Rudolf Rocker/3
Davanti alle macerie della guerra
di David Bernardini
Con questo terzo articolo si conclude la serie di scritti che ha analizzato alcune delle posizioni di Rudolf Rocker che costituirono occasione di acceso dibattito all'interno del movimento anarchico internazionale. In questo testo, al centro la rinascita del movimento anarchico in Germania dopo la seconda guerra mondiale.
Nulla è più pericoloso che la fede in una razza,
in una nazione, in una classe sociale, in un partito.
Simone Weil
L'accusa collettiva nei confronti del popolo tedesco riguarda
infatti l'obbedienza in absurdum, l'obbedienza anche in quei
casi in cui la disobbedienza sarebbe l'unica cosa umanamente
legittima.
Ma in fin dei conti non è questa stessa obbedienza
l'aspetto che caratterizza il rapporto dell'individui con l'autorità
in tutti gli stati del mondo?
Stig Dagerman
Nel 1946 il quotidiano svedese “Expressen” commissionò a Stig Dagerman una serie di reportage sulla condizione della Germania dopo il crollo del regime nazista e la fine della seconda guerra mondiale. Questi articoli vennero successivamente raccolti e pubblicati in un libro tradotto in italiano con il titolo “Autunno tedesco” (Dagerman, 2007). Dagerman era uno scrittore, anarchico sin dalla gioventù e legato a quella parte della Germania che si era opposta a Hitler, dato che la sua compagna era Annemarie Götze, un'esule anarchica tedesca. Durante la sua permanenza in Germania (dal 15 ottobre al 10 novembre 1946), Dagerman si concentrò sulle drammatiche condizioni materiali in cui versava la popolazione tedesca, intendendo ciò come il primo passo per comprendere quello che si agitava all'interno di quest'ultima. In “Autunno tedesco” si trovano anche alcune righe dedicate ai “sinceri antifascisti” tedeschi, definiti come i “più delusi, più disorientati e più sconfitti (...) le rovine più belle della Germania, ma per il momento altrettanto inabitabili” (Dagerman, 2007, pp. 28-29).
Gli anarchici tra le macerie
Alla fine della seconda guerra mondiale, la Germania era ridotta
in macerie, sia in senso letterario sia in quello figurato (Stowasser,
2007, p. 429). Alcuni storici hanno definito i gruppi della
sinistra indipendente sorti dopo il crollo del Terzo Reich al
di fuori dei due principali partiti, quello socialdemocratico
e quello comunista, come una “sinistra apolide”,
destinata ad essere polverizzata nell'ambito della Guerra fredda.
Gli anarchici tedeschi si trovavano nella stessa situazione,
essendo al tempo stesso “estranei” e “vittime”
del confronto tra i due blocchi (Degen, 2002, p. 31). D'altronde,
gli spazi d'azione politica si erano ristretti drasticamente
all'interno di tutto il panorama europeo segnato dall'aprirsi
della Guerra Fredda, tanto da far apparire l'elaborazione di
una posizione autonoma una faccenda decisamente problematica.
In Germania le poche centinaia di attiviste e attivisti libertari
sopravvissuti si ritrovarono in una situazione drammatica, privi
di mezzi di sostentamento in città ridotte in macerie
e in un paese occupato dagli eserciti vincitori. Il regime nazista
e il conflitto mondiale erano riusciti a spezzare qualsiasi
continuità organizzativa e politica (Degen, 2002, p.
34), i contatti tra militanti di località diverse si
erano interrotti da anni e i principali esponenti del movimento
ai tempi della repubblica di Weimar (1919-1933) erano morti
o in esilio (Bartsch, 1972, p. 96).
Nell'ultimo volume delle sue memorie pubblicate nel 1952, Rudolf
Rocker ricordava che negli anni del secondo dopoguerra una delle
sue funzioni più utili nei confronti dei compagni rimasti
in Germania consisteva, paradossalmente dato che abitava negli
Stati Uniti, nel mettere in contatto i sopravvissuti tra loro.
Le condizioni dei trasporti e delle vie di comunicazione erano
infatti tali che, ancora alcuni anni dopo la fine del conflitto,
attivisti che abitavano a poche decine di chilometri di distanza
non sapevano nulla gli uni degli altri (Rocker, di prossima
pubblicazione, p. 558).
Il futuro appariva dunque quanto mai incerto. Nella sua corrispondenza
privata, un anarchico berlinese, un certo Wartenberg, esprimeva
tutta la sua amarezza, notando che: “mai ci siamo trovati
così senza speranza di fronte all'aspirazione di andare
avanti come nel momento in cui si trovarono due grandi visioni
del mondo in lotta per la conquista del futuro”. Non c'era
nessun nuovo inizio, insomma, e la Germania del secondo dopoguerra
non era nient'altro che uno spettacolo deprimente, concludeva
cupo l'anarcosindacalista Fritz Linow (Degen, 2002, pp. 33-34).
La rassegnazione, l'assenza di ricambio generazionale e la conseguente
tendenza all'invecchiamento, il riemergere di vecchie polemiche
che avevano già frantumato il movimento negli anni Venti
erano tutti fattori negativi che rendevano ancora più
difficile la riorganizzazione del movimento libertario in Germania.
Per di più alcuni militanti, pur di tornare in attività,
avevano scelto di aderire al partito socialista e a quello comunista.
Altri, prostrati dalla prigionia, decidevano di rinunciare definitivamente
all'attività politica, mentre le amministrazioni delle
potenze occupanti sfavorivano la rinascita di gruppi politici
indipendenti (Degen, 2002, p. 35).
Alle difficoltà materiali si univa un generale disorientamento,
tanto più che agli anarcosindacalisti sopravvissuti non
sembrava possibile far rivivere quella Freie Arbeiter Union
Deutschlands (FAUD) [Libera Unione dei lavoratori tedeschi]
di cui avevano fatto parte ai tempi della repubblica di Weimar.
Alcuni studiosi hanno sostenuto a questo proposito che nel secondo
dopoguerra agli anarcosindacalisti restavano ben poche alternative:
o rimanere fermi sulle loro posizioni e condannarsi così
alla marginalizzazione, oppure rivedere radicalmente i loro
principi, adeguandosi ai tempi, oppure dissolversi (Wayne Thorpe-Marcel
van der Linden, 1999).
Nonostante le difficoltà, iniziarono lentamente i primi
tentativi di riorganizzazione soprattutto nella parte occidentale
della Germania, poiché nella zona di occupazione sovietica
divenne ben presto impossibile condurre qualsiasi autonoma attività
politica pubblica. Alla fine del maggio 1947 poté così
nascere a Francoforte la “Föderation freiheitlicher
Sozialisten” (FFS) [Federazione dei socialisti libertari],
la quale si presentava come la prosecuzione della FAUD, pur
riuscendo a raggruppare solamente una piccola parte dei suoi
vecchi attivisti. Nel 1948 la FFS poteva infatti contare solamente
circa quattrocento militanti (Degen, 2002, p. 86).
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Dresda (Germania), 1945 - La città dopo i bombardamenti.
Nel 1933 Hitler aveva dichiarato: “Datemi quattro anni
e non riconoscerete più la Germania” |
La proposta di Rocker
Rudolf Rocker aveva partecipato per via epistolare dagli Stati Uniti al percorso costitutivo della FFS. Inoltre, su invito di diversi esponenti del movimento tra cui Helmut Rüdiger, Rocker aveva scritto una brochure di 36 pagine dal titolo “Zur Betrachtung der Lage in Deutschland” [Considerazioni sulla condizione della Germania], nella quale sintetizzò le sue riflessioni riguardanti i compiti dell'anarchismo tedesco nel secondo dopoguerra. Finito di scrivere nel gennaio 1947, l'opuscolo venne pubblicato grazie all'impegno dell'anarcosindacalista Sveriges Arbetares Centralorganisation (SAC) [Organizzazione centrale dei lavoratori svedesi] e dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori (AIT), venendo diffuso in Germania a partire dal giugno 1947. Il ruolo di questa brochure non deve essere esagerato, poiché non sembra costituire né una sorta di documento fondativo della FFS, come è stato affermato (Graur, 1988, p. 310), né uno spartiacque che divise anarcosindacalisti disponibili ad una revisione ideologica da anarchici fedeli alla tradizione (Bartsch, 1972, pp. 108-117). Più semplicemente, le riflessioni di Rocker si inserivano nel percorso inaugurato dalla fondazione della FFS, approfondendo differenze già delineatesi in precedenza.
All'interno di “Zur Betrachtung der Lage in Deutschland”, Rocker tracciava una visione molto ampia e ambiziosa, che sembrava porsi la prospettiva di ridisegnare la fisionomia futura dell'anarchismo, tedesco in primo luogo ed europeo più in generale, per renderlo capace di agire sul presente. Il suo ragionamento prendeva le mosse dalla constatazione che tra gli anni Trenta e Quaranta si era verificata la più grande rottura di tutti i tempi e perciò non si poteva pensare di “rincominciare esattamente là dove noi abbiamo smesso 13 anni prima”, poiché “sotto montagne di cadaveri e campi di macerie (…) un vecchio mondo è stato seppellito” (Rocker, 1978, p. 5). La fine del “vecchio mondo” poneva dunque agli anarchici compiti immani, sosteneva Rocker, in primo luogo la ricostruzione e il miglioramento delle drammatiche condizioni materiali della popolazione tedesca poiché, citando Heine, “nelle masse affamate entra solo la logica della zuppa con le ragioni dello gnocco” (Rocker, 1978, p. 30). In altre parole, come annotava negli stessi mesi anche Dagerman, non si poteva pretendere nessuno sforzo etico e politico da chi pativa quotidianamente la fame.
Gli anarchici dovevano quindi farsi elementi attivi all'interno della società tedesca, mettendo alla prova i loro progetti, dato che “con i soli discorsi non si va avanti” (Rocker, 1978, p. 20). Rocker sottolineava a questo proposito di essere “della convinzione che noi abbiamo bisogno di un nostro movimento, per poter rappresentare i nostri modi di vedere” (Rocker, 1978, p. 13). Ciò non implicava assolutamente la ricostituzione della FAUD, poiché, in una Germania ridotta ad un ammasso di rovine, una pura politica sindacale non avrebbe avuto nessuna possibilità di successo (Rocker, 1978, p. 10). Al contrario, secondo Rocker era necessario, dinanzi a nuovi compiti, darsi una nuova forma organizzativa e una nuova prospettiva politica: “cosa io ho in mente è una lega di federalisti libertari”, in grado di attirare nuovi aderenti nelle proprie fila e di collaborare, senza tradire i propri ideali, con altre forze, portando “i suoi modi di vedere in nuovi ambienti, dove possano avere feconde ripercussioni”. Il modello di Rocker era quella “Lega dei Federalisti” fondata da Kropotkin a Mosca dopo il suo ritorno in Russia (Rocker, 1978, p. 13).
Nuove idee per un nuovo mondo
Rocker sosteneva che il movimento libertario così organizzato
doveva promuovere un nuovo inizio per la Germania e per l'Europa,
se non per il mondo intero, avendo come fine “una riorganizzazione
della loro vita sociale su basi completamente diverse”
(Rocker, 1978, p. 19). “Una Germania federata”,
osservava Rocker speranzoso, “è la prima pietra
per una federazione dei popoli europei e quindi per una federazione
mondiale” (Rocker, 1978, p. 35). La prospettiva era quindi
la costruzione di un nuovo mondo fondato sui principi di un
socialismo libertario e federalista, “unico mezzo per
impedire l'accumulo di potere nelle mani di una piccola minoranza
e per togliere il terreno a ogni politica di potenza verso l'interno
e l'esterno” (Rocker, 1978, p. 19). Rocker individuava
il terreno prediletto per l'azione dei libertari nei municipi,
i quali costituivano “le cellule da cui può scaturire
una vera riorganizzazione delle condizioni sociali” e
da cui poteva iniziare la ricostruzione su basi differenti (Rocker,
1978, p. 21). Era un errore tuttavia ritenere che i municipi
stessero lì, ad aspettare gli anarchici, pronti per essere
utilizzati in base ai propri scopi di libertà e uguaglianza
sociale. Al contrario, Rocker invitava quest'ultimi a lavorare
al loro interno per aprire nell'azione quotidiana nuove prospettive
(Rocker, 1978, p. 24). Ciò doveva essere compiuto anche
nei sindacati che si andavano ricreando, nelle cooperative e
nei consigli dei lavoratori (Rocker, 1978, pp. 28-29) .
Rocker conosceva la situazione tedesca non per esperienza diretta,
ma filtrata dalle lettere che riceveva. Si era così fatto
l'idea che una Germania distrutta fosse inadatta per la ricreazione
dei vecchi sistemi politici autoritari (Rocker, 1978, p. 24),
tanto da ritenere che il paese fosse diventato una sorta di
spazio vuoto, in cui i municipi potevano muoversi piuttosto
liberamente e divenire il motore della ricostruzione, dato che
“l'intera amministrazione sociale del paese sta oggi quasi
soltanto nelle mani dei municipi” (Rocker, 1978, p. 19).
Alcuni membri della FFS, come Gustav Leinau e Willi Jelinek
che pure avevano apprezzato la brochure di Rocker, evidenziarono
l'inconsistenza di tale prospettiva, poiché la centralizzazione
politica in Germania nel 1947 era già in una fase avanzata
ed era impossibile condurre un'iniziativa autonoma nei municipi
ponendosi al di fuori dei partiti (Degen, 2002, pp. 103-104;
Bartsch, 1972, p. 116).
“Zur Betrachtung der Lage in Deutschland” andava
tuttavia al di là del caso particolare tedesco, proponendo
una riflessione che si inseriva nel solco inaugurato precedentemente
da Rocker e che aveva trovato espressione anche in “Nazionalismo
e cultura” (Rocker, 1977). Infatti quest'ultimo individuava
nelle pagine della brochure un problema fondamentale in quel
modo di pensare, dominante anche all'interno del movimento socialista,
tendente ad identificare una causa e quindi a ricercare una
soluzione. Si trattava secondo Rocker di una logica astratta
e autoritaria, che portava alla centralizzazione politica e
alla logica della delega nei confronti di una sola persona o
di una piccola minoranza.
Questo meccanismo di ragionamento così assolutizzante
e totalizzante era ciò che aveva portato l'Europa alla
rovina, poiché “nulla è più pericoloso
che la credenza in una verità assoluta” (Rocker,
1978, p. 6). Non era mai possibile, continuava Rocker, uniformare
la realtà ad un unico principio astratto: “la reazione
inizia lì dove si tenta di riportare la vita ad una norma
precisa”. Astrattezza, logica totalizzante, credenza assoluta
in un'unica idea, queste erano le cause, secondo Rocker, per
cui “i rivoluzionari di ieri così frequentemente
diventano i reazionari di oggi” (Rocker, 1978, pp. 6-7).
Questa riflessione costituiva in un certo senso la base sulla
quale poggiava la proposta federalista di Rocker, tesa, mi sembra,
in primo luogo a garantire la pluralità e la multiformità
di progetti, di soluzioni e di idee, combattendo così
quell'ossessione pericolosa e liberticida per l'unità
a tutti i costi: il socialismo “non assumerà ovunque
le stesse forme”, ma solo quelle più funzionali
alle diverse situazioni (Rocker, 1978, p. 24). Gli anarchici
tedeschi dovevano in altre parole farla finita con tutto ciò
che era stata la Germania in precedenza, non solo dal punto
di vista politico, con quella tradizione militarista e autoritaria
sviluppatasi ininterrottamente da Bismarck a Hitler, ma anche
dal punto di vista culturale e filosofico più generale.
“Noi dobbiamo imboccare una nuova via”, concludeva
Rocker, “noi dobbiamo liberarci delle scorie del nostro
passato”, poiché “l'ora di tutti è
anche la nostra ora” (Rocker, 1978, pp. 35-36). Il movimento
libertario doveva quindi avere la forza di porre le basi per
un nuovo inizio anche, e forse soprattutto, tra le macerie del
regime nazista. Nell'immediato, l'opuscolo consigliava agli
anarchici rimasti in Germania di rinunciare a qualsiasi rapporto
con i partiti e di dotarsi di un giornale e di una casa editrice,
cosa che si realizzò negli anni successivi, con la fondazione
del mensile Freie Gesellschaft (successore di Die
Internationale) e della casa editrice Verlag Die Freie
Gesellschaft.
Il movimento anarchico si divise sui contenuti della brochure.
Se esponenti come Rüdiger, autore tra l'altro di un'entusiasta
prefazione allo scritto (Rocker, 1978, pp. 3-4), sostennero
le tesi di Rocker, le quali vennero apprezzate e discusse anche
nell'ambito della FFS, altri mossero dure critiche. Gli attacchi
più aspri giunsero dall'Internationalist Bakunin-Group
[Gruppo internazionale Bakunin], che riuniva i vecchi collaboratori
della rivista War Commentary, di cui aveva fatto parte
anche quel Vernon Richards che aveva polemizzato con Rocker
per la sua posizione di fronte alla seconda guerra mondiale
(Cheptou, 2008). Nell'agosto 1947, John Olday scrisse sul giornale
Freedom un duro articolo all'interno del quale Rocker
veniva tacciato di riformismo, accusato di voler porre gli anarchici
al servizio del governo militare e accostato a Churchill nel
suo sostegno all'idea di un'Europa federata (Bartsch, 1972,
p. 113). Da parte sua, l'anarcosindacalista Augustin Souchy
mosse nella sua corrispondenza privata una critica indiretta
alla brochure di Rocker, osservando di avere nei mesi precedenti
rinunciato a scrivere qualcosa sulla Germania “poiché
mi dissi che noi fuori, all'estero, non siamo capaci di giudicare
correttamente la situazione” (Degen, 2002, p. 104).
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La famiglia Götze. Foto tratta da Dieter Nelles, Ulrich
Linse, Harald Piotrowski, Carlos García, Deutsche
AntifaschistInnen in Barcelona (1933-1939). Die Gruppe
“Deutsche Anarchosyndikalisten” (DAS), Graswurzelrevolution,
Freiburg, 2013 |
Alcune osservazioni sparse
La discussione su “Zur Betrachtung der Lage in Deutschland”
si esaurì nel giro di qualche tempo, mentre le attività
della FFS andarono faticosamente avanti fino alla fine degli
anni Cinquanta, soffrendo soprattutto l'assenza di una partecipazione
giovanile. All'inizio di quel decennio, Rocker scrisse al riguardo
che “i vecchi compagni dovranno contare sulle proprie
forze e portare avanti, da soli, la difficile lotta finché
nel movimento non ritorni il fermento di una nuova gioventù,
(...) questo tempo verrà, perché lo spirito della
libertà, l'amore umano e la collaborazione solidale sono
sempre risultati più forti dell'alito viziato della reazione
e di tutte le prigioni della tirannia” (Rocker, 1952,
p. 570). La profezia di Rocker in un certo senso si avverò
diversi anni dopo, alla fine degli anni Sessanta, ma questa
è un'altra storia.
Con questo pezzo si conclude la serie di tre articoli dedicati
a Rudolf Rocker. Tentando di esplicitare il loro senso generale,
posso dire che le intenzioni iniziali consistevano nella volontà
di parlare di questa figura, poco nota in Italia ma di grande
importanza e interesse per la storia dell'anarchismo internazionale,
nei suoi aspetti meno rassicuranti e più controversi.
Se la storia serve a qualcosa, trovo che questo non sia né
la celebrazione né la semplice messa in mostra della
propria erudizione in una sorta di onanismo intellettuale autoreferenziale,
come purtroppo spesso accade in alcuni studi, completamente
chiusi nella loro gabbia di costrizione accademica, ermetici
ed estranei nei confronti del mondo circostante. Bisogna ricostruire
e aiutare a capire figure, fatti, idee, processi, ma trovo necessario
cogliere anche tematiche significative per il presente e magari
stimolare ulteriori domande e riflessioni. In questo senso Rocker
ha costituito l'occasione per affrontare un tema decisamente
più ampio, quello cioè delle scelte degli anarchici
di fronte all'eccezionale, a ciò che non è previsto
e spesso non preparato, che scombussola e sembra mettere in
dubbio idee e prassi consolidate. Perciò ho scelto di
prendere in esame i casi della rivoluzione russa e delle sue
conseguenze, della seconda guerra mondiale e della ricostruzione
della Germania dopo il 1945. Da questa prospettiva, Rocker è
stato un ottimo punto di osservazione poiché mi sembra
che abbia sempre cercato di spingere la sua riflessione un po'
più in là, oltre il consolidato, alla ricerca
di soluzioni in grado di rendere l'azione degli anarchici efficace
nel presente e suscitando allo stesso tempo vivaci discussioni.
Questo aspetto della figura di Rocker venne messo in luce anche
da Ugo Fedeli nei suoi articoli su “Volontà”,
pubblicati negli anni Cinquanta (Fedeli, 1953-1954).
Ciò che più mi ha incuriosito è insomma
quello che si potrebbe definire lo “sguardo” di
Rocker: attento, problematico e problematizzante al tempo stesso,
mosso dal continuo tentativo di aggiornarsi, di “stare
sul pezzo” si potrebbe dire (male), non senza prendere
posizioni discutibili e sonori abbagli. D'altronde, per trasformare
l'esistente non esistono mappe certe, ma solo tentativi di tracciare
una rotta contro e fuori questo presente di dominio.
David Bernardini
Le due puntate precedenti sono apparse in “A”
401, ottobre 2015 (”Aderire
o sabotare?”) e in “A” 402, novembre 2015
(“Il rifiuto del
totalitarismo”)
Bibliografia
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Günther
Bartsch, Anarchismus in Deutschland. 1945-1965,
vol. I, Fackelträger, Hannover, 1972.
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bas. De l'anarcho-syndicalisme au pragmatisme libertaire,
“À contretemps”, (2007), n.
27.
Stig Dagerman, Autunno tedesco, Lindau,
Torino, 2007.
Hans Jürgen Degen, Anarchismus in Deutschland
1945-1960. Die Föderation Freiheitlicher Sozialisten,
Klemm & Oelschläger, Ulm, 2002.
Ugo Fedeli, Rudolf Rocker. La sua opera e il
suo pensiero, “Volontà”, (1953-1954),
nn. 6-7, n.8, n. 11, n. 12, n. 1, n. 2, n. 3.
Mina Graur, An “Anarchist Rabbi”.
The Life and Teachings of Rudolf Rocker, Tesi
di dottorato, Houston, 1988.
Rudolf Rocker, I pionieri della libertà,
edizioni Antistato, Milano, 1982.
Rudolf Rocker, Nazionalismo e cultura, edizioni
Anarchismo, Catania, 1977.
Rudolf Rocker, Die Möglichkeit einer anarchistischen
und syndikalistischen Bewegung... Eine Einschätzung
der Lage in Deutschland, Verlag Freie Gesellschaft,
Frankfurt, 1978.
Rudolf Rocker, Evoluzione e involuzione (1918-1951),
Centro studi libertari/Archivio G. Pinelli, Milano, di
prossima pubblicazione.
Horst Stowasser, Anarchie! Idee – Geschichte
– Perspektive, Nautilus, Hamburg 2007.
Wayne Thorpe-Marcel van der Linden, Aufstieg und Niedergang
des revolutionären Syndikalismus, “Zeitschrift
für Sozialgeschichte des 20. und 21. Jahrhunderts”,
(1999), n. 3, pp. 9-38, disponibile presso il sito: http://www.wildcat-www.de/material/1999_syn.htm.
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