Dobbiamo attraversare tempi davvero
bui se una mattina ci si sveglia soddisfatti per il successo
elettorale della coalizione verde rosso-pallido nella competizione
per la nuova composizione del Bundestag.
Poi ci si pensa un po di più e si scopre che il
sollievo che si prova è tutto per la sconfitta di Stoiberg
piuttosto che per la vittoria di Schroeder, e per alcuni dati
obiettivi che trascendono lo specifico tedesco.
Abbiamo avuto sempre una diffidenza istintiva nei riguardi dei
pifferai bardati da tirolesi, che sfilano per le strade della
Baviera, delle ridenti contrade austriache e del sud-Tirolo,
con fucili a tracolla e penne sul cappello. Ci è sempre
tornata in mente, quando siamo stati spettatori di simili sfilate,
limmortale definizione dei boy scouts, formulata da un
anonimo buontempone, al quale, però, certamente non sfuggiva
il versante tragico dello spettacolo, tutto sommato grottesco,
che vedeva degli innocenti bambini vestiti da cretini, guidati
da un cretino vestito da bambino. Solo che questi bavaresi sono
assai più pericolosi, perché tra pifferate, canti
cadenzati ed ettolitri di birra, sfornano periodicamente personaggi
che si trasmettono, da una generazione alle successive, concezioni
della vita e della storia che poi si incarnano in personaggi
come Josef Strauss e, nella stessa area geografica, come lineffabile
Heider (avrete notato come il verde sia la nota dominante di
tutti questi rigurgiti revanchisti e siano pressoché
identici gli slogan lanciati nelle manifestazioni pubbliche?),
per non andare molto indietro nel tempo e imbattersi in un certo
Adolf Hitler. Personaggi che poi trovano insospettabili epigoni,
per esempio sul terreno dellantisemitismo e del razzismo
vero e proprio come il liberale Juergen Moellemann, che, per
fortuna, non ha più neppure la lingua per leccarsi le
ferite, tanto cocente è stata la sconfitta sua e del
suo partito.
Ma a queste considerazioni, tutto sommato epidermiche e personali,
se ne aggiungono delle altre viceversa molto serie, che riguardano
lintero panorama dello scacchiere internazionale.
Il fronte franco-tedesco
La prima, la più ovvia, è che la Germania rimaneva,
con la Svezia, lunico paese con un governo di sinistra,
che dichiarava di essere contro la guerra allIraq non
per ragioni puramente tattiche ma per radicate convinzioni ideologiche.
Il ministro degli esteri Fischer, che è il vero vincitore
delle elezioni tedesche, ha più volte dichiarato che
il ripudio della guerra come soluzione delle controversie internazionali
è una costante del governo di centro-sinistra tedesco,
riguadagnando così alla coalizione un consenso che i
sondaggi delle settimane precedenti al voto davano in pericoloso
declino.
La seconda considerazione riguarda gli equilibri politici di
unEuropa che sembrava consegnata interamente alle destre
e votata a politiche interne ed internazionali omologate al
modello anglo-americano, sia nellaccettazione supina delle
più retrive leggi del mercato, sia nella politica di
potenza nei riguardi del mondo arabo, non solo, ma di tutti
i paesi del terzo mondo ai quali si negavano, e si negano ancora
oggi, i più elementari diritti alla sopravvivenza. Con
una Germania guidata da Stoiberg, i residui di stato sociale
che ancora resistono e che, nel bene e nel male, costituiscono
punti di riferimento per le istanze della sinistra nei vari
paesi europei, sarebbero stati spazzati via, così come
non avrebbero avuto più alcun argine le spinte xenofobe
presenti in buona parte del nostro Continente.
Ma la conseguenza più rilevante dellesito delle
elezioni tedesche è senza dubbio la ricostituzione del
fronte franco-tedesco, non più finalizzato a visioni
egemoniche continentali (del resto del tutto anacronistiche
in un contesto in cui le singole potenze militari e industriali
abdicano rispetto agli equilibri dei conti interni: livelli
di disoccupazione e di inflazione, debiti pubblici, bilancia
dei pagamenti, comparati ai parametri di stabilità definiti
dallUe, determinano ormai la forza o la debolezza di uno
stato e, sotto questo aspetto, sia la Germania che la Francia
sono in difficoltà), non pretese egemoniche, dicevamo,
ma un fronte comune, quello franco-tedesco, contro la politica
egemonica dellamministrazione Bush.
È, infatti, assai plausibile che la conferma di Fischer
alla guida della diplomazia tedesca abbia consentito a Chirac
di rendere meno flessibile la sua posizione contro la guerra
e più esplicitamente intransigente il suo rapporto con
la Casa Bianca.
A giudicare dai commenti che circolano, sembra che sulle posizioni
franco-tedesche sia disposto a schierarsi anche Putin, solo
che il personaggio è tuttaltro che cristallino
e nei suoi comportamenti appare evidente la tentazione di approfittare
della teoria bushiana della guerra preventiva per liquidare
in casa propria la questione cecena e quella georgiana.
Certo, a rendere insostenibile la posizione della Casa Bianca,
dal punto di vista del diritto internazionale, è il documento
di 33 pagine che lo stesso George W. Bush ha reso pubblico il
20 settembre scorso, nel quale si esplicita una teoria dellimpero
che, di fatto, pone lAmerica al di sopra di tutti gli
organismi internazionali e le dà mano libera per intervenire
militarmente in qualunque parte del mondo nel quale, a suo insindacabile
giudizio, si nasconda un pericolo potenziale per la sua supremazia.
È un documento, a mio giudizio delirante, che sino ad
oggi nessun foglio italiano ha pubblicato nella sua interezza
e che è apparso soltanto per pochi giorni sul sito internet
di Le Monde e del New York Times. Il nucleo centrale
del documento non lascia dubbi alla pretesa dellattuale
amministrazione americana di imporre al mondo intero il proprio
dominio: si parte dalla premessa che, per la prima volta nella
storia del mondo, una sola nazione, gli Usa, appunto, possiede
una potenza economica e militare che non ha eguali ed è
quindi legittimata a rendersi garante dellordine mondiale.
Questo nuovo statuto dei rapporti di forza negli equilibri internazionali
ha come conseguenza immediata che la superpotenza egemone ha
per definizione la facoltà di intervenire in qualsiasi
parte del pianeta si profili la minaccia potenziale
di uno o più stati che insidino tale supremazia o che
ospitino fazioni o gruppi di individui che abbiano lo stesso
obiettivo. Naturalmente il delirio di onnipotenza non arriva
a tanto da emarginare definitivamente lOnu e gli altri
organismi internazionali, di cui si auspica la collateralità,
ma si ribadisce con perentorietà che se tali organismi
non dovessero allinearsi, e in fretta, alle decisioni prese
dalla superpotenza, questa si riterrà legittimata ad
agire da sola e senza la preventiva consultazione con chicchessia.
Non credo sia necessario sottolineare al lettore intelligente
la terroristica conseguenzialità di quel termine potenziale,
collocato nel punto giusto del discorso e con tale evidenza
da non lasciare dubbi: in barba a qualsiasi norma di diritto
internazionale, lAmerica decide di scegliersi di volta
in volta gli amici e i nemici. I primi si definiranno alleati
e saranno chiamati a partecipare attivamente alle campagne di
polizia internazionale, i secondi saranno definiti
stati canaglia e subiranno la giusta punizione.
Teologia della repressione
Ma la conseguenza più aberrante di una simile rivoluzione
del diritto internazionale è che non vi saranno più
guerre tra avversari, che, sia pure in conflitto, godranno di
pari statuto giuridico, ma vi saranno, da una parte, i detentori
di tutte le ragioni e di tutti i diritti e, dallaltra,
i terroristi, che non avranno alcuna tutela e che saranno in
totale balia dei loro sopraffattori, così come è
già avvenuto per i talebani catturati in Afganistan,
arbitrariamente detenuti a Guantanamo dagli americani, senza
neppure la prospettiva di comparire dinanzi ad un tribunale,
di qualsiasi natura, ma pubblico e al servizio di una struttura
giuridica che degli imputati valuti i torti e le ragioni.
Qualcuno ha sostenuto che una simile impostazione del diritto
internazionale potrebbe essere proponibile se a esserne investita
fosse lOnu, sia pure riformata nella sua attuale struttura
che di paritario non ha proprio nulla.
Mi permetto di obiettare che una teologia della repressione
di simile drasticità non fu ipotizzata neppure nel periodo,
non certo esaltante ai fini delleguaglianza dei popoli,
dellimpero romano.
Se anche lOnu fosse riformata in senso più democratico,
se per ipotesi si abolisse il Consiglio di sicurezza, che, in
seno allOnu è lorgano che riunisce i popoli
più potenti della terra e che dellOnu in buona
sostanza definisce la politica, anche se tutto ciò avvenisse,
gli interessi preminenti delloccidente, la scarsa possibilità
dei popoli del terzo e quarto mondo di far valere una propria
capacità contrattuale, finirebbero con il riprodurre
quella stessa logica del dominio che consente oggi a Bush di
illustrare la sua strategia per un ordine planetario nuovo,
senza sollevare neppure una parvenza di indignazione da parte
delle istituzioni statali di un occidente che si definisce civile
e che vanta tradizioni di virtuosa legalità.
Lappendice italiana di un tale scenario, per quanto risibile,
non è meno pericolosa: stabilita in maniera tanto manichea
la virtuosità degli amici e la perversità dei
nemici, sembra stiano per iniziare le prove tecniche per la
compilazione di liste di proscrizione da tenere a portata di
mano caso mai giungesse lora della definitiva resa dei
conti. Sono ancora segnali deboli, discreti, ma che non lasciano
presagire nulla di buono.
Si ritorna ad occuparsi dei fatti di Genova del luglio 2001.
Lo fanno gli organi inquirenti, i carabinieri dei Ros e la polizia
di stato. Non riusciamo ad immaginare cosa possa esserci di
nuovo che non sia stato detto o indagato e, quindi, tanto rinnovato
interesse ha il sapore di un tentativo di rivalsa che francamente
non ci piace.
Vorremmo proprio sbagliarci.
Antonio Cardella
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