori e lavoratrici conquistano con
la lotta. La consapevolezza è il primo passo per
fare valere i nostri diritti e la nostra forza. Anche
per questo proponiamo analisi sulla situazione politica,
cercando i reali problemi e le nostre esigenze. E per
questo traduciamo materiali e diffondiamo anche qui in
Italia le esperienze di lotta più significative
che vanno avanti nel resto del mondo.
Ma il nostro collettivo non si limita solo a fare informazione
e dibattito. Nel dare voce direttamente ai lavoratori
e lavoratrici ci poniamo assieme a loro il problema dell'organizzazione
delle lotte: evidenziare gli elementi politici che caratterizzano
tutte le vertenze, mettere gli stessi lavoratori in contatto
fra di loro, così che possano riconoscersi e fare
fronte comune.
Secondo noi la lotta è l'unico cammino. Ma la lotta
ha tante forme possibili e tanti piani. Per questo negli
ultimi anni abbiamo costruito e partecipato a scioperi
e cortei, abbiamo volantinato, organizzato assemblee pubbliche,
attacchinato e fatto picchetti, abbiamo cercato di fornire
supporto tecnico e aiuto materiale ai lavoratori che si
mobilitavano, organizzando casse di resistenza, concerti
di solidarietà, facendo inchieste che svelavano
gli interessi padronali e permettevano a lavoratori e
lavoratrici di contrattaccare sul piano politico giudiziario
e mediatico, lanciando campagne “pubblicitarie”
provocatorie - come quella contro IKEA - che hanno messo
in crisi l'immagine di un'azienda o di un marchio.
Ma ancora tanto abbiamo da fare. Clash City Workers è
un collettivo aperto a qualsiasi contributo esterno, a
chiunque voglia fare informazione, a chiunque voglia costruire
insieme interventi sui luoghi di lavoro, sviluppare e
collegare le lotte dei lavoratori.
P.S. Il nome Clash City Workers viene da canzone di una
famosa band inglese di fine anni '70, i Clash. In questa
loro canzone si dice che non bisogna lamentarsi della
propria triste condizione e del proprio insoddisfacente
lavoro, ma bisogna organizzarsi per cambiare tutto radicalmente!.
Collettivo Clash City Workers
www.facebook.com/ClashCityWorkers
cityworkers@gmail.com |
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