Chi sostiene con mano decisa le sorti
di questa rivista ha sempre avuto il pregio di lasciare ai redattori
la più ampia libertà di scegliere largomento
dei propri articoli, non solo, ma di rifiutarsi categoricamente
di fornire orientamenti sulla posizione della rivista in ordine
a emergenze o a fatti di rilievo particolare. Laltro giorno,
nel corso di una telefonata, a me che insistevo, lolimpico
Paolo suggerì, riottoso: potresti occuparti di politica
interna, se vuoi. Poggiai la cornetta del telefono (io vado
ancora allantica, non posseggo quegli oggetti gracchianti
che scelgono sempre i momenti meno opportuni per lanciare le
loro stridule versioni di spartiti peraltro assai illustri),
poggiai la cornetta dicevo fregandomi le mani
per avere avuto almeno qualcosa in più del solito scrivi
quello che più ti ispira. Ma il sollievo durò
lo spazio di un minuto.
Mi resi immediatamente conto che, sul piano governativo, a parte
la sempre più ampia tutela legislativa degli interessi
di Berlusconi, le elargizioni quotidiane alla Confindustria,
la corsa alla privatizzazione dei servizi pubblici essenziali,
il saccheggio dellambiente e la legalizzazione di tutte
le costruzioni abusive, fossero pure sorte in terreni demaniali
o sul bagnasciuga delle nostre povere coste, a parte queste
cose, diciamo così, nuove di zecca. Il resto appariva
di normale amministrazione: le banche continuavano ad essere
svaligiate (poco male), i tabaccai rapinati e uccisi, le ville
dellopulento nord svuotate. Per i cittadini, la solita
bufala: paga e rallegrati, perché anche se nessuno se
ne accorge, le tasse sono diminuite, il costo della vita anche,
e se al 27 del mese nessuno più ci arriva, deve essere
colpa di qualche male oscuro perché il paniere,
sul quale si misura landamento dellinflazione, dice
che andiamo benissimo, che i prezzi sono stabili e che meglio
andrà nel prossimo, radioso futuro.
Mi manca il cuore, però, di continuare a scherzare su
tali argomenti e mi auguro che il popolo italiano, anche quella
parte cospicua che ha votato il blocco berlusconiano, si accorga
finalmente che gestire uno stato, specie in tempi come i nostri,
non è impresa da affidare a questa sorta di corte
dei miracoli quale si rivela quella che ha Berlusconi
a presidente.
Il conflitto sociale, che è già nelle dinamiche
del liberismo economico in atto nei paesi delle così
dette democrazie occidentali, eleverà i suoi toni laddove
le diseguaglianze saranno più marcate e più difficilmente
sanabili. Così in Italia, malgrado i toni trionfalistici
dellISTAT sulloccupazione (ci sarebbero 350 mila
occupati in più), la mancanza di lavoro, quella reale,
si aggira nel meridione sul 23% della popolazione attiva, senza
considerare le centinaia di migliaia di giovani che, tra lavori
interinali, formazione lavoro, articolisti comunali, semestralisti
e via dicendo hanno una vita talmente precaria che solo i tromboni
sfiatati, fra i quali, in prima fila, anche il nostro serafico
presidente Ciampi, possono sollecitarli a mettere su famiglia
e fare dei figli. Ma ciò che più avvilisce è
la speculazione che su questa precarietà si innesca.
I famosi Call Center hanno costruito sulle sovvenzioni, dirette
e indirette, del governo e sul lavoro legalmente sfruttato di
migliaia di giovani, colossali guadagni, liberandosi poi dei
lavoratori al termine di quel periodo al di là del quale
avrebbe dovuto inquadrarli, pagando regolarmente i contributi
e rispettando i minimi salariali, senza sovvenzioni governative
da pretendere.
Si arriva oggi allassurdo che una famiglia del sud, per
ottenere il privilegio di un lavoro per il figlio
o la figlia, deve rimetterci del suo perché il salario
percepito dalloccupato, se lontano dalla famiglia, non
serve neppure ad assicurargli una civile sopravvivenza, in modo
particolare se questo lavoro è al nord e in aree nelle
quali il costo della vita è più elevato. Per non
parlare delle garanzie e della sicurezza del lavoro. Il nostro
paese è al primo posto in Europa nella triste graduatoria
degli incidenti sul lavoro. I morti e gli invalidi si contano
a migliaia e nessuno si preoccupa neppure di far rispettare
quelle poche leggi che tutelano i lavoratori. Particolarmente
significativo e per molti versi allucinante, è ciò
che recentemente si è verificato a Gela, dove i lavoratori
del petrolchimico sono scesi in piazza perché fosse loro
consentito di morire di leucemia o di cancro ai polmoni pur
di non perdere il posto di lavoro. E il governo ha acconsentito
immediatamente: con un decreto legge ha dichiarato innocua lutilizzazione
di un combustibile, giudicato inquinante e nocivo da tutti gli
analisti. Ci aspettiamo adesso che Berlusconi e i suoi giullari
risolvano nella stessa geniale maniera il problema dellinquinamento
delle città e, in prospettiva, quello delluniverso
intero.
Voltiamo pagina.
La questione meridionale
Il mondo confindustriale, il governo , il governatore Fazio
e lavvocato Agnelli sono in festa: la ripresa economica
è già in atto, si protrarrà per tutto il
2002 e finirà, a regime, per attestarsi sul 3,5% Questi
sono grosso modo i conti che gli analisti forniscono per lanno
in corso. Vediamo in che misura sono corretti oppure peccano
di astrazione.
Intanto il dato di crescita non è valutabile se lo si
astrae dallandamento delle economie del mercato internazionale.
Le cifre indicate, cioè, possono anche essere credibili
a condizione che il trend complessivo delleconomia mondiale
segua un andamento di eguale indirizzo. Il che è tutto
da dimostrare. Esponiamo alcuni fattori che appaiono tuttaltro
che in linea con queste previsioni.
Intanto, il prezzo del petrolio. Gli sconvolgimenti in atto
nellarea mediorientale inducono a prevedere un innalzamento
dei prezzi e, addirittura, se il conflitto dovesse radicalizzarsi,
la stessa possibilità di approvvigionamento. Sappiamo
tutti che il prezzo del petrolio giuoca un ruolo determinante
nei bilanci dello stato e se dovesse superare certi livelli
(ai quali siamo prossimi) costringerebbe i governi a rastrellare
risorse da altri comparti. Pertanto, se la capacità di
spesa non è sufficientemente elastica (e il bilancio
dello stato italiano è tuttaltro che elastico)
si rischia di toccare nervi scoperti della comunità,
come la sanità, i servizi pubblici e via dicendo. Mancherebbero
poi le risorse per gli investimenti e, di conseguenza, la possibilità
di creare nuova ricchezza e di tenere il passo con le economie
più forti nei comparti delladeguamento tecnologico
e della ricerca (già adesso penalizzata, e pesantemente,
dalla riduzione drastica degli stanziamenti).
Vi è poi, irrisolto, il problema meridionale. Metà
della Penisola ha bisogno di infrastrutture. Ha cioè
bisogno di stanziamenti che possono trovare la loro remunerazione
(in termini monetari ma anche in termini di occupazione e di
crescita del tessuto civile) soltanto nella media e lunga durata.
Chi oggi è in grado di compiere questo sforzo? Sui privati
abbiamo già visto che non si può contare. Vengono
al sud ancora con la mentalità coloniale, di utilizzare
cioè le sovvenzioni dello stato per rastrellare le risorse
locali e di lasciare poi il contesto più povero di come
lo avevano trovato. Del governo attuale è inutile parlare:
anche ammettendo la sua buona fede (e stiamo ipotizzando un
assurdo) non ha la capacità direi culturale per compiere
unoperazione così complessa. Il risultato di questo
stato di cose, appena accennate per leconomia stessa dellarticolo,
ma infinite altre se ne potrebbero aggiungere, è che
il sud, suo malgrado, costituirà un freno ad un equilibrato
rilancio dellintera economia nazionale. Ma i problemi
esistono, eccome, anche per le economie dellopulento nord.
Ammettiamo per un momento che le prospettive di crescita ci
siano veramente e nella misura prevista. Ciò implica
che le esportazioni andranno sempre meglio e che le industrie
avranno più commesse. A parte le dimensioni attuali della
nostra attività industriale trainante, che può
sopportare sino ad un certo punto un surplus di domanda, vi
è il problema, già urgente, della mano dopera
che manca. Se ancora non spariamo contro gli extracomunitari
che entrano nel nostro Paese, ciò è dovuto al
fatto che le industrie del nord hanno letteralmente sete di
manodopera, che non trovano in patria perché questo governo,
ma anche gli altri che lo hanno preceduto, ha innalzato il livello
del conflitto sociale, non solo, ma ha reso così precaria
la condizione dei nuovi occupati, giovani in massima parte,
che ha ridotto le possibilità di una migrazione interna
sostenibile. Pur essendoci gran bisogno di lavoro, laccesso
alle imprese è fortemente limitato dalle condizioni insostenibili
di quanti sarebbero disposti ad allontanarsi dai luoghi dorigine
pur di trovare unoccupazione.
Infine, il problema dei trasporti. Questa voce, in Italia, innalza
in misura anomala il prezzo unitario dei prodotti e, alla lunga,
queste diseconomie finiranno per pesare in un contesto mondiale
che cerca di razionalizzare al massimo i costi, migliorando
le condizioni di trasferimento delle merci. E non ci saranno
correzioni derivanti dal livello dellinflazione, così
come in altri tempi si cercava di uscire dalle molte strettoie
della nostra economia.
Come si vede, si vende la testa dellorso prima che sia
abbattuto: un modo vecchio di imbonire la gente, proiettandola
in un futuro prefigurato radioso per occultare i mali che sono
alla porta. Ciò che rattrista è che a questo giuoco
non si sottrae quella che impropriamente chiameremo la sinistra
italiana. Non un progetto, unidea portante, unanalisi
corretta della situazione.
Ma parlare della sinistra è come sparare su unambulanza
in corsa verso lospedale (anche se limmagine letteraria
ha perso la sua dimensione paradossale da quando lo sparare
sulle ambulanze pare sia divenuto lesercizio abituale
delle truppe di Sharon). E allora lo spazio per un intervento
reale del nuovo movimento di contestazione cè,
eccome! Ma ad alcune condizioni non semplici.
Calarsi nelle realtà locali
Si deve tornare nelle fabbriche e nei luoghi deputati alla
vita collettiva, non già per armare la mano di lavoratori
e cittadini come pretenderebbe la demenza senile di alcune frange
avanguardistiche prive di retroguardia, ma per indurli a difendere
i diritti acquisiti e richiederne altri e nuovi che abbraccino
tutti coloro che accedono al lavoro, qualunque sia il contratto
loro offerto. Occorre anche inceppare i meccanismi che regolano
la grande distribuzione, che è lanello più
grande, ma anche il più fragile del sistema di produzione
capitalistico. Allora poniamoci allingresso dei supermercati
e informiamo e consigliamo i cittadini su ciò che è
bene comprare e ciò che, viceversa, è meglio lasciare
negli scaffali perché pericoloso per la salute e inutilmente
caro.
Certo è importante essere presenti laddove si prendono
decisioni che passano sulla nostra testa, o nei luoghi dove
larroganza delloccidente industrializzato tenta
con la forza di piegare la volontà dei popoli. Ma è
egualmente importante calarsi nelle realtà locali, laddove
si insinua e si cementa la logica del capitalismo e dove le
forze antipopolari rastrellano consensi e legittimazione a governare.
Il berlusconismo non si sconfigge imbavagliando o, peggio ancora,
eliminando Berlusconi, ma solo sottraendogli la base dalla quale
trae la sua forza elettorale.
Insomma bisogna ancorare alla terra la contestazione, con obiettivi
e metodi che siano adeguati ai singoli contesti. Solo così
è possibile vincere, se non proprio la guerra, almeno
le prossime battaglie.
Antonio Cardella
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