Le estensioni del Club Tenco. Uomini, opere, giorni
Il Tenco degli anni duri
L'aria a Sanremo si fa d'improvviso più calda - anche
nel bel mezzo dell'inverno dicembrino - il tepore del microclima
di questo spazio aperto/chiuso è una serra di fiori che
resiste all'aggressione del tempo.
Qui ha sede il Club Tenco, l'associazione culturale che si occupa
di tutelare la dignità artistica della canzone e che
ha la sua espressione più evidente nella rassegna che
si svolge, da quarant'anni e passa fra ottobre e novembre, e
nei Premi e nelle Targhe ad essa legate.
Si dice che non si può più cantare in quel certo
modo, prendendosi certi lunghi tempi, provando a esplorare “segrete
plaghe”, andando a cercare una narrazione collettiva sull'onda
dei canti, si dice che questo è un modo antico di intendere
anche la canzone d'autore e che bisognerebbe dare conto al tempo
che passa, ai gusti che cambiano, ai modi (se non proprio alle
mode) che spazzano via i residui del tempo e gettano via il
vecchio-bambino poeta con l'acqua sporca del passato glorioso.
Si dice tutto questo, e talvolta lo si sente dire anche da queste
parti, anche nella Sanremo dei poeti, anche nella Sanremo del
Tenco. Però c'è ancora chi resiste e pensa a organizzare
qualcosa che abbia senso per il suo percorso, prima di preoccuparsi
di attirare lo sguardo e quindi l'orecchio di un pubblico sempre
più distratto e frettoloso.
Leggendaria dicevamo è la rassegna che va in scena in
autunno - la più importante al mondo di canzone d'autore
- ambitissimi i riconoscimenti (Premi e Targhe) che assegna.
Pochi però conoscono un lavoro più capillare,
e per questo fondamentale, una sorta di “Club Tenco diffuso”,
che si svolge per tutto l'anno, e consiste nella valorizzazione
di talenti emergenti (il “Tenco ascolta” voluto
dal direttore artistico Enrico de Angelis) o nascosti di una
scena vivacissima ma poco nota, con l'organizzazione di spettacoli
e col patrocinio alla polverizzata scena della nuova canzone
d'autore che, più viva e interessante che mai, si muove
però in un ambito carbonaro e quasi segreto, come al
tempo del “samizdat” e dell'underground. Questo
è il punto: più che inseguire le nuove mode tocca
cercare i nuovi talenti che di moda non vogliono mai essere.
Come può reagire un'istituzione culturale al tramonto
industriale di un genere e alla sua contrapposta vitalità
artistica? Insomma, i “Cantautori” sono stati una
realtà florida del Music Businness italiano degli anni
'60 e addirittura trionfale negli anni '70/'80, questo successo
bastava ad alimentare un interesse che sapeva rivolgere sostanziose
nicchie anche ai fenomeni meno “mainstream”, e così,
ciò che passava al Tenco, o era celebre (Guccini, Branduardi,
Conte) o era comunque mitologico (Piero Ciampi, Herbert Pagani).
Dagli anni '90 la crisi e poi il baratro della discografia ha
precipitato tutto questo mondo in una frammentazione di esperienze,
dove anche i pochi esempi di relativo successo (che non siano
vecchie glorie dalla lunga carriera) fanno solo storia a sé.
In
questa situazione qual è il ruolo che può assumere
il Tenco? Appunto, quello di promotore, scopritore, che con
la sua particolare autorevolezza guadagnata sul campo sottolinea
i percorsi segreti della musica. È un lavoro immenso
e frenetico, indispensabile e fragile, perché c'è
sempre qualcosa di nuovo ed interessante da sottolineare, ma
non bisognerebbe nemmeno abbandonare i talenti ancora fragili
di volta in volta incrociati per la strada. E in ogni caso il
Tenco può anche essere un Talent Scout molto autorevole,
e può dare a un esordiente di genio il piacere di essere
sullo stesso palco che fu abituale per de André, de Gregori,
Guccini... ma se poi non vi è nessun impresario a cui
raccomandarlo, nessun discografico da mettere in moto, a cosa
serve tutto ciò? Ecco che il Tenco stesso si è
trasformato col tempo, da puro progetto culturale, da catalizzatore
in “autore” di spettacoli, mettendo in campo le
professionalità di uno straordinario autore-regista teatrale
come Michelangelo Ricci e di una scafata direttrice di palco
come Desirèe Lombardi.
La “banda Sacchi” da Barcellona a Sanremo
È da questa rinnovata e necessaria identità che prendono le mosse tutta una serie di spettacoli dei quali abbiamo anche parlato sulle pagine della nostra Rivista: il Tenco sulle “Resistenze” dell'ottobre 2014, il Tenco sull'erotismo del giugno 2015, sono ben più del consueto omaggio a un grande autore, sono una ricerca, spettacoli disascalici sui rapporti letterari e musicali di un medium fondamentale della nostra cultura.
L'anima più creativa, culturale e un po' folle del Tenco, quella che va a cercare i percorsi più inconsueti della canzone d'autore, l'operatore culturale cui si deve, nel lontano '93, la scoperta del cantautore russo Vladimir Vysockij in Italia, Sergio S. Sacchi, quest'anno se n'è inventata un'altra, raccogliendo e rilanciando il progetto del Premio Bianca D'Aponte di Aversa, un Premio nato in memoria di una cantautrice campana scomparsa a 23 anni mentre registrava il suo primo disco.
Sergio sono anni che si è ritirato dalla natia Milano nella provincia di Girona, in Catalogna, e lì lontano da ogni preoccupazione che riguardi l'attualità musicale della canzone italiana, disinteressato ai percorsi esistenti, prova a coniugare il passato col futuro ignorando la crisi presente. A volte appare profetico a volte delirante quando, con una certa dose di genio creativo e un'uguale dose di solipsismo, disegna una personale mappa del tesoro nell'isola della canzone mondiale, da architetto qual è progetta il piano urbanistico di un'ipotetica regione dei canti, città invisibili del suono poetico, sono “Cose d'Amilcare” (come si chiama appunto la sua associazione-costola del Tenco, con un riferimento all'indimenticabile fondatore Amilcare Rambaldi). Ogni tanto chiama noi - suoi amici - via Skype, ci appare allora la sua sagoma scarmigliata e ci appella con voce profonda “Hola, hombre...”, per raccontarci dei novecento progetti che cova per la prossima stagione...
“Estensioni” di canzoni al femminile
A “farne le spese” in molti sensi è soprattutto
un suo “complice” abituale (anche collaboratore
della Rivista) Steven Forti, giovane storico residente in Spagna,
con la passione della poesia, il talento dell'organizzazione
e l'arguta stoffa del provocatore, speaker di radio libere e
libertarie, infaticabile animatore culturale delle notti di
Barcellona dove ti coinvolge dal palco alle bettole in discussioni
infinite sul suo disprezzo “bastiancontrario” per
l'indipendentismo locale, le sue ricerche d'archivio sui transfughi
della sinistra storica, trascinando la sua personale bohème
di “barrio” in “barrio” dove tutti lo
salutano, riconoscibile com'è per la zazzera e i cappottoni
fluttuanti.
È proprio così che i due - coadiuvati da tutta
la Banda del Tenco - hanno portato in scena il 19 dicembre scorso
al Teatro del Casinò di Sanremo “Estensioni”
una cantata collettiva che ha visto alternarsi sul palco le
voci internazionali - spagnole, russe, ceche, ecc. - di Alessio
Arena, Sílvia Comes, Ruth Horaková, M'Barka Ben
Taleb, Tamar McLeod Sinclair, Fausto Mesolella, Julija Ziganšina,
Vittorio De Scalzi, alle prese con versi di poetesse o dedicati
alle poetesse. L'intenzione è quella di fare il punto
sul lato nascosto di una scena musicale già di per sé
in difficoltà: se le cantautrici hanno, anche negli anni
più favorevoli, faticato ad affermarsi rispetto ai loro
colleghi maschi, oggi che la musica o è prostituita o
è catacombale, Sacchi e Forti rilanciano una poesia cantata
al femminile. La canzone d'autore al femminile è la faccia
segreta del canto: nascosta, occultata, soffocata talvolta,
travolta da tempi e modi non rispettosi della lunarità
soffusa e ironica che geni poetici assoluti (pensiamo alla cilena
Violeta Parra o alle francesi Barbara e Anne Sylvestre che per
inciso quest'anno ha perso un nipote musicista nella tragedia
del Bataclan...) hanno regalato alla musica del ‘900.
Se consideriamo anche l'inaspettato e sacrosanto successo che
hanno avuto nel nostro paese le poesie di Wislawa Szymborska,
capiremo come una poesia concepita al femminile, se ascoltata,
diventa il canto stesso della Terra, il frutto raccolto e donato
che le parole fanno all'esistenza.
Lo spettacolo andato in scena è risultato evidentemente
più complesso da decifrare dei precedenti “Canzoni
di amore e anarchia” o “Le Resistenze”, con
più sbalzi e nodi legati alla personalità di interpreti
e autori difficili da armonizzare con l'idea di insieme rimasta
sulla sfondo, eppure ha avuto - a parere di chi scrive - più
di un momento altissimo, come l'esibizione di Julija Ziganšina
(la cui presenza era stata preparata e introdotta dallo straordinario
lavoro di apostolato della cultura russa della traduttrice Giulia
de Florio, che fra passione civile e letteraria a me ricorda
la dedizione di pionieri come Ripellino) che ha rinnovato nell'apparente
placidità apollinea delle romanze russe i versi sublimi
e dolorosi di due poeti martiri come Gumilëv e l'Achmatova,
ricordandoci come in quella terra straziata dal potere la poesia
abbia ruolo di testimonianza e lotta radicale e pericolosissima
(non hanno ancora finito di morire i poeti slavi nel nostro
silenzio ignorante e complice).
A questo incanto ha fatto contraltare quello dei versi candidi
e taglienti di Vittorio Sereni dedicati alla poetessa suicida
Antonia Pozzi, messi in musica e cantati con complessa e umile
signorilità da Vittorio de Scalzi. Anche in Italia i
poeti muoiono per propria mano, soffocati di solitudine...
tutti se ne dimenticano, ma non certo chi alla memoria di Luigi
Tenco ha dedicato l'impegno e la vita.
Alessio Lega
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