anarchiche torinesi
Sarta, cuoca, operaia, orlatrice, edicolante, ecc.
di Paolo Papini
Ecco alcune delle militanti anarchiche nate o attive a Torino tra il 1898 e il 1968. Molti mestieri, molte differenti modalità per essere attive nello scontro sociale e nella propaganda. Non senza ostacoli da parte del solito maschilismo.
La lunga vicenda del nostro movimento,
attraverso ormai un secolo e mezzo, è ricca, insieme
a quella socialista e in generale operaia, di figure di militanti
donne di tutto rilievo, di forte volontà e coraggio e
di grande spessore morale, intellettuale e politico. Attiviste
e teoriche, si sono spese pubblicamente, come e non meno dei
compagni uomini e alla pari con questi, in un contesto storico
e sociale in cui le donne erano ancora prive del diritto di
voto, nella lotta e nella propaganda per la crescita e l'affermazione
dell'anarchismo tra le lavoratrici e i lavoratori. Basti pensare,
a livello internazionale, ad Emma Goldman e a Federica Montseny,
femministe e libertarie impegnate in prima linea nell'agitazione
per la rivoluzione sociale e, dentro a questa, sua parte imprescindibile,
per l'emancipazione delle donne. Compagne colte ed evolute,
fautrici del libero amore, pioniere dell'educazione sessuale
e paladine della lotta all'alcolismo, già allora tra
le prime cause della violenza domestica, hanno fortemente contribuito,
trovando talvolta ostilità e diffidenza da parte maschile,
a dare piena cittadinanza nel movimento, accanto e insieme alle
rivendicazioni economiche, anche alla parità tra i generi
a partire proprio dal lavoro, dunque all'indipendenza materiale
e per via di questa all'autonomia di pensiero e di vita delle
donne, alla libertà di scelta dei propri comportamenti
e per il proprio corpo, al diritto all'aborto e a una maternità
desiderata e consapevole, contrastando a fondo il maschilismo
e il patriarcato come aspetti fondanti dello stesso autoritarismo.
Anche nell'ambito dell'anarchismo di lingua italiana, al contempo,
si muovevano in primo piano importanti, splendide figure di
intellettuali e militanti come Virgilia D'Andrea, Leda Rafanelli,
Giovanna Caleffi Berneri e Luce Fabbri. Ma tante, e centinaia,
il più delle volte operaie, furono le compagne meno note,
o a noi oggi del tutto sconosciute, che in quella prima metà
del secolo scorso animarono il movimento specifico nel loro
proprio contesto locale. Il rinnovato interesse per la storia
dell'anarchismo nella nostra penisola e lo scavo intorno alle
esistenze dei suoi protagonisti e protagoniste, con la pubblicazione
di alcuni fondamentali lavori di biografia sistematica di massa,
primo tra tutti il Dizionario biografico degli anarchici
italiani, ci hanno restituito memoria di una parte almeno
di queste compagne.
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Attilia Pizzorno, studentessa universitaria e militante anarchica
antiorganizzatrice |
Dal Casellario Politico Centrale
Vogliamo qui ricordare alcune delle figure di militanti libertarie
torinesi, nate o comunque vissute e attive in città,
che con il loro impegno maggiormente contribuirono al radicamento
del nostro pensiero egualitario e antiautoritario in primo luogo
tra le altre donne, a partire dalle compagne di lavoro, e quindi
all'interno del vasto proletariato urbano e di fabbrica del
capoluogo piemontese.
Se al sorgere dell'Internazionale e nella successiva fase di
tentativi cospirativi e insurrezionali l'attivismo nel movimento
torinese sembra essere esclusiva faccenda maschile, a partire
dal 1898 affiorano invece dai fascicoli del Casellario politico
centrale i profili di alcune compagne. Di Guglielma Bertocchi,
come di Carolina Pattono e Clotilde Peani, sarte,
o di Ester Ceria, cuoca, schedate come anarchiche, sappiamo
però ben poco oltre agli estremi anagrafici, anche perché
diverse di loro devono trasferirsi altrove in Italia o all'estero
lasciandoci ben poche tracce di sè.
Più nota è invece la coetanea Attilia Pizzorno,
giovane studentessa in Farmacia arrestata e condannata a Torino
nel 1906 per violenza e oltraggio a un commissario di Pubblica
sicurezza nel corso di una manifestazione a sostegno della prima
rivoluzione russa, che ritroveremo in seguito con il suo compagno
di vita Giovanni Gavilli animatrice tra Piemonte e Liguria della
corrente individualista antiorganizzatrice e del foglio «Gli
Scamiciati».
Nei documenti ufficiali compagne come Attilia, né madri
né mogli, vengono tratteggiate come antisociali e degeneri,
poco più che prostitute, mentre gli uomini che esse amano
e con cui liberamente scelgono di avere relazioni, a cui “si
accompagnano”, nel gergo questurinesco, non sono altro
che volgari “amanti”.
Ancora per l'età giolittiana e fino agli anni a ridosso
della Grande guerra ci sono note Camilla Argentier, maglierista,
Augusta Armand, pastaia, Caterina Chiapello, sarta,
Cristina Martinetto, tessitrice, Maria Pasquario,
operaia, ed Ernesta Scagliotti, casalinga, alcune delle
quali immigrate a Torino dalla provincia in cerca di lavoro
e con ogni probabilità aderenti o vicine al Fascio libertario
torinese sorto nel 1914.
Nell'agosto del 1917, in pieno conflitto mondiale, la massa
femminile, sostenuta dagli anarchici e dai socialisti rivoluzionari,
si rende protagonista dei forti moti cittadini per il pane e
la pace anticipando il Biennio rosso. In buon numero operaie
dell'industria manifatturiera leggera, specie tessile e del
tabacco, talvolta sindacalizzate, spesso spontaneamente mosse
da un impulso di giustizia e da un innato senso di solidarietà,
le donne del popolo sono l'anima e il corpo di quelle agitazioni
antibelliche e antimilitariste come ben presto in seguito, tra
il 1919 e il '22, saranno parte del movimento dei Consigli di
fabbrica e della prima opposizione al fascismo montante. Tra
queste lavoratrici è attiva allora una minoranza di militanti
sovversive, sindacaliste, anarchiche e socialiste, più
coscienti e politicizzate, capaci di influenzare e talvolta
organizzare le compagne. Le attiviste libertarie aderiscono
o gravitano intorno il più delle volte, in questo periodo,
all'Unione comunista anarchica piemontese, dal 1920 ribattezzata
Unione anarchica piemontese e federata all'Unione anarchica
italiana.
È proprio una giovane donna a dare il benvenuto a Torino
a Errico Malatesta il 29 dicembre 1919, al rientro dal suo lungo
esilio londinese seguito alla Settimana rossa del 1914, abbracciandolo
al suo arrivo alla stazione di Porta Nuova e donando fiori a
nome degli anarchici e dei lavoratori della città in
un tripudio di bandiere rosse e nere. È Caterina Piolatto,
operaia orlatrice ventenne e attivista del Circolo “Francisco
Ferrer” di Corso Vercelli 63 in Barriera di Milano, quartiere
industriale della periferia orientale del capoluogo. Caterina,
introdotta inizialmente negli ambienti libertari dal padre Carlo,
storico militante, si è formata nella Scuola Moderna
organizzata da quel circolo già nel decennio precedente
per promuovere cultura e socialità tra i lavoratori e
preparare i militanti all'agitazione. Qui le compagne partecipano,
oltre che ai corsi di cucito ritenuti più propriamente
donneschi, a lezioni di letteratura, di storia, di esperanto
e di teoria anarchica, ma anche a conferenze sull'igiene sociale
e del lavoro, sulla contraccezione e sul libero amore come alternativa
al matrimonio tradizionale sancito da Chiesa e Stato. Dalla
rubrica cittadina del quotidiano libertario «Umanità
Nova» sappiamo che una di loro, Emma Ferrero, venticinquenne
di professione scrivana, tiene presso la Scuola Moderna nell'autunno
del 1921 alcune “conferenze di coltura” intervenendo
sulla “Situazione generale della Russia” e su “La
civiltà orientale antica”. Più o meno giovani,
seppure minoranza di genere tra i circa trecento soci, le anarchiche
sono qui inoltre libere di svagarsi tra loro e coi compagni
nelle attività del coro e della filodrammatica, nei balli
e nei tanti momenti conviviali proposti da questa realtà
autogestita a metà strada tra una casa del popolo e un'università
popolare.
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Caterina Piolatto, operaia tessile, attivista del Circolo
Francisco Ferrer e fiancheggiatrice dei gruppi espropriatori
di De Luisi e Pollastro |
“Ha contegno arrogante”
Tornando alla Piolatto, legatasi sentimentalmente a Giuseppe
De Luisi, operaio metallurgico e commissario di reparto delle
officine Scat, militante dell'Unione sindacale italiana e del
Gruppo anarchico “Germinal” di Via Brindisi 19,
nel quartiere Valdocco, sappiamo che ella si unirà con
questi dal 1921 al gruppo di compagni, tra i quali Ilario Margarita
e Giuditta Zanella, che si ritrova presso il Caffè
della Torre di Piazza Emanuele Filiberto, oggi della Repubblica.
Segue dunque il suo compagno, col quale era stata coinvolta
in un sanguinoso scontro a fuoco con la forza pubblica, nella
latitanza e nella scelta della militanza illegalista ed espropriatrice
nella banda di Sante Pollastro. Arrestato e condannato De Luisi, “Rina”, riparata in Francia e poi amnistiata, avvierà
una nuova relazione con l'anarchico Luigi Peotta, componente
della stessa banda, scontando una condanna a tre anni di detenzione
per favoreggiamento e restando a lungo al centro delle cronache
giudiziarie de «La Stampa».
In un rapporto riservato della Prefettura di Alessandria, città
in cui si è nel frattempo trasferita, viene descritta
come «Carattere ribelle e prepotente (...). Ha contegno
arrogante al cospetto dell'Autorità, dando manifesti
segni di disprezzo. (...) È intelligente e discretamente
colta, amante della vita elegante nonché misteriosa.
Suole profferire frasi ironiche nei confronti degli ordinamenti
attuali dello Stato».
Schedata come attentatrice e ammonita, rientra a metà
degli anni Trenta a Torino dove si mantiene con il proprio lavoro
di sarta e presta soccorso ai suoi compagni ancora detenuti
progettandone l'evasione e raccogliendo e distribuendo le sovvenzioni
in denaro che giungono dai fuorusciti in Francia e dalla solidarietà
libertaria svizzera de «Il Risveglio» e statunitense
de «L'Adunata dei Refrattari». In pieno regime fascista
fa inoltre della sua abitazione di Corso Vercelli 92, condivisa
col fratello Francesco, uno dei recapiti torinesi per la corrispondenza
e la propaganda anarchica clandestina, adoperandosi nella diffusione
della stampa del movimento. Tradita da una spia, il suo impegno
intransigente e l'orgoglioso contegno di non sottomessa le costeranno
il confino nei primi anni Quaranta.
Anche nel caso di Caterina, come in quello di Attilia Pizzorno
e di non poche altre compagne, specie se non regolarmente sposate
e madri, le note biografiche ufficiali traboccano di pregiudizi
e allusioni maliziose tipiche della cultura dominante maschilista,
patriarcale e paternalistica di cui sono intrisi gli estensori,
sottolineando presunte inclinazioni al concubinaggio, al vagabondaggio
e a condotte di vita irregolari, devianti e violente e mirando
in ultima istanza a costruire un'immagine delle nostre militanti,
ai due estremi e spesso al contempo, come donne lascive e di
facili costumi o come non-donne mascoline esclusivamente dedite
alla lotta.
Altra giovanissima militante, amica e compagna della Piolatto,
è la già citata Giuditta Zanella, anch'essa operaia
della manifattura tessile e agitatrice di fabbrica. Legata a
Ilario Margarita, muratore anarchico e dirigente dell'Usi, è
nota alla Questura in quanto «Frequenta assiduamente i
compagni di fede (…). Gode di una certa influenza (…).
Fa attiva propaganda tra la classe operaia femminile, con profitto.
(…) Ha sempre preso parte a manifestazioni sovversive
e fu più volte arrestata pel suo carattere ribelle».
Attiva nelle lotte della stagione consiliarista, nel 1920 collabora
con «Cronaca Sovversiva», settimanale di tendenza
antiorganizzatrice riattivato a Torino da Luigi Galleani e Raffaele
Schiavina dopo la loro espulsione dagli Stati Uniti. Implicata
due anni più tardi nelle indagini contro la Piolatto
e De Luisi, ricercata per complicità e favoreggiamento,
riesce a darsi alla macchia sfuggendo alle maglie della repressione.
La ritroveremo negli anni successivi, sempre insieme a “Barricata”
Margarita, a Cuba, negli Stati Uniti e in Spagna nella Colonna “Durruti”.
A partire dallo stesso 1920 l'anarchica Teresa Barattero
subentra al padre Giuseppe, storico militante del Fascio libertario
torinese, nella conduzione del chiosco comunale di rivendita
di giornali aperto in Corso Dante di fronte alla Fiat Centro,
cuore e motore delle occupazioni delle fabbriche e del movimento
operaio cittadino. Così strategicamente situata, l'edicola
rappresentava già dagli anni Dieci un importante centro
di collegamento cittadino e con il resto dell'Italia settentrionale
e la Svizzera per la propaganda e la corrispondenza, punto di
smistamento e diffusione clandestina di opuscoli e pubblicazioni
libertarie, tra cui gli importanti periodici «Il Risveglio»,
edito a Ginevra da Luigi Bertoni, e «Il Libertario»,
curato a La Spezia da Pasquale Binazzi e Zelmira Peroni.
Sotto il regime fascista Teresa continua e intensifica attraverso
la vecchia edicola paterna l'azione di contatto tra i gruppi
libertari clandestini a livello cittadino e con i compagni fuorusciti
del Circolo anarchico “Sacco e Vanzetti” di Lione,
in cui militano diversi operai torinesi in esilio tra i quali
il marito Giacinto Repossi. La rete anarchica cittadina di cospirazione
antifascista, della quale la Barattero è tra i nodi principali,
impegnata anche nell'espatrio dei militanti perseguitati verso
la Francia e la Spagna rivoluzionaria, verrà smantellata
solo nel corso degli anni Trenta con gravi condanne da parte
del Tribunale speciale.
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Giuditta Zanella, operaia tessile, propagandista anarchica
e collaboratrice di Cronaca Sovversiva, con il suo compagno
Ilario Margarita |
Edicolanti coraggiose
Ancora una edicolante, la simpatizzante libertaria Androvetto,
va ricordata per la fermezza mostrata di fronte alle nuove misure
del governo di Mussolini che a partire dal 1926, con l'entrata
in vigore delle famigerate Leggi speciali per la difesa dello
Stato, legano e imbavagliano definitivamente la libertà
di stampa e di espressione e dunque la possibilità di
qualsiasi forma legale di critica e opposizione al regime. Carte
di polizia conservate presso l'Archivio di Stato di Torino,
che purtroppo non ne riportano il nome di battesimo, ci restituiscono
un significativo episodio della sua vita. La Androvetto, che
gestisce col marito il chiosco municipale di rivendita di giornali
all'angolo tra Piazza Statuto e Corso Principe Eugenio, diffonde
ancora in quell'anno i periodici anarchici «Fede!»
e «Pensiero e Volontà», curati a Roma rispettivamente
da Gigi Damiani e da Errico Malatesta, già da tempo presi
pesantemente di mira dalle autorità e di frequente censurati
e sequestrati. Oggetto di un esposto, è accusata insieme
al coniuge di contegno ostile al governo.
Francesca Guasco, venditrice ambulante e fiancheggiatrice
del Gruppo anarchico di Barriera di Nizza, in cui milita il
marito Michele, già delegato della Fiom nel Consiglio
di fabbrica delle Officine Riv, licenziato per rappresaglia
politica dopo le occupazioni del Settembre 1920, è anch'essa
attiva negli anni Trenta nella propaganda libertaria clandestina,
specie tra le donne, nei mercati rionali cittadini e di alcuni
paesi del circondario. Presta inoltre con Michele copertura
e appoggio logistico agli antifascisti impegnati nella cospirazione
e ai perseguitati politici avviati Oltralpe e in Spagna, raccogliendo
e inviando sussidi in denaro ai compagni detenuti nelle carceri
del regime. Coinvolta insieme al marito nell'operazione di polizia
destinata a disarticolare la rete segreta del movimento liberalsocialista “Giustizia e Libertà”, organizzazione con
la quale i due collaborano, è arrestata e sottoposta
a diffida nel 1936, quindi condannata e inviata al confino per
due anni, restando in seguito sorvegliata fino alla caduta del
fascismo.
Nel medesimo periodo risulta schedata e iscritta nella rubrica
di frontiera anche la compagna Margherita Bruna, trentenne,
che «matura gli ideali libertari nell'ambiente operaio
torinese e nella famiglia», certamente influenzata dai
fratelli Ernesto e Guido e dal suo compagno Guido Polidori,
militanti anarchici e combattenti antifascisti.
Anche nel caso di Margherita non deve sorprenderci il fatto
che ad avvicinare e ad introdurre le giovani compagne nel movimento
siano spesso i loro padri, i fratelli o gli innamorati, essendo
all'epoca la sfera pubblica della partecipazione politica e
sindacale ancora quasi esclusivamente riservata ai maschi. Il
che, va sottolineato, non fa delle anarchiche delle semplici
appendici dei loro uomini, i quali hanno piuttosto una funzione
positiva di stimolo, di iniziazione e di condivisione della
militanza, essendo anzi esse ben in grado il più delle
volte di svolgere un proprio percorso politico cosciente e autonomo
insieme e alla pari con i compagni.
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Francesca Guasco, venditrice ambulante e sostenitrice del
Gruppo anarchico clandestino di Barriera di Milano |
Ancora al Ventennio risalgono le denunce contro le compagne
Angela Martini, artista di varietà, Regina
Olivero, casalinga, e Maria Girando, con la conseguente
apertura presso il Cpc di fascicoli a loro nome.
Non è affatto escluso che altre anarchiche fossero attive
clandestinamente in quegli anni sotto il fascismo e poi nella
Rsi, magari schedate come “comuniste”, come spesso
accadeva, o ancora nelle categorie generiche di “sovversive”
e “antifasciste”, il che ne renderebbe assai difficoltosa
l'individuazione e la corretta collocazione politica e dunque
storica.
Dal 1945, dopo la Liberazione della città cui gli anarchici
tanto hanno contribuito, presso la sede della Federazione comunista
libertaria, poi Federazione anarchica piemontese, in Corso Principe
Oddone 22, è attivo il Gruppo femminile libertario “Virgilia
D'Andrea”, intitolato all'amatissima poetessa e segretaria
nazionale dell'Usi morta esule antifascista negli Stati Uniti
e animato tra le altre da Tina Demi, giovane vedova di
Ilio Baroni, operaio anarchico, organizzatore sindacale clandestino
alle Ferriere Fiat e comandante partigiano della VII Brigata
Sap caduto nell'insurrezione contro i nazisti, anch'essa come
il marito immigrata da Piombino. Ne abbiamo notizia dalle pagine
del periodico «Era Nuova», voce dei comunisti libertari
diffusa a Torino fino al 1950.
E come non ricordare, infine, Adele Gaviglio, compagna
di vita di Luigi Assandri, operaio autodidatta e propugnatore
della riattivazione dell'Usi, con questi importante punto di
riferimento umano e politico per il nostro movimento nella lunga
stagione del Sessantotto e coinvolta nella intensissima opera
di autoproduzione editoriale che aveva base nella loro casa
di Via Revel 5, sempre presenti in ogni iniziativa e manifestazione
con la diffusione dei loro opuscoli e con la propaganda orale
specie tra i giovani.
Si tratta, a ben vedere, solo di alcune delle figure di anarchiche
torinesi le cui vicende sono relativamente meno ignote. Altre
ve ne furono, come ve ne sono ancora oggi nelle varie anime
del nostro vivace movimento cittadino. Ancora resta da scavare
intorno ai loro nomi, alle loro esistenze e al loro impegno
da protagoniste nella battaglia per l'emancipazione delle donne
e delle lavoratrici che trova la sua espressione e sintesi più
coerente e radicale nell'idea e nella pratica libertaria.
Paolo Papini
Fonti
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centrale dello Stato, Casellario politico centrale, Roma,
ad nomen
Archivio di Stato di Torino, fascicolo “Prefettura
di Torino, Gabinetto, 1926”
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ricordi di Maurizio Garino, Zero in condotta, Milano,
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La Fiaccola, Ragusa, 2002
Per
la toponomastica si sono consultate e confrontate le Guide
Paravia e le carte stradali conservate presso l’Archivio
storico della Città di Torino. I numeri civici
indicati sono quelli riportati dalle fonti.
I documenti fotografici sono tratti da Archivio centrale
dello Stato, Casellario politico centrale, buste 2563
“Guasco Francesca”, 3989 “Piolatto Caterina”,
4031 “Pizzorno Attilia” (Aut. 1365/2016) e
da Giulietti Fabrizio, Dizionario biografico degli
anarchici piemontesi, Galzerano, Casalvelino Scalo,
2013.
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