Sui quotidiani del 12
maggio di quest'anno appare la notizia che è arrivata
anche in Italia dagli Stati Uniti la pillola per il bambino
che soffre di AdHd (Attention deficit and Hyperactivity disorder),
vale a dire di difficoltà di attenzione e di disordine
iperattivo.
L'autorità farmacologia italiana competente (il Cuf)
ha autorizzato la prescrizione e la vendita di questo psicofarmaco
(il Ritalin) in caso di diagnosi accertata e solo dai medici
dei centri specialistici.
Lo scopo del farmaco è curare le sindromi ipercinetiche
dell'infanzia, cioè tutti quei disturbi di comportamento
che sono così drammaticamente presenti all'interno delle
aule scolastiche e di ogni luogo di associazione e di relazione
organizzata per i bambini e le bambine.
Negli Stati Uniti questa sindrome è sempre più
diffusa tra i bambini fra i sei e i dodici anni e il fenomeno,
come può notare chiunque abbia a che fare con questa
fascia di età, si va diffondendo sempre più spaventosamente
anche a casa nostra. I problemi che si pongono sono due: perché
avvengono questi comportamenti, quali rimedi sono eticamente
possibili.
Questa decisione del Cuf arriva in un momento nel quale si sono
susseguiti vari episodi di particolari forme di violenza, talvolta
con veri e propri delitti, commessi da ragazzi minorenni, nei
confronti di altri minori o di adulti, molto spesso indifesi
e deboli. Le cronache dei giornali e delle televisioni e i dibattiti
sul tema della violenza commessa da minori, occupano un posto
sempre più rilevante. Studi e ricerche sociologiche sulla
formazione delle bande giovanili, sulla diffusione del bullismo
a scuola e nei luoghi di socializzazione dei bambini e dei ragazzi,
sull'incapacità di relazioni positive tra minori, vengono
prodotti con sempre maggiore frequenza e il mercato editoriale
sforna una molteplicità di libri e saggi sull'argomento.
Un generale piagnisteo, talvolta persino irritante, si alza
e si diffonde, diviso tra un rigurgito di autoritarismo invocato
da una parte e un pietoso e aristocratico buonismo dall'altra.
Insomma aumenta la visibilità mediatica del fenomeno
e diminuisce la capacità di affrontarlo.
In questo quadro desolante si rende necessaria una presa di
posizione decisa e ferma da parte di chi si sforza di assumere
un punto di vista diverso dai due atteggiamenti così
apparentemente differenti ma in realtà assolutamente
speculari.
Fuga dalla realtà
La richiesta di aumento di autorità e di disciplina,
ritenute deterrenti indispensabili per contrastare il fenomeno,
si ascrive alla logica di chi pensa che a causare questa realtà
di violenza sia una caduta di valori come Famiglia, Chiesa,
Stato (schematizzando); l'invocazione alla comprensione e alla
pietà, al sociologismo di maniera, si inserisce nella
cultura di una certa sinistra progressista che non può
perdere fino in fondo la propria identità.
Ambedue queste posizioni però, seppure in forme e modi
diversi, sfuggono a una considerazione che io reputo fondamentale:
non esiste una condizione esistenziale per l'infanzia e l'adolescenza
che sia immune, per non dire pesantemente condizionata, dal
contesto sociale e culturale del nostro tempo. Questa fuga dalla
realtà è sicuramente prodotta da una paura e da
un meccanismo di difesa proprio di ogni forma di potere: l'incapacità
vitale di riconoscere negli occhi degli altri (bambini e ragazzi)
se stessi, o meglio, in questi casi di violenza e terrore, il
frutto delle proprie azioni o delle proprie reticenze. Con questo
non voglio dire che vi sia un meccanico rapporto tra ambiente
e risultati, ma mi pare innegabile che i condizionamenti sociali
e relazionali abbiano un'influenza determinante nella formazione
e nello sviluppo della personalità infantile.
E allora quale giudizio possiamo ragionevolmente dare su episodi
di efferata violenza, sull'aumento spaventoso di "disturbi
di comportamento", senza giudicare prima di tutto noi stessi
e il mondo che è stato costruito, talvolta anche da chi
pensava di starsene fuori? Come si può pensare che dalle
piccole ma significative nostre azioni quotidiane fino alle
scelte politiche ed economiche che vengono compiute sulle nostre
teste, non scaturiscano i comportamenti e gli atteggiamenti
esistenziali di cui poi sentiamo le lamentazioni o le giustificazioni?
Detto questo però il problema non è risolto, perlomeno
non credo corretto ed intellettualmente onesto il fatto di liquidare
messianicamente la questione rimandandola al momento fatidico
del cambiamento epocale della società. Questo per due
ragioni: primo perché se mai ci si arriverà, lo
vedo un "tantino" lontano, secondo perché le
vite sono brevi e noi e i nostri ragazzi viviamo adesso e credo
sia indispensabile vivere nel modo più libero e felice
possibile. Che fare allora rispetto a tutto ciò, ma soprattutto
come reagire di fronte alla pretesa del potere di "sedare"
la devianza senza far passare comunque valori e principi violenti?
Non è facile certamente, ma alcune cose, alcuni atteggiamenti,
alcune relazioni educative sono sicuramente possibili senza
aspettare un futuro che spesso diventa un alibi per non "sporcarsi
le mani". Questo diventa più comprensibile per chi
quotidianamente vive la realtà dei bambini e dei ragazzi
e sa cogliere (vuol cogliere) la loro realtà e soprattutto
pensa e agisce perché gli spazi di auto-affermazione
diventino sempre più ampi.
Intanto va dichiarato a voce alta che accanto a questa realtà
così enfatizzata, per scopi ben precisi, dai media, vi
sono un'infinità di esempi positivi di solidarietà,
di rispetto, di altruismo che non fanno notizia ma che accadono
naturalmente, spontaneamente, nelle aule, nei campi da gioco,
nelle compagnie, nei luoghi autentici di ritrovo. Inoltre ritengo
utile sottolineare che esiste anche una società informale
ma reale che si costituisce sistematicamente e spontaneamente
attorno a obiettivi condivisi, gesti di solidarietà,
valori propri di una civiltà degna di questo nome.
Pertanto sarebbe delittuoso, questo sì, ignorare le enormi
e infinite possibilità di vivere in modo non autoritario
i rapporti umani. Ci sono stati e ci sono tuttora esempi concreti,
in ogni parte del mondo, di come sia possibile costruire comunità
educanti nelle quali ogni bambino e ogni ragazzo possa respirare
un clima di solidarietà e di libertà e possa promuovere
autonomamente lo sviluppo della sua personalità.
Motivi
di riflessione
Ecco perché occorre estendere queste esperienze, dar
voce alle emergenti istanze di nuovo comunitarismo, rifiutare
con gesti decisi e forti i simboli e le sofisticazioni del mondo
del profitto e del potere, allargare gli spazi e rinnovare i
linguaggi di una nuova società, in sostanza immergersi
nella vita quotidiana senza paura di compromettersi, magari
anche solo per segnare una differenza, ma al contempo anche
lavorare concretamente a fianco di chi soffre, di chi è
in difficoltà.
Allora sembrerà ad ognuno di noi, finalmente, meno importante
una astratta coerenza, che pare più un isolamento aristocratico,
che una consapevolezza di continui compromessi. Come diceva
giustamente Paul Goodman si può fare tutto ciò
tracciando un limite oltre il quale non si può andare,
pena la scomparsa della propria natura e del proprio essere
comunque diversi.
Lavorando con i bambini e i ragazzi possiamo certamente offrire
loro, attraverso il nostro modo di essere e il nostro comportamento,
motivi di riflessione; la nostra coerente disponibilità
ad ascoltare le loro richieste piuttosto che giudicare i loro
comportamenti, può promuovere la loro autonoma crescita;
incentivare decisioni comuni, paritarie, rispetto a comportamenti
devianti, difficili, violenti, può far crescere in ognuno
la consapevolezza di essere considerati seriamente e favorire
l'autodeterminazione.
Lavorare per portare fuori le paure che producono negli altri
adulti rifiuto e ghettizzazione del diverso può creare
un clima di accettazione e disponibilità ad apprendere
e a misurarsi con le situazioni più difficili.
La pillola allora servirà solo a chi si ostinerà
a non capire che senza un cambiamento profondo, seppur graduale,
delle condizioni culturali, sociali, economiche e politiche
della società non è possibile garantire a dei
bambini e dei ragazzi, ma anche agli adulti, una vera libertà
e una profonda e non effimera felicità.
Francesco Codello
Illustrazioni di Chiara Elli
|