In quale occasione ti sei accostato alle idee anarchiche
e comera la situazione del movimento libertario in quel
momento?
Verso la fine degli anni sessanta e poi nellambito del
Sessantotto. Mi sono sentito libertario nel corso del biennio
1967-68 (con il movimento del 22 marzo). Il paradosso del Sessantotto
è che nel momento in cui un po dappertutto rispuntavano
le idee libertarie, in misura minoritaria (rispetto al marxismo)
ma significativa, coinvolgendo un certo numero di persone come
me, proprio in quel momento le organizzazioni anarchiche erano
quasi scomparse. In particolare a Lione, dove erano presenti
due gruppi anarchici. Uno dei «vecchi» (il gruppo
Elisée Reclus) e laltro di militanti più
giovani che si chiamava Groupe Bakounine: tutti e due,
nella tempesta degli eventi, hanno smesso di riunirsi e, in
sostanza, di esistere. Lanarchismo organizzato era già
in crisi prima degli avvenimenti del maggio. Cè
stata una sorta di implosione, proprio mentre lanarchia
risorgeva dovunque come movimento reale. Nel corso degli anni
sessanta le organizzazioni anarchiche tradizionali sono state
attraversate da numerosi conflitti. La FA passava da una crisi
allaltra. Nel 1968 si è arrivati alla conflagrazione
e lanarchia con la bottega sulla strada è scomparsa,
è svanita come una candela, ricordo di movimenti daltri
tempi, spazzata via dallesplosione libertaria del momento.
Per poi riaccendersi, magari, quando le fiamme della trasformazione
sociale si sono spente.
Tu frequentavi gli anarchici in quel periodo?
No, ero a sociologia, dove eravamo in tanti di provenienza
cattolica. Verso il 1967 ho cominciato a frequentare Michel
Marsella, che veniva da una famiglia di anarchici ed era uno
dei giovani del Groupe Bakounine. Di anarchici ce nerano
altri, ma «non organizzati», alluniversità,
a Storia e Geografia, e non facevano parte del gruppo. In quel
momento si sono scatenate le idee libertarie. Risorgevano spontaneamente.
Poi, se è vero che cidentificavamo con lanarchismo,
nello stesso tempo eravamo impressionati dal marxismo. Il nostro
grande riferimento era Socialisme ou barbarie, una rivista
che si potrebbe definire marxista antiautoritaria, che offriva
le analisi così sconsolatamente assenti nelle organizzazioni
anarchiche di allora.
Critica del comunismo autoritario
Quindi in origine sei stato più influenzato dalle
idee marxiste?
Da un punto di vista personale, quando sono arrivato a Lione,
la lettura che mi aveva lasciato un segno era quella di Bergson.
Ma nelle facoltà umanistiche il marxismo, nella versione
althusseriana, era egemonico nelle correnti di estrema sinistra.
Mi sono iscritto a sociologia e allepoca non sapevo che
Deleuze avesse una cattedra di filosofia a Lione e che facesse
proprio un corso su Bergson
La vita è ben strana.
Dal mio angolino per un po ho difeso Bergson e poi mi
sono messo a leggere con accanimento Althusser. Qualcuno di
noi si è trasformato allora in un marxista emerito, ma
con la fermissima intenzione di torcere il collo al marxismo
dogmatico che fungeva da riferimento ai gruppi politici con
cui siamo stati ben presto in contrasto. In effetti siamo stati
da subito in lotta con i gruppi marxisti dispirazione
maoista o trotzkista. Si era formata una nuova corrente rivoluzionaria
che appariva formata da una miscela di marxismo antiautoritario,
di ultrasinistra, di socialismo o barbarie e di
anarchismo.
A quel punto, però, si è arrivati a un ripensamento
teorico e ideologico dellanarchismo (non senza ragione,
non era solo una questione di moda). La riscoperta e la rinascita
dellanarchia passavano soprattutto dalla pratica, dai
fatti, più che dalle idee. Infine sono venute un po
per negazione, perché in un certo modo, si sono basate
sulla critica del comunismo autoritario e in particolar modo
della Rivoluzione russa. Io sono diventato anarchico attraverso
la lettura di libri come la Rivoluzione sconosciuta di Volin
e poi cerano stati i fatti di Ungheria che erano ancora
abbastanza recenti, di una dozzina danni prima. I consigli
operai ungheresi erano stati trattati da fascisti e controrivoluzionari
da una specie di cappa di piombo marxista. Socialismo o barbarie
era quanto reclamavano anche questi consigli operai e la rivista
omonima aveva dedicato un numero proprio a questo tema.
Quella che si rivendicava, dunque, era lautonomia operaia.
La sociologia come disciplina universitaria era estremamente
recente, essendo stata creata nel 1967. Noi studenti che ci
eravamo iscritti a questa facoltà eravamo anche influenzati
dal libro di Bourdieu, Les héritiers. Un libro
che ha svolto una funzione importante: le idee dellautore
fornivano ai sociologi unautonomia teorica. Prima della
nascita del dipartimento di sociologia gli studenti di lettere
che si trovavano davanti al marxismo lo consideravano un pensiero
totale, insieme sociologico e filosofico, mentre noi, molto
rapidamente, a sociologia, abbiamo formato un gruppo, con Marsella
e altri, al quale la nostra disciplina garantiva autonomia ideologica
e politica. Invece i gauchisti erano costretti a venire
a patti con una forza dotata di proprie risorse teoriche, tra
laltro a causa della sociologia di sinistra dellepoca.
Noi eravamo un gruppo informale, giocavamo a carte, facevamo
feste, facevamo bevute in compagnia e facevamo politica. Io,
personalmente, facevo parte anche di un Comitato Vietnam, ma
indipendente dai marxisti. Era un gruppo che si riuniva in un
locale del Vieux Lyon, ai tempi un quartiere popolare in cui
abitavano molti di noi (come Georges Laurent, che poi sarebbe
stato tra i fondatori di IRL, e Jacques Flauraud, un
amico che aveva un ruolo di primo piano allepoca). Avevamo
formato in breve tempo un gruppo informale, di feste e di gioco,
ma che si riuniva anche per fare lavoro teorico. Abbiamo passato
intere serate a leggere ad alta voce il Capitale di Marx.
A quei tempi era così che ci si formava intellettualmente.
(
).
Nel Sessantotto le bandiere nere ricominciano a sventolare
per le strade: è un primo segno della rinascita dellanarchia?
Per me il rapporto cè stato il giorno in cui ho
capito che tutto quello che vivevamo in un modo così
forte in quel periodo aveva un legame con lanarchia. Mi
ricordo benissimo del momento in cui ho capito di avere aderito
alle idee e al progetto libertari. Il gruppo anarchico era sparito,
ma nello stesso tempo cera tantissima gente che si dichiarava
anarchica. Era un anarchismo molto francese, affascinato dalla
Banda Bonnot, per esempio, e di aspetto poco presentabile per
gli studenti di provenienza piccolo-borghese come me. Era un
anarchismo che è finito con le rapine a mano armata
Gli anarchici facevano paura e non sembravano molto seri (da
un punto di vista politico).
Io penso che il collegamento sia nato quando il movimento antiautoritario
che si affermava come una sorta di enorme speranza si è
riconosciuto nellanarchismo storico, nellanarchia
come progetto politico. Non cerano altri movimenti che
facevano lo stesso. Nemmeno Socialisme ou barbarie, perché
si capiva bene che erano come dei gauchos, dei vecchi
trotzkisti, e lo si avvertiva dalle loro pratiche e dalle loro
idee. Lanarchismo appariva invece come un movimento ampio
e radicale, politico e nello stesso tempo pratico. Dentro ci
stavano i consigli ungheresi come la rivolta individuale che
si traduceva nelle rapine. In quel momento tutte queste cose
hanno trovato un collegamento.
Hai cominciato a prendere contatto con lanarchismo
ufficiale?
Niente affatto. Lanarchismo ufficiale non esisteva più,
almeno a Lione
Cerano i vecchi spagnoli della CNT
Di cui si dovrebbe scrivere la storia, senza dubbio, perché
hanno avuto una loro funzione in questa trasmissione delle idee
anarchiche. In tante cittadine ho trovato persone influenzate
da questi spagnoli. Dovunque esistevano quei piccoli nuclei
si è formato un legame con moltissimi giovani. Giovani
che venivano da famiglie del PCF e che incontrando gli spagnoli
della CNT erano coinvolti in un movimento spontaneo e non organizzato.
Mentre la Federazione Anarchica ai tempi, da una dozzina danni,
si opponeva a questi movimenti di rinascita. Sta qui il paradosso.
La Federazione Anarchica degli anni sessanta, in nome di unortodossia
di cui era depositaria in un contesto assai sfavorevole, passava
il suo tempo a denunciare le deviazioni, a escludere militanti,
un po come faceva la chiesa con i cattolici di sinistra
e il partito comunista con i futuri gruppi di sinistra.
Quindi ti sei accostato allanarchia perché
ci vedevi unalternativa politica, ma nello stesso tempo
respingevi quello che era lanarchismo ufficiale
Non avevo nemmeno bisogno di respingerlo, perché era
sparito. E poi non aveva nessuna importanza. Si aveva davvero
limpressione che ci fosse unanarchia rinascente,
completamente basata sullautorganizzazione e sullautonomia
delle lotte. Per questo non aveva senso lidea di un organismo
custode del dogma e di unortodossia anarchica, per altro
assai misera. Allora mi sono ritrovato ai Cahiers de mai,
un giornale che potremmo definire operaista, animato da un vecchio
stalinista (parigino), ma con una forte partecipazione di libertari.
Il che si spiega facilmente con il fatto che questa pubblicazione
sosteneva lautonomia e lautorganizzazione. Era favorevole
allidea che le persone si organizzassero da sole e lanarchia
per noi era questo: una dinamica di autorganizzazione per trasformare
ogni cosa.
In quale momento hai avuto voglia di fare qualcosa di specificamente
libertario?
In coincidenza con la pubblicazione di IRL, nel 1973.
Prima non avevo fatto niente con i libertari
Presto saranno trentanni!
Sì. Eravamo nel 1973, cinque anni dopo il maggio del
Sessantotto, un lungo periodo. Ci si trovava in un contesto
di scioperi continui e di conflitti. Lidea che avevamo
era che quel movimento, che percepivamo come libertario, si
desse unespressione più specifica. Su questo argomento
litigavamo tantissimo. Noi, con Georges Laurent e qualcun altro,
avevamo in comune lidea di dare unespressione teorica
e simbolica a quello che avevamo vissuto e che stava succedendo
da qualche anno.
IRL allinizio era pensato come un giornaletto,
che ben presto ha avuto una certa risonanza. Allinizio
degli anni settanta cera stato un allargamento delle lotte.
Si cominciava a parlare di ecologia, cera lantimilitarismo,
il movimento delle donne, quello degli omosessuali con la FHAR,
cerano i neo-rurali che tornavano alla campagna, insomma
una sorta di ribollimento generalizzato in cui il movimento
operaio svolgeva un ruolo importante, molto forte. Cerano
scioperi in cui certi sindacati, come la CFDT, erano sul punto
di proclamarsi anarcosindacalisti, in cui erano attivi molti
libertari. È possibile rendersene conto rileggendo quello
che scriveva allepoca Edmond Maire, per esempio sulla
Lip.
Lidea che avevamo era che questo movimento dovesse prendere
coscienza di sé. Per parte nostra, intanto, avevamo continuato
le nostre letture dopo il Sessantotto. Cominciavamo a saperne
di più dellanarchismo e ci sembrava possibile che
questo movimento riflettesse su di sé, per esempio attraverso
un giornale. Ci pareva il mezzo ideale.
Lobiettivo che avevate era di sviluppare un movimento
libertario?
Sì, ma la concezione che avevamo del movimento libertario
era soprattutto legata allidea di non ricostituire le
organizzazioni anarchiche prima dei fatti. Speravamo che quel
movimento vastissimo in cui eravamo immersi fosse in grado di
autorganizzarsi, di federarsi e che, così facendo, desse
vita a un movimento libertario con radici direttamente nelle
lotte, nelle volontà di emancipazione che si manifestavano.
È appunto quello che è successo a Lione, no?
Sì, ma nel 1973 cera solamente un locale della
SIA (Solidarité Internationale Antifasciste) nel
quartiere della Croix-Rousse, che era la vecchia sede in cui
gli spagnoli cercavano di educare i giovani più inclini
a farsi delle canne
Ma noi non li conoscevamo. E poi un
po dappertutto cerano i nuclei di gruppetti affini
che si sentivano anarchici. Cera un gruppo di maestri
elementari, uno di Saint-Etienne, uno alle Minguettes... Dopo
luscita dei primi numeri di IRL, si è posta
immediatamente la questione di aprire una sede. Alla fine labbiamo
aperto, nel 1975, al 13 di rue Pierre Blanc.
Nei primi due anni di vita di IRL avete provato a
prendere contatti con altri anarchici per farli entrare nel
piccolo nucleo della redazione?
Sì, a livello nazionale, con giornali come La Lanterne
Noire, e poi con una rivista di Strasburgo. Ma lidea
sottesa alla pubblicazione di IRL era che chiunque partecipasse
a una lotta o vivesse unesperienza di emancipazione potesse
esprimersi sul giornale e insieme leggerlo e riconoscervisi,
scoprire altre forme di lotta, arricchire la propria percezione
del possibile e favorire così lo sviluppo del movimento
rivoluzionario. Non cera un obiettivo di reclutamento.
Rinnovamento delle idee libertarie
Allinizio il titolo era assai neutro, come mai?
Il titolo (Informations rassemlées à Lyon
Informazioni raccolte a Lione) sinseriva espressamente
in una tradizione precedente. Lidea è venuta a
Georges Laurent. La corrente anarchica che si era ricostituita
a Lione nel 1968, spontaneista e ostile alle organizzazioni
(bisogna ricordare che allepoca, per esempio, Noir
et Rouge si definiva un «gruppo non gruppo»),
aveva pubblicato un giornale che si chiamava Informations
recueillies à Lyon, la cui idea principale era che
il «movimento» fosse completamente autonomo, e che
bastasse far circolare le informazioni, far sapere quello che
succedeva. Noi li abbiamo seguiti, sostituendo soltanto la seconda
parola con un sinonimo
Così cinserivamo in
questo progetto, con una divergenza che per altro ha posto qualche
problemino con quelli che avevano fatto quel giornale prima
di noi. In effetti noi cominciavamo a dirci esplicitamente anarchici,
a pensare che il rinnovamento delle idee libertarie, la riscoperta
delle esperienze libertarie del passato fossero componenti dei
movimenti in atto, una pari alle altre e assolutamente determinante,
mentre loro spingevano il rifiuto dellorganizzazione e
dellideologia al punto di non volersi più dire
anarchici.
Allora, nel 1975, chi erano gli anarchici e che facevano?
Erano davvero pochi. Il CUL, Collectif utilitaire lyonnais,
che stava sempre nel quartiere della Croix-Rousse, si è
formato più tardi, ma poi è cresciuto molto in
fretta. In effetti spuntavano come funghi, attraverso lesperienza
delle lotte, nelle scuole superiori, per esempio. Tutti gli
anni cera unagitazione nelle scuole o alluniversità,
e ogni volta di qui uscivano nuovi militanti.
Siete stati voi i nuovi padri, le guide di questi giovani?
Per età ero uno dei più anziani. Avevo trentanni
e mi sentivo un «vecchio». Ma i giovani in questione
si gestivano le loro attività. IRL era una specie
di grande calderone. Si passavano tutti gli articoli che ricevevamo.
Non avevamo nessun ruolo di educatori o distruttori: allepoca
(e anche adesso, spero) era impensabile. La formazione avveniva
tutta nelle discussioni informali e soprattutto nella pratica.
IRL continuerà fino al 1990 a occupare
uno spazio particolare nellinsieme della stampa libertaria,
assumendo una posizione di apertura e di confronto. Tu ci parteciperai
per qualche anno allinizio e poi, dopo lapertura
della Gryffe, nel 1977, il tuo impegno militante si esplicherà
più allinterno del collettivo che anima la libreria
libertaria
Sì, ma questo è legato a considerazioni personali.
Effettivamente dal 1977-78 avevo oramai 35 anni. Prima avevo
vissuto un periodo pensando di dedicare tutta la mia energia
al movimento rivoluzionario, in particolare decidendo di non
fare il sociologo, di entrare in un ufficio studi come faceva
qualcuno, decidendo di non sposarmi, di non fare figli. Avevo
fatto questa scelta. Ma nel 1976-77 cera stata una svolta
nella politica francese. La CFDT ricominciava a centralizzarsi
e daltra parte tutti avvertivano che il «movimento»
uscito dal Maggio era prossimo allestinzione, a concludersi.
Cera la crisi economica, linizio di una trasformazione
del capitalismo, la fine di unepoca. In quel momento ho
trovato un posto alluniversità e ho ripreso, dalla
porta di servizio, la carriera universitaria.
Nella decisione di non collaborare più a IRL cera
anche il fatto che non era più il giornale dellinizio
e che era simile a tanti altri pubblicati in quel periodo. Era
diventata una rivista di portata nazionale, con più gente
che collaborava, una volontà e un progetto che imponevano
un investimento diverso rispetto a un giornalino nel clima di
agitazione del biennio 1974-75. IRL allora era assimilabile,
in quegli anni, a riviste come la spagnola Bicicleta,
a certe riviste italiane e più tardi alla seconda Noir
et rouge
Nello stesso tempo io avvertivo una grande
coerenza tra la posizione di IRL e quella della libreria
della Gryffe e tutte le scelte fatte negli anni settanta. Scelte
che esprimevano lidea di creare strumenti dincontro
e di espressione che non fossero legati a una parrocchia
Poi, dal 1977, ho deciso di preparare una tesi di dottorato.
La Gryffe sarebbe restata il mio legame fisso con la militanza,
come pure il Collectif libertaire, al quale partecipo
attivamente da tanto tempo.
Il mio investimento, con la decisione di fare quella tesi, punta
di più sul versante universitario. Ma per me non cè
soluzione di continuità in questo passaggio, perché
il lavoro culturale nellambito delluniversità
lo vivo come un prolungamento diretto di quello che già
facevo prima. Solo che quella era la pratica e quando la pratica
ha perso lo slancio, potevo scegliere se ricadere dentro una
specie di setta sonnecchiante o se continuare ad avere unattività
intellettuale. In un certo modo continuava a esistere un legame
con IRL e con tutti quei giornali che avevano voglia
di riflettere su quanto era successo e su quello che poteva
succedere.
Come spieghi la partecipazione al Collectif libertaire,
che comunque era esplicitamente un gruppo libertario?
Si trattava davvero di un collettivo, completamente aperto.
Riuniva persone con una pratica reale e poi cerano tantissimi
gruppi. Cera qualcuno della Gryffe, che era sì
una struttura, ma non ideologica, un gruppo di donne libertarie,
almeno per un certo periodo, il CUL che era un gruppo di quartiere
con una sede, qualche ribelle e tante individualità.
Il collettivo aveva un suo giornale (Café noir),
di cui si dovrebbero rileggere gli articoli che in una certa
maniera riprendevano il progetto originale di IRL sul
piano locale. Allinterno del collettivo, anche se il movimento
del post-Sessantotto era in crisi, si sviluppava comunque lidea
di un movimento autonomo, spontaneo e autorganizzato. Il Collectif
libertaire non era altro che lespressione e il luogo
in cui potevano convergere le diverse attività, i gruppi
e i singoli presenti a Lione
Tu partecipi alla vita del collettivo e della libreria della
Gryffe praticamente dallinizio, fanno quasi venticinque
anni. Che insegnamenti ne puoi ricavare oggi?
Mentre lavoravo alla mia tesi, ho un po ridotto la militanza.
Nel corso di venticinque anni ci sono stati periodi in cui sono
stato più o meno attivo nel movimento libertario. La
Gryffe, per me, è unesperienza fondamentale, molto
concreta. È nello stesso tempo unesperienza di
organizzazione nel senso proprio del termine, per far funzionare
una struttura molto vincolante (presenza, cassa, ordini, scelta
dei libri, riviste, dibattiti ecc.). Per questo è unesperienza
straordinaria, nella quale si deve coniugare il rigore della
gestione funzionale e di costrizioni materiali molto grandi.
Ma è anche lesperienza di un progettò politico,
quello della Gryffe, che ha portato a numerosi conflitti ma
che permette anche di intuire come funzionare. Grazie al mio
lavoro di storico io sapevo come un sindacato sia in grado di
conservare la propria identità pur riunendo persone estremamente
diverse dal punto di vista delle idee e dei comportamenti, persone
che la pensano in modo diverso. Per me la Gryffe è unesperienza
del genere, che dimostra come unesperienza di autogestione
comune possa permettere lespressione di posizioni molto
lontane tra loro. Tanto più che lobiettivo della
libreria è quello della diffusione delle idee, laddove
si hanno tutte le ragioni di prendersi a male parole.
Pur partendo da questa esperienza ricchissima, resta aperto
il problema teorico: come federare diverse forze emancipatrici.
Questo, per me, è il problema numero uno della teoria
anarchica.
Non è un mistero di quanto sia conflittuale il movimento
anarchico. Io penso che gli anarchici dovrebbero aggiornare
un pensiero che pensi il conflitto e lo pensi in un modo diverso,
che, cioè, pensi la differenza. Essere diversi e accapigliarsi
è normale, ma se si pensano queste differenze e le ragioni
per cui ci si accapiglia, se si pensa che queste differenze
sono positive e al centro del progetto libertario, si passerebbe
molto meno tempo a litigare e ad accapigliarsi.
Può darsi
Come vedi la situazione del movimento
anarchico a Lione nel 2002?
Per un verso sono contento del successo della FA e della CNT
(di cui sono membro), ma nello stesso tempo trovo che non sia
necessariamente un segno positivo. Lanarchismo è
risorto nella storia e ha ripreso forza, una forza che permette
di far vivere qualche organizzazione. Bene. Ma di solito, quando
rispuntano le organizzazioni, questo è un segno che
in effetti, penso che la fonte dorigine dellanarchia
non sia affatto nelle organizzazioni. Così, quando le
organizzazione riprendono il sopravvento, non è detto
che questo sia un buon segno. Il recente appello allunità
dei libertari dimostra che gli anarchici sono tanti, ma non
per forza giovanissimi, prodotti dalle lotte e dai percorsi
del passato, e che non sanno più tanto bene che cosa
sia il caso di fare. Penso che lanarchismo organizzato
stia invecchiando (dal punto di vista dei militanti). Intanto
si sono prodotte altre forze, quanto meno per numero di militanti.
Ora, un militante di trentacinque o di quarantanni, se
sta in fabbrica e se il suo sindacato è molto attivo
e sostiene le posizioni anarcosindacaliste, militerà
nel suo sindacato. Invece, se il sindacalismo diventa completamente
riformista (come avviene attualmente) e tutto va storto sul
posto di lavoro, quel militante aderirà a unorganizzazione
per sopravvivere. Monatte descriveva benissimo questo fenomeno
nel biennio 1911-12, quando il sindacalismo rivoluzionario francese
entrò in crisi.
Non credi che esista un movimento anarchico esterno alla
Federazione Anarchica e alla CNT, una fetta del movimento che
si può assimilare a quella pratica libertaria di cui
tu hai sempre auspicato lo sviluppo e per la quale hai dedicato
tanto impegno?
Penso che quando il movimento, le speranze di emancipazione,
si indeboliscono, ci siano due possibili forme di ripiegamento.
Una è quella ideologica, in unorganizzazione ideologica.
Laltra avviene con un ripensamento di tematiche particolari
del movimento libertario. Sarebbe interessante, credo, vedere
come Lecoin, che a un certo punto faceva il sindacalista, si
sia riconvertito nellimpasse del pacifismo. Attualmente
lanimalismo e una serie di cose del genere, come lecologia,
per esempio, possono essere forme di ripiegamento in uno spazio
particolare che non è più occupato da un movimento
o da lotte
se non da movimenti o da lotte parziali che
rischiano di trasformarsi in fretta in quelle che Proudhon chiamava
ideomanie.(...)
Unautentica sfaldatura
Adesso vorrei fare qualche osservazione a proposito del
tuo libro. Hai cercato di dimostrate che la teoria anarchica
si rinnova attraverso forme di pensiero che non hanno un rapporto
diretto con quella che si può chiamare lideologia
anarchica. Ciò nonostante, nellultimo trentennio
nel serraglio anarchico ci sono stati autori che hanno avuto
un certo peso per il movimento anarchico internazionale e per
il suo rinnovamento. Non saranno stati tanti, ma quanto meno
un Bookchin, un Clark, qualche italiano degli anni settanta
e ottanta. Ma questi non compaiono sul tuo libro. Perché?
Non sono «pensatori» dellanarchia?
Vorrei che fosse chiaro che da parte mia non cè
nessuna intenzione meschina. Qualsiasi autore che mi dice qualcosa,
che ha senso per me, lho utilizzato nel mio piccolo lessico
(per molti versi mi sento vicino a Clark). Gli autori italiani,
li conosco male perché non leggo litaliano
Quanto a Bookchin, ne parlo pochissimo, ma dalla lettura che
ne ho fatto mi risulta una grande divergenza tra le sue idee
e come la vedo io.
Spero che il mio libro solleciti una discussione, soprattutto
con Eduardo Colombo, che esplicita bene unaltra via possibile
nellinterpretazione dellanarchia. Io credo che,
da un punto di vista filosofico, lanarchia sia attualmente
davanti a due possibilità. Colpisce vedere che Bricmont
è uno di quelli che, insieme a Sokal, ha attaccato con
maggiore violenza Deleuze. Allinterno della teoria anarchica
cè unautentica sfaldatura, dal punto di vista
epistemologico, e si dovrà continuare a discuterne.
Ne deduco che quegli autori «anarchici» non
hanno partecipato al rinnovamento dellanarchismo
compreso se si pensa a Chomsky
Non per quello che mi riguarda. Ma immagino che per contro
il mio libretto sia lettera morta per tanti anarchici. Farò
solamente notare che certi intellettuali anarchici famosi, come
Chomsky, non hanno scritto granché sullanarchia.
Chomsky è un radical americano che si dichiara
anarchico, e questo è quanto, più o meno.
Allora non cè stato un rinnovamento dei concetti
e delle idee anarchiche per merito dei pensatori «anarchici»
contemporanei. Ma esistono comunque più concezioni dellanarchia:
per riassumere si può dire che oggi cè la
tua e cè quella di Eduardo Colombo
E la tua
qual è?
Ci fai un grande onore, e io non sono così stupido da
cadere nella tua solita ironia. La mia posizione consiste nel
dire che non sono le idee, un programma, un progetto discorsivo
che fanno girare il mondo, ma tutto quanto è legato a
desideri, a forze. Il problema dellanarchismo consiste
nel sapere se il progetto libertario è unutopia
razionale che si pone un obiettivo e che pretende di cambiare
il mondo, convincendo gli altri (se è logico non dovrebbe
essere così difficile) dandosi i mezzi, gli strumenti
organizzativi e di altro genere per farlo. Oppure è lespressione
dei possibili inseriti nel reale in modo immanente, nei nostri
desideri e in forze superiori a noi, che si devono valutare
continuamente e che sono portatrici di unesistenza più
intensa, più libera, più felice.
La prima sarebbe quella di Colombo e la seconda la tua?
No, non lo si può riassumere in un modo così
schematico. Questa è la grande qualità delle analisi
di Colombo: lui stesso non si riferisce solamente a idee a un
programma o a un modello esteriore, ma anche a una esperienza
storica preziosa da un punto di vista anarchico: la polis greca.
Si deve leggere Tucidide e il racconto delle assemblee dei cittadini,
dei rematori delle triremi ateniesi, lontani dalla patria, che
respingono la tirannia appena impostasi ad Atene. Io mi riconosco
di più nelle rivolte contadine taoiste dellantica
Cina. Ma non mi pare che il pensiero di Colombo coincida con
il razionalismo stretto che si trova talvolta nel pensiero anarchico,
ma che sinserisca nellambito di unesperienza
collettiva e storica fondamentale.
Forse per te queste due espressioni coincidono con quelle
che qualcuno ha definito anarchismo classico e anarchismo contemporaneo?
Per vederci più chiaro, bisogna continuare a lavorare
e a riflettere. Minteresserebbe esaminare più a
fondo il ruolo svolto da Kropotkin in questa storia del pensiero
libertario, perché egli fa da cerniera tra le due espressioni.
A grandi linee, se si prendono queste due correnti, quella razionalista
e scientista (che dà molta importanza alla scienza, come
dimostra uno degli articoli pubblicati in ambito libertario
a proposito del mio libro) non è in grado, secondo me,
di rendere conto né degli anarchici «contemporanei»
né dei movimenti libertari, né degli anarchici
«classici», per il fatto stesso che tutte queste
espressioni dellesperienza libertaria non hanno niente
di scientista, ma piuttosto coinvolgono forze e desideri. Se
cè uno che si dichiara dalla parte della vita e
che attacca violentemente la scienza, questo è proprio
Bakunin, e con grande lucidità. E anche Proudhon è
chiarissimo: «La riflessione e quindi lidea nasce
nelluomo dallazione, e non lazione dalla riflessione.»
Evidentemente è possibile gettare nella pattumiera della
storia Proudhon, Coeurderoy, Bakunin, criticare la propaganda
con i fatti, lazione diretta e linsieme delle esperienze
operaie libertarie e continuare a dirsi anarchici, perché
no? Lanarchia appartiene a tutti. Ma questo anarchismo
non può pretendere di essere il depositario della storia
del pensiero e delle esperienze libertarie. Rispetto a quello
che tu chiami «lanarchismo classico», io mi
sento infinitamente più fedele alla tradizione libertaria.
In questo sta il paradosso di certe discussioni attuali: lanarchismo
«contemporaneo» accusato di deviazioni dai guardiani
del tempio, perché si rivolge a Deleuze, a Foucault,
a Nietzsche, è infinitamente più fedele al pensiero
e alle pratiche dellanarchismo storico di quello cosiddetto
«classico» o «tradizionale». Ma da troppo
tempo mi sforzo di spiegarlo per sperare di convincere qualcuno.
In effetti è necessario gettare dei ponti tra le
diverse forme di anarchismo. In quello che si chiama contemporaneo,
oltre ad autori come Bookchin, che si rifà parecchio
a Kropotkin, ci sono stati e ci sono autori che propongono forme
molteplici di anarchia. Penso ad Hakim Bey, a John Zerzan, a
Bob Black (che «stranamente» sono tutti americani
),
che sono tutti portatori di opinioni eterodosse rispetto allanarchismo
«classico» e di unapertura intellettuale.
Tuttavia non li troviamo nel tuo testo. Forse non ti senti vicino
alle loro opinioni?
Non conosco molto bene Bob Black, gli altri li ho letti un
po, ma la grande debolezza della mia posizione è
senzaltro dovuta alla scarsa conoscenza che ho dei dibattiti
allinterno del movimento anarchico americano. Posso solo
dire di avere letto Feyerabend e di avere in effetti qualche
riserva nei suoi confronti. Ho una riserva riguardo a una forma
di ipercriticismo un po cinico e provocatorio. Forse perché
mi disturba. Utilizzando il tipo di analisi che minteressa
si potrebbe dire che la forza, la volontà, il tipo di
desiderio che mi costituiscono non hanno molta affinità
con la forza, la volontà e il desiderio che percepisco
in persone come Feyerabend. Quel che è certo è
che in nessun momento mi si è imposta lesigenza
di ricorrere a lui nel mio piccolo lessico. Mentre nelle TAZ
di Hakim Bey si ritrova indubbiamente Deleuze e mi spiace di
non averci pensato, ma nel lessico mancano molte altre voci.
Riguardo a Zerzan, la sua critica del linguaggio e del simbolico
mi sembra interessante. Su questo punto tocca qualcosa di fondamentale,
che si ritrova negli autori anarchici dellOttocento, in
Bakunin e Coeurderoy, per esempio. Solo che a quel che appare
Zerzan costruisce tutta unepopea storica dallorigine
delluomo fino al suo auspicabile avvenire che mi sembra
di una grande ingenuità, o molto strampalata. Critico
anchio la scienza, ma nello stesso tempo penso che si
debba avere un certo rigore e una certa accuratezza. Per quanto
mi riguarda, cerco di non essere così strampalato
Vuoi dire che il tuo libro che sembra costruito in modo
assai libero, non è strampalato più di tanto?
Certe cose sembrano buffe, ma effettivamente io sostengo di
no, anche se ci si possono trovare contraddizioni ed errori;
per questo spero che i lettori li trovino e me li segnalino.
Ho voluto fare un libro rigoroso e realista.
Un segno nella storia
Nel tuo libro, come del resto nei tuoi articoli, ritrovo
un forte richiamo allesperienza del movimento operaio.
Mi sembra che tu vi veda esempi utili per organizzarsi e trasformare
la società. Nostalgia o cosa?
Ecco un elemento di divergenza «storica» tra te
e me. Penso che ci sia una parte di nostalgia per quanto il
movimento del Sessantotto da cui sono uscito sia stato davvero
un movimento operaio. Il paradosso è che il Sessantotto
ha ripetuto in altra forma quanto era successo in altre epoche.
La grande sorpresa sta nel fatto che nel giro di pochi anni
siano sparite le condizioni che avevano dato vita a questo movimento.
Tutto sommato, però, non ci vedo tanto la nostalgia,
perché secondo me uno dei concetti centrali della teoria
anarchica è quello dellanalogia o dellaffinità.
Se attribuisco una certa importanza allanarcosindacalismo
e al sindacalismo rivoluzionario, lo faccio soprattutto per
motivi concreti. Si tratta infatti di alcune tra le principali
esperienze del progetto anarchico che hanno lasciato un segno
nella storia. Io penso, però, che si debba dare altrettanta
importanza a Makhno, che è unesperienza molto diversa
(di tipo militare
), o ancora al movimento anarchico russo
E se tu conosci altre esperienze libertarie che io ignoro, me
le devi segnalare.
Con questo voglio dire che questa idea dellaffinità,
unidea che prima o poi dovrà passare, vuole dire
che lesperienza libertaria (e qui sta una delle sue originalità,
rispetto al marxismo, per esempio) non è collegata a
un modello specifico o esterno. Il grande pericolo del movimento
anarchico, come di qualsiasi movimento che dura nel tempo, è
di trasformarsi da esperienza di emancipazione in modello esterno
che si vorrebbe poi imitare. Per definizione le esperienze e
le lotte libertarie sono sempre dallinterno. Comunicano
dallinterno, per affinità e per analogia. Perciò
lanarchia non è legata solo agli operai: Bakunin,
per esempio, era pronto a gettarsi in qualsiasi avventura emancipatrice,
purché la gente si ribellasse e affermasse quella che
egli chiamava la vita. Lanalogia significa arrivare a
pensare ciò che unesperienza può dare per
unaltra esperienza senza nessun rapporto apparente o esteriore
con la prima.
Io sostengo, e su questo ci sono stati scontri che ritengo di
una stupidità totale, che storicamente Proudhon sia stato
indiscutibilmente uno dei principali teorici del sindacalismo
rivoluzionario, non nel senso che fosse il capo o il pensatore
di quel movimento, ma per il fatto che i sindacalisti rivoluzionari
si sono ben presto riconosciuti nei suoi testi. E Proudhon era
contro i sindacati e contro gli scioperi! Era contro tutto quello
che ha fatto la realtà del sindacalismo rivoluzionario,
che pure si è riconosciuto in lui, dallinterno,
in ragione del principio di analogia. Infatti Proudhon può
essersi sbagliato completamente sulle forme di cooperazione,
per esempio, ma il suo modo di pensare le cose faceva sì
che un sindacalista rivoluzionario vi si riconoscesse e sviluppasse
pratiche ed esperienza che lo stesso Proudhon non poteva nemmeno
immaginarsi. Per questo io sostengo (e finché le compagne
femministe non lo capiranno non ci sarà discussione possibile)
che il teorico che permette di capire meglio le potenzialità
del femminismo radicale è Proudhon che, come sanno tutti,
era di una misoginia inverosimile, abominevole. Per riassumere,
gli amici, cioè quelli con cui ci si può associare
in un movimento di emancipazione, non sono sempre lì
dove crediamo di trovarli; se ci affidiamo alle apparenze, alle
etichette, possiamo essere quasi certi di sbagliarci, di mancare
drammaticamente di fiuto o dintuito.
Quali sarebbero le possibili analogie tra il movimento operaio
e i movimenti di oggi?
Dove sono i movimenti oggi? Temo che si possa parlare solo
dei movimenti di ieri, di quelli di tre decenni fa, quando è
risorto il movimento libertario. In quel caso lanalogia
è evidente, per me. A movimenti operai libertari estremamente
diversificati tra loro e nella loro composizione interna, che
tuttavia formavano la totalità del movimento di emancipazione,
ne è successo uno molto più ampio, dai comitati
di quartiere ai movimenti degli omosessuali, passando da quello
delle donne, da quelli giovanili, dai gruppi ecologisti, dallinsieme
dei movimenti alternativi fino, certo, a quelli dei salariati,
sul terreno del lavoro, che conservano tutta la loro importanza.
Rivolta, autorganizzazione, rifiuto degli apparati burocratici,
rifiuto delle regole di rappresentanza politica, federalismo,
azione diretta, composizione di forze che abbracciano tutti
gli aspetti della vita: in questo sta lanalogia tra le
esperienza operaie precedenti e i movimenti completamente diversi
nati nella seconda metà del XX secolo. Ma la situazione
attuale è piuttosto demoralizzante: si può parlare
dellavvenire. Farò un esempio, che vuole essere
un po provocatorio. I libertari criticano giustamente
ATTAC, ignorando però in certi casi la grande diversità
di questo movimento, la dinamica che ne caratterizza alcune
delle componenti. Ma le critiche libertarie ad ATTAC hanno il
torto di essere solo e soprattutto programmatiche, come se un
ATTAC libertario (lunità dei libertari tanto sognata
da qualcuno, capace di «incidere», di fare numero
eccetera), che avesse altri obiettivi, un altro programma, fosse
più accettabile, giustificando così tutte le battaglie
di apparato per definire la giusta linea, il programma corretto
e via discorrendo. La critica libertaria che si basa sullesperienza
e la specificità del movimento libertario, sta da unaltra
parte. Essa consiste, secondo me, nel dimostrare che ATTAC è
prima di tutto e purtroppo un semplice movimento «dopinione»
(come i cortei o in altri casi il movimento ecologista), un
movimento astratto di massa che cerca forzatamente e soltanto
di incidere sulla politica dei dirigenti, oppure, se fosse «rivoluzionario»
(nel senso antilibertario e programmatico di questo termine),
di prendere il posto di questi dirigenti per applicare unaltra
politica, per perseguire altri obiettivi (a suo dire più
rivoluzionari). Tutto cambierebbe se ATTAC, come qualsiasi altro
movimento, si trasformasse in una composizione di forze reali
e diversificate (e non avesse solamente la forza meccanica,
uniforme e ripetitiva del numero). Tutto sarebbe diverso se
le componenti di ATTAC non fossero più gruppi di base
uniformi di «militanti», distinti solo per opinioni
di cui signora lorigine, se queste componenti sidentificassero
nei collettivi dei contadini delle montagne dellAlta Savoia,
nei gruppi di donne radicali, in quelli dei dipendenti della
tesoreria generale, nei comitati di studenti medi in lotta per
una scuola diversa, in una federazione di soviet delle case
di riposo, nei gruppi daffinità, nelle reti di
hacker, nelle associazioni di consumatori, nei collettivi di
comproprietà, nei club degli skater, nei collettivi di
suonatori di cornamusa, nei comitati di difesa degli orti operai
del quartiere-giardino di Saint-Etienne. La lotta contro la
globalizzazione capitalista non sarebbe più un gruppo
di pressione, una corrente dopinione, ma la federazione
di tutte le forze concretamente in lotta (in questo sta la selezione)
e praticamente in questa o in quella dimensione della nostra
esistenza, con limpegno, da subito e immediatamente, di
trasformare le cose lì dove sorgono i problemi, sapendo,
in qualsiasi momento, passare nellautonomia, disassociarsi,
fregandosene altamente di controllare lapparato, la direzione
del movimento nel suo insieme. Il movimento generale di lotta
in questo modo non è più una «organizzazione»
definita dal programma, dalle sue frazioni, dalle sue tendenze
e dai tentativi di infiltrazione. Diventa un luogo dincontro
e di confronto tra le singole forze reali, che trae dalle differenze
reali, materiali, controllabili, e non da alzate dingegno
ideologiche, la possibilità di federarsi davvero e dimporre
da subito un ordine diverso da quello esistente. Ecco qui un
esempio di possibile analogia, di quello che lesperienza
e il pensiero libertario possono effettivamente proporre, di
quello che potrebbe proporre la CNT invece di restare attaccata
alla riproduzione fredda e fedele di un modello sindacale che
sotto gli occhi di tutti si dimostra capace soltanto, con qualche
eccezione locale, di oscillare tra limpotenza e la più
mediocre integrazione riformista.
Infatuazione superficiale
Stiamo assistendo a una sorta di infatuazione generale per
lanarchia, se si pensa a tutte le pubblicazioni che le
sono dedicate, anche da editori non libertari. Come lo spieghi?
Se una cosa è sicura, è che si tratta di uninfatuazione
molto superficiale, stile il profumo LAnarchiste.
Secondo me bisogna diffidare da certo anarchismo ludico per
la borghesia.
Il fenomeno, comunque, è legato al fatto, anche questo
del tutto epidermico, secondo me, che alla televisione si rivedono
le bandiere rosse e nere. Linteresse per lanarchia
è un riflesso di una mistura di fenomeni di vari livelli,
compreso un immaginario collettivo non privo di aspetti interessanti,
anche la pubblicità lo sfrutta, come sfrutta e divora
qualsiasi cosa. Spero che al fondo ci sia unaspettativa
daltro genere.
Non vedi ondate di fondo anarchiche nella società?
No, non stasera almeno, perché la società in
cui viviamo è tremenda, mortifera, cè di
che essere depressi
Ma tu non lo sei tutti i giorni?
No, ma se ci penso lo sono.
Oggi sei uno degli anarchici che ha attraversato tanti decenni:
che cosa diresti ai giovani che si avvicinano alle idee libertarie?
Me ne starei zitto. Aspetterei che esprimessero qualche cosa
che mi piaccia e che mi ridia morale. È vero che certe
volte, discutendo con alcuni di loro, non vorrei cadere nella
sfiducia dei vecchi
Ma mi capita di ascoltare un certo
politichese anarchico che mi scoraggia.
Invece, quando in facoltà vedo una studentessa che scopre
di colpo qualcosa, anche se non riguarda Proudhon o chissà
chi, ritrovo la speranza. Non è per forza nellambito
libertario che si può vivere questa esperienza. Quello
che mi ha fatto più piacere a proposito del mio libro
è stato un articolo dove si diceva che forse, dopo averlo
letto, gli anarchici avrebbero riso delle proprie vecchie dispute,
della propria mancanza di spirito, dei propri arroccamenti ideologici.
Se fosse vero e se la speranza libertaria rinasce, anche negli
ambienti anarchici, questo sarebbe più che bastante a
mettermi di buonumore.
Domenico Mimmo Pucciarelli
(traduzione dal francese di Guido Lagomarsino)
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