L'incontro della Weil con l'anarchismo
ha contrassegnato una lunga fase della sua riflessione politica,
dagli anni giovanili fino all'incirca al 1936. Non si è
dunque trattato di un contatto estemporaneo, bensì
di una convergenza nata sotto l'insegna della ricerca della
migliore forma di espressione pratica della libertà.
La Weil ha sentito con forza nella tradizione di pensiero
che risale a Proudhon una fonte di suggestioni per la sua
azione di lotta a fianco dei lavoratori salariati delle fabbriche
e delle miniere e per costruire un progetto di trasformazione
sociale incentrato sull'idea di una società priva di
gerarchie costrittive e in cui i meccanismi sociali non producano
forme di burocratizzazione tecnocratica. L'ispirazione proudhoniana
ha fatto sì che la sua lettura dei testi marxiani
soprattutto de Il capitale, in età giovanile
fosse condotta senza incorrere nei facili miti condivisi
invece da una parte consistente della sinistra francese e
tedesca. La tesi proudhoniana di un futuro sociale in cui
la libertà e la felicità pubblica non siano
sottoposte all'arbitrio del potere statale ha dunque immunizzato
la Weil da ogni contaminazione con teorie che, come il marxismo,
impongono la centralità dello Stato in ogni prospettiva
di mutamento sociale.
Le letture proudhoniane hanno fatto sì che la particolare
simpatia della Weil per il sindacalismo rivoluzionario non
ottundesse mai il suo senso critico. A quest'ultimo la Weil
ha sempre guardato, negli anni giovanili, con un occhio particolarmente
benevolo in quanto le è sembrato forse l'unico movimento
capace di evitare, da una parte, i rischi di un eccessivo
spontaneismo dell'azione di lotta e, dall'altra, di sottrarsi
ai condizionamenti politici esercitati dai partiti e dai sindacati
marxisti sul movimento operaio. La lezione proudhoniana le
ha tuttavia impedito di farne un mito. Anche in esso infatti
la filosofa francese vede in prospettiva il pericolo di una
rinascita del verticismo sotto un'altra forma, in quanto teme
che non possa sottrarsi al destino delle grandi organizzazioni,
quello cioè di darsi prima o poi un'articolazione gerarchica
di potere.
Ciò che importa alla Weil, prima di qualsiasi formula
organizzativa, è infatti la salvaguardia della libertà
individuale, e quindi collettiva, dai condizionamenti costrittivi
derivanti dalla presenza di istituzioni verticali di potere
e, in particolare, da quelle incarnate dallo Stato e dai suoi
apparati (burocrazia, esercito ecc.). Il suo incontro con
l'anarchismo trae dunque origine anche dall'istanza, condivisa
con questo movimento di pensiero e di lotta, di liberare il
soggetto umano dai vincoli istituzionali che inibiscono il
suo naturale desiderio di libertà e quindi di sottrarlo
ai pericoli di una resurrezione dell'autoritarismo statale
e istituzionale anche in una rinnovata società del
futuro. All'anarchismo la Weil guarda come a un modello ideale
di pensiero e di azione e pertanto non è disposta a
identificarlo con una o con un'altra corrente, ovvero con
il pensiero di un particolare filosofo anarchico. Questo spiega
perché i richiami alla filosofia politica di pensatori
anarchici siano solo sporadici, anche se condivide lo spirito
che informa le loro riflessioni.
Spirito
di rivolta
L'anarchismo, peraltro, le ha fornito uno schema di lettura
della storia delle società e dei processi rivoluzionari
ben differente da quello del materialismo storico. Mentre
infatti Marx fa dell'odio di classe il vettore psicologico
di istanze di trasformazione sociale che possono portare ad
esiti rivoluzionari, la Weil fa appello allo "spirito
di rivolta" che è connaturato alla natura stessa
dell'uomo. Una simile disposizione alla lotta per rovesciare
il quadro dominante delle relazioni sociali tra gli uomini,
entro un determinato contesto sociale, rappresenta una tensione
latente che si esprime solo qualora l'individuo si trovi in
una condizione di grave subalternità economica o politica.
Sotto queste condizioni lo spirito di rivolta si traduce in
atteggiamenti individuali e quindi collettivi che assumono
il carattere non solo di istanze di rovesciamento delle gerarchie
sociali, ma anche di attenzione costante affinché il
mutamento sociale non rimetta in gioco quelle articolazioni
istituzionali e verticali di potere che si è voluto
demolire. Lo spirito di rivolta, una volta uscito dal suo
stato di latenza, agisce in controtendenza nei confronti di
un'altra propensione naturale dell'uomo, quella a sottomettersi
passivamente a minoranze attive che gli sottraggono ogni possibilità
di esprimere in piena autonomia la sua libertà.
Per la Weil l'esistenza umana è dunque stretta entro
una dialettica bipolare tra spirito di rivolta, da una parte,
e propensione ad assumere una condizione gregaria, dall'altra.
L'esito di questo conflitto non può essere previsto
perché di volta in volta entrano in campo variabili
storiche e sociali affatto particolari. L'idea di matrice
anarchica relativa al ruolo giocato nella storia delle
trasformazioni sociali dallo spirito di rivolta, ha permesso
alla Weil di porsi in una posizione critica nei confronti
del materialismo marxiano, cui rimprovera di aver proposto
un modello di spiegazione storica riduttivo in quanto esclusivamente
incentrato sui rapporti sociali di produzione. Ad avviso della
Weil la nozione di spirito di rivolta ha invece il pregio
di chiamare in causa un principio psicologico di ordine naturale
più profondo dei rapporti di produzione. Lo spirito
di rivolta, a differenza della lotta di classe, fa dell'individuo,
e non di un gruppo sociale, il vettore della storia.
La Weil rifiuta pertanto l'idea di Marx peraltro da
parte di questi mutuata da Hegel secondo cui il cambiamento
storico dipende da soggetti collettivi. La storia è
fatta da individui in carne e ossa e non da entità
"misteriose" come le classi, le quali, ad avviso
della Weil, non sono altro che raggruppamenti di individui
dotati di simili caratteristiche sociali, psicologiche e culturali.
L'aver posto da parte di Marx e del marxismo l'accento sul
ruolo storicamente determinante di questi soggetti collettivi
(classe, partito, Stato ecc.) è responsabile implicitamente
dell'orientamento illibertario del marxismo realizzato, cioè
dello stalinismo, in quanto ha condotto a sottovalutare il
valore individuale del singolo soggetto umano tutto a vantaggio
di apparati burocratici di partito o statali. Anche dal punto
di vista di una filosofia della storia, dunque non solo di
una filosofia politica, la distanza della Weil dal marxismo
appare tanto marcata da assumere il carattere di una vera
e propria contrapposizione teorica.
Contro
Stalin e Hitler
Con un simile orientamento critico la Weil affronta dunque
le questioni politiche più scottanti a lei contemporanee
che vengono trattate nei brani presentati in questa antologia.
Gli anni in cui scrive la Weil corrispondono a un periodo
di consolidamento del governo staliniano nella Russia sovietica,
ma anche di progressiva affermazione del fascismo tedesco
fino all'avvento al cancellierato di Hitler e alla formazione
di uno Stato nazionalsocialista. Si tratta di due espressioni
di potere che le appaiono simmetriche sotto molti rispetti,
anche se diversamente connotate in senso ideologico. Entrambi
fanno leva su un potenziamento esponenziale della forza illibertaria
dello Stato, su un'espansione dell'interesse economico pubblico
e, infine, sull'irreggimentamento sistematico e violento delle
coscienze individuali. In entrambi la Weil, inoltre, coglie
l'espressione trasparente del potere dello Stato ormai privo
dei veli con cui la democrazia parlamentare copre il suo vero
volto. In questo senso bolscevismo e nazismo realizzano, con
il ricorso a mezzi di pressione non diversi sotto il profilo
del grado di violenza da loro incorporato, una medesima condizione
di imbarbarimento dei rapporti sociali che porta all'annichilimento
dell'individuo in nome di ingannevoli e falsi ideali collettivi.
È dunque affatto naturale che la Weil, di fronte alla
piega dittatoriale presa dagli eventi successivi alla Rivoluzione
d'Ottobre in Russia, assuma senza mezzi termini una dura posizione
critica che si traduce in un'aperta condanna dello stalinismo,
proprio in un periodo in cui i partiti comunisti europei ne
sembrano infatuati. A suo avviso, la nascita di una forma
autocratica e sanguinaria di potere in Urss non è casuale,
bensì si pone come una sorta di esito necessario del
modo in cui le teorie marxiste sono state interpretate prima
da Lenin e quindi da Stalin. Il marxismo contiene per la Weil
un'inequivocabile vocazione autoritaria e illibertaria in
quanto non sa sottrarsi all'oscuro fascino che esercita su
di lui l'idea di Stato e non sa liberarsi del mito di un partito
politico della classe operaia che nei fatti risulta essere
solo portatore degli interessi di una élite dirigente.
La combinazione tra una concezione mitica dello Stato e del
partito è pertanto responsabile, ai suoi occhi, dell'assoluta
mancanza di libertà in Urss e delle violenze perpetrate
dalla burocrazia e dalla tecnocrazia staliniana nei confronti
dei dissidenti. Pertanto, secondo la filosofa francese, lo
Stato sovietico non è riformabile non solo per il fatto
che le radici del potere staliniano sono ormai troppo profonde,
ma anche, più in generale, perché ogni tentativo
di modificare l'assetto del potere statale senza spezzarlo
effettivamente finisce comunque per riproporre forme di violenza
istituzionale e di autoritarismo politico.
La storia ha mostrato sostiene la Weil che ogni
tentativo di riforma che interessa l'apparato dello Stato
non incide effettivamente sulla sua forza di oppressione.
Può forse mitigarla temporaneamente, rendendo possibile
alcune limitate forme di espressione della libertà.
Prima o poi, tuttavia, la vera vocazione autoritaria dello
Stato prenderà il sopravvento mostrando il suo volto
brutale. La lezione da trarre dalla marcia trionfale verso
il potere da parte di Hitler e del suo partito rappresenta
un'ulteriore conferma diretta di questa tesi. Il fascismo
tedesco, in altre parole, era già latente nelle istituzioni
della repubblica di Weimar, almeno nel senso di una tensione
immanente all'apparato dello Stato a scuotersi di dosso i
condizionamenti imposti al suo potere da parte di una costituzione
repubblicana mirante a garantire i diritti fondamentali dei
cittadini e una reale divisione dei poteri.
Se, in ultima analisi, la crisi dello Stato di diritto sancito
a Weimar nel 1919 è imputabile a una tensione interna
allo Stato a riappropriarsi del terreno perduto in termini
di prepotenza istituzionale, non vanno comunque dimenticate
- secondo la Weil - le responsabilità dei partiti tradizionali
della sinistra tedesca, in particolare del partito comunista
(Kpd). Come gli altri partiti comunisti europei, anche quello
tedesco costituisce di fatto, a suo avviso, un'appendice dello
Stato sovietico, il quale ne manovra la politica dall'alto
attraverso i canali istituzionali dell'Internazionale comunista.
Prova ne è che la loro dirigenza ha applicato rigidamente
parole d'ordine provenienti da Mosca che impongono un duro
scontro con la socialdemocrazia in un momento in cui l'unità
della sinistra in Germania rappresenta, secondo la Weil, l'unica
barriera possibile contro lo strapotere nazista. Il partito
comunista tedesco si è piegato così ad accettare
la parola d'ordine staliniana di un accordo, cioè di
un "fronte unico dal basso" con gli operai e i militanti
socialdemocratici sottovalutando in questo modo l'ascendente
esercitato dalla dirigenza socialdemocratica sui suoi iscritti.
L'insuccesso della strategia comunista, evidente nella mancata
conquista della base operaia socialdemocratica, rappresenta
dunque, agli occhi della Weil, semplicemente il fallimento
della politica di indebita ingerenza di uno Stato straniero,
quello sovietico, nella vita sociale tedesca. Lo Stato staliniano
porta così in parte la responsabilità dell'ascesa
del nazismo al potere in Germania.
Anche
contro la socialdemocrazia
Anche nei confronti della socialdemocrazia tedesca (Spd)
la Weil non lesina pesanti critiche. Essa infatti secondo
il suo punto di vista non si è solo limitata
a fare dello Stato un fondamentale referente della sua azione
politica nella forma della partecipazione alle battaglie politiche
parlamentari o in quella della pressione politica esercitata
sui governi per evitare eventuali misure antioperaie. Se è
vero che i vantaggi tratti dalle classi lavoratrici in termini
di acquisto di un certo benessere economico e di una serie
di vantaggi sociali non sono stati indifferenti, è
altrettanto certo che con questo atteggiamento collusivo verso
lo Stato la socialdemocrazia si è preclusa la possibilità
di cogliere le trasformazioni politiche in atto. Soprattutto
ha perso di vista il potenziale di oppressione e di autoritarismo
insito in quello Stato di cui ha cercato l'alleanza e questo
l'ha condotta a credere che l'apparato dello Stato non sarebbe
mai stato rivolto contro di lei fino al punto di distruggerla.
La socialdemocrazia si è trovata pertanto disarmata
nei confronti di quei movimenti della destra estrema, il nazionalsocialismo
hitleriano, che hanno finalizzato la loro azione politica
alla conquista delle leve del potere statale per utilizzarlo
barbaramente contro tutto il movimento operaio.
L'analisi da parte della Weil delle responsabilità
della socialdemocrazia è affatto impietosa. Essa si
sviluppa lungo due linee essenziali: quella sociologica, mediante
l'individuazione della specifica collocazione sociale dei
membri delle élite dirigenti della socialdemocrazia
tedesca; quella psicologico-sociale, attraverso l'enucleazione
della psicologia di queste élite. La tesi di fondo
per spiegare la debolezza della socialdemocrazia e
in qualche misura anche del partito comunista consiste
nel sottolineare come il suo gruppo dirigente condivida una
situazione analoga a quella della burocrazia tecnocratica
di Stato in quanto è inserito in un'istituzione che
per molti versi riproduce i caratteri strutturali dell'apparato
statale. Data questa analogia di fondo, è del tutto
naturale secondo la filosofa francese che la
socialdemocrazia assuma nei confronti dello Stato quell'atteggiamento
compromissorio che di fatto ha contribuito a soffocare ogni
velleità rivoluzionaria delle classi lavoratrici. Del
resto, come potrebbero andare diversamente le cose dal momento
che questo partito politico ha bisogno dello Stato per mantenere
inalterati i vantaggi derivanti dai consistenti capitali accumulati
negli anni con le quote delle iscrizioni?
Nei confronti del nazionalsocialismo tedesco l'atteggiamento
della Weil non può evidentemente essere meno risoluto.
Dato che la maggior parte degli articoli dedicati all'analisi
della situazione tedesca è stata redatta a meno di
un anno dall'ascesa al potere di Hitler, la sua attenzione
si dirige eminentemente a cogliere le ragioni del consenso
acquisito dal partito nazionalsocialista, cioè della
sua notevole capacità di radicamento nella società
tedesca.
Un altro aspetto che sollecita il suo interesse consiste nel
cercare di rispondere al perché il nazismo ha potuto
ottenere credibilità anche all'interno delle classi
lavoratrici. La Weil rifiuta la tesi semplicistica del nazismo,
istituita dalla Spd e dalla Kpd, secondo cui esso costituisce
semplicemente l'espressione politica violenta della grande
borghesia e il suo braccio armato. La filosofa francese ritiene
che effettivamente esista una componente strumentale di questo
genere, ma che questa si sia sovrapposta a una realtà
che è maturata autonomamente sul terreno politico e
dello scontro sociale. In altre parole, la borghesia e la
tecnocrazia di Stato sfruttano il nazismo utilizzandolo come
ariete per demolire il movimento operaio, ma esso è
il prodotto di un complesso di circostanze sociali e psicologiche
del tutto indipendenti dalla volontà di queste forze
sociali. La disamina di questo processo di maturazione organizzativa
e psicologica del nazismo analisi del tutto trascurata
dalle forze della sinistra tradizionale è indispensabile
per sapere quali iniziative assumere per fronteggiarlo.
Intellettuale
in rivolta
La Weil si preoccupa, inoltre, di capire le motivazioni profonde
della sottovalutazione del fenomeno nazionalsocialista da
parte delle forze della sinistra tradizionale tedesca, ricondotte,
in ultima analisi, alla povertà culturale delle élite
che guidano il partito socialdemocratico e quello comunista.
Poiché la Weil vede nel nazismo l'espressione indiretta
di una resa dei conti dello Stato con una società politica
che ha cercato di imbrigliarne la carica potenziale di violenza
illibertaria, non nutre alcuna fiducia nella possibilità
di un rientro del nazismo alla legalità o di una sua
irreversibile crisi di credibilità politica. Negli
articoli che qui presentiamo emerge chiaramente che la Weil
sa che la partita è ormai persa per il movimento operaio.
Questa convinzione traspare non solo nei suoi argomenti, ma
si traduce anche in una sorta di moto simpatetico di partecipazione
al dramma ormai incombente sui lavoratori tedeschi e insieme
di forte avversione verso quei partiti che, chiusi nelle loro
rigide strutture gerarchiche, non hanno saputo interpretare
le tensioni di lotta ancora latenti nel mondo del lavoro salariato.
La posizione della Weil nei confronti della realtà
a lei contemporanea è dunque quella dell'intellettuale
in rivolta contro ogni manifestazione di potere che si appoggi
su strutture istituzionali rigide e gerarchizzate. L'espressione
più alta di questo atteggiamento polemico si è
concretizzata nella sua pur breve partecipazione alla guerra
di Spagna nel Gruppo internazionale della colonna di miliziani
anarchici guidati da Buenaventura Durruti. La scelta del campo
anarchico non è stata certo casuale. L'anarchismo le
sembra incarnare la migliore garanzia contro l'affermazione
del fascismo, cioè di un'altra forma di organizzazione
statale che, come quella sovietica, tende a sottoporre al
suo potere ogni aspetto della vita sociale. L'anarchismo le
appare soprattutto come l'unica dottrina sociale capace di
rivendicare l'importanza dell'autonomia dell'individuo nei
confronti dei grandi apparati e quindi di porre in primo piano
il valore morale della libertà individuale. Mentre
marxismo e fascismo parlano di Stato, partito o classe, come
se le singole individualità fossero fenomeni marginali
della vita collettiva, l'anarchismo parla di soggetti singolari,
dei loro bisogni, delle loro aspirazioni di libertà.
Nella partecipazione alla guerra di Spagna la Weil ha dunque
probabilmente cercato di esprimere questa idea di centralità
del soggetto rispetto alle istituzioni attraverso un'azione
che fosse a un tempo di impegno coerente dell'intellettuale
contro il totalitarismo fascista e di rivolta contro ogni
forma di potere statale.
Accanto
agli anarchici
L'affiancamento della Weil ai volontari anarchici sul fronte
aragonese risponde presumibilmente anche all'esigenza profonda
di una presa di posizione militante contro il militarismo
e contro il patriottismo, di cui peraltro riconosce la presenza
nefasta nella cultura degli intellettuali francesi e negli
apparati statali preposti alla scolarizzazione delle giovani
generazioni. Contro il militarismo, in quanto ideologia e
pratica che sottomette ai profitti dell'industria bellica
e dei corpi politici statali cointeressati i destini di milioni
di persone. Contro il patriottismo, in quanto mentalità
radicata su una falsa idea di patria e di unità spirituale
di un popolo intorno a presunti valori di superiorità
nazionale. Patriottismo e militarismo rappresentano ai suoi
occhi - come emerge in modo trasparente da diversi testi presenti
in questa antologia - due sintomi culturali complementari
della presenza soffocante dello Stato nella società,
mascherata sotto la veste di presunti interessi nazionali
e supportata da processi di identificazione collettiva da
parte dei cittadini con quei leader che se ne sono fatti promotori.
Gli articoli riportati in questa antologia percorrono dunque
criticamente tutte le espressioni del potere istituzionalizzato
che l'esperienza storica a lei contemporanea mostra in modo
esemplare. La sua inquietudine di fronte a queste manifestazioni
è profonda; la sua volontà di lotta è
forte e sincera. La Weil tuttavia avverte un sensibile isolamento
rispetto a tutte quelle forze intellettuali e politiche che
sembrano incapaci di cogliere le minacce incombenti in Europa
e che porteranno alla tragedia della seconda guerra mondiale.
La sua solitudine lentamente la condurrà a una rarefazione
del suo impegno politico a fianco del movimento operaio. Il
suo sguardo progressivamente si rivolgerà ad altri
campi di sapere: la storia delle religioni, la filosofia,
la mistica religiosa.
Maurizio Zani