antifascismo
Le nostre ragioni contro il fascismo
scritti di Errico Malatesta a cura di Davide Turcato
Errico Malatesta visse gli ultimi dieci anni della sua vita sotto il fascismo, di fatto ai domiciliari, controllato strettamente dalle forze dell'ordine.
Da questo osservatorio limitato ma tutto dentro alla realtà quotidiana, scrisse in quegli anni pagine di grande profondità. A Davide Turcato, curatore delle Opere Complete di Errico Malatesta, abbiamo chiesto di indicarci tre articoli per lui significativi.
Quel connubio di coerenza
e pragmatismo
di Davide Turcato
Quando il fascismo salì al potere, Errico Malatesta volle
rimanere in Italia: “mi rifiuto” scriveva “di
lasciare il posto, di vigilanza oggi e di lotta domani, che
le circostanze mi assegnano.” Continuò a esprimere
le sue idee in condizioni sempre più difficili, fino
a che il regime gli impedì del tutto di far sentire la
sua voce in Italia, costringendolo ad uno stato non dichiarato
di arresti domiciliari, che durò fino alla sua morte,
nel 1932.
Riproduciamo di seguito tre articoli in cui Malatesta esprime
la sua opinione sul fascismo, pubblicati rispettivamente nove
mesi prima della marcia su Roma nel quotidiano da lui diretto,
Umanità Nova, nel febbraio 1923 in Libero Accordo
e nell'ottobre 1924 nella sua rivista Pensiero e Volontà.
In questi articoli, pur rimarcando l'inaudita brutalità
del fascismo, Malatesta tende a sottolineare la continuità
fra il regime mussoliniano e i precedenti, evidenziando, da
una parte, come il fascismo metta a nudo l'essenza del potere
e, dall'altra, come esso non poggi tanto sul manganello dei
pochi quanto sul servilismo dei molti. Nel presentare il fascismo
non tanto come aberrante eccezione quanto come frutto di atteggiamenti
diffusi e “normali,” Malatesta ci avverte come la
sostanza del fascismo possa ripresentarsi sotto altre spoglie,
magari meno eclatanti ma non meno oppressive.
Nel sottolineare poi la continuità tra regimi, Malatesta
non sottovaluta le loro differenze e il valore delle libertà
di parola, di stampa, di riunione, di associazione, ma allo
stesso tempo non cade nella trappola delle argomentazioni fondate
sul “male minore,” la madre di tutti i revisionismi
anarchici. Egli riafferma invece un principio tanto semplice
quanto eternamente frainteso: anche quando si lotta per conquiste
parziali e limitate, anche quando socialismo e anarchia non
sono obiettivi raggiungibili nell'immediato, si deve lottare
da anarchici, cioè tramite l'azione diretta contro ogni
oppressione e sfruttamento. In altre parole, egli riafferma
il principio della coerenza fra mezzi e fini, non per una forma
di purismo, come vorrebbe il cliché dei critici che non
comprendono l'anarchismo, ma per una forma di pragmatismo: non
esiste la prospettiva di lottare temporaneamente per il male
minore, per poi riprendere successivamente la lotta per l'anarchia.
Poiché al peggio non c'è limite, in ogni tempo
e luogo ci sarà sempre un male minore per il quale dover
lottare. Una volta imboccata la strada del male minore, non
si può che continuare a seguirla, abbandonando così
l'anarchismo a tempo indeterminato.
Alla base di questo principio d'azione c'è il volontarismo
di Malatesta, cioè l'assunto che la società va
nella direzione in cui la spinge l'azione intenzionale degli
uomini. Gli anarchici sono solo una delle componenti che agiscono
sulla società. Anche quando essi sono troppo pochi perché
l'anarchia possa realizzarsi, è solo spingendo il più
possibile in direzione dell'anarchia che essi contribuiranno
a realizzare quanto più di libertà e uguaglianza
è possibile nelle condizioni attuali.
In breve, nell'atteggiamento di Malatesta verso il fascismo
ritroviamo ancora una volta quel connubio di coerenza e pragmatismo
e quella saldezza teorica di chi non perde la bussola anche
nelle circostanze più drammatiche, che fanno del suo
pensiero e della sua azione un insegnamento così prezioso
per il movimento anarchico.
Davide Turcato
Anarchici,
a voi!
di Errico Malatesta
Abbiamo il tavolo coperto di articoli, lettere, ordini del giorno,
proteste verbali di tutte le specie contro l'imperversare del
Fascismo - ed abbiamo pure delle lettere canzonatorie di fascisti
i quali ci rimproverano perché... ci lasciamo bastonare.
E finora sono i fascisti che hanno ragione.
La strage continua, si estende, si intensifica e, meno rare
eccezioni, il proletariato, le organizzazioni economiche, i
partiti politici, i rivoluzionarii isolati od organizzati non
sanno opporre che vane parole.
V'è chi spera nel Governo, il quale dovrebbe imporre
il rispetto della legge e garentire a tutti una libertà
eguale – mentre è sempre più evidente che
il Governo, il quale favorì il sorgere e lo svilupparsi
del Fascismo per la difesa propria e della borghesia, continua
a proteggerlo, e non lo sopprimerà di voglia sua se non
il giorno in cui non ne avrà più bisogno, cioè
quando crederà di potere colle sole forze ufficiali tenere
a freno i lavoratori ed obbligarli a subire tutte le condizioni
che ai padroni piacerà d'imporre. Salvo che la resistenza
popolare non diventi effettiva e tale da far temere che insieme
al Fascismo abbia da cadere anche il regime che appoggia e su
cui s'appoggia il Fascismo.
Altri spera nell'opera dei partiti cosiddetti d'avanguardia
e delle grandi organizzazioni operaie, ed aspetta le disposizioni
e gli ordini dei dirigenti - e non vede che questi ordini i
dirigenti non li danno e non li daranno mai, sia perché
temono le responsabilità, sia perché essendo uomini
di governo ed avendo speranza di andare presto al governo non
intendono valorizzare le forze popolari e l'azione diretta delle
masse.
È tempo, gran tempo, di farla finita!
Noi facciamo appello a tutti gli uomini di buona volontà,
a tutti gli uomini di coraggio, a tutti quelli che non intendono
accettare supinamente la nuova schiavitù, perché
s'intendano, così come possono, al di fuori ed al di
sopra dei partiti costituiti e delle organizzazioni ufficiali,
e rispondano immediatamente, in tutti i modi possibili, ad ogni
attacco fascista, senza aspettare gli ordini di chicchessia.
Il governo, per facilitare l'opera fascista ha preventivamente
disarmato i lavoratori il più che ha potuto, e perciò
può essere difficile in molti luoghi opporre alla violenza
sanguinaria dei fascisti una adeguata resistenza armata. Si
faccia in tutti i modi quel che si può.
Ma ai lavoratori resta sempre la potenza del lavoro. Senza il
loro lavoro non vi è vita possibile.
Ad ogni attentato fascista si rifiutino di lavorare, ma non
per un giorno solo, quale segno platonico di protesta. Si rifiutino
di lavorare a tempo indeterminato, collo scopo di rendere impossibile
la vita sociale. Ne verrà quello che ne potrà
venire.
E gli anarchici provvedano perché ogni movimento si allunghi
e si allarghi.
All'opera e subito!
Errico Malatesta
Originariamente apparso senza firma su Umanità
Nova, n. 23 (27 gennaio 1922), ristampato in Scritti,
vol. 1, p. 319-32
Per
la prossima riscossa
di Errico Malatesta
Sono questi tempi tristi per noi.
Il lavoro nostro di tanti anni sembra distrutto. Tanti nostri
compagni languono nelle carceri e nelle galere, o vagano sconsolati
per le terre d'esilio; noi tutti siamo ridotti quasi all'impotenza
completa.
Siamo dei vinti.
Ma non abbiamo l'animo dei vinti. Fervida è sempre in
noi la fede, forte la volontà, sicura la speranza della
ineluttabile riscossa.
Questa nostra sconfitta è una di quelle che hanno sempre
di tratto in tratto temporaneamente arrestato i lottatori per
l'elevazione umana sulla via faticosa del progresso. Non è
che un episodio di una lunga guerra.
Non v'è ragione per scoraggiarsi. V'è però
abbondante ragione per sentirsi profondamente addolorati.
Non è il trionfo transitorio del Fascismo che ci affligge
e ci meraviglia di più. Esso era cosa da noi preveduta
ed aspettata. Tre anni or sono, quando la rivoluzione si poteva
fare e non si volle da chi aveva i mezzi per farla, noi
andammo ripetendo alle masse in cento e cento comizii: Fate
la rivoluzione subito, o altrimenti un po' più tardi
i borghesi vi faranno scontare a lagrime di sangue la paura
che loro fate oggi. E sono state e sono ancora davvero lagrime
di sangue!
A coloro che ostacolavano e rimandavano ed impedivano, asserendo
che il tempo lavorava per noi e che più aspettavamo e
più facile sarebbe stata la vittoria, noi dicevamo che
vero era il contrario; che ogni dilazione ci nuoceva, che le
masse si sarebbero stancate dell'attesa, che l'entusiasmo si
sarebbe smorzato, e che intanto lo Stato avrebbe ritrovato se
stesso ed avrebbe apprestate le armi di offesa e di difesa.
Francesco Saverio Nitti, che gl'ingrati fascisti vituperano
a torto, già organizzava la Guardia Regia. Non fummo
ascoltati... e venne il Fascismo.
Ciò che fecero tutti i governi
Ora, secondo noi, ha poca importanza il danno politico ed economico
che il Fascismo ha apportato - e può anche essere un
bene in quanto mette a nudo, senza maschere ed ipocrisie, la
natura vera dello Stato e del dominio borghese.
Politicamente il Fascismo al potere, quantunque con forme bestialmente
brutali e modi risibilmente teatrali, non fa in fondo che quello
che han fatto sempre tutti i governi: proteggere le classi privilegiate
e creare nuovi privilegi per i suoi partigiani. Esso dimostra
anche ai più ciechi, che vorrebbero credere nelle armonie
sociali e nella missione moderatrice dello Stato, come l'origine
vera del potere politico ed il suo mezzo essenziale di vita
è la violenza brutale – « il santo manganello
». E così insegna agli oppressi quale è
la via per emanciparsi e non ricadere sotto oppressioni novelle:
impedire cioè che una classe, o un partito, o un uomo
possa imporre agli altri per forza la propria volontà.
Economicamente il Fascismo, salvo quei piccoli spostamenti di
ricchezza che servono a soddisfare gli appetiti dei suoi, non
cambia nulla alla situazione. Restando in vigore il regime capitalistico,
cioè il sistema della produzione fatta non per soddisfare
i bisogni di tutti ma per il profitto dei detentori del capitale,
doveva necessariamente venire, con o senza il Fascismo, la miseria
che è venuta e va giornalmente crescendo. Non è
possibile che un paese possa continuare lungamente a vivere
consumando più di quello che produce! Ed i lavoratori
impareranno che tutti i miglioramenti ch'essi in circostanze
eccezionalmente favorevoli possono conquistare, saranno sempre
cosa illusoria o effimera, fino a quando non avranno preso essi
stessi la direzione della produzione eliminando tutti i profittatori
del lavoro altrui.
Il male vero e grande che il Fascismo ha fatto, o ha svelato,
è la bassezza morale in cui si è caduti dopo la
guerra e la sovreccitazione rivoluzionaria degli ultimi anni.
È incredibile lo strazio che si è fatto della
libertà, della vita, della dignità di esseri umani
per opera di altri esseri umani. Ed è umiliante per chi
sente la comune umanità che lega insieme tutti gli uomini,
buoni e cattivi, il pensare che tutte le infamie commesse non
abbiamo prodotto nella folla un senso adeguato di ribellione,
di orrore, di disgusto. È umiliante per la natura umana
la possibilità di tanta ferocia e di tanta vigliaccheria.
È umiliante che degli uomini, i quali sono arrivati al
potere solo perché, privi di ogni scrupolo morale o intellettuale,
han saputo cogliere il buon momento per ricattare una borghesia
tremebonda, possano trovare il consenso, sia pure per una passeggera
aberrazione, di un numero di gente sufficiente per imporre a
tutto il paese la propria tirannia.
Perciò la riscossa che aspettiamo ed invochiamo deve
essere prima di tutto una riscossa morale: la rivalorizzazione
della libertà e della dignità umane. Deve essere
la condanna del Fascismo non solo come fatto politico ed economico,
ma anche e sopratutto come un fenomeno di criminalità,
come l'esplosione di un bubbone purulento che era andato formandosi
e maturando nel corpo ammalato dell'organismo sociale.
Si trovano anche fra i cosiddetti sovversivi, di quelli che
dicono che i fascisti ci hanno insegnato come bisogna fare,
e si propongono di imitare ed esacerbare i metodi loro.
Questo è il grande pericolo, il pericolo di domani; il
pericolo cioè che al Fascismo decaduto per dissoluzione
interna o per attacco esterno, abbia a seguire un altro periodo
di violenze insensate, di sterili vendette, che esaurirebbero
in piccoli episodii di sangue quell'energia che dovrebbe essere
impiegata per una trasformazione radicale degli ordinamenti
sociali tale da rendere impossibili gli orrori odierni.
I metodi fascisti possono forse esser buoni per chi aspira a
farsi tiranno: non lo sono certamente per chi vuol far opera
di liberatore, per chi vuole concorrere a rialzare tutti gli
essseri umani a dignità di uomini liberi e coscienti.
Noi restiamo, come fummo sempre, i partigiani della libertà,
di tutta la libertà.
Errico Malatesta
Originariamente apparso su Libero Accordo, suppl.
a n. 67 (febbraio 1923), ristampato in Scritti, vol.
2, p. 256-8.
«L'anello
Malatesta-Albertini»
di Errico Malatesta
Il risultato del Congresso di Livorno che suona opposizione,
sia pure timida e condizionata, al governo di Mussolini ha fatto
ripetere al Popolo d'Italia che «si è finalmente
concluso l'anello Malatesta-Albertini: dall'Anarchia allo Statuto
o viceversa». E questo supporre, che fa l'organo di Mussolini,
che vi possa essere un'alleanza, o anche solo una comunanza
di scopi tra l'Albertini, senatore del regno, suddito fedelissimo,
paladino dello Statuto e l'anarchico Errico Malatesta, questo
comprendere in un solo anello antifascista tutti i partiti,
dai più conservatori ai più rivoluzionarii, dimostra
che i fascisti stessi sentono quanto essi siano isolati nel
paese, quale sia il disgusto generale che hanno generato.
Ed infatti è chiaro che oramai in tutti i partiti, in
tutte le classi l'avversione al regime fascista è giunta
al culmine, e che esso non si regge più che colla forza
materiale dei suoi scherani, approvato e sostenuto solo da coloro
che sono ad esso strettamente legati da sordidi interessi e
da complicità di varia, ma sempre inconfessabile natura.
Però non bisogna confondere. Nell'interesse della verità
e della moralità, che è poi anche l'interesse
pratico della lotta che noi combattiamo, occorre ben rilevare
che, se l'immensa maggioranza del paese è avversa al
partito che ora detiene il potere, diversi ed opposti sono i
motivi e gli scopi delle varie opposizioni.
Noi abbiamo detto altra volta quale è la differenza che
facciamo tra i conservatori del genere Albertini ed i fascisti.
Quelli sono reazionari di razza, difensori coscienti ed intelligenti
dell'ordine borghese vigente, che non vogliono toccare, se non
per consolidarlo, ad un organismo statale tutto inteso alla
protezione dei privilegi sociali. Essi sono capaci di tutto,
dalle leggi liberticide fino alla violazione delle leggi che
essi stessi han fatto, dagli stati d'assedio fino ai massacri,
quando misure estreme sembrano loro necessarie per contrastare
le rivendicazioni degli oppressi; ma son dotati del senso del
limite, che li fa alieni da certi eccessi che riescono dannosi
alla causa loro. Abituati al dominio della loro classe tanto
da crederlo giusto, necessario e perpetuo, essi hanno quella
relativa moderazione che viene dal sentimento della sicurezza.
Sono generalmente, nella vita ordinaria, persone educate e cortesi,
e possono essere anche soggettivamente onesti in quanto credono
di esserlo.
I fascisti invece, salvo le debite eccezioni individuali, poichè
anche tra loro vi sono, come dappertutto gl'ingenui ed i ciechi,
i fascisti sono soldati di ventura arruolati dall'alta borghesia
per arrestare la montante marea proletaria, i quali quando si
sentirono forti abbastanza s'imposero, come fu sempre costume
dei mercenari, a coloro stessi che li pagavano ed intendevano
adoperarli come semplici temporanei strumenti. Fedifraghi di
tutti i partiti, traditori sempre pronti al tradimento, spostati
che la visione di un po' di denaro ubbriaca, gente abituata
ad esser comandata cui non par vero di comandare a sua volta
e di vendicarsi sopra i deboli delle umiliazioni subite dai
forti, violenti per temperamento, non frenati da nessuno scrupolo
morale e da nessuna esigenza intellettuale, incoraggiati dalla
complicità delle autorità che assicurava loro
la preponderanza materiale e l'impunità, assillati nello
stesso tempo dalla paura di cadere da un giorno all'altro e
di dover pagare il fio dei loro delitti, essi si sono buttati
sulle terre d'Italia come un esercito invasore, come una banda
di briganti ed han calpestato non solo ogni specie di libertà,
fino quella di passeggiare tranquillamente per le strade del
proprio paese o restare indisturbato nella propria casa, ma
hanno offeso la dignità, violato ogni più elementare
senso di umanità, hanno rinnovato in Italia i peggiori
costumi morali e politici delle più nere epoche della
nostra storia.
La lunga e pericolosa vita delle istituzioni
Ma pur constatando le differenze morali ed intellettuali che
vi sono tra «costituzionali» e fascisti, politicamente
parlando, cioè considerati dal punto di vista della loro
azione sociale, dobbiamo dire che essi appartengono allo stesso
campo. In fondo non v'è tra loro che la differenza che
vi sarebbe tra un ministro degli Interni che comandasse ai suoi
dipendenti di mantenere a qualunque costo il cosiddetto «ordine»,
cioè il rispetto di tutte le ingiustizie sociali, e dei
birri che profittassero del comando ricevuto per abbandonarsi
ai loro cattivi istinti e commettere degli eccessi che compromettono
quell'«ordine» che essi han missione di difendere.
Aspirando noi a sopprimere radicalmente l'oppressione politica,
il privilegio economico ed il monopolio, di fatto se non di
diritto, dell'istruzione superiore, guardiamo le cose da un
punto di vista elevato dal quale spariscono le piccole differenze
di livello. Per noi dunque costituzionali e fascisti, Mussolini,
Albertini, Giolitti, Nitti, Amendola ed altri Salandra sono
su per giù la stessa cosa: difensori del privilegio e
di tutte le turpitudini che ne derivano.
E noi ci domanderemmo quasi se, in vista dell'avvenire, per
la più sollecita emancipazione della massa oppressa non
convenga meglio il regime fascista, che non può durare
e coi suoi eccessi ed il ballo di San Vito da cui è
affetto il suo capo mena a rovina definitiva le istituzioni,
anzichè un regime veramente costituzionale che con abilità
e moderazione potrebbe forse riuscire a prolungare la vita di
istituzioni già condannate nella coscienza popolare.
Ma purtroppo la storia non possiamo farla noi soli, e bisogna,
per agire, tener conto delle situazioni quali si presentano.
Del resto troppi sono i dolori e le vergogne di cui soffre oggi
la popolazione, troppi i banditi, troppe le vittime che gemono
nelle galere, perché noi potessimo desiderare il prolungamento
di un'ora sola del regime fascista a causa di considerazioni
teoriche e di speranze avveniristiche. E poi, è certo
che per arrivare bisogna incominciare a muoversi.
Noi siamo quindi pronti a dare il nostro concorso a chiunque
voglia abbattere il Fascismo, ma restando sempre noi stessi,
senza entrare in nessuna specie di anello coi costituzionali,
mirando sempre agli scopi nostri.
Date le condizioni attuali delle forze proletarie e rivoluzionarie,
la caduta del Fascismo non significherà certamente la
conquista della libertà piena e dell'emancipazione integrale.
Ma la riconquista di quelle magre libertà che già
si erano guadagnate, libertà di parlare, stampare, riunirsi,
associarsi, gioverebbe certo alla causa del progresso e darebbe
il mezzo di conquiste maggiori. Come pure gioverebbe alla causa
e soprattutto soddisferebbe il senso di umanità e di
giustizia una larga, piena amnistia, che liberasse tutte le
vittime della guerra civile, e che chiunque venisse al potere
dopo il Fascismo dovrebbe fare, non fosse che per riparare a
quella mostruosità morale e giuridica dell'amnistia Oviglio.
Ma badino bene i proletari ed i rivoluzionari. Quelli che andranno
al potere dopo Mussolini, saranno probabilmente quelli stessi
che crearono ed alimentarono il Fascismo: i ciarlatani che sono
stati poi morsi dalla biscia.
Se proletari e rivoluzionari non sapranno farsi valere, se non
saranno uniti, energici, e disposti alla lotta ed al sacrificio,
non si avrebbe nè la restituzione delle libertà
elementari nè l'amnistia; e la borghesia continuerebbe
a dominare ed a prepararsi per una nuova guerra ed un nuovo
Fascismo.
Errico Malatesta
Originariamente apparso su Pensiero e Volontà,
n. 20 (15 ottobre 1924), ristampato in Scritti, vol.
3, 124-7.
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