Dossier
Serantini che palle?
Ho letto con avidità e ripetutamente il dossier sulla
vicenda di Franco Serantini e a onor del vero lho trovato
interessantissimo e per niente palloso.
Quando fu ucciso dagli sbirri, io avevo sei anni, e quindi ho
potuto ricostruire un pezzo di storia italiana, ma soprattutto
ripercorrere virtualmente, tra pugni stretti per la rabbia e
orecchie attente a non perdere neanche una sillaba, le esperienze
incredibili di migliaia di giovani, uniti da passioni e sentimenti
comuni.
Mai dimenticare il passato, e quindi la propria memoria! Se
avessimo conservato tutto ciò, oggi forse non ci troveremmo
a parlare di golpe bianchi e fascismi latenti.
Ben vengano le pagine di storia, quella mai insegnata a scuola
ad esempio!
Chi non desidera leggerle, gira pagina e va avanti. Non vedo
dove sta il problema!
Stesso discorso vale per i dossier su Pinelli e su Malatesta,
molto apprezzati da alcuni miei amici (
)
Roberto P.
(Roma)
Ciao Aurora, ciao Paolo, sono Colby e volevo iniziare con un
complimento sullinserto del numero scorso su Franco Serantini.
Chi vi ha scritto che palle? Come per Pinelli la
vicenda di Serantini ha formato tanti di noi ed era importantissimo
dargli quel risalto (
)
Colby
libera.mo@libero.it
A
fianco di...
Carissima redazione di A, è da tempo che seguo, fedelmente
direi, la vostra rivista a cui sono anche abbonato da qualche
anno, e lho sempre trovata una rivista ricca di contributi
utili, e aperta giustamente in modo antidogmatico, verso altre
istanze ed opinioni. Una bella e fondamentale rivista, almeno
per me, anche se qualche volta, soprattutto negli ultimi tempi,
ho notato qualche caduta di tono in certi contributi ed articoli.
In ogni caso nessuno è perfetto e mi bastavano
i lucidi articoli di Accame e Oliva, gli interessantissimi reportage
dal Sudamerica e i volantoni (ed altro ancora, of course) per
sorvolare su piccoli difetti. È anche per questo che
sono rimasto colpito in modo del tutto sfavorevole dal comunicato
diffuso dai gruppi anarchici imolesi pubblicato
in terza pagina del numero 281 quale editoriale e da voi sottoscritto
in modo, forse, un po incauto. In effetti tale comunicato
è composto più che altro da una serie di frasi
messe lì senza alcun apparente nesso logico,e soprattutto,
senza alcun rapporto alla realtà storica e politica internazionale,
ispirato da una discutibile equidistanza e caratterizzato
da quello che appare come un settarismo del genere facciamo
vedere quanto siamo più bravi degli altri che secondo
me trova veramente il tempo che trova. In effetti nei territori
occupati (sottolineo, occupati) della Cisgiordania non cè
una guerra fra Stati ma una occupazione illegale di un esercito
di uno Stato che impedisce da 50 anni la nascita di una amministrazione
realmente autonoma, come era previsto dal piano dellONU
fin dal 1948. Non ci sono due eserciti in guerra ma un esercito
occupante.
Non ci sono delle fazioni in lotta ma uno degli
stati più potenti militarmente, dotato di bomba atomica,
appoggiato dallunica superpotenza mondiale, nonché
da tutto il mondo occidentale, con tutto il potere massmediatico
occidentale e tutta la forza delleconomia mondiale globalizzata
che opprime, non solo in termini prettamente militari, ma anche
amministrativi ed economici, nonché culturali la popolazione
locale. Tale oppressione, spacciata e giustificata dalla lotta
contro il terrorismo dove il terrorismo sono naturalmente
solo i morti israeliani nei cosiddetti attentati-kamikaze, e
non le migliaia di palestinesi compresi centinaia di bambini,
che sono stati ammazzati in modo meno clamoroso ma in modo ben
più massiccio molto prima che iniziassero i famigerati
attentati, (cioè circa cinque mesi dopo linizio
della nuova intifada), comprende la distruzione di case, orti,
alberi da frutto, lesproprio di edifici, la sottrazione
di terra, acqua, la perdita di migliaia di posti di lavoro,
lespulsione lenta e inesorabile di migliaia di palestinesi
che vengono sostituiti da altrettante migliaia di israeliani,
generalmente provenienti da paesi dellest europeo, e quindi
a loro volta affamati di terra, lavoro, denaro e dignità,
e la cui disperazione viene usata dal governo di Israele per
portare a termine una vera e propria pulizia etnica
se per pulizia etnica si intende la sostituzione forzata di
una popolazione di una etnia con la popolazione di unaltra
etnia.
Certamente gli attentati che colpiscono persone disarmate e
innocue mentre si recano al lavoro sono esecrabili, ma mi pare
pura faziosità metterli sullo stesso piano di una violenza
che non colpisce episodicamente ma strutturalmente e continuamente.
Leggiamo cosa dice Jeff Halper, un israeliano membro del Centro
di informazione alternativo, riferendosi alla politica del Primo
ministro israeliano Sharon, (ma anche dei suoi predecessori)
a riguardo della politica di questi ultimi anni di negoziati
di pace:
Prima, lei crea grandi aspettative. Strette di mano sul prato
della Casa Bianca. Una retorica della pace (Non più
guerre. Non più spargimenti di sangue ). Elezioni,
dandogli una loro propria bandiera. Poi riunioni segrete, riunioni
al vertice, cene, ritiri, trattati di pace, accordi provvisori,
promesse, allettanti benefici di fronte ad occhi affamati. Più
strette di mano, più gesti. (...)
Poi, mentre parla di pace ad Oslo, Washington, Parigi, il Cairo,
Wye Plantation, Stoccolma, Amman, Camp David, Sharm, lei crea
azioni sul terreno che assicurano insieme un vostro controllo
continuato e un pregiudizio alle negoziazioni. Lei sfrutta gli
ultimi sette anni dalla firma degli Accordi di Oslo per:
1. Smembrare la West Bank in Aree A, B e C, dando
allAutorità palestinese il pieno controllo di solamente
il 18% della terra, mentre trattiene il suo controllo sul 61%;
dividere la striscia di Gaza in aree gialle, bianche,
blu e verdi, consegna a 6.000 coloni il controllo del
40% del territorio confinando 1.000.000 di Palestinesi nel rimanente;
e taglia completamente Gerusalemme Est dalla gran parte della
società palestinese;
2. Espropriare 200 chilometri quadrati di fattorie e terra da
pascolo dai suoi proprietari palestinesi per i suoi insediamenti
esclusivi, superstrade ed infrastrutture;
3. Sradicare 80.000 olivi e alberi di frutta che sbarrano la
strada ai suoi progetti di costruzione, mentre impoverisce con
questo i loro proprietari e li trasforma in lavoratori a giornata
nel suo mercato del lavoro sempreché loro possano
avere accesso al suo mercato del lavoro;
4. Aggiungere qualcosa come trenta insediamenti, incluso città
intere come Kiryat Sefer e Tel Zion, alle dozzine di insediamenti
che già esistono nei Territori Occupati e sui quali già
si negozia e costruiscono 90.000 nuove unità abitative
in Gerusalemme Est e nuovi insediamenti esclusivamente per la
sua popolazione;
5. Demolisce più di 1.200 case delle persone con cui
lei sta negoziando la pace;
6. Raddoppia la sua popolazione di coloni oltre il confine del
1967 a 400.000, il 90% di ciò che lei già ha deciso
rimarrà sotto la sua sovranità anche se lei non
ha ancora negoziato ciò con laltra parte;
7. Comincia la costruzione di 480 km di superstrade e tangenziali
che servono i suoi insediamenti mentre seziona il territorio
futuro del suo partner di pace nelle piccole isole sconnesse,
prevenendo con ciò la comparsa di un altra vitale e competitiva
economia alla porta accanto; (...)
9. Sfrutta le loro risorse naturali, mentre unilateralmente
ed illegalmente preleva, per esempio, il 25% dellacqua
del suo paese dalle falde acquifere dei suoi vicini di casa
mentre li lascia nella sete per mesi e mesi;
10. Danneggia la loro campagna e lambiente, (...)
Poi, lei aspetta fino a che la sua occupazione è divenuta
irreversibile e globale, finché avrà integrato
le sue due economie sotto il suo controllo, le griglie elettriche,
le superstrade e le infrastrutture urbane, finché avrà
assorbito completamente leconomia e la società
del suo partner nella sua. Poi lei annuncia che il suo concetto
della pace è separazione , e lei chiude
a chiave i suoi vicini di casa in alcune piccole isole, mentre
porta via lultima speranza che loro hanno per un futuro
migliore, per un vero paese e una loro propria identità.
Lei li tiene stretti sotto il suo controllo, mentre restringe
il loro spazio vitale, mentre li umilia e li molesta
fino a che la rivolta finalmente esplode.
Poi lei racconta la sua storia al mondo: come ha tentato di
negoziare, come sia stato generoso, come abbia ricercato
la pace, e come sia stato deluso dal fatto che loro
la delusero. Come loro ripagarono le sue buone intenzioni
con le pietre, come loro non siano partner per la
pace, come loro non siano ancora pronti per la pace.
E così, finché loro non sono daccordo a
finire la loro violenza contro di lei e ritornare allo stesso
tavolo negoziale che le ha permesso di costruire la sua base
di controllo in questa prima fase, allora lei ricorre alla forza
forza difensiva, chiaramente, siccome loro
sono gli aggressori. I più moderni sistemi darma
americani, cecchini, chiusure fino alla fame, cancellazione
di migliaia di acri di terra agricola, la distruzione di centinaia
di case... Finché loro non recepiscano il messaggio.
Questo mi pare renda lidea di quello che sta succedendo
in Palestina. Nel comunicato si parla di fazione in lotta per
il potere, arrivando a negare che vi sia una lotta tra uno stato
che opprime ed una popolazione che è oppressa. Le responsabilità
vengono per così dire equamente divise senza
curarsi minimamente, come fosse dettaglio irrilevante, di chi
sia loppresso e chi loppressore, e di quali siano
le dinamiche che hanno portato alla attuale situazione. Tale
modo di vedere le cose è del tutto in linea con il modo
in cui i mass-media si son interessati al Medioriente, cosa
che è avvenuta solo nel momento in cui hanno iniziato
ad esserci e poi ad aumentare le vittime del terrorismo palestinese,
perché fino a quando i morti erano soltanto palestinesi
lattenzione era minima e le notizie venivano derubricate
sotto il generico titolo di violenze in Medioriente.
Né appare convincente la lettura dello scontro come di
una lotta creata per semplici ragioni di equilibrio interno,che
sarebbe un poco come spiegare la Resistenza italiana con gli
equilibri o le beghe interne del CLN.
Notevole poi linesattezza laddove si sostiene che la pace
non è negli interessi della destra israeliana,
lasciando intendere che la sinistra israeliana ne avrebbe di
più, bisognerebbe capire dove stia il grande interesse
della sinistra israeliana, dal momento che Peres è ministro
degli esteri e appoggia nei fatti in toto la politica di Sharon.
Tra laltro è assolutamente straordinario che in
questo comunicato non si parli assolutamente di coloro, sia
arabi sia israeliani, che lottano per la pace, in particolare
che non si parli dei riservisti obiettori di coscienza, il che
è, per chi si dichiara antimilitarista, piuttosto stravagante.
Vista la vostra dimenticanza riporto la dichiarazione di obiezione
di un riservista:
Al Ministro della Difesa Ben Eliezer
Un ufficiale ai suoi ordini mi ha inflitto oggi ventotto
giorni di prigione militare per il mio rifiuto a prestare il
servizio di riserva obbligatorio.
Io non mi rifiuto di servire solo nei Territori Occupati Palestinesi,
come ho fatto negli ultimi quindici anni, ma io rifiuto di servire
nellesercito israeliano in ogni forma.
Fin dal 29 settembre del 2000 lesercito israeliano ha
condotto una sporca guerra contro lAutorità
Palestinese. Questa guerra sporca include esecuzioni extragiudiziali,
omicidi di donne e bambini, distruzione delle infrastrutture
economiche e sociali della popolazione palestinese, lincendio
di terreni agricoli, lo sradicamento sistematico degli alberi.
Voi avete seminato terrore e disperazione, ma non siete riusciti
a raggiungere il vostro obiettivo fondamentale: il popolo palestinese
non ha rinunciato ai propri sogni di sovranità e indipendenza.
Né tantomeno avete dato sicurezza al vostro stesso popolo,
malgrado tutta la violenza distruttiva dellesercito, del
quale lei è responsabile.
Alla luce del vostro grande fallimento, noi siamo ora testimoni
di un dibattito intellettuale tra Israeliani della peggiore
specie: una discussione circa la possibile deportazione e lomicidio
di massa dei Palestinesi.
Il fallito tentativo dei leaders del Partito Laburista di imporre
un accordo al popolo Palestinese ci ha trascinato in una sporca
guerra per la quale i Palestinesi e gli Israeliani stanno
pagando con la loro vita. La violenza razzista dei servizi di
sicurezza israeliani, che non vede persone, ma solo terroristi
ha aggravato il circolo vizioso della violenza per entrambi,
Palestinesi e Israeliani.
Anche gli Israeliani sono vittime in questa guerra. Sono vittime
della scellerata ed errata aggressione dellesercito di
cui lei è il responsabile. Anche quando lei ha intrapreso
i più terribili attacchi contro il popolo palestinese,
non ha compiuto il suo dovere: dare sicurezza ai cittadini Israeliani.
I tanks a Ramallah non hanno potuto fermare la sua più
mostruosa creazione: la disperazione che esplode nei caffè.
Lei, e gli ufficiali militari ai suoi ordini, avete creato degli
esseri umani la cui umanità sparisce nella disperazione
e nellumiliazione. Voi avete creato questa disperazione
e voi non potete fermarla.
Mi è chiaro che lei ha rischiato tutto nella sua vita
solo perché continui la costruzione illegale e immorale
degli insediamenti, per Gush Etzion, Efrat e Kedumim: per il
cancro che consuma il corpo sociale israeliano. Negli ultimi
trentacinque anni gli insediamenti hanno trasformato la società
israeliana in una zona pericolosa. Lo stato israeliano ha seminato
disperazione e morte tra gli Israeliani e i Palestinesi.
Per questo io non voglio servire nel suo esercito. Il suo esercito,
che chiama se stesso Israeli Defence Force (Forza
di Difesa di Israele) non è niente di più che
il braccio armato del movimento delle colonie. Questo esercito
non esiste per dare sicurezza ai cittadini israeliani, esiste
per garantire che continui il furto della terra Palestinese.
Come Giudeo io mi ribello ai crimini che questa milizia commette
contro il popolo Palestinese.
È mio dovere, come Giudeo e come essere umano, rifiutarmi
nel modo più categorico di avere un ruolo in questesercito.
Come figlio di persone vittime dellolocausto e della distruzione,
non posso avere un ruolo nella vostra politica insana. Come
essere umano è mio dovere rifiutarmi di partecipare a
qualsiasi istituzione che commette crimini contro lumanità.
Sinceramente suo,
Sergio Yahni
Mi pare che questa lettera dica molto di più di tanti
discorsi, mi pare anche che sarebbe bastato pubblicare questa
lettera, per avere una presa di posizione chiara e condivisibile
da un punto di vista pacifista e libertario, piuttosto che comunicati
di stampo settario. Tra laltro questa lettera accenna
ad una possibilità purtroppo non troppo remota, ovvero
quella della deportazione, o della cacciata dei Palestinesi
persino dalla Cisgiordania. Secondo lo storico militare israeliano
Van Creveld, in una intervista riportata dal giornale inglese
The Telegraph, il piano di Sharon è di spingere
due milioni di Palestinesi dallaltra parte del Giordano
usando il pretesto di un attacco americano allIrak o di
una offensiva terroristica in Israele. In questo caso, o anche
in caso di rivolta in Giordania o di una più estesa campagna
terroristica, Israele attaccherebbe gli insediamenti palestinesi,
schiererebbe le sue divisioni ai confini per evitare attacchi
da parte araba (peraltro improbabili) occuperebbe anche i villaggi
araboisraeliani e poi a colpi di artiglieria distruggerebbe
tutte le principali città palestinesi, costringendo la
popolazione alla fuga.
Mi pare di aver spiegato per quali ragioni, quindi, io non sottoscrivo
affatto questo comunicato, e perchè mi sarei aspettato
altrettanto da voi. Io sto dalla parte delle popolazioni oppresse
dal Tibet allAmazzonia allIrlanda del Nord alla
Palestina. Infine, ho il sospetto che in fondo quel comunicato
abbia poco a che vedere con il Medioriente o la pace o altro,
ma molto di più con gelosie e polemiche del tutto italiane.
Più che di polemiche sterili si avrebbe bisogno di informazione,
e credo che il compito di un giornale, di una rivista, sia soprattutto
questo, più che quello di lanciare o sottoscrivere proclami.
Paolo Scarioni
(Milano)
Dubitando
ad veritatem pervenimus
Rispondo alle osservazioni di Patrizio Biagi (Ipse dixit,
numero 283 di A) relative ai miei interventi passati (1).
Non ho ben compreso chi sia questo Ipse che dixit,
ma se è riferito alla mia modesta persona, preciso che
non è mia intenzione assurgere a novello Aristotele dellanarchismo.
Con i mie scritti ho inteso soltanto portare una voce discorde
al coro di quanti su A vituperavano i ribelli delle giornate
genovesi con toni, a mio parere, al di sopra delle righe; questo,
unicamente nellintento di contribuire ad un dibattito
sereno che coinvolgesse gli anarchici su temi importanti come
quello della rivolta, con cui volenti o nolenti
ci troveremo sempre a confrontarci.
Confesso che quando ho letto la replica di Francesco Berti (Talebani
anarchici? No grazie, n. 280) mi sono risentito per il
tono da lui usato: non si denigra lavversario solo con
gli insulti e le parolacce ma si può essere offensivi
anche usando un linguaggio pacato ma al tempo stesso farcito
di giudizi lapidari (talebano, fondamentalista, necrofilo estetizzante,
ecc.) che credo non siano il massimo dei complimenti
per un anarchico. Avrei potuto rispondere alla stessa maniera,
ho preferito un altro stile: usando quella che a Patrizio è
sembrata la bonarietà che contraddistingue il
maestro nei confronti dellallievo un poco testone.
Conosco Francesco e so che, sebbene io sia di unaltra
generazione, non ha nulla da imparare da me, ma volevo semplicemente
additare (a lui e agli altri lettori) altri campi di riflessione.
Evidentemente su una questione complessa come quella delle giornate
genovesi gli esempi storici potevano servire solo a dimostrare
come in generale gli anarchici, posti di fronte ad eventi simili,
abbiano reagito diversamente da come si sono espressi i redattori
di A. Non potevo certo, in quel frangente, addentrarmi anche
nella metodologia della ricerca storica.
Quando scrivo: Leggiti i rapporti di polizia e le cronache
sui quotidiani dellepoca, inevitabilmente mostro
il fianco a Patrizio che subito si chiede: Come mai
le fonti giornalistico-poliziesche di cui in alcuni casi bisogna
diffidare, come della peste, in altri possono essere accettate
tranquillamente? Sembra esservi una certa elasticità
di metodo o sbaglio?
Ti rassicuro, caro Patrizio: nessuna elasticità
di metodo. Delle fonti giornalistico-poliziesche
bisogna sempre diffidare. Ma restano pur
sempre delle fonti, che, dopo le opportune verifiche, possono
contribuire alla comprensione di quanto è avvenuto (2).
Lo stesso esempio da te riportato (tratto dal libro di Vincenzo
Mantovani, Mazurca blu) rivela senza dubbio da parte
del funzionario di polizia che lo ha compilato unesagerata
fantasiosa propensione al complotto, dovuta evidentemente alla
deformazione professionale. Ma questo non dimostra assolutamente
che la cospirazione in oggetto non sia avvenuta del tutto, anzi
per lo storico questo rapporto può costituire una traccia
preziosa che, se seguita a fondo, può portare a scoprire
la verità (o almeno una parte di essa).
Avevo rapporti con i soldati, dichiara in
unintervista Corrado Quaglino redattore del quotidiano
Umanità Nova venivano giù e mi
riempivano una borsa di pelle sgangherata
me la riempivano
di pallottole. Io la prendevo sotto il braccio e andavo alla
redazione di Umanità Nova a piedi. Poi un altro
mi portava il moschetto avviluppato nel giornale che sembrava
una scopa. Io lo prendevo e lo portavo lì (3).
Come vedi, comparando la fonte poliziesca con una fonte anarchica,
il rapporto di questura appare leggermente meno fantasioso e
potrebbe persino contenere qualche probabile cenno di veridicità
(per lo meno sul fatto che i soldati passassero le armi agli
anarchici).
Lo stesso vale per i quotidiani. Che su di un evento riportino
versioni inesatte o inventate di sana pianta non significa affatto
che lepisodio in questione non sia mai accaduto. Quindi
anche una cronaca di parte può servire come traccia per
lo storico, che naturalmente non la prenderà per buona
ma la seguirà fino in fondo, verificando i limiti della
sua fondatezza e analizzandone altre di diversa provenienza.
Ma vi è unaltra questione che mi preme sottolineare:
se io invito Francesco a leggere i rapporti di polizia
e le cronache sui quotidiani dellepoca è
perché, purtroppo, sono le uniche fonti accessibili di
una storia che non è mai stata scritta. Pur essendovi
una relativa abbondanza di studi sulla storia dellanarchismo
italiano, la maggior parte sono opere generali, incentrate sullazione
del movimento o sullattività di personaggi di grande
rilevanza storica (primo fra tutti Errico Malatesta), di militanti
che hanno avuto un ruolo di primo piano. A questo si aggiunga
la necessità di ribaltare limmagine caricaturale
dellanarchico esaltato sempre con la bomba sotto la giacca
dipinta dagli storici di regime, necessità che ha spinto
anche gli storici con simpatie nei confronti dellanarchismo
a non interessarsi più di tanto a quella miriade di piccoli
episodi di rivolta quotidiana che vedevano implicati di volta
in volta singoli anarchici. Questi episodi di rivolta, pur non
trattandosi di gesti isolati ma facenti parte di una strategia
generale collettiva, sono stati in certa misura rimossi persino
dagli storici anarchici, i quali nellindagine storica
si sono lasciati inconsciamente condizionare dal loro presente
militante che ha ormai completamente esorcizzato la violenza
rivoluzionaria. Tutto questo ha contribuito a creare limmagine
di un movimento anarchico sempre sulla difensiva, che veniva
sempre represso in tutti modi senza mai reagire. Lo stesso vale
per le rivolte popolari, le insurrezioni generalizzate che,
oltre alle barricate, hanno sempre visto atti vandalici, distruzioni,
furti e saccheggi; episodi, se non taciuti, per lo meno sempre
frettolosamente sorvolati dagli storici di sinistra. Solo una
precisa ricostruzione storica, località per località,
dei singoli atti di rivolta che si sono succeduti, eventi anche
minimi sul profilo della storia grande ma che spesso
sono costati anni di galera ai protagonisti, una ricostruzione
che sia sì scevra da sensazionalismi da rotocalco, ma
al tempo stesso priva di abbellimenti e verità
taciute, potrà renderci nuovamente nitida limmagine
di un movimento come quello anarchico in cui, quantunque vi
siano indubbiamente state figure degne di rilievo sul piano
storico, ha potuto vivere e operare incisivamente solo grazie
allazione congiunta di migliaia di militanti ormai completamente
scomparsi nellanonimato, militanti che, anche se non sono
stati in grado di elaborare in prima persona complesse analisi
teorie o strategie degne di attenzione, hanno comunque portato
avanti quotidianamente e con grande abnegazione lazione
rivoluzionaria. Un valido contributo in questa direzione spero
potrà dare il progettato dizionario biografico degli
anarchici italiani attualmente in fase di elaborazione (4).
Per questi motivi sono dunque costretto ad invitare a leggere
i rapporti di polizia e le cronache sui quotidiani
dellepoca, che, nonostante labbiano sempre
falsata e denigrata, sono ormai (se si escludono le purtroppo
scarse fonti memorialistiche e orali) gli unici depositari di
questa storia (5).
Vengo ora allaltra questione posta da Patrizio.
Tobia asserisce, contraddicendo Zingarelli, che: Eticamente
non è anarchico solamente chi riconosce allo Stato il
diritto ad esistere. Vi sarebbero quindi, secondo Tobia,
anarchici che riconoscono allo Stato il diritto ad esistere
e anarchici che non riconoscono allo Stato il diritto ad
esistere!
Lo Zingarelli è semplicemente un vocabolario della lingua
italiana (6) e penso che non spetti ai suoi estensori stabilire
cosa sia lanarchismo, competenza questa
esclusiva degli anarchici.
So benissimo quanto il concetto da me enunciato (la mera abolizione
dello Stato) sia estremamente riduttivo e che lanarchismo
è in realtà composto da moltissimi altri stuzzicanti
ingredienti (libertà, eguaglianza, solidarietà,
diversità, tensione utopica, ecc.) ma non era mia intenzione
spiegare a nessuno cosè lanarchia. Con la
mia affermazione volevo soltanto sottolineare lestrema
difficoltà per qualsiasi anarchico di stabilire i confini
oltre i quali altri individui non hanno il diritto di definirsi
tali. Essendo il panorama anarchico talmente variegato e variopinto
con sempre nuove tendenze che si sommano a quelle del passato
(ultima in ordine di tempo: il primitivismo) credo che lunica
discriminante, che costituisce anche una sorta di denominatore
comune per tutti, sia la volontà di abolire lo Stato.
Solo chi ne propone la trasformazione graduale o la sua ricostruzione,
anche se in forma temporanea (dopo labbattimento), non
ha diritto di definirsi anarchico. Dico questo nella convinzione
che qualsiasi potere, che potrebbe formarsi anche al di fuori
dello Stato, non riuscirebbe mai a sopravvivere senza istituzionalizzarsi,
cioè farsi Stato.
Per questo motivo mi sembravano forzati gli anatemi contro i
Black Bloc: se essi si pongono contro lo Stato per distruggerlo
e mai più ricostruirlo (come affermano nei loro proclami),
a buon diritto possono definirsi anarchici, piacciano o non
piacciano le vetrine rotte e le automobili rovesciate.
Tobia Imperato
(Torino)
note
1. Cfr. Basta di piagnistei, n. 278
e Talebano? Ma mi faccia il piacere
, n. 282.
2. Limportanza delle fonti poliziesche (e di quelle orali)
e sul loro uso corretto nella storiografia dellanarchismo
sono stati oggetto di un seminario organizzato dal CSL G. Pinelli
di Milano, che ha anche edito un quaderno a cura di Lorenzo
Pezzica (Voci di compagni, schede di polizia Considerazioni
sulluso delle fonti orali e delle fonti di polizia per
la storia dellanarchismo)
3. Tobia Imperato, a cura di, Ricordo di Paolo Gobetti,
Bollettino, n. 7 del CSL G. Pinelli, luglio 1996, Milano.
4. Cfr. Claudio Venza, Per un Dizionario Biografico degli
Anarchici Italiani, Rivista Storica dellAnarchismo,
a. VIII, n. 1, gennaio-giugno 2001 e www.dizionariobiograficodeglianarchiciitaliani.it.
5. Nel corso delle mie ricerche sul movimento anarchico (ristrette
nellambito torinese e nel periodo precedente lavvento
del fascismo) mi sono imbattuto in diversi anarchici che, in
occasioni diverse, hanno gettato bombe contro gli sbirri durante
manifestazioni: gesti inconsulti di pazzi esaltati o pratica
collettiva di autodifesa? Sia su Umanità Nova sia sul
quotidiano comunista LOrdine Nuovo non compaiono mai parole
di censura sulloperato di questi compagni in cui sono
citati unicamente come vittime della repressione.
Vittorio Buresta (Bruno), nato a Loreto (AN) nel 1888,
manovale, residente a Torino. Nel 1920 durante un comizio di
operai metallurgici (dove tra gli oratori vi era Maurizio Garino)
gli venne trovata in tasca una bomba a mano tipo Sipe.
Viene condannato a 7 anni e 8 mesi di reclusione.
Salvatore Canu, nato nel 1895 ad Alghero (SS), operaio.
Specializzato nel lancio di bombe a mano, arrestato
nel 1920 e condannato nel 1922 a 8 anni e 9 mesi di reclusione
per concorso in omicidio avendo partecipato ad uno scontro a
fuoco tra carabinieri ed operai in cui venne colpito a morte
un brigadiere.
Guglielmo Musso, nato ad Asti nel 1899. Nel 1920, durante
uno sciopero a Torino, è ferito gravemente dallo scoppio
di una bomba che si accingeva a lanciare contro dei poliziotti.
È condannato a 18 anni di reclusione e morirà
in carcere nel 1923 in seguito alle ferite riportate.
Antonio Mairone, nato a S. Germano Vercellese (VC) il
15 febbraio del 1900. Operaio metallurgico. Nellaprile
del 1919, durante una manifestazione, fermato da alcune
Guardie regie lancia contro di esse una bomba, ferendo due guardie.
Viene condannato a 14 anni di reclusione. Arrestato dai nazisti
durante gli scioperi del marzo 1944, morirà nel lager
di Mauthausen.
6. Uninteressante escursione sul tema si può trovare
in Roberto Giulianelli, LAnarchia nelle enciclopedie
e nei dizionari italiani. Note sulla storia di un lemma,
Rivista Storica dellAnarchismo, a. VII, n. 1, gennaio-giugno
2000.
In
dubiis abstine*
Mi rendo conto, leggendo la replica di Tobia, che nella mia
smania di essere eccessivamente ironico forse ho posto i miei
quesiti in maniera poco chiara.
Vorrei cogliere loccasione per colmare la lacuna evidenziando
alcuni punti, in merito a Dubitando ecc., e chiarendo un po
meglio quello che intendevo dire.
1) Il titolo Dubitando ecc. mi dà limpressione
di essere più adatto ad articoli in cui si affrontano
questioni di merito, per cui: i dubbi da me posti
possono contribuire al dibattito, alla stessa stregua di quelli
posti da altri, e avvicinare tutti un po di più
alla verità. Mi sembra invece scarsamente attinente
per quella che dovrebbe essere una risposta a chi ha sollevato
questioni di metodo. Ma questo è solo un dubbio
personale.
2) Non ho chiesto assolutamente a Tobia di rendere conto delle
motivazioni che lo hanno portato a criticare le tesi dei collaboratori
di A, sui fatti di Genova, né di riproporre
le sue opinioni in merito anche perché mi pare lo abbia
già ampiamente fatto, e con dovizia di citazioni, nei
suoi precedenti interventi. Tornare su questi argomenti mi sembra
sia stato inutilmente dispersivo e poco pertinente.
3) Non volevo mettere in discussione nessuna metodologia di
ricerca storica, dal momento che personalmente non ho le basi
per farlo. Né mi pare di aver chiesto elenchi
di anarchici che, in periodo pre-fascista, andavano alle manifestazioni
con bombe e pistole nelle tasche. Né tantomeno ho richiesto
di sapere quali fossero state le azioni per cui venivano citati
da giornali o da rapporti di polizia.
La citazione del rapporto del prefetto Pesce era solo per sottolineare
che a volte funzionari e giornalisti possono fare arzigogolate
fantasie partendo da cose reali, come Mantovani spiegava eccellentemente
qualche riga più sotto il rapporto da lui citato.
Le disquisizioni su fatti e personaggi, che in altra sede troverebbero
la loro naturale collocazione, centrano un po come
i cavoli a merenda con quanto io ho evidenziato.
A maggior ragione oggi, dopo aver letto la replica di Tobia,
mi chiedo perché si è scelto un esempio che nessuno
aveva richiesto e perché poi, a seguito di contestazioni
che nulla hanno a che vedere con fatti accaduti più di
unottantina di anni fa, si fa una lunga dissertazione
per dire che le uniche fonti, per ricostruire quegli eventi,
sono quelle giornalistico-poliziesche delle quali Tobia, e su
questo sono daccordo con lui, dice che si deve sempre
diffidare.
Anche questo mi sembra sia stato inutilmente dispersivo e poco
pertinente.
4) Non so chi abbia sostenuto una bestialità simile (non
certo io) ma non mi sono mai sognato di pensare che fosse compito
degli estensori dello Zingarelli definire chi può dirsi
anarchico e chi no e nemmeno stabilire che cosa sia lanarchia.
So di essere stato un po fumoso ma ero partito dalla constatazione
dellassurdo che rappresentava quella frase scritta da
Tobia per trovarci, infine, anche un non senso ed una discutibile
carenza di metodo. Cose che volevo evidenziare ironicamente
partendo dalla citazione di quelle quattro banalità che
ho trovato sullo Zingarelli.
Partiamo dallassurdo. Premetto che considero lo Stato
una pura e semplice struttura politica. Questo senza entrare
nel merito della sua natura e della sua azione, più o
meno chiare a tutti coloro che si definiscono anarchici. Una
struttura che non ha in sé alcunché di etico,
se non nelle deliranti concezioni di certa destra.
Ora, se qualcuno riconosce allo Stato il diritto ad esistere
non fa altro, a mio modesto parere, che compiere un atto meramente
politico.
A questo punto mi sono chiesto come possa una persona essere
eticamente anarchica per il fatto di riconoscere, o di
negare, allo Stato il diritto allesistenza.
Forse la misura delleticità di chi si definisce
anarchico la si può ottenere mediante parametri affatto
diversi da quelli politici. Non so quali e non voglio parlar
detica perché ne parlerei nel modo consueto
con cui tanti ne parlano: a sproposito.
Sono però in perfetta sintonia con Tobia che mi pare
invitasse, non più tardi dotto mesi fa, a non confondere
letica con la politica, solamente una riga
più in basso di Eticamente ecc.
Proseguiamo col non senso. Appurato che anche Tobia, come il
sottoscritto (e forse lo Zingarelli), pensa che la discriminante
per definirsi anarchico sia lantistatalismo mi
viene, nuovamente, di pensare al non senso contenuto nella frase
che egli scrisse nel suo intervento. Come possa un anarchico
(quindi un antistatalista per definizione unanime) riconoscere
allo Stato il diritto ad esistere lo sa solo Tobia che
però si è guardato bene dallo spiegarlo anche
ai meno svegli come il sottoscritto.
Finiamo con il metodo. Quando ho scritto il mio piccolo intervento
(sono più laconico che prolisso) intendevo porre laccento
anche su un altro aspetto, sempre rilevato allinterno
della frase in questione, e cioè il riferimento a quel
(o quegli?) anarchico che riconosce allo Stato il diritto
ad esistere e che non avrebbe lesclusiva su ciò
che può essere ricondotto al termine di etica.
A questo punto mi aspettavo una bella esposizione atta a dimostrare,
con fatti veri e documentati, come per altri casi avrebbe
chiesto a gran voce Tobia, la fondatezza di questasserzione.
Mi aspettavo unattenta disamina di quanto scritto da altri
sulla rivista e che desse la prova irrefutabile di questopera
di riconoscimento allesistenza dello Stato. Invece il
pezzo finiva giusto due righe più sotto lasciando, come
nei feuilleton di fine ottocento, quella sensazione di
suspense data dal rimando ad unulteriore puntata. Solo
che unaltra puntata non cè stata.
Patrizio Biagi
(Milano)
* Nel dubbio astieniti, tanto per restare
al latino.
I
nostri fondi neri
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Sottoscrizioni.
Guido Flaiani (Ascoli Piceno), 2,00; Aurora e Paolo
(Milano) ricordando Alfonso Failla, 500,00; Massimo
Varengo (Milano), 4,00; Luca Candellero (Torino),
20,00; Mario Perego (Carnate), 30,00; Giuseppe Galzerano
(Casalvelino Scalo), 25,82; Leonardo Muggeo (Canosa
di Puglia), 20,00; Rinaldo Boggiani (Rovigo), 20,00;
Massimiliano Scimé (Cisterna di Latina), 20,00;
Rino Quartieri (Zorlesco), 20,00; Enzo Boeri (Vignate),
20,00; Claudio Topputi (Milano), 50,00; Gianni Pasqualotto
(Crespano), 65,00; Andrea Silvestri (Vada), 20,00;
Vittoria Farinelli (Ancona) ricordando il fratello
Luciano, 20,00; Fernanda Bonivento (Ancona) in memoria
di Luciano Farinelli, 30,00; Gabriella Zigon (Sesto
San Giovanni), 5,00; Italo Quattrocchi (Firenze),
20,00; Fabio Innocenti (Vicchio), 10,00; Rosario Cinà
(Palermo), 50,00.
Totale euro 951,82.
Abbonamenti sostenitori.
Alessandro Milazzo (Linguaglossa), 100,00; Livio Ballestra
(Nizza Francia), 100,00; Roberto Pietrella
(Roma Vitinia), 100,00; Giancarlo Benvenuti (Firenze),
77,47 (corrispondenti a lire 150.000, versate con
postagiro il 10.12.2001 e accreditateci in maggio
con relativa comunicazione giuntaci in luglio, 7 mesi
dopo!); Marco Valerani (Milano), 100,00; a/m Arturo
Schwarz, Paolo Talso (Milano), 100,00; Federico Mellano
(Sanremo); 100,00; Simona Bertola (Mondovì),
100,00; Giorgina Arian Levi (Torino), 100,00.
Totale euro 877,47.
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