Costruire l'identità
“Lo sguardo è diventato il senso
egemonico della modernità; vediamo sempre più
il mondo attraverso degli schermi: televisione, video, schermo
del computer. Si può introdurre a questo proposito il
concetto di “villaggio globale”, definito in questi
termini da Mech Luhan. Il “villaggio globale” consiste
nella capacità di riprendere le forme di comunicazione
faccia a faccia tipiche delle interazioni di villaggio e estenderle
grazie alla tecnologia a livello globale disconnettendo il luogo
fisico della comunicazione dal luogo sociale dell'interazione”
Franco La Cecla
La società attuale rivolge sempre maggiore attenzione al corpo, in
senso fisico ed estetico, alla sua immagine e alle diverse rappresentazioni
della corporeità. La realtà mediatica dell'immagine,
nella quale siamo immersi quotidianamente è una vera
e propria pornografia della foto. Le immagini sono continuamente
riprodotte sui nostri pc, tablet, smartphone, che contribuiscono
ad enfatizzare questo fenomeno fino a rendere il corpo un'icona
prevalente che si impone, in maniera assolutamente preponderante,
su tutte le altre caratteristiche psicologiche e di personalità
del soggetto a cui tale immagine viene fatta riferire.
Non è una novità che l'identità di un soggetto
si rifirisca anche alla sua immagine, è sempre stato
così, ma è interessante riflettere sull'impatto
che tecnologia e new media hanno su questa creazione identitaria,
ai miei occhi stiamo parlando di un grande cambiamento contemporaneo.
All'interno degli ambienti virtuali l'identità si è
sganciata dalla corporeità e si sta andando sempre più
verso “un'identità virtuale e simbolica”
priva di agganci fisici. Se ci pensiamo bene mettiamo online
delle nostre foto ma che tipologia di immagine postiamo? Cosa
twittiamo? Che video pubblichiamo? Una foto, ma scegliamo noi
quale e lo facciamo con molta cura, perché è importante
costruire un sé nel mondo virtuale che molto spesso non
corrisponde al sé del mondo reale.
Ormai non è più una novità affermare che
in rete le persone vivono rapporti interpersonali in assenza
del corpo e in mancanza di un riconoscimento attraverso identità
realmente vivibili e visibili, se ci pensiamo però solo
venti anni fa questo era impossibile per la maggior parte delle
persone. La separazione tra ideale e reale si sta facendo sempre
più grande.
Le relazioni mediate dalla dimensione del virtuale possono creare
un rapporto instabile tra corpo, identità, consapevolezza
del sé e autostima. L'esperienza del reale, l'esperienza
dei corpi si allontana sempre di più. Tanto che una frase
tipica potrebbe essere: “Alla fine era meglio non vedersi,
online era tutto più semplice e bello”.
La maggior parte degli umani nati e cresciuti in un epoca dove
la realtà virtuale formava una piccola parte di noi stessi
è destinata a sparire; i rapporti nel nostro passato
si sono sempre o quasi fondati sul saper-fare e sul saper-essere,
ora le cose stanno cambiando sensibilmente e soprattutto molto
velocemente. La maggior parte dei nuovi adolescenti occidentali
delega alla mediazione visuale anche il primo bacio, sempre
più spesso. ll primo incontro amoroso avviene solo dopo
aver chattato, guardato post e foto. Ma non basta; quel primo
bacio quando poi avverrà realmente, quando i corpi finalmente
si incontreranno, verrà fotografato (momento ancora più
importante che il bacio stesso) e subito postato e diffuso.
Sono convinto che anche in questo caso l'antropologia possa
essere utilizzata come strumento per cercare di capire meglio
i cambiamenti, ciò non significa porsi solo criticamente,
ma cercare di approfondire la ricerca sull'esperienza virtuale
per poter meglio comprendere questo mondo.
Concludo citando “Ippolita” che da più di
dieci anni, in modo del tutto interdisciplinare e non accademico,
sta affrontando molto seriamente la questione.
“Nell'acquario di Facebook siamo tutti seguaci della Trasparenza
Radicale: un insieme di pratiche narcisistiche e pornografia
emotiva. Ci siamo sottoposti in maniera volontaria a un immenso
esperimento sociale, economico, culturale e tecnico, il cambiamento
in atto” (http://www.ippolita.net/libro/nellacquario-di-facebook).
Andrea Staid
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