Giuseppe
Chiari
Questo mese torno a raccontarvi di musiche difficili. Musiche
difficili che però, all'ascolto, si rivelano magiche,
portentose: descrivono posti nuovi dove stare, ma per portarci
così lontano offrono un viaggio che richiede fatica,
impegno e apertura mentale.
Musiche che chiedono attenzione, curiosità, pazienza,
voglia di investigare, e un pizzico di coraggio per essere
ascoltate. Musiche che fanno riflettere, addirittura pensare.
In questi ultimi tempi sono inciampato più frequentemente
del solito su "strani" cd: dico "strani"
tra virgolette, "strani" per me, ascoltatore medio
che condivide con voi qualche scoperta. Un'esperienza diversa,
piuttosto nuova per me, che già avevo incontrato musiche
"strane" prodotte da strumenti modificati oppure
suonati in maniera bizzarra.
Prendiamo questo. Questo, decisamente, li batte tutti: è
uno dei cd più "strani" che siano stati mangiati
dal mio lettore. È un'antologia di opere di Giuseppe
Chiari, artista e musicista fiorentino, classe 1926, considerato
il più rappresentativo artista Fluxus italiano: la
ribellione la sua pratica, il suo programma l'abbattimento
dei confini delle diverse forme d'espressione artistica.
Metto il cd nel lettore e, a qualche istante dalla chiusura
del cassetto, mi accorgo che nella stanza succede qualcosa:
la musica è mista a rumore d'ambiente, c'è un
pianoforte che suona rivelandosi nelle sue pieghe più
giocose e leggere.
Sembra una registrazione del tutto informale, del tutto naturale:
manca il silenzio perfetto e artificiale delle sale di registrazione,
il silenzio inumano e obbligatorio delle sale da concerto
in cui l'altezza del palco misura la distanza tra chi suona
e chi deve solo ascoltare.
Questa musica sa volare, non si fa prendere: non appena s'immagina
di afferrarla, ecco, fugge via ridendo più in alto,
più distante, lontana.
Mi sono incuriosito e ho dato un'occhiata in rete: suggerisco,
a chi tra voi ama navigare, le pagine dedicate a Giuseppe
Chiari da Strano network.
Ho trovato, e lo riporto a fianco, "Suonare la città"
(che ho adattato aggiungendo la punteggiatura), tratto da
un suo libro: un testo scritto da quasi quarant'anni ma che
è sorprendentemente attuale.
Sarò sincero: ho delle difficoltà a parlarvi
di questa musica e di questo artista, ve ne sarete accorti
perché non sono riuscito a scavare in profondità,
a trovare parole, a muovermi con disinvoltura dentro a questo
mare agitato: è lo stesso tipo di smarrimento che provo
quando prendo un libro in mano per cercare qualcosa da leggere
e mi ritrovo tra le mani un testo da studiare più che
da leggere, un libro che trasmette insegnamenti profondi e
importanti usando parole che non uso abitualmente.
E qui si imparano cento cose in un'ora, tra queste ad esempio
che il pianoforte è uno strumento serio ma che non
fa paura e che può trasformarsi in gioco. Musica allora
come semplicità e innocenza, proprio come suggerisce
l'autore: "(Chi suona deve) comportarsi come un bambino
di tre anni, cancellare dentro di sé l'idea di armonia
e melodia, non considerare la tastiera una scala; egli deve
pensare di avere sotto le sue mani una carta che può
solo piegarsi, incresparsi, presa nella morsa sotto il peso
delle dita...".
Il cd si può richiedere a Silenzio, distributore di
musiche difficili e affascinanti; alcune copie sono state
messe a nostra disposizione nella lista di Musica per A.
Contatti: Silenzio - via Filippo De Grenet, 26 - 00128
Roma - silenzio.dis@tiscalinet.it
- http://listen.to/silenzio.
Suonare la città
Suonare la città è facile, quasi infantilmente
facile. È anche molto divertente, ma è illegale.
Provate se non ci credete a suonare la città
e vedrete che vi fermeranno subito, non farete neppure due
passi.
Ipotesi: voi montate un altoparlante su un'automobile, mettete
nel registratore la Nona di Ludwig van Beethoven e
avviate l'automobile in una strada centrale. Alzate il volume.
Vi fermano subito dopo cento metri: è una storia vissuta.
Se avete un documento qualsiasi che dimostra che voi state
trasmettendo una réclame allora fanno proseguire voi
e la Nona. Se non avete nessun documento allora voi
suonate la città e questo non ha senso, dunque viene
interrotto.
Potete provare anche montando un'intera orchestra sul camion:
non è difficile, basta avere il denaro per sessanta
persone che fanno di mestiere l'orchestrale. Ma allora il
fermo sarà ancora più deciso. L'evidenza della
stranezza sarà chiarissima.
Dunque andare per le strade a suonare è ancora un gesto
privo di senso, se non è una servitù essere
pagati per trasmettere una réclame con sottofondo di
Chopin, è una servitù chiedere l'elemosina,
è proporsi come servitù ma non chiedere soldi
e non ricevere soldi per un contratto ma fare qualcosa che
con i soldi non ha nessun rapporto. È suonare la città.
È suonare per - attraverso - nella città. È
una libertà eccessiva per il nostro costume attuale,
dunque suonare la città è può
essere anche suonare per - attraverso - nella città,
ma suonare la città può anche essere suonare
(complemento oggetto) la città. Dove la città
è l'oggetto che riceve l'azione del suonare. Dove la
città sostituisce la parola "violino" nell'espressione
"suonare il violino". Suonare la città invece
che suonare il violino. La città quindi come strumento,
come strumento musicale.
Ma la città possiede delle note da rivelare? Possiede
dei tasti, delle corde per rivelare queste note? Direi di
no, bisogna quindi considerare la città uno strumento
non a frequenze determinate (già Berlioz immetteva
negli strumenti a percussione); la città è quindi
uno strumento a percussione, una batteria di strumenti a percussione.
È solo un primo passo. È certo però che
il secondo passo, e il terzo e il quarto si faranno solo analizzando
lo strumento che abbiamo scelto ma che ci dobbiamo ripromettere
di obbedire nella sua struttura. Possiamo suonare la città
ma non possiamo fare tutto. Possiamo fare ciò che la
città può fare, ciò che la città
ha sempre potuto fare anche se non ha mai fatto.
Secondo una mia umile ma da contraddire teoria,
la musica si divide nella nostra società (cristiana
medioevale) in quattro spazi che corrispondono a quattro riti
e a quattro significati (ognuno totale) di musica: musica
da chiesa, musica da palazzo, musica da fortezza, musica da
piazza/da strada.
Io credo che la vera musica sia l'ultima anche se tutta la
musica oggi considerata tale appartiene alla musica da palazzo.
Dunque, il proporre di suonare la città è anche
un cercare di imporre della musica da strada, di fare della
musica da strada, non della musica da palazzo fatta all'aperto.
Suonare la città ha senso in arte come un qualsiasi
gesto artistico se è un gesto polemico. Qualora
fosse un gesto non polemico è solo musica da palazzo
fuori per un attimo, eccezionalmente dal palazzo.
Ma cos'è la musica da strada? È musica per elemosina,
o per festa popolare, o per danze, o per gioco, o per chiamarsi,
per dare un avvertimento etc. È musica che interrompe
o calca, trasformando allegramente, un ritmo già esistente
di solito un ritmo di lavoro. Fra l'interruzione e
il calcare, il sottolineare, può esserci una differenza
come fra il consenso e il dissenso, ma spesso il calcare non
è un consenso ma un dissenso gioioso che si appropria
del fenomeno e lo trasforma.
Il problema si presenta molto difficile: nessuna città
è ancora mai stata suonata. Quei pochi tentativi che
sono stati fatti sono rientrati: la città è
tutto, e il tutto è ben difeso.
Il problema difficile è anche di difficile impostazione:
la città è pubblica e finora si è guadagnata
una certa libertà in privato, una libertà che
non esisteva nel '700. Ma in pubblico non si ammette nessun
gesto espressivo libero personale: la fantasia è permessa,
ma ognuno nella propria casa.
Baciarsi per la strada è già un cantare: per
molto tempo era proibito, poi permesso, tollerato solo a Parigi.
Poi lentamente ma inesorabilmente in molte grandi città,
ma non nelle piccole.
Ma nella propria casa gli strumenti sono diversi, più
piccoli: dunque la nostra fantasia non avrà nessun
beneficio da questi esercizi.
Ciò che si può fare dentro 4 metri per 4 metri
è molto diverso da ciò che si può
deve fare in 4 chilometri per 4 chilometri: le nostre
braccia devono divenire più lunghe. C'è già
chi suona la città: la città non è uno
strumento inutilizzato, non è uno strumento non concepito
come tale.
Il problema di suonare la città è già
stato risolto, solo che la soluzione non è l'unica
e non è la migliore. Noi tutti suoniamo la città,
ma la nostra tecnica è stanca. Alcuni pochissimi
se ne rendono conto, altri moltissimi
non se ne rendono conto.
Tutti lo ricevono, il suono attuale della città, per
questo è difficile suonare la città, perché
è interrompere un concerto di gente che convenzionalmente
suona a memoria uno stesso spartito. Un concerto molto semplice:
basta ascoltare una registrazione di rumori della città
per capire che la struttura di questo concerto è molto
rigida.
Dunque suonare la città è stonare stonare stonare
stonare stonare. Ma uno stonare che abbia senso, che faccia
ridere i bambini, non li impaurisca.
(...) Suonare la città significa che un giorno lontano
quando vedremo un uomo giocare con un lungo bastone attraverso
una cancellata e lo sentiremo fare con gli elementi paralleli
della cancellata delle linee tratteggiate di rumore, più
fitte o meno fitte, non vedremo un poliziotto arrestarlo perché
disturbava l'ordine, ma passeremo senza badarci. E al bambino
che ci chiederà qualcosa risponderemo: vedi quello
suona la cancellata, da grande lo saprai fare anche tu. Ed
è a questo vero comunismo che dobbiamo arrivare.
Il concerto è già fissato: traffico disciplinato,
accelerazione frenare curvare segnalare (perché sono
stati vietati i segnali a forma di campanelli, a forma di
ruggito? Questa domanda è centrale per tutta la questione
di suonare la città...).
Dovrebbero dircelo senza risposte generiche. Il rumore è
fortissimo ma lo si vuole monotono: che sia il risultato di
un'obbedienza, di una disciplina.
Non si tratta di iniziare a suonare la città: si tratta
di iniziare a suonare la città in un altro modo.
Suona la città chi suona per la strada.
Suona la città chi mette dei barattoli dietro la propria
automobile.
Suona la città chi porta in mano camminando una cosa
tentennante che nell'oscillare fa un rumore a intervalli costanti.
Suona la città chi chiama da un marciapiede all'altro
un amico o un'amica.
Non suona la città chi forma un'orchestra e su un podio
in una piazza si mette a suonare.
Non suona la città chi canta in corteo.
Giuseppe Chiari
(testo adattato da "Suonare la città", in
"Il metodo per suonare", ed. 1976)
Marco Pandin
Nota: c'è un bell'articolo di Walter Rovere sulla
musica di Fluxus in Musiche n. 12: non credo che la rivista
sia facilmente rintracciabile, se volete posso fotocopiarvelo.
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