India
Le due facce
reportage di Mirko Orlando
Già oggi al terzo posto nella classifica delle economie a livello globale, il subcontinente indiano potrebbe raggiungere il primo posto nel 2050. Ma, appena lasciato l'aeroporto, l'India che ti viene incontro è tutt'altra cosa.
Atterrare al Chatrapati Shivaji
International Airport di Mumbai non è come mettere
piede in quell'India votata alla coltivazione dello spirito
e che ci si aspetta d'incontrare quando si pianifica un viaggio
a Varanasi o Rishikesh, con in testa la voglia di ripercorrere
i sentieri selvaggi battuti dai sessantottini, e in tasca un
libro su A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada per imparare a
cercare la via dentro se stessi. Atterrare all'aereoporto di
Mumbai significa entrare in un Paese che secondo l'ultimo rapporto
del FMI (Fondo Monetario Internazionale) rappresenta la terza
economia del mondo, e che stando alle stime di Citi Group (la
più grande azienda di servizi finanziari del mondo),
diverrà la prima entro il 2050, con un PIL da 85000 miliardi
di dollari. Entrati in Aereoporto lo si capisce subito... dopodiché
non si vedrà più nulla di simile.
Prima d'ogni altra cosa te lo dicono i corpi che sei giunto
in una terra che non può appartenerti, e che forse non
puoi neanche del tutto comprendere. Quel corpo che credervi
così antico e che adesso riscopri vivo, operoso. Accovacciato
come un infante, nonostante l'età, un carpentiere tiene
fermo coi piedi nudi il nastro di ferro che lavora con le mani,
tra l'incudine e il martello. Mani abili perché fare
significa, perlopiù, fare con le mani. Piedi che conoscono
il terreno, l'asfalto, l'immondizia e che delle mani sono abili
assistenti. Ginocchia flessibili e colli robusti per portare
carichi pesanti mentre gli odori di una città desta ti
reclamano. Per prima cosa, la città prende a schiaffi
i tuoi sensi. Tutti. Dopodiché capisci che anche tu,
che vieni da molto lontano, dopotutto non sei che il tuo corpo,
quel corpo che l'Occidente ha rimosso, gia dai tempi di Platone,
per consegnarlo al governo della patologia. Quel corpo che eri
solito osservare soltanto quando s'ammalava e che anche oggi
lo ritrovi anzitutto nella miseria di un cesso in prestito sul
quale passerai i primi giorni a Mumbai. [...]
Vedo che le città di tutta l'India sono città
sporche, popolate di ratti, ricche di fogne a cielo aperto,
immondizia, letame, plastica, cemento, ma sono anche città
che al tramonto sanno indossare i loro abiti migliori. Happy
hour, fiere, manifestazioni, opere d'arte, libri, festival musicali,
discoteche, così che anche qui si possa vivere un po'
di quell'Occidente di cui il ceto medio indiano è tanto
affamato, tanto da non saper più distinguere il benessere
dall'industria dello spettacolo e dell'intrattenimento. Un qualunque
Tiberio o Nerone, in tempi oggi dimenticati, sapeva bene quanto
feste, banchetti, arene, danze ed altri adorni, fossero l'esca
più efficace perché il popolo rinunci alla propria
libertà. Per cui non c'è grazia in questa baraonda.
La pirotecnica è sorella dell'infamia. Così avanti
un'altra festa, l'ennesimo film d'intrattenimento (chi non conosce
l'amore incondizionato del popolo indiano per i film di Bollywood),
mentre una musica dance accompagna l'ultimo uomo intento
ad inginocchiarsi.
Eppure non c'è indiano ben istruito che non nutra una
profonda fiducia nel progresso economico, e che pertanto non
appoggi il programma di sviluppo di cui il suo Paese è
oggi protagonista. È questione di orgoglio? Nazionalismo?
Fiducia in una democrazia tanto forte? Non oso rispondere, ma
non posso fare a meno di notare la grande partecipazione di
tutti nell'edificare il profilo dell'India che verrà.
È un aspetto della movimentazione popolare che certamente
richiama quel buon senso che René Descartes riteneva
“la cosa meglio ripartita tra gli uomini”, ma forse
soltanto perché non li vide mai votare i propri tiranni.
Se solo fosse vissuto abbastanza... ma è unicamente da
uno sputo di tempo che il mondo cambia così velocemente
da impedirci di morire coi sogni intatti e spettatori d'indecenti
capolinea.
L'India che verrà non sarà certo più
indulgente coi troppi “straccioni” che la abitano,
e per quanti hanno un buon reddito basta l'India di oggi per
ricavarne qualche soddisfazione, per cui i sacrifici fatti per
edificare un futuro fatto di speranza, anche per gli ultimi,
non credo verranno ripagati. Lo diceva Albert Camus che l'avvenire
è l'unica proprietà che i primi concedono agli
ultimi... e aveva ragione, ma intanto che lo si comprende ci
si affanna, si lavora, e tra i lavoratori anche milioni di bambini
nonostante il lavoro minorile sia vietato (difficile definire
quanti milioni, dacché le statistiche a disposizione
forniscono dati estremamente discordanti). Qui sembra normale,
persino naturale, ma per noi è inaccettabile, e pertanto
chiediamo a simili governi d'intervenire affinché si
allineino – in quanto partner commerciali – al nostro
modello di produzione-consumo. Lo fanno, soltanto sulla carta,
e veder quotidianamente calpestati i diritti umani di questa
gente fa accapponare la pelle. Chiediamo a gran voce che si
faccia qualcosa, ma ha la coscienza pulita soltanto chi l'ha
persa e pertanto non abbiamo alcuna credibilità. Non
possiamo dimenticare che dopo aver istruito i popoli sul proprio
disfacimento, pretendiamo di condividerne il rimorso vietando
loro di ripercorrere la nostra storia di barbarie.
L'intera economia occidentale poggia su un cimitero di valori
che vorremmo recuperare e recuperando imporre ai popoli d'ogni
dove perché non si macchino dei nostri peccati. Così
per i diritti umani soltanto ieri negati dai nostri padri, così
per una politica ambientale scellerata, e non meno una politica
economica cieca ai bisogni reali dei cittadini. Salutiamo con
entusiasmo l'ingresso di questi popoli nel mercato globale,
ma per un diritto d'anzianità che ci siamo arbitrariamente
concessi pretendiamo definirne le regole. Purtroppo qui la storia
viene letta con altri occhi, e in India l'inquinamento, lo sfruttamento
e persino il sopruso, vengono letti come un diritto che non
dobbiamo (né possiamo) sottrargli. Del resto non c'è
sviluppo senza violenza, e dopo non c'è vera democrazia
senza rimorso. È un percorso obbligato. Immacolata, tutt'al
più, è l'anima degli sconfitti... e si faccia
avanti chi ha davvero il coraggio di perdere.
Mirko Orlando
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