Il teatro di Alfonso Santagata è
teatro di apparizioni: ma non eteree, effimere, inconsistenti;
bensì concrete, disarmoniche, ingombranti. E i suoi fantasmi
hanno corpi pesanti ad abitare notti che consentono di indagare
ciò che è vietato al giorno: sentimenti e conflitti
non disciplinati, esclusioni non riconciliate, eccessi normalmente
spinti ai margini del paesaggio diurno. Nella notte di Santagata
il teatro si fa luogo di ritorni: dove i personaggi tragici
ritessono incessantemente le loro vicende individuali rendendo
leggibile la storia collettiva come ossessione e rivelazione,
perdita e appartenenza.
Il
racconto dell'accecamento di Edipo: l'onnagata (Sergio Licatolosi)
Benvenuti nellAde
Tragedia a Gibellina, spettacolo che ripercorre le vicende
della stirpe di Edipo sintetizzando almeno quattro testi tragici,
potrebbe essere letta come una feroce parodia del turismo di
massa, che tutto avvicina, tutto spiega, tutto consuma, lasciando
sostanzialmente indifferente il visitatore.
Una parodia tuttaltro che bonaria, che funziona per ribaltamenti
e svela infine al turista-spettatore lesperienza del viaggio
come rischio.
Il cretto di Burri, a Gibellina, è un manto di cemento
steso a modellare un triangolo declinante che era stato una
città, prima che il terremoto del 68 la radesse
al suolo. Resta il reticolo delle strade, solchi scavati ad
altezza docchi, che interrano il corpo di chi vi cammina
e lasciano lo sguardo libero di vagare su un vuoto baluginante
di immagini.
Qui, il pomeriggio, abbiamo visto arrivare turisti in visita
ai ruderi. Famiglie e coppiette dagli sguardi veloci, due passi
sul cretto, il tempo di scattare una foto ricordo e via. La
sera, lo spettacolo, come una visita guidata. Ma una visita
notturna, alla quale si accedeva superando una sorta di dogana,
con tanto di barriera e torretta di avvistamento, dalla quale
venivano urlati comandi incomprensibili. In alto, una scritta
illuminata al neon: Benvenuti nellAde.
Il primo ribaltamento: come se la gita non avesse come meta
la superficie dei ruderi, ma il sottosuolo del manto di cemento,
il regno dei morti. La parodia si svela nel segno del teatro,
che quando imita il mondo ne rovescia limmagine e invita
a prestar fede allinesistente. Così, da adesso
in poi, chi intende partecipare alla gita è tenuto a
sospendere ogni patto di verosimiglianza, a credere che le apparizioni
siano possibili, come a teatro, come nellaltro mondo,
come nellutopia.
Il giorno che si rovescia nella notte, il ciclo dei Labdacidi
visto dallAde, quando la tragedia si è già
conclusa e i suoi personaggi ritornano come fantasmi condannati
a un destino ormai compiuto.
I turisti spettatori non trovano subito le loro guide e le perdono
prima della fine del viaggio. Si tratta di una coppia che sembra
provenire, almeno questa, dal mondo dei vivi, ma come sintetizzata
da un sogno un po beffardo, dove la Sicilia è (o
era) Tebe, le canzoni sono (o erano) quelle degli anni Sessanta,
il maschile e il femminile si confondono, così come il
tragico e il comico, il logico e lillogico, il passato
e il presente. Arrivano da una strada ai margini del cretto
e sembrerebbero le uniche presenze rassicuranti del percorso,
salvo rivelare tutta la devastazione di una normalità
fuori luogo. A loro sono affidate spiegazioni semplici, che
introducono le varie scene rendendo possibile la tragedia dei
Labdacidi nelle rovine di Gibellina. Ossia il mito fondatore
del ciclo tragico in un triangolo di terra che la bellezza del
cretto non consente di riconciliare con la sua tragedia. Quindi
tutti i miti e tutte le storie in grado di risuonare (ri-cantare
è il significato etimologico di parodiare) in
ogni più piccola porzione di mondo, ad uso delle diverse
generazioni.
La
scena del funerale: Antigone (Daria Panettieri), a sinistra
, e Ismene (Chiara Di Stefano)
Tutto normale
Le guide dei ruderi (un po Ciprì e Maresco grottescamente
agghindati, un po apparizioni felliniane di strampalata
poesia) in una cosa sicuramente appartengono alluniverso
contemporaneo della comunicazione: che con le loro spiegazioni
rendono tutto normale e tutto sistematicamente incomprensibile.
Normali e quindi accettabili i destini di morte, le guerre fratricide,
le città assediate, il sacrificio di chi rifiuta il potere
e le sue leggi
normale che tutto questo accada (o sia
accaduto), qui come altrove: spazio per domandarsene il perché
non cè proprio, occorre spostarsi per fare luogo
alle apparizioni (Arràssate che arriva Tiresia)
e camminare veloci per raggiungere i vari episodi. Nella distanza
indifferente del percorso turistico, prende corpo lesperienza
dello spettatore, che si fa viaggio personale, avvicinando la
quotidianità e il mito, per attraversare la commozione
e lindignazione suscitate da vicende di oggi che hanno
compiuto il loro esito millenni fa.
La gita racconta la favola, e il viaggio personale percorre
le lande mai pacificate della tragedia naturale e di quella
mitica: entrambe ineluttabili eppure mai accettate. E nello
spazio della non accettazione avviene il teatro. Personaggi
che continuano a cercare di prendere in mano il proprio destino,
oltre il volere degli dèi e il potere degli uomini, e
spettatori che continuano a credere che ci possa essere un qualche
scampo, come se tutto stesse accadendo per la prima volta sotto
i loro occhi (come nella convenzione del teatro). In questo
margine, tracciato fra inevitabilità e rifiuto, interviene
il teatro di Alfonso Santagata, che si fa spazio senza riguardo
tra le vicende del mito, trasformando le parole in proclami,
i silenzi in urla, lo sgomento in maledizione, e facendo agire
creature per più versi in bilico, che tengono delluno
e dellaltro sesso, prese nei lacci delle leggi eppure
non asservite, consapevoli del proprio destino e comunque decise
a combatterlo.
Tutto normale: ci spiegano le guide, e ci mostrano brandelli
di storie che irrompono senza la grazia della finzione.
Edipo alla disperata ricerca dellassassino del padre Laio,
è un tiranno che parla dallalto della piazza di
Tebe con la voce stentorea e rassicurante del potere. Che infierisce
su chi ha la capacità di rileggere il passato prevedendo
il futuro: in questo caso lindovino Tiresia, ossia chi
non partecipa alla visione ufficiale delle cose, chi sa interpretare
il futuro avendo memoria del passato (come oggi, come sempre:
la definizione di Cassandra non viene forse data a chi si sottrae
al coro delle ragioni dei potenti per denunciare i rischi del
pianeta? E i grandi del mondo che si riuniscono per riflettere
sui guasti dello sviluppo insostenibile non dovrebbero, come
Edipo, scoprire in se stessi le colpe della rovina già
in atto, anziché criminalizzare i Tiresia di turno?).
Edipo partecipa alla tortura del servo (sbirciata dal pubblico
attraverso le finestre di un edificio semidistrutto), colpevole
depositario di quel temibile strumento di destabilizzazione
che è la memoria. Poi, dopo essersi inflitto da sé
la propria pena, è la fedele e ribelle Antigone che ne
raccoglie la confessione rabbiosa, sulle note salmodiate di
un canto e le distorsioni di una chitarra rock.
Giocasta, rievocata (e sdoppiata) da una figura di onnagata
orientale, rivive in terza persona la tragedia di Edipo facendo
danzare nel suo corpo le opposizioni di maschile e femminile
e racchiudendo in un unico gesto la procreazione e laccecamento,
lincesto e le sue conseguenze.
La
scena del funerale: Antigone (Daria Panettieri)
Morti incomprensibili
Il coro delle donne di Tebe, un po prefiche oranti un
po fanciulle ribelli, compiange la misera sorte
dei mortali e invoca lintercessione di Zeus
padre disegnando ritmi e movenze ossessive dallalto
di una rupe.
Lo scontro fra Eteocle e Polinice. Un microfono lanciato come
arma per proclamare ragioni speculari, che rimbalzano le une
nelle altre chiamando in causa una madre distante, che a sua
volta si appella alla dea dellambizione per assumerne
forse la figura, in un tango danzato a turno con luno
e laltro dei figli. Non cè differenza (né
farà differenza Antigone), e nei passi finali i due fratelli
si trovano avvinghiati come nella stessa danza mortale.
E sul cretto, di fronte alla battaglia fratricida, si apre lo
spazio della tragedia collettiva, ossia il teatro del mondo.
Lì avviene la guerra contro Tebe, che leggiamo nei fuochi
a distanza e sentiamo dalle parole dei messaggeri che arrivano
trafelati dalle sette porte: chi in vespa, chi a cavallo, chi
a piedi. Come vengono raccontate le guerre oggi, attraverso
indecifrabili immagini luminose. Come sempre si sono svolte.
E quindi le due sorelle Antigone e Ismene vero coro dello
spettacolo, forse appaiono distanti dai luoghi dellazione
fino alle ultime scene, a significare che la storia delle guerre
è meglio compresa dalle donne e da quanti restano a casa.
Sono loro a leggerne lassurdità e ad affermare
la necessità di credere in altre leggi. Sono loro che
commentano i fatti, aderendovi loro malgrado, con la forza di
chi, nelloscurità, dà la vita e veglia la
morte.
Antigone sacerdotessa e partigiana, che trascina il corpo del
fratello in montagna, fra i cespugli, se lo carica in spalla
nella lontananza del cretto mentre tuttattorno ardono
le fiaccole degli eserciti, e gli prepara il rito funebre, lo
veglia, lo lava, lo asperge di terra.
Ismene che urla il nome della sorella dal crinale della collina,
esile e ostinata figurina della notte, per poi comparire nel
rito funebre, a farci provare il panico della minaccia, del
pericolo al quale sarà impossibile sottrarsi, facendoci
rabbrividire di fronte alla calma, solenne ieraticità
dei gesti di Antigone. Due figure femminili che restano separate
da tutto, che appaiono in alto, mentre altre vicende avvengono,
quelle importanti, che scrivono la storia. Finché lincontro
con la storia non avviene: Antigone è trascinata via
dalle guardie, processata da Creonte, il nuovo potere (che già
ha scacciato Edipo dalla città, facendo irruzione su
unautomobile che spara musica rock dallo stereo), infine
uccisa, non prima di aver pronunciato le sue inutili irremovibili
parole Sono nata per condividere lamore, non lodio.
Antigone porta nello spettacolo lunico corpo morto, simbolo
di tutte le morti e di tutti i conflitti di potere. Ed è
lei a farsene carico, incarnando la pietas e anche la
tracotanza, il peccato di hybris contro gli dèi
e di non sottomissione alle leggi degli uomini.
Figura femminile e maschile insieme. Come molte in questo spettacolo.
Fuochi lontani, invocazioni vicine. Tutti i morti evocati dal
manto di cemento del cretto steso su tante morti altrettanto
incomprensibili. Perché non cè ragione nella
natura che si fa feroce, né nelluomo che gareggia
con la natura in crudeltà e cecità.
Le guide non ci sono più, né ci sono più
turisti, daltro canto. Tutte creature dellAde, anche
noi spettatori, cui è regalata lultima immagine
di Edipo, seduto sul paracarri della strada che porta fuori,
proprio quella dalla quale erano giunte le guide, gli occhi
anneriti dalla cecità che si è inflitto, che chiama
Antigone, la quale lo raggiunge fanciulla ed accenna giochi
infantili per poi guidarlo nella notte, lontano dalle rovine
della storia che ci è stata consegnata come memoria pesante.
La sbarra della dogana è aperta. Una scritta al neon
illumina linsegna dallinterno, perché la
leggiamo uscendo: Arrivederci allAde.
Cristina Valenti
La
lotta fratricida: Eteocle (Mariano Nieddu), a destra, e Polinice
(Roberto Serpi)
La
compagnia Katzenmacher
La
Compagnia Katzenmacher diretta da Alfonso Santagata
ha presentato Tragedia a Gibellina alle
Orestiadi di Gibellina dal 21 al 24 agosto 2002
interpreti:
Antonio Alveario e Enzo Vetrano (i narratori)
Chiara Di Stefano (Ismene, Giocasta)
Johnny Lodi (Tiresia, messaggero)
Sergio Licatolosi (Onnagata, messaggero)
Mariano Nieddu (Eteocle)
Daria Panettieri (Antigone)
Francesco Pennacchia (Creonte)
Alfonso Santagata (Edipo)
Roberto Serpi (Polinice)
e
con gli attori provenienti dal laboratorio condotto da
Alfonso Santagata a Gibellina:
Salvatore Bonanno, Nicolò Di Paola,
Andrea Ruggieri, Giuliano Scarpinato (guardie,
messaggeri)
Daria Castellini, Anna Ceraulo, Valentina
Gristina, Isabella Ragonese (coro)
assistente
alla regia: Chiara Senesi
responsabili tecnici: Tommaso Checcucci, Salvo
Di Martina
testo, ideazione e regia: Alfonso Santagata
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