diserzione
Io la penso così
di Silvia Papi, Santo Barezini, Agostino Manni, Andrea Papi
L'ignoranza, spartiacque
tra ricchi e poveri
di Silvia Papi
Niente di nuovo mi veniva da dire leggendo... e la lettura mi
riportava immagini di Full metal Jacket, quel grande
film di Stanley Kubrick del 1987 ambientato in un campo di addestramento
per marines dove un gruppo di giovani viene addestrato
ad uccidere nella guerra in corso allora - 1960/1975 - tra Stati
Uniti d'America e Nord Vietnam. Son passati più di quarant'anni
e poco è cambiato, perlomeno nella sostanza dei fatti
che quel film denunciava, quella di un paese dove le guerre
fanno girare l'economia (solo negli Stati Uniti?) e falsità
ed ipocrisia costituiscono la strategia diffusa per giustificarle.
L'altra faccia del buonismo americano che un altro regista,
David Lynch, ha mostrato in maniera magistrale in diversi suoi
film: il retro, il lato oscuro della provincia americana, quell'enorme
territorio dove agisce la propaganda per reclutare soldati.
Questa è una delle grandi contraddizioni del nostro tempo
- la tragedia ma anche, forse, l'opportunità - cioè
che si compiono le peggiori nefandezze e le più acute
denunce delle stesse senza che nulla cambi. Come se fossimo
inscritti in una macchina che rigira tutto in continuazione
creando un miscuglio nel quale poi si fa fatica a districarsi
e distinguere le sfumature per capire come comportarsi.
Eppure penso che si possa sempre trovare il modo di comprendere,
di tessere i fili che collegano le esperienze, personali e collettive,
nella storia più recente e non solo. Lo possiamo fare
anche provando a non assolutizzare e osservando il continuo
mutare degli eventi così da riflettere sul come e perché
non si è potuto/non si può – non si è
voluto/non si vuole – modificare almeno in parte lo stato
di cose dove la guerra viene aborrita con le parole e sostenuta
con i fatti.
Ma cosa succede allora? Succede che le generazioni si susseguono
e la memoria del passato evidentemente perde forza in un contesto
sociale che alimenta l'ignoranza per creare un terreno fertile
alla propaganda: “gli spot pubblicitari funzionano davvero
per adescare i giovani. Come me, che pensavo che l'esercito
non fosse una macchina da guerra ma solo un posto per fare qualche
soldo [...] Allora espressi le mie idee, e per tutta risposta
mi dissero di smetterla di pensare così tanto.”
L'ignoranza - e non solo negli Stati uniti - è lo spartiacque
tra ricchi e poveri che si è provato a colmare in quel
breve periodo storico che sono stati gli anni ‘60/70,
e che, di nuovo, le politiche sulla scuola, ad es., stanno allargando
a vista d'occhio. È sui poveri, ignoranti e frustrati
che attecchiscono le peggiori ideologie, per cui credo –
e le testimonianze di questi ragazzi disertori non fanno altro
che confermare – che l'unico antidoto che abbiamo per
combattere violenza, razzismo e ingiustizie di ogni genere (compreso
il militarismo travestito da “arrivano i buoni”,
stile far west, che l'America ha costruito come propria
immagine) sia la cultura e che l'impegno vada messo lì,
in una cultura alternativa a quella finta e massificata, dove
ognuno possa trovare gli strumenti utili a ricercare la propria
identità e dignità.
In questo senso all'interno della tragedia ci sono ancora opportunità
da non perdere e su cui è imperativo ingegnarsi per insistere
e far sì che qualcosa cambi.
Silvia Papi
Ma non criticano l'esistenza degli eserciti
di Santo Barezini
Nel 1940 William Thompson, classe 1912, insegnante di latino
e greco a Londra, rifiutò la coscrizione dichiarandosi
obiettore di coscienza. Subì per questo vari processi
e l'ostracismo di parenti, amici e colleghi. La sua non era
una posizione facile, in Europa imperversava il nazifascismo,
l'Inghilterra era sotto attacco e in quei giorni il postino
gli recapitò una cartolina anonima con su scritto: “I
codardi sono già morti molti anni prima di morire”.
Nel 1996, quando ho avuto la fortuna di conoscerlo, ancora la
conservava, assieme a tanti altri ricordi di una vita lunga,
coraggiosa, ricca di umanità.
Il disertore è davvero una figura tragica nella nostra
cultura: disprezzato da quasi tutti, specialmente da chi in
guerra non deve andare. Accusato di tradire la patria per vigliaccheria,
il disertore rifiuta di uccidere e di morire per la causa che
il suo governo ha deciso essere superiore alla vita di tanti.
Mette così in crisi i miti fondativi, rompe con la cultura
militarista che chiede ubbidienza cieca, infrange, spesso inconsapevolmente,
il mito dell'eroe pronto all'estremo sacrificio.
Ma Thompson era tutt'altro che un codardo e il disertore, nel
mio orizzonte ideale, non è affatto una figura tragica,
umanissima semmai, perché nella follia della guerra,
fra esseri umani che si scannano quasi sempre senza sapere perché
il disertore, che sia spinto da alti principi morali o dalla
semplice necessità di salvarsi la pelle, dal rifiuto
di rendersi colpevole di un'inutile carneficina o dalla pura
e semplice paura, prende una decisione, smette di essere una
divisa, torna ad essere individuo.
Il grande inganno
Le testimonianze di questi disertori americani a mio parere
sono davvero importanti perché non vengono da persone
con una formazione etica e politica contraria alla guerra e
al militarismo. Se per un qualche scherzo del destino mi fossi
trovato io nella loro condizione, avrei osservato tutto con
l'occhio critico di chi ha da sempre fatto una scelta, rigettando
tutto ciò che riguarda il militarismo, la guerra, la
violenza. La mia testimonianza sarebbe stata poco credibile.
I protagonisti di questi racconti provengono da una condizione
assai diversa: chi trascinato da un ideale, chi spinto dall'interesse,
tutti hanno scelto di partire, accettato la loro condizione,
approvato le regole d'ingaggio, talvolta con entusiasmo. Tutti
hanno seguito un percorso di formazione che ha costruito in
loro la convinzione fortissima di star facendo la cosa giusta,
per una giusta causa. Tutti sono andati con la determinazione
di fare il loro dovere. La loro testimonianza è perciò
tanto più credibile.
A dispetto del feroce indottrinamento essi hanno sviluppato
una consapevolezza nuova, non si sono lasciati disumanizzare
completamente, sono stati capaci di dare ascolto alla voce della
coscienza, si sono ribellati a un meccanismo che non prevede
ripensamenti e ne stanno pagando amaramente le conseguenze.
Per tutto questo credo che questi disertori, che forse restano
molto distanti dal mio modo di vedere, molto diversi da me,
meritino rispetto, ammirazione e sostegno.
Da nessuna delle testimonianze qui riportate si avverte che
questa esperienza abbia portato a scelte radicalmente pacifiste:
credo che queste persone restino in genere convinte della necessità
di difendere e servire il proprio paese in questo modo. Non
criticano l'esistenza degli eserciti, non mettono in dubbio
la liceità di invadere un territorio straniero, se il
proprio governo lo ritiene necessario per difendere gli interessi
nazionali. Ma essi si sono ribellati alla situazione concreta
in cui si sono venuti a trovare, alle ingiustizie e alle atrocità
di cui sono stati testimoni e protagonisti, ai crimini che il
loro governo li costringeva a perpetrare, alle menzogne che,
molti hanno intuito, nascondevano interessi assai diversi da
quelli ufficiali. Questi ragazzi, partiti per un ideale o solo
per garantire ai figli buoni studi e assistenza sanitaria, hanno
rifiutato di farsi disumanizzare, di odiare il nemico in quanto
tale e hanno continuato a vedere esseri umani simili a loro
nella popolazione che, durante l'indottrinamento, avevano imparato
a detestare. Essi dimostrano che, anche nella condizione più
drammatica, è possibile ribellarsi, restare umani.
Queste testimonianze sono per me anche la conferma di quello
che vedo ogni giorno qui negli Stati Uniti, dove abito da tempo:
una società fortemente indottrinata, militarista, dove
abili manovratori diffondono il germe di un patriottismo acritico
che ben serve gli interessi di politicanti, industriali e militari.
Qui, nelle grandi metropoli come nelle campagne più sperdute,
milioni di bravi cittadini afflitti da bassa scolarizzazione,
disinformati, acritici, stupidamente patriottici, sono ancora
fortemente ancorati al mito americano e God Bless America
resta il loro orizzonte. Anche quelli che fanno fatica ad andare
avanti restano fermamente convinti che questo paese sia stato
scelto da Dio per compiere una missione salvifica nel mondo.
Gente che crede che l'America sia sempre schierata dalla parte
giusta, che bombardi e invada per liberare altri popoli e portar
loro la democrazia; facili prede dei falchi reclutatori, convinti
della buona fede dei propri governanti e della perfidia di chiunque
non sia amico degli Stati Uniti.
In sostanza queste testimonianze sono preziose per capire come
funzionano certi meccanismi di indottrinamento in una società
apparentemente libera e certamente complessa, ma anche fortemente
irreggimentata e tesa alla conservazione del potere esercitato
da quel complesso militar-industriale da cui già Eisenhower
aveva messo in guardia nel 1961 e che da allora è divenuto
assai più potente e onnipresente.
La lettura di queste vite spezzate è testimonianza delle
conseguenze di una cultura che introietta nei suoi figli sentimenti
patriottici fin dalla tenera età. Un training che inizia
da piccoli con l'alzabandiera a scuola e continua da adulti
con il costante instupidimento televisivo. Non mi sorprende
quindi l'ingenuità dei tanti, partiti nella convinzione
di andare a liberare un paese o a difendere il proprio da un
fantomatico nemico e che, solo faticosamente, si sono resi conto
che quella guerra era una truffa.
Mi inorridisce il sadismo che affiora nei ricordi dei disertori.
È evidente da queste testimionianze che, a fronte di
un esiguo numero di ribelli e dei molti che, pur non ribellandosi,
sicuramente restano traumatizzati dai crimini che si trovano
a commettere e testimoniare, l'esercito americano, come del
resto ogni altro esercito al mondo, è un ricettacolo
per i molti che vi trovano un ambiente ideale per mettere a
frutto il loro sadismo distruttivo, senza doverne pagare le
conseguenze. L'indottrinamento fa il resto cosicché fra
gli invasori vi saranno sempre anche individui senza morale,
senza principi, pronti a uccidere e distruggere per il puro
piacere di farlo.
La società americana conferisce una grande importanza,
nei rapporti quotidiani, alla sincerità e all'onestà.
Dichiarare il falso ha conseguenze molto gravi e porta a una
totale perdita di credibilità. Una bugia raccontata a
scuola da uno studente, magari per coprire un compagno di classe,
può portare a severi provvedimenti disciplinari. Mi colpisce
allora pensare che la guerra in Afghanistan è stata fondata
su presupposti debolissimi e quella in Iraq è nata dalla
grande bugia sulle “armi di distruzione di massa”
raccontata al mondo intero. L'ex presidente Bush, però,
non ha mai pagato per le bugie raccontate alla nazione e al
mondo intero, menzogne che sono costate tante vite umane e tanto
dolore, compreso il dolore di questi disertori, la cui speranza
è andata delusa e la vita distrutta. Perché Bush
non ha pagato e non è stato disonorato? Dov'è
finita in questo caso l'indignazione? Questi disertori sono
testimonianza anche di questa ingiustizia del mondo: i potenti
non pagano quasi mai per i loro enormi crimini.
William Thompson rifiutò la divisa e le armi ma era tutt'altro
che un vigliacco. Ad ogni nuovo bombardamento si aggirava per
le vie di Londra, sotto una pioggia di fuoco nazista, a estrarre
feriti dalle macerie. Tante furono le prove del suo coraggio
e tante le vite umane salvate. Difatti, alla fine della guerra,
quando, licenziatosi dal suo incarico, era in procinto di partire
per l'Italia come volontario per la ricostruzione, gli stessi
colleghi che gli avevano spedito quell'infame cartolina gli
fecero una gran festa di saluto e gli regalarono una macchina
fotografica, affinché testimoniasse gli orrori della
guerra. Anche quella la conservò fino all'ultimo giorno
della sua lunga vita. Penso che non sarebbe troppo contrario
a passarla come testimone a questi giovani disertori che hanno
preferito la galera o l'esilio al continuare ad esser parte
di una menzogna assassina.
Santo Barezini
Storie praticamente
identiche
di Agostino Manni
Ho letto un libro, qualche anno fa, che parlava di una storia
simile: era una specie di racconto, scritto da un altro di questi
giovani disertori nordamericani. Il libro, nella versione italiana,
si intitola proprio così, “Il racconto del disertore”;
l'autore, Joshua Key, è nato a Guthrie, Oklahoma, nel
1978, nel cuore dell'America “rurale e conservatrice”,
e qui è cresciuto, “tra baracche e roulotte, tra
famiglie frantumate e aggrappate a lavori incerti”. Finché
si è arruolato, nel 2002, per “imparare un mestiere,
ottenere uno stipendio fisso” e garantire alla sua famiglia
(moglie e tre figli) “l'assistenza sanitaria”.
Un anno dopo Joshua è in Iraq, con una compagnia del
Genio militare, convinto di ciò che gli raccontano il
suo presidente (Bush) e i suoi superiori, e cioè che
“...qualcuno deve liberare il mondo dalle armi di distruzione
di massa...qualcuno deve deporre il malvagio tiranno Saddam
Hussein...qualcuno deve salvare il mondo dai terroristi che
stanno... minacciando la nostra vita.”
Quando parte per l'Iraq, Joshua è convinto che per lui
è “un dovere” fare la sua parte e “farla
il prima possibile, per non lasciare il problema in eredità”
ai suoi figli.
Qualche mese dopo, durante una licenza, diserta, stanco di assistere
a continue morti e violenze, percependosi come un “criminale”,
sentendosi il “braccio senza testa di una strategia insensata
e tragica”.
Credo che oggi Joshua viva in Canada, paese al quale ha chiesto
il riconoscimento dello status di “rifugiato politico”.
La cosa che più mi colpisce delle storie di questi ragazzi
e di queste ragazze è che, il più delle volte,
queste storie sono praticamente identiche: dietro la loro scelta
di arruolamento c'è spesso un disperato bisogno di ruolo
sociale, di lavoro, e di soldi; c'è il sogno dei privilegi
concessi dall'esercito (”la paga regolare, la possibilità
di viaggiare, la casa gratis, l'assicurazione sanitaria gratuita”),
e c'è un reclutatore o una reclutatrice che facilmente
li convince. Anche perché, il più delle volte,
questi ragazzi e queste ragazze hanno già la testa piena
delle menzogne che raccontano i media. E, il più delle
volte, i media raccontano tutti le stesse.
Quando poi si trovano davanti al sangue e allo schifo, questi
ragazzi e queste ragazze cominciano a riflettere: la loro dignità
li spinge a rifiutarsi, a fuggire, la loro coscienza li convince
ad opporsi al potere e alla violenza.
Quando avevo vent'anni, ho rifiutato di svolgere il servizio
militare, che all'epoca in Italia era obbligatorio: mi hanno
“punito”, e mi hanno condannato a scontare un po'
di galera.
All'epoca io ero un ragazzo fortunato: non avevo una famiglia
(non avevo figli, fondamentalmente), non avevo veramente bisogno
di soldi, non avevo veramente bisogno neanche di un lavoro,
e l'assistenza sanitaria me la garantivano i miei genitori,
che lavoravano e pagavano le tasse.
Ascoltavo anch'io le menzogne che raccontavano i media e, anche
se in Italia non c'erano i reclutatori (perché la coscrizione
era obbligatoria, e non c'era nessun bisogno che qualcuno ti
convincesse ad arruolarti), eravamo comunque tutti circondati
da una mentalità autoritaria, guerrafondaia e razzista.
Ma, come ho già detto, io sono stato un ragazzo fortunato:
fortunato, anche, a sentire per tempo qualche altra campana,
qualche campana stonata (nel coro dei più) che mi ha
fatto riflettere, e mi ha aiutato a capire.
Così oggi questa è diventata, se così si
può dire, una delle mie “fissazioni”, uno
dei miei impegni quotidiani: diffondere, cioè, attraverso
le mie scelte e le mie pratiche (attraverso la mia vita di tutti
i giorni, in altre parole) una cultura antimilitarista e antiautoritaria.
L'idea è che così, magari, in futuro, qualche
altro ragazzo e qualche altra ragazza non avranno bisogno di
vedere il sangue e lo schifo di una guerra per capire che una
guerra è sempre e solo - sempre, e solo - devastazione
e morte, e che solo dei criminali possono avere interesse a
farla.
Agostino Manni
Disertare non solo
il militarismo, ma anche...
di Andrea Papi
Le testimonianze qui riportate fanno emergere
con grande evidenza come la ragione fondamentale per cui queste
persone abbiano disertato risieda nel fatto che si sono sentite
ingannate, osservando la realtà che avevano attorno e
riflettendo sulle condizioni in cui si trovavano immerse. A
un certo punto hanno preso coscienza che le ragioni per cui
si trovavano lì a combattere, a uccidere arabi e iracheni,
non erano quelle che erano state loro raccontate al momento
del reclutamento prima e dell'addestramento poi. Quasi tutti
denunciano un senso di smarrimento e totale incomprensione dei
veri motivi per cui dovevano combattere una guerra cui si sentivano
del tutto estranei, per conto di uno stato nei confronti del
quale avevano maturato indifferenza. Alcuni hanno perfino la
netta impressione di non stare neppure combattendo contro il
terrorismo, come era stato loro raccontato, ma di trovarsi lì
per conto di qualcuno o qualcosa totalmente sconosciuti. Dicono
chiaramente di non sapere perché sono li.
Ciò che trovo interessante è proprio questo coro,
praticamente unanime, che sostanzialmente identifica lo stato
come un'associazione dedita a truffare i suoi cittadini, al
fine di usarli per scopi che non dichiara, anzi dichiarandone
altri che poi i cittadini stessi non trovano corrispondenti
alla realtà delle cose.
Io penso che tutto ciò sia molto veritiero e traduca
una rappresentazione realistica del rapporto che le istituzioni
statali hanno nei secoli instaurato con gli individui loro sottoposti.
Di fatto queste istituzioni non rappresentano nessuno se non
se stesse, mentre operano per conto di poteri che frequentemente
agiscono occultamente e in modo truffaldino, quasi sicuramente
perché i loro interessi, oltre a non collimare sono in
realtà antitetici a quelli di tutti noi. Chi comanda
e s'impone di conseguenza è nostro nemico. Non agisce
per il “bene comune”, come continuano a raccontarci,
mentre complotta alle nostre spalle per truffarci ed espropriarci
della nostra vita.
Ecco perché è giusto disertare, non solo rispetto
al militarismo, ma a tutta la condizione sociale e antiumana
continuamente imposta dai poteri egemoni.
Andrea Papi
|