Le
emozioni sono un atto di resistenza
Sono convinto che per conoscere l'inferno delle carceri italiani
bisognerebbe leggere le lettere che i prigionieri scrivono ai
loro familiari, amici, conoscenti e compagni di sventura. Ricevo
migliaia di lettere all'anno, a volte anche dieci al giorno.
L'agente responsabile della distribuzione della corrispondenza
ogni tanto mi guarda sornione, poi mi sorride e con simpatia
mi fa la battuta: “Musumeci, mi fa lavorare troppo, ma
quand'è che la trasferiscono”.
Cerco sempre di rispondere a tutti, specialmente alle lettere
che ricevo da dentro. Alcune di queste, quando i miei compagni
sono d'accordo, le rendo pubbliche per cercare di dare voce
e luce a tanti miei compagni che scrivono e che parlano a volte
solo con le pareti delle loro celle. Oggi ho saputo che un altro
giovane detenuto, con una lunga pena da scontare, s'è
tolto la vita e ho pensato che è facile cadere nella
disperazione quando sei chiuso in una tomba, perché è
l'unico piacere che ti resta. E ho deciso di rendere pubblica,
con consenso dell'interessato, questa lettera di uno sconosciuto,
che mi scrive per la prima volta, che tocca l'argomento dei
suicidi in carcere.
Carmelo Musumeci
Carcere di Padova 2015
www.carmelomusumeci.com
Ciao Carmelo! Mi chiamo Enrico, per i compagni e gli amici
più stretti Enko. Spero di non disturbarti con questa
mia lettera e comunque che ti trovi in buona salute morale e
fisica. Seguo sempre ciò che scrivi e lo trovo sempre
interessante e stimolante e a spingermi a prendere carta e penna
è stata proprio una cosa che hai scritto tempo fa a proposito
di suicidi in carcere. Non ricordo se l'ho letto su qualche
bollettino di “Ampi Orizzonti” o era ripreso da
un articolo di “Ristretti Orizzonti”. Fatto sta
che ho indugiato a lungo sulle tue parole, è inutile
e forse stupido parlare proprio a te di pensieri cattivi e rassegnazione
da combattere, di giornate nere e abissi dentro da non fissare
troppo a lungo.
A catturarmi è stata più l'assenza di cinismo
in quel che dici, la capacità di sintesi, seppur affronti
il tema più delicato che esista e su tutto quel “io
lo so” che è disarmante (o meglio deve esserlo)
per l'interlocutore in divisa o giacca e cravatta, ed è
una sentenza che accomuna noi che a queste gabbie siamo stati
relegati. Così in quel “io lo so” mi riconosco
anche io. Anche io che non ho un ergastolo davanti, che ho fatto
“solo” tre anni e mezzo di galera, un terzo dei
quali in Germania, so di sicuro che non ci sono discriminanti
differenziazioni: quando hai assaggiato la libertà, quella
vera, diventa tanto doloroso quanto inconcepibile doversi risvegliare
e poi riaddormentare tra queste quattro mura infami, fosse anche
solo una settimana, un mese, un anno.
L'altro giorno guardavo uno stupido film in TV, l'ultima
scena inquadrava un padre che abbracciava il proprio figlio
come epilogo di una trama da dimenticare, mi ha commosso! Ero
lì sul mio letto e sentivo nitido un nodo alla gola e
gli occhi farsi lucidi e speravo che il mio coinquilino non
mi rivolgesse la parola per non farmi sgamare emozionato. Perché
te lo racconto? Perché penso che il carcere “lavori
ai fianchi” della persona che sei e della tua dignità
cominciando col diseducarti alle emozioni. Coltiviamo amicizie
che non sono amicizie, perdiamo le nostre cose come spesso perdiamo
le nostre famiglie, ci rassegniamo all'idea che per anni il
nostro mondo sia un mondo piccolo, amministrabile con poche
parole, sempre uguali. Forse chi sceglie di togliersi la vita
vuole solo farla finita con una non vita e col dolore che comporta
non vivere! L'ho pensato anch'io, lo ammetto e senza vergogna,
mi ha trattenuto la convinzione che la vita sia uno strumento
per chi ha gli strumenti. Anche il nostro essere qui, tra sbarre
e cemento, richiede una determinazione, una “politica”
che è e deve essere voglia di vivere o solo di non darla
vinta ai teorici del “uno in meno”.
Se ti ho scritto Carmelo (scusa se ho usato un “tu”
diretto) è perché quelle tue poche parole mi han
costretto allo specchio e ti ringrazio perché pensarle
mi ha aiutato a capire che la mia resistenza non è solo
istinto, ma una scelta quotidiana!
Ti mando un saluto sincero con stima e rispetto.
Enko Cortese
Carcere di Velletri
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