Osvaldo Escribano: Il mio nome è Osvaldo Escribano,
e sono impegnato nella biblioteca José Ingenieros,
alla quale mi sono avvicinato negli anni 1958-59; ero attivo
come anarchico per 10 anni tra il '64 e il '74
nella "Comunidad del Sur" di Montevideo, Uruguay.
Durante quegli anni, che erano molto difficili e turbolenti
in Uruguay, e in tutto il Cono Sud dell'America Latina, partecipammo
ai vari movimenti e alle attività che coinvolgevano
cooperative e sindacati, cercando di organizzare le basi per
un cambiamento sociale profondo. Al mio ritorno in Argentina,
mi rimisi con i compagni della Biblioteca José Ingenieros
dove ci troviamo adesso; qui partecipiamo alla produzione
del periodico A Desalambrar che esce già da
alcuni anni, e allo stesso tempo siamo responsabili di varie
pubblicazioni e libri. Per quanto riguarda altri aspetti,
facciamo anche parte delle varie cooperative; al mio ritorno,
formammo una cooperativa con gli altri compagni del settore
della legatura di libri, dopo di che misi su la cooperativa
"El Faro" ... più tardi, quando "El
Faro" dovette chiudere, molti compagni che appartennero
alla cooperativa vennero sequestrati e scomparvero.
Questo in quale anno?
Osvaldo Escribano: La cooperativa "El Faro"
funzionò dal '74 al '78. Nel '78 c'era una repressione
estrema; detennero 18 compagni, e 12 di loro sparirono. Alcuni
di loro appartenevano alla nostra cooperativa, El Faro.
Di che si occupava la cooperativa?
Osvaldo Escribano: Di legatura di libri. Inizialmente
avevamo l'appoggio della casa editrice "Proyección",
una casa editrice anarchica; il gruppo non era specificamente
anarchico, ma, diciamo, la maggior parte di noi erano attivi
nel movimento. Poi, nell'84 fondammo un'altra cooperativa
con un gruppo di persone che erano state nel movimento per
i diritti umani; era di stampa autonoma, e funzionava fino
al 1990. Successivamente, nel periodo di mezzo, con un altro
compagno ci guadagnammo da vivere con pubblicazioni, stampando
edizioni, e allo stesso tempo collaborammo con le riviste
Tupac, A Desalambrar e Desalambrando.
Abbiamo anche una casa editrice che pubblica poesia, che si
chiama "Ediciones El Toque".
Antonio, puoi raccontarci un po' della tua storia?
Antonio López: Sono Antonio "Cacho"
López. Nacqui il 8 agosto del 1926, qui nella capitale.
Figlio di galiziani.
Proprio di Galicia?
Antonio López: Di Galicia. Mio padre era un
anarchico, della FORA [Federazione dei Lavoratori Argentini];
lo deportarono tre volte in Spagna, nel '34, '36 e '42. Nel
'42, l'ultima volta, Franco era al potere. Gli ci vollero
18 anni e mezzo per ritornare; gli permisero di tornare finalmente
nel 1960. Quando lui tornò, io ero già attivo
come militante, più o meno conosciuto, nel movimento
di protesta; facevo parte della Biblioteca e della FORA. Per
6 mesi ero membro del consiglio federale della FORA, nel '68-'69
ero segretario; successivamente entrai a far parte della Biblioteca.
Lasciai la FORA, continuai alla Biblioteca, ero attivista
alla Biblioteca.
E durante gli anni di cui Osvaldo stava parlando prima,
nel '76-'77-'78, quando molte persone scomparvero ... eri
rimasto qua?
Antonio López: Ero segretario della Biblioteca.
Come segretario, per molti anni ero la persona responsabile;
come responsabile, devo dire che mi cacavo sotto dalla paura.
Facevamo riunioni segrete, facevamo conferenze. Io andavo
in questura, per informare la polizia delle nostre attività
in teoria in pratica, era per chiedere permesso.
Non mi sentivo mai a mio agio, finché non uscivo non
mi sentivo mai tranquillo, perché qualche volta loro
inventavano qualche stratagemma, tipo chiedere un numero telefonico
qui non c'è mai stato un telefono. All'inizio
c'era un comitato che abbiamo formato con gli altri gruppi,
per aiutare i prigionieri e i perseguitati. E alla fine erano
rimaste solo le persone della Biblioteca, e, grazie all'aiuto
economico di alcuni compagni, potevamo fare uscire alcuni
prigionieri generalmente loro se ne andarono in Svezia
ed aiutare altri, che venivano perseguitati, a lasciare
il paese. Quelle erano le nostre attività qui.
Osvaldo Escribano: Qui alla Biblioteca, nello stesso
periodo, due o tre volte trovammo tutto frugato, erano entrati
...
Antonio López: Sì, non solo, una volta
...
Osvaldo Escribano: ... portarono via il custode.
Antonio López: Quel giorno dovevamo avere una
riunione, ma ci avevano avvertito che avevano arrestato dei
compagni, così ci disperdemmo. Quella notte portarono
via il custode, che era solo un ragazzo. Per fortuna, lui
uscì vivo. Dopo un mese e mezzo, più o meno;
io non lo vidi mai più, perché se ne andò.
Osvaldo Escribano: Abbiamo ricevuto la notizia che
lui sta a Córdoba.
Quando la dittatura finì, migliorò la situazione
della Biblioteca?
Osvaldo Escribano: Sì. Certamente migliorò,
non era lo stesso. Mai una dittatura come quella. C'erano
state già altre dittature; la Biblioteca rimase chiusa
durante molti anni, durante il primo periodo di Perón.
Se loro avevano il potere di chiuderla, perché
permisero di tenere la Biblioteca aperta?
Antonio López: Praticamente non chiusero nessun
locale nostro. Era un modo di controllarci. Ricordo che una
volta c'era una conferenza qui, e c'erano solo poche persone;
e vennero dalla questura e un ragazzo in divisa stava parlando
con me, parlando male del governo, del governo militare; non
potevo, difesi il governo. Sapevo come erano. Volevano farti
cadere in una trappola.
Osvaldo Escribano: D'altra parte, in qualche modo riuscivamo
a fare delle altre attività, la gente si riuniva; un
gruppo di noi produceva un periodico, tra il letterario e
il politico, El Riachuelo (Il Torrente), e ci riunivamo
qui. Ad esempio, qualche volta venti persone si incontravano
per preparare quella pubblicazione. In principio era un periodico
letterario, ma mettevamo anche del materiale politico. E più
tardi, aiutando con le azioni delle organizzazioni per i diritti
umani, si facevano delle riunioni qui; aiutammo con tutte
le azioni possibili. Già cominciando dall'81, diciamo,
cominciarono le attività. L'atmosfera era già
cambiata.
Antonio López: Specialmente dopo la Guerra delle
Malvine, c'era anche una specie di rottura generazionale,
perché molti giovani compagni scomparvero in quel periodo,
ma poi altri nuovi si sono avvicinati. Gradualmente con il
tempo tutto questo ha avuto il suo effetto. Prima la biblioteca
si trovava nella Calle Santa Fé 408, era in affitto.
Aveva un tipo di persiana che si poteva abbassare; si alzava
quando ci riunivamo ed eravamo in piena vista. Quando venimmo
qui, quando comprammo questa casa, un compagno suggerì
di fare la stessa cosa, cioè di tenere la porta aperta
per le riunioni, ed io stavo discutendo di questo e dissi
di no, meglio avere la porta aperta sempre. Almeno con la
porta sempre aperta potevamo riunirci senza che chiunque che
camminasse per la strada potesse rendersi conto di ciò
che stava succedendo; ecco perché abbiamo un ingresso
così. Era del tutto clandestino durante il periodo
di Perón.
In Inghilterra ci sono delle persone di solito
i 'thatcheristi' che dicono che è grazie alla
Thatcher che la dittatura sia finita. È un punto di
vista molto conveniente per loro. Cosa ne pensate?
Antonio López: Guarda, la guerra delle Malvine
fu provocata da un generale ubriaco, Galtieri; ha ideato quell'impresa
rischiosa, spedendo tutti quei ragazzi alla morte, soldati
disarmati, con le temperature sotto zero che ci sono là
alle Malvine, ed i ragazzi senza cappotti; ma a Galtieri gli
costò il posto.
Osvaldo Escribano: Ciò che è importante
tenere presente è che successe esattamente due giorni
dopo una grande manifestazione dei lavoratori, durante la
quale uccisero un operaio. Il 30 marzo ci fu la prima manifestazione
contro la dittatura; venne repressa severamente, e due giorni
dopo le Malvine vennero occupate. La cosa deplorevole è
che alcune delle stesse persone che stavano in piazza contro
la dittatura andarono di nuovo a Plaza de Mayo per applaudire
Galtieri perché aveva occupato le Malvine. Facevamo
grandi litigi su questo con dei compagni, perché Galtieri
finì per convincere molta gente che era un liberatore,
e dei compagni del MAS (Movimiento al Socialismo)
finirono per dire che Galtieri poteva diventare il leader
della rivoluzione latinoamericana. Noi avevamo delle dispute
in riguardo nel periodico El Riachuelo che ho citato
prima dove c'erano dei compagni filotrotzkisti, e c'erano
delle liti serie in questo edificio sulla questione, persino
durante le feste che abbiamo organizzato. Ma siamo sopravvissuti.
Bene, gli anni sono passati. Venne Alfonsín, poi
Menem, e ora De La Rúa; Menem è durato 10 anni.
Come descrivereste quei 10 anni?
Antonio López: Cambiarono la storia e cambiarono
il paese. Il governo peronista di Perón aveva nazionalizzato
la maggior parte dei servizi pubblici, la ferrovia, tutto,
e questo lo ha privatizzato; lui ha venduto pressoché
tutto, praticamente niente è rimasto.
Come poteva lui privatizzare nel nome del Peronismo?
Antonio López: Sono le necessità del
momento, e sia Perón che Menem risposero ad interessi
internazionali, non a quelli di questo paese; vale a dire,
quando Perón comprò le ferrovie dagli inglesi,
già a loro non servivano più; stavano perdendo
soldi e gli inglesi avevano un debito molto grande con l'Argentina,
così pagarono con le ferrovie, che già erano
rottami. Quindi c'erano grandi trattative con membri del governo
di Perón. Poi si disse che Perón aveva avuto
un successo notevole, perché comprò le ferrovie
dagli inglesi per nazionalizzarli. Più tardi, quando
era necessario, per ragioni internazionali, a causa del cambiamento
neoliberale in atto a livello mondiale, con tutta la privatizzazione,
le stesse politiche vennero seguite anche qui. L'unica cosa
che facevano era seguire un comportamento internazionale.
Quello che mi interessa scoprire è come mai molte
persone e molti lavoratori continuano a considerarsi peronisti,
e non vedono questa grande contraddizione, in quanto Perón
era nazionalista e nazionalizzò tutto, mentre Menem,
essendo peronista, ha privatizzato tutto.
Osvaldo Escribano: Io credo che il Peronismo ha la
stessa capacità della chiesa, che si è mantenuta
viva durante 2000 anni, e ha avuto la sua grande gerarchia
del Vaticano, con tanti multimiliardari e i preti poveri che
lavorano nei 'barrios'. Il Peronismo è uguale, nel
Peronismo c'è di tutto. Nella decade degli anni '70
c'era il Peronismo di sinistra che stava lottando per un paese
socialista ed il Peronismo dell'estrema destra, che parlò
di "Dio, Patria e Casa" e tutti loro erano peronisti.
E durante il governo di Menem accadeva esattamente la stessa
cosa; erano peronisti sia i menemisti che i "descamisados"
[destra peronista] che stavano contro Perón e contro
il modello. Tutti stanno dentro il "sacco" del Peronismo.
Il termine è così ampio da diventare insignificante.
Antonio López: Quello che accade è che
gli operai ricordano o hanno letto o i loro genitori
hanno detto che con il primo Peronismo molte leggi
sociali furono create dal governo di Perón; erano generalmente
leggi socialiste che costituivano conquiste per i lavoratori,
e decretarono cose che tutti avevano a cuore, come le ferie
dei lavoratori, gli alberghi amministrati dai vari sindacati,
i servizi sanitari dei sindacati...
Le case popolari.
Antonio López: Sì, le case popolari
e tutto questo, che ha pressocché cessato di esistere
con Menem, perché il suo governo ha portato via praticamente
tutti i guadagni fatti prima; li ha portati via con la complicità
dei leader della CGT (Confederazione Generale del Lavoro).
Eppure ci sono molti lavoratori che si dicono peronisti.
E la CGT, perché sostiene questo modo di comportarsi?
È perché si trova più debole?
Osvaldo Escribano: Perché ci sono interessi
economici all'interno delle privatizzazioni stesse; per esempio,
le ferrovie. C'erano delle linee ferroviarie che erano
diciamo state "acquistate" dai sindacati
ferroviari, ma in realtà dai dirigenti dei sindacati;
in questo momento sono loro i proprietari. E la stessa cosa
sta accadendo con "Luz y Fuerza" (il sindacato dei
lavoratori dell'energia elettrica). Solo l'altro giorno, noi
eravamo ad una riunione a Mar del Plata con membri del sindacato.
C'è un grande problema lì, perché il
sindacato dell'energia elettrica è contro la gente
di Luz y Fuerza, perché si sono trasformati in impresari.
E adesso sono loro quelli che stanno sfruttando i lavoratori
che erano i loro compagni.
Antonio López: Il sindacato compra imprese privatizzate
e poi sfrutta i propri affiliati.
Osvaldo Escribano: E c'erano state esperienze simili
già al tempo di Perón, non so in che anno; era
stata creata la "SEGBA autogestionaria", il servizio
di energia elettrica di Buenos Aires. Fu considerata una impresa
autogestita dai lavoratori. In realtà il presidente
dell' "organismo autogestito", come venne chiamato,
era il segretario del sindacato. Infatti, aveva molto poco
a che vedere con l'autogestione dei lavoratori, perché
i lavoratori si trovavano ancora in esattamente la stessa
situazione di quando l'impresa era capitalista. Mi ricordo
che abbiamo fatto una discussione con dei compagni peruviani,
consulenti del governo di Velasco Albarado, quando vennero
a visitarci. Una legge di proprietà sociale fu emessa
dal governo di Velasco Albarado in Perù; era molto
interessante dal punto di vista libertario, e i compagni vennero
qui e consegnarono un progetto di legge di proprietà
sociale all'organizzazione SEGBA. E poi consegnarono un altro
alla cooperativa El Faro. Abbiamo fatto un dibattito con i
compagni sul tema dell'organizzazione autogestita. Io credo
che il sindacalismo qui era molto avanzato all'interno del
sistema capitalista in America Latina. Quello che voglio dire
con questo è che venne compreso più facilmente
dal sistema, e il sistema era capace di controllarlo molto
più facilmente. Questo processo già cominciò
con Perón, il quale ha dato il via all'idea di far
diventare i sindacati i quali già appartennero
direttamente al partito di governo un'appendice del
governo e del partito di governo. Da allora in poi i sindacati
smisero di fare la minima rivendicazione; loro non avevano
più motivo di lottare, perché il governo dava
loro tutto. Quindi si dedicarono ad organizzare i servizi
sociali.
E ora, avendo venduto praticamente tutto ad imprese straniere,
i governi continuano a sventolare la bandiera argentina ad
ogni occasione. Che responsabilità ha lo stato adesso?
La salute? Le scuole? La sicurezza? Ho notato durante questa
mia visita, che sono proprio queste le cose che funzionano
peggio in questo momento, e sono le uniche cose rimaste gestite
dallo stato.
Osvaldo Escribano: Be', lo stato ha venduto tutto,
ma il debito estero è aumentato, e ancora stiamo pagando
gli interessi su quel debito estero. Si pensava che ciò
che interessasse meno al capitale era che si ripagasse il
debito. Il debito estero era, diciamo, un problema degli anni
'83, '84, quando si cominciava a parlarne tanto - credo che
fosse di circa 20.000 milioni di dollari. Poi un compagno
ha detto che la cosa peggiore che si potesse fare per i capitalisti
sarebbe svendere una parte del paese e rimborsare loro tutti
i soldi: li rovinerebbe, sarebbe la rovina del capitalismo.
Invece, in questo momento tutto è stato venduto e noi
non abbiamo finito di pagare il debito, anzi, è aumentato.
Quindi, qual è il futuro di questo stato?
Osvaldo Escribano: Controllare le persone che si ribellano
contro questo sistema, perché c'è sempre più
gente esclusa ed il sistema sta promuovendo sempre di più
l'emarginazione e non trova soluzioni. Quindi la funzione
del governo sarà continuare a creare una macchina repressiva
efficace.
E dove conduce?
Osvaldo Escribano: Non sappiamo. Conosco solo l'ipotesi
che non si sa mai dove stanno andando i popoli; possono sollevarsi
in qualsiasi momento, nelle situazioni peggiori. È
difficile prevedere.
Siete ottimisti? In questo momento è difficile
essere ottimisti, con tutta la disoccupazione e la miseria
che c'è - ma vedete la possibilità di
un cambio in meglio?
Antonio López: Se uno non pensasse di poter
cambiare le cose, non tirerebbe avanti, dopo così tanti
anni, ma nel prossimo futuro io non vedo nessuna possibilità.
Ora che abbiamo avuto il cambio di governo, è tutto
uguale, anzi peggio.
Perché la classe politica è sempre la stessa
gente, vero?
Antonio López: Loro cambiano le marionette,
ma l'essenza della cosa non cambia. L'unico che avrebbe potuto
cambiare qualcosa era Alfonsin, e loro lo hanno fregato.
Osvaldo Escribano: Che Alfonsinista! Vedi quanto lo
ama! Bene, io credo che è difficile essere ottimisti
al momento, dal nostro punto di vista, perché non c'è
realmente una grande consapevolezza da parte della gente.
Neanche nei giovani?
Osvaldo Escribano: No, io credo che il sistema sia
riuscito moltissimo a inglobare i valori della gente, e questo
è molto difficile da controbattere. Però, diciamo
che è un compito al quale possiamo lavorare, alzando
la nostra voce nei vari luoghi; tentiamo di farlo. Un paio
di anni fa il giornale Página 12 fece un servizio
su alcuni di noi; ricevemmo molte lettere, alle quali rispondemmo,
e come conseguenza vennero formati dei gruppi. Era un fenomeno
interessante, soprattutto perché la gente ha scoperto
che ci sono anarchici in giro; stavo commentando questo con
dei compagni durante un seminario che abbiamo dato all'università
di Mar del Plata, parlando dell'anarchismo, e la gente lo
vede come qualcosa di attuale e non semplicemente come un
fatto storico, come l'anarchismo viene visto in molti casi.
Qui in Argentina l'anarchismo ha una storia ricca e lunga,
e questo non si può negare; vale a dire, nessuno storico
può negare gli anarchici. Invece, loro non negano,
ma dicono che gli anarchici "erano" brave persone,
persone eccellenti, "erano" questo o quell'altro
... Ma quando gli studenti e i membri del sindacato scoprirono
che c'erano anarchici e nemmeno tanto vecchi!
rimasero veramente sorpresi.
Mi stavi dicendo prima che c'è molto interesse
verso l'anarchismo in questo momento nelle province dell'Argentina,
e che credi che il punto di partenza per un cambiamento potesse
venire dalle province e non dalla capitale.
Osvaldo Escribano: La maggior parte delle azioni si
fanno nelle province, azioni molto radicalizzate. Ovvero,
i blocchi stradali che si sono fatti sia in Jujuy, nel nord,
che in Neuquén, nel sud. Esiste un'espressione che
noi usiamo; ora i gruppi si stanno chiamando "autoconvocati".
Ci sono molti "docenti autoconvocati", "residenti
autoconvocati"; è un termine che viene usato moltissimo,
e l'organizzazione degli "autoconvocati" è
di tipo orizzontale, non gerarchica. È il nostro genere
di approccio.
Antonio López: Un paio di anni fa mi hanno chiamato
a una radio FM, e televisione, per parlare della "Settimana
Tragica" del 1919 [il momento rivoluzionario in Argentina,
che fu represso severamente], e qualcuno mi vide in televisione.
Era un vicino di casa, della farmacia dietro l'angolo, dove
vado abitualmente; così poi il farmacista mi domandò:
"cos'è tutto questo sull'anarchismo? Perché
io non sapevo che c'erano anarchici". Certo che non vado
in giro raccontando alla gente che sono anarchico. Dipende
dove mi trovo; vado dal farmacista per le medicine, non per
parlare dell'anarchismo. Lui si sorprese che ci sono anarchici,
perché pensava che eravamo una cosa del passato.
Ma c'è la comprensione di quello che vuol dire
veramente, chiamarsi anarchico? Come ideologia? In Inghilterra,
per esempio, la parola non viene capita bene.
Osvaldo Escribano: Qui neanche, ma esiste. I significati
comuni dell'anarchia e del disordine vengono confusi; d'altra
parte, almeno le persone più politicizzate, quelle
che hanno delle idee sulla politica e sulle altre cose, stanno
cominciando a domandarsi qualche cosa sull'anarchismo come
movimento politico. Per esempio, alcuni anni fa nel mio quartiere,
facevamo un'azione contro un impianto di coke che avevano
portato qui dall'Olanda ed installato nel Bacino Sud; noi
eravamo molto attivi nel quartiere, e alcuni del comitato
avevano un'idea del mio punto di vista. Alle riunioni loro
non mi definivano mai politicamente: davo le mie opinioni
e delineavo come ci dovevamo organizzare; davo la mia opinione
senza dire che questo è anarchismo. Diciamo che la
gente non lo rifiuta.
Mi interessa sapere come si vedono qui i conflitti in
altre parti del mondo. Ad esempio, la guerra della Nato contro
la Jugoslavia sul Kosovo. Come venne vissuta in Argentina?
Stando lontani dagli avvenimenti.
Osvaldo Escribano: Facemmo manifestazioni, pubblicammo
anche dichiarazioni contro la guerra, sia personalmente che
da parte della Biblioteca. Organizzammo delle attività
contro la guerra.
... perché mi sembra di ricordare che Menem era
interessato a partecipare in qualche maniera.
Osvaldo Escribano: Menem avrebbe fatto qualsiasi cosa
per leccare il culo agli yankies, agli Stati Uniti. Lui
come De La Rúa vuole essere nel "primo
mondo".
Un'ultima domanda: secondo i media, la lotta nuova in
Inghilterra è da parte dei consumatori, contro i prodotti
modificati geneticamente, ad esempio. Sembrerebbe che il modo
più facile di mobilitare le persone nel nord dell'Europa
sia attraverso il consumismo. L'Argentina è anche un
paese di consumatori? È questo il suo futuro?
Antonio López: Ci sono consumatori e ci sono
altri che non hanno niente per consumare.
Quindi, questo modello del consumatore può funzionare
qui, o è destinato a fallire?
Antonio López: Io credo che funziona, da un
punto di vista funziona. Quello che verrà fuori, non
lo so. Loro ci costringono ad adottare il consumismo, lo diffondono.
Ma c'è ancora tanta gente che non ha nulla per mangiare.
Osvaldo Escribano: Il trenta per cento della popolazione
si trova sotto la linea della povertà. Tantissime persone.
Tredici milioni di persone. Ma l'aspetto serio della questione
è che quei tredici milioni di persone ancora credono
di poter essere consumatori. Come stavamo dicendo prima, i
valori del sistema hanno vinto. Io credo, per lo meno, che
la nostra lotta più che essere in difesa del
consumatore, come accade in Europa dev'essere contro
il consumismo. E dimostrando che non possiamo continuare a
consumare in questo modo. Perché se continuiamo a consumare,
finiremo consumando il pianeta.
E come si fa a dimostrarlo? Andando a parlare con la gente
per la strada?
Osvaldo Escribano: Non abbiamo molte altre possibilità;
diffondere la comunicazione dove possiamo. Dove la gente ascolta,
diffondere la comunicazione, e fare quello che possiamo.
Leslie Ray