Rivista Anarchica Online


Europa

Il fallimento di un progetto

di Carlotta Pedrazzini e Nicholas Tomeo


Si dice che l'Europa debba tornare alle origini. Ma quando gli ideali, considerati principali e fondanti, di cooperazione, solidarietà ed emancipazione sono stati applicati?
Intanto il militarismo prende sempre più piede.


Il significato di un'unione

di Carlotta Pedrazzini

Molti obiettivi posti dall'Unione Europea non sono stati raggiunti. C'è chi parla di un temporaneo allontanamento dai principi fondamentali di solidarietà e cooperazione. Ma nel progetto europeo, queste idee sono mai state presenti?

L'invocazione di un esercito comune a difesa dei confini, un accresciuto sentire bellicista, i discorsi martellanti sulla sicurezza, la questione migratoria, l'acuirsi di sentimenti nazionalisti. E poi la crisi economica e sociale, i dissidi tra paesi membri, Grexit, Brexit, l'euroscetticismo, gli attacchi ai sistemi di welfare, l'ipotesi di una chiusura delle frontiere interne.
Gli elementi appena citati sono stati riconosciuti come sintomi di un malessere generale dell'Unione Europea, derive intraprese che allontanano sempre più i paesi membri dall'originario progetto di unione siglato qualche anno fa. Un progetto che fa ufficialmente riferimento agli ideali presenti nel Manifesto di Ventotene, redatto dagli antifascisti Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Coloni e Ursula Hirschman durante l'esilio politico sull'isola-carcere del Tirreno, da cui il documento prende il nome.
L'Europa da loro immaginata era contraddistinta da uguaglianza, pace, solidarietà e condivisione; ma l'Europa che ha preso vita dopo accordi e trattati internazionali sembra essere qualcosa di diverso.
Attualmente le cose non vanno molto bene per l'Unione Europea. Sono i dati a dirci che alcuni tra gli obiettivi prefissati non sono stati raggiunti. Dai discorsi di alcuni leader europei emerge che i fallimenti politici e socio-economici sarebbero da imputare ad un allontanamento dai principi fondanti, ispirati al Manifesto di Ventotene. E se invece si stesse progressivamente svelando la vera natura capitalistico-finanziaria del progetto europeo, che niente ha a che vedere con quei principi a cui i burocrati europei fanno sempre riferimento?

I fallimenti in pillole

Nel Trattato che adotta la costituzione europea (redatto nel 2003 e mai ratificato) troviamo l'elenco degli obiettivi che dovrebbero conferire un senso alle azioni dell'Unione Europea (elenco poi confluito all'interno del Trattato di Lisbona) e che sarebbero la cartina al tornasole di tutte le azioni intraprese dagli stati organizzatisi in Unione. In questo elenco troviamo, tra gli altri, l'eliminazione della povertà, la tutela dei diritti umani, la pace, la solidarietà e il rispetto tra i popoli.
Ora proviamo a passarne velocemente alcuni in rassegna. Per quanto riguarda l'eradicazione della povertà, le statistiche riportano un triste fallimento. Secondo l'ultimo rapporto Eurostat, un europeo su quattro sarebbe a rischio povertà ed esclusione sociale. Si tratta di 122 milioni di cittadini, il 24,4% della popolazione degli stati membri dell'UE.
Proprio a causa di una situazione socio-economica molto critica, l'Unione Europea ha varato nel 2010 un piano decennale (Europa 2020) volto a incrementare crescita e occupazione, con il fine di diminuire di almeno 20 milioni il numero degli europei che rischiano una vita di ristrettezza materiale, limitatezza di risorse e di emarginazione sociale. I dati del 2015, anno intermedio, non hanno però riscontrato grandi miglioramenti. E lo scetticismo sulla possibilità di raggiungere l'obiettivo ha iniziato a farsi sentire.
Cosa dire invece sulla tutela dei diritti umani, altro grande obiettivo fondante dell'Unione Europea? Per capire se davvero la salvaguardia dei diritti e della dignità sia una priorità per i paesi membri dell'UE, possiamo dare uno sguardo alla recente emergenza migratoria.
Le posizioni adottate e le misure intraprese per far fronte alla disperata situazione di rifugiati e migranti non sono esattamente in linea con l'attestazione della tutela dei diritti umani. L'intera questione è stata affrontata perlopiù in termini numerici; si parla di quote di migranti da accogliere (con relativi litigi tra stati), influenze sul PIL o sul tasso di natalità, si dibatte sul denaro da corrispondere alla Turchia per togliere all'Europa l'onere della gestione della peggior crisi migratoria dalla seconda guerra mondiale.
Così mentre nei palazzi si discuteva di numeri, in mare morivano (e continuano a morire) decine di migliaia di persone a causa dell'assenza di un corridoio umanitario; si erigevano muri, si poneva il filo spinato, si utilizzava la forza per impedire l'attraversamento dei confini.
Nelle scorse settimane l'Europol (Ufficio di polizia europeo) ha dichiarato che sono 10mila i migranti minorenni non accompagnati di cui si sono perse le tracce sul suolo europeo. Sul confine greco-macedone, la situazione è sempre più critica e in zone di frontiera come Calais e Ventimiglia si sono recentemente verificati sgomberi degli accampamenti di migranti da parte delle forze di polizia. Anche in questo caso sono i fatti, più dei discorsi, a darci l'idea della cifra dell'impegno per la tutela dei diritti umani.
In quello che sembra un coacervo di traguardi mancati, c'è un obiettivo di cui l'UE fa grande sfoggio e che gli è valso anche l'assegnazione di un premio Nobel: quello della pace interna. Ultimamente, però, anche sul fronte dei rapporti pacifici, della solidarietà e del rispetto tra i popoli, qualcosa sta iniziando a scricchiolare.

Eppure il nazionalismo...

Nonostante i 60 anni di assenza di conflitti, nell'ultimo periodo i rapporti tra gli stati membri hanno iniziato a farsi sempre più tesi. Diversi interessi economici, diversi interessi internazionali, ma anche malcontento per il modo in cui la crisi economica è stata gestita e scontri sulla questione dell'emergenza migranti; fattori che si sono sommati ad una vecchia insoddisfazione per il grado di democraticità dei meccanismi interni all'EU. Sono aumentate tra i paesi membri le spinte euroscettiche e centrifughe; il nazionalismo, poi, è montante e le destre hanno registrato una crescita generale.
Questo ritorno di fiamma del nazionalismo potrebbe sembrare anacronistico, vista la lunga esperienza di unione tra paesi. Eppure, a pensarci bene, il fenomeno non sembra così strano. Non si è creato un sentire comune durante i lunghi processi di formazione dell'UE, così i paesi membri si sono trovati ad avere al loro interno sentimenti nazionalisti mai depotenziati. La creazione di un mercato unico per dare spazio ad un neoliberismo senza freni è stata preferita fin da subito ad una visione internazionalista di comunità, in cui solidarietà e cooperazione tra i popoli fossero elementi fondanti.
Guardando ai trattati e agli accordi che hanno segnato la storia dell'Europa si percepisce il ruolo di primo piano della sfera economico-finanziaria rispetto a quella sociale. È così che la creazione di un'area di libero scambio e la facilità di circolazione delle merci è passata davanti alla libera circolazione delle persone e ad un comune sistema di welfare, per esempio.
C'è chi a fronte degli odierni fallimenti dell'Unione Europea fa appello ad un ritorno alle origini, denunciando un allontanamento del progetto dai principi che hanno portato alla sua fondazione. Ma di quali origini si parla? L'Europa liberale dei burocrati ha mai voluto essere qualcosa di diverso da ciò che è ora? Si è mai voluto implementare un sistema caratterizzato da solidarietà, cooperazione, autonomia, internazionalismo, come proposto dagli antifascisti di Ventotene? O è sempre stata una questione economico-finanziaria tra élite? Perché, in questo caso, avanzare lamentele riguardo agli obiettivi mancati dell'UE sarebbe un esercizio assolutamente inutile; sul fronte dell'emancipazione sociale e della tutela dei diritti non ci saranno cambiamenti.

Carlotta Pedrazzini



Fortezza Europa: una brutta storia

di Nicholas Tomeo

Fin dalle sue origini, l'Unione Europea ha sempre avuto obiettivi economici, finanziari e securitari. La sua storia smentisce la possibilità di un ritorno ad un'Europa dei diritti, della quale nel passato non si hanno tracce.

Attraverso questa breve analisi, certamente non esauriente ai fini di una completa conoscenza della materia, cercheremo di tracciare le tappe fondamentali che hanno costruito, nel corso degli anni, l'Europa militare, la fortezza Europa. Un percorso lungo, frastagliato, spesso confusionario, fatto di accordi, patti, Trattati, alleanze, dove gli interessi economici, finanziari e produttivi hanno sempre giocato un ruolo importante in cui la sicurezza e la militarizzazione dei territori l'ha fatta da padrona.
La volontà di costruire un'Europa militare di difesa comune trova le sue prime tracce già nel 1948 quando con l'approvazione del Trattato di Bruxelles, Regno Unito, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Belgio danno vita ad un patto di autodifesa reciproca in caso di aggressione esterna. Questa prima forma di sostegno militare in Europa, nel 1954 porta agli Accordi di Parigi attraverso i quali modificando il precedente Trattato di Bruxelles, i cinque Stati aderenti al patto di autodifesa, ai quali si aggiungono Italia e Repubblica Federale Tedesca a seguito della dissoluzione della prima sperimentale forma di esercito europeo, ovvero la Comunità Europea di Difesa (CED) del 1952, istituiscono l'Unione Europea Occidentale (UEO), un'organizzazione intergovernativa per promuovere la cooperazione politica tra gli Stati europei in campo della difesa. Non va dimenticato che nel 1949, con il Patto Atlantico, alcuni Stati europei occidentali e gli Stati Uniti, decretano la nascita della NATO a cui vengono affidati i compiti di difesa in caso di aggressione militare. Questo è il motivo principale per cui il ruolo dell'UEO, in realtà, resta sostanzialmente marginale per lungo tempo essendo affidato alla NATO il ruolo di intervento militare a difesa degli Stati aderenti all'Alleanza Atlantica.

Sempre riferendosi alla NATO

Nel frattempo, nel 1951, con la ratifica del Trattato di Parigi viene istituita la Comunità Economica del Carbone e dell'Acciaio (CECA), ossia un accordo sull'approvvigionamento e la gestione di due risorse, quali appunto il carbone e l'acciaio, fondamentali per l'industria bellica e quindi la produzione di armi. Così, allo stesso modo, nel 1957, a Roma, vengono ratificati i Trattati che istituiscono l'EURATOM, ossia la Comunità Europea dell'Energia Atomica, e la Comunità Economica Europea (CEE). Se questi accordi vengono interpretati anche alla luce della creazione dell'Agenzia per il Controllo degli Armamenti – come prevedeva l'art. 8 del Trattato di Bruxelles – l'importanza degli accordi economici ed energetici, sono certamente arricchiti da quel sottostrato strategico politico-militare di cui effettivamente erano portatori.
Come prima anticipato, l'attività dell'UEO resta per molto tempo quasi irrilevante data la centralità riconosciuta alla NATO; e solo nel 1984, con la Dichiarazione di Roma, al fine di rafforzare la sicurezza interna e quella che è testualmente definita identità europea di difesa, all'UEO viene riconosciuta da parte degli Stati membri la possibilità di avere un peso maggiore all'interno dell'Alleanza Atlantica, anche se la NATO non cessa mai di essere l'organizzazione militare di riferimento.
Le politiche militari e di difesa dell'Unione Europea, rappresentano il quadro di riferimento della Politica Estera di Difesa Comune (PSDC) istituzionalizzata con il Trattato di Lisbona del 2009, che è a sua volta parte integrante della Politica Europea di Sicurezza Comune (PESC) la quale affonda le proprie radici negli anni ‘70 – precisamente con l'approvazione del Consiglio europeo del Rapporto Davignon nel Vertice di Lussembrugo del 1970 – quando la trasformazione delle dinamiche geopolitiche europee e mondiali, dovuta a quel periodo che gli storici definiscono corsa agli armamenti, dove le grandi potenze mondiali determinano l'evolversi delle politiche statali e istituzionali attraverso la minaccia armata, gli Stati membri europei iniziano a pensare a una vera istituzionalizzazione delle politiche di difesa a gestione comune.

Ma un esercito europeo non esiste (ancora)

È però passato oltre un quindicennio prima che l'allora Cooperazione Politica Europea (CPE), ora appunto PESC, viene ufficialmente istituzionalizzata con l'Atto Unico Europeo (AUE) del 1986 volto da un lato alla realizzazione del Mercato Europeo Comune (MEC) – anche conosciuto come mercato unico – per la libera circolazione delle merci, servizi, persone e capitali, il quale è stato uno dei princìpi ispiratori dei Trattati di Roma del 1957, e dall'altro alla realizzazione della cooperazione europea in materia di politica estera. L'approvazione dell'AUE, nonostante in questo manchi una disciplina specifica da un punto di vista prettamente militare, rappresenta comunque un momento cruciale per quella che oggi viene definita fortezza Europa, ossia un'istituzione che si regge su interessi economico-finanziari da salvaguardare attraverso gli strumenti della sicurezza e dell'azione esterna.
Ad ogni modo, è pacifico ritenere che il vero punto di svolta lo si ha nel 1992, quando con l'approvazione del Trattato di Maastricht, o Trattato sull'Unione Europea (TUE), viene istituita l'Unione Europea. Con il TUE, da un lato si completa il processo di instaurazione dell'Unione Economica Monetaria soprattutto attraverso la libera circolazione dei capitali, l'istituzione della moneta unica e del Sistema europeo delle banche centrali statali guidate dalla BCE; dall'altro la PESC viene regolamentata come settore specifico delle politiche europee. Per quel che riguarda quest'ultimo aspetto, l'UE con il TUE rilancia il ruolo centrale nella politica di difesa dell'UEO alla quale, inoltre, le istituzioni europee chiedono di elaborare e di porre in essere le decisioni e le azioni dell'UE aventi implicazioni nel settore della difesa; cosa che avviene solo pochi mesi dopo con l'elaborazione delle cosiddette Missioni di Petersberg – poi inserite nel Trattato di Amsterdam del 1997 e con esso istituzionalizzate – attraverso cui gli Stati aderenti all'UEO dichiarano di mettere a disposizioni dell'organizzazione e della NATO le loro unità e risorse militari. A tal fine, ossia per ottemperare alle Missioni di Petersberg, nel 1999, il Consiglio europeo adotta l'Helsinki Headline Goal con le quali decide che gli Stati membri dell'UE si sarebbero dotati entro il 2003 di una forza armata unica capace di schierarsi entro sessanta giorni dalla decisione politica, composta da 50-60.000 militari, in grado di portare avanti la missione almeno per un anno.
Da ciò prende vita quella che oggi conosciamo come Forza di Reazione Rapida: un esercito militare multilaterale, o meglio un dispiegamento di persone e mezzi militari navali, terrestri e aerei non permanente, ma di intervento tempestivo su richiesta, che vengono messi a disposizione da parte degli Stati membri. Sulla scorta della Strategia Europea in materia di sicurezza del dicembre del 2003 – un documento intitolato Un'Europa sicura in un mondo migliore approvato dal Consiglio europeo – nel 2004 vengono approvate le nuove Headlines Goal 2010 con le quali è stato ampliato il raggio d'azione delle Missioni di Petersberg. La maggiore innovazione dal punto di vista militare è stata la creazione dei Battlegroups, ossia gruppi di intervento composti da 1.500 militari, i quali possono garantire un intervento nel giro di dieci giorni, per la durata della missione di non più di centoventi giorni complessivi, così da supportare nella fase iniziale la Forza di Reazione Rapida di cui sono parte.
Intanto, con il Consiglio UEO di Marsiglia del 2001, vengono trasferite all'UE le competenze necessarie per l'attuazione delle Missioni di Petersberg, mentre in capo all'UEO restano solo alcune funzioni residuali; inizia così il processo di trasferimento di tutte le competenze per le politiche di difesa all'UE dall'UEO e lo smantellamento di quest'ultima, cosa che avvenne nel 2011.
Ad oggi non esiste un esercito specificamente dell'UE, nonostante il sistema militare europeo risulti una vera e propria realtà attiva. Infatti, nel corso degli anni, come abbiamo visto, si sono succeduti molti trattati che sono andati a regolamentare il campo della difesa e della militarizzazione dei territori europei (e non solo europei), anche attraverso l'istituzione di strutture e Agenzie permanenti competenti nella gestione della PSDC.
Attualmente l'azione esterna dell'UE si dispiega in ben diciassette operazioni, per un dispiegamento di militari che va dall'Asia all'Africa, passando per il Medio Oriente e il Mediterraneo. A capo di tutta la macchina operativa della politica di difesa dell'UE c'è l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza che, attualmente, è Federica Mogherini, la stessa che quando ricopriva il ruolo di parlamentare e di Ministro per gli affari esteri del governo Renzi, ha aderito al gruppo dei Parlamentari per la Pace.

Barriere non solo giuridiche, ma anche materiali

La storia europea, dalla sua nascita, sconfessa le parole di quanti affermano di volere un ritorno all'Europa dei diritti. Infatti, anche da queste breve analisi, si capisce come sin dalle sue origini, l'UE ha sempre inquadrato la necessità dell'attuazione delle sue politiche sotto una dimensione economico-finanziario-securitaria. L'Europa esporta guerra e fa guerra, e gli scenari attuali confermano questa tendenza anche attraverso l'innalzamento di barriere non solo giuridiche, ma anche materiali.
Nel corso degli anni, da un lato si è assistito all'abbattimento delle frontiere interne principalmente per la circolazione dei profitti, degli interessi economici e della finanza; dall'altro la sfera protezionistica ha permesso la creazione di un sistema militare tecnologicamente altamente specializzato.

Nicholas Tomeo