Nel film Waiting to Exhale (1996), che in Italia è
stato intitolato Donne, ma che più o meno si sarebbe anche potuto
tradurre come "aspettando un bel respiro di sollievo", il regista
Forest Whitaker racconta l'infelicità di quattro amiche. Una
volta l'anno, il giorno di capodanno, si incontrano e si raccontano
com'è andata e come sta andando. Si ricostruisce, fra l'altro,
un colloquio con un fidanzato dove una di queste ragazze dice
cosa vorrebbe da un'eventuale loro vita comune: dei bambini,
una casa e andare fuori a cena tre volte la settimana.
Nel suo film più recente, C'era un cinese in coma ,
Verdone impersona un agente teatrale fanfarone, rovinafamiglie
a maggior ragione se si tratta della propria, perennemente in
cerca di soldi e successi e perennemente destinato a ottenere
il contrario di quanto si prefigge. Finalmente, dopo tanto tempo
di latitanza morale e fisica, una sera porta la moglie fuori
a cena. Lei si mette il vestito più bello, ma deve presto scoprire
che si tratta, diciamo così, di una cena di lavoro: il marito
non la porta al ristorante, ma a casa di un amico, l'ultima
sua scoperta da lanciare nel mondo dello spettacolo. Finisce
perfino che la poverina, con il suo abito da sera, la cena se
la deve cucinare lei e, una volta piazzata in tavola per i due
uomini egoisticamente coinvolti dai propri sogni bugiardi, se
ne va sbattendo la porta.
Nel 1989, la sociologa australiana Joanne Finkelstein ha scritto
un libro sull'Andare a pranzo fuori (traduzione italiana,
Il Mulino, Bologna 1992). Prendendo le mosse da alcuni dati
statistici che dimostrano come, dai primi anni Settanta in poi,
in molti Paesi del mondo cosiddetto "occidentale" -Stati Uniti
d'America, Canada, Australia, Giappone, Gran Bretagna, Francia
- le spese della gente in ristoranti abbiano avuto un incremento
straordinario, la Finkelstein sviluppa una serrata indagine
sulle motivazioni che ci spingono a cenare fuori casa, assegnando
a questa attività - come nel caso delle eroine dei due film
che ricordavo -un valore notevole.
Il "piacere smodato" che la gente trae "dal consumo di cibi
in luoghi pubblici"- buttandosi nel fast food, o nell'etnico,
o nel ristorante di lusso o nella trattoria sotto casa, a seconda
degli umori o del denaro a disposizione - non può essere spiegato
né dalla qualità del cibo, né dalle fatiche risparmiate, né,
tantomeno, dalla peculiarità dei rapporti umani che in questi
luoghi si può intrattenere. La Finkelstein rammenta bene la
tesi di Simmel concernente tutti i casi in cui uno scambio sia
controllato dal denaro ñ casi in cui i rapporti umani vengono
subito spersonalizzati e banalizzati -ed è anche consapevole
dell'importanza "del ristorante nell'affermazione di valori
borghesi". Tuttavia, analizzando le strutture ambientali e le
forme di comunicazione che caratterizzano i ristoranti - e mettendo
bene in evidenza quanto nel ristorante rimanga delle differenze
di classe e di genere -, la Finkelstein giunge a sostenere la
tesi che "pranzare fuori costituisce un'attività intrinsecamente
incivile".
La sua argomentazione, pressappoco, è la seguente: se definiamo
"civile" la condotta "che si manifesta negli scambi tra individui
che sono in egual misura coscienti di sé e rispettosi l'uno
dell'altro, che evitano le differenze di potere e che non mediano
i loro scambi attraverso segnali che evidenziano la loro condizione
sociale o il loro prestigio", cioè se crediamo che il "carattere
distintivo della civiltà" sia "il grado di coinvolgimento richiesto
ai soggetti che interagiscono", e se constatiamo che pranzare
al ristorante ci solleva dal "dare forma alla socialità", che
al ristorante, di principio, tutti trasformano gli altri in
merce o in strumento per i propri fini, o che al ristorante
si assiste a tutta una serie di scambi rituali che "impediscono
il riconoscimento dell'altro come individuo singolo", o che,
ancora, al ristorante vigono norme sociali che "appaiono bene
accette perché diminuiscono la necessità di pensare al modo
e alla ragione per cui dovremmo agire in una determinata maniera",
allora ne consegue che il pranzar fuori contiene i più succulenti
ingredienti dell'inciviltà.
Ci troviamo così a dover sciogliere i nodi di un'apparente contraddizione:
le donne infelici raccontateci dal cinema - ribellandosi alla
schiavitù della cucina o chiedendo un po' di attenzione tutta
per loro -, almeno in quel paradigma dei rapporti sociali che
definisce l'uguaglianza degli esseri umani e dei loro diritti,
esprimono valori positivi, ma, cercando di sanare le proprie
ferite con una soluzione sostanzialmente alienante, nel medesimo
paradigma, rincorrono valori negativi. Non sarebbe la prima
volta che, per esprimere la vicenda con la metafora appropriata,
si cade dalla padella alla brace.
Tuttavia, se si tiene in debito conto quanto di mentale ci sia
nelle situazioni descritte dalla Finkelstein - come, peraltro,
in ogni situazione in cui gli esseri umani investono di valore
qualcosa che di per sé non può mai essere né negativo né positivo
-, ci si deve ricredere e ammettere, anche, che contraddizione
ideologica non ci sia affatto. Per quanto cogente sia un ambiente,
e per quanto codificati e stilizzati possano essere i comportamenti
che in questo ambiente possono innescarsi, c'è sempre per ciascuno
di noi la possibilità di ribaltare le procedure, ignorare i
vincoli ed iniettare nella situazione una buona dose di creatività.
Se la trasgressione non troverà il conforto di uno scambio comunicativo
adeguato, pazienza. Rimarrà ad onore di chi ci ha tentato e
ad onta di chi si è rifiutato. Come le rivoluzioni possono cominciare
ovunque - in una galera, in un'aula di tribunale o in una piazza
-, così anche andando a cena fuori si può tentare di instaurare
nuovi rapporti umani o di suturare gli sbreghi di un rapporto
conciato da buttar via. Ferma restando l'inciviltà della stazione
prescelta, nella storia sociale del mondo agiato, in cui il
tentativo viene effettuato.
P. s.: Già nel 1968 - anno che solitamente ricordiamo per tutt'altri
avvenimenti -, oltre la metà della popolazione degli Stati Uniti
d'America abitava "a una distanza di tre minuti di macchina
da un punto di vendita McDonald's". Il manuale di addestramento
dei dipendenti della McDonald's, in America, consta di ben 600
pagine. La McDonald's semplifica la vita del cliente tanto quanto
la complica al dipendente. Che ci sia qualcosa di moralmente
poco chiaro è, allora, evidente.
Felice Accame
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