Iene anemiche
Sono duri, ma sciolti, come diceva Andrea Pazienza. Hanno studiato.
Vogliono fare i giornalisti, andare per strada, vedere, parlare
con la gente, scoprire altarini, raccontare, sui giornali e
in tivù. Sembra una bella cosa, una buona idea. Sembra
che abbiano capito tutto, che si stiano preparando a diventare
dei veri professionisti dellinformazione. Finché
non aggiungono: «Come il Gabibbo, come le Iene».
Eccoci serviti, ed il riferimento ai personaggi degli show televisivi
di Mediaset è già un bel passo avanti rispetto
alla media. Con buona pace di Indro Montanelli e i suoi reportage
dalla Scandinavia durante loccupazione nazista, di Giorgio
Bocca davanti ai cancelli della Fiat per «Repubblica»
durante il terrorismo, di Camilla Cederna dell«Espresso»
e le sue inchieste sulla famiglia del presidente della Repubblica
Giovanni Leone, di Andrea Purgatori del «Corriere della
Sera» e il suo lavoro di scavo su Ustica. Ed anche alla
faccia di Bob Woodward e Carl Bernstein del «Washington
Post», quelli dello scandalo Watergate che fece cadere
il presidente americano Richard Nixon.
Certo, con le dovute eccezioni la professione di giornalista
non è mai stata granché. E chissà se si
stava meglio quando si stava peggio, quando cera un telegiornale
solo, governativo, e non si poteva dire merda, oppure casino,
e neppure Fiat, ma «una nota fabbrica automobilistica
torinese». Magari è un po meglio ora, anche
se cè questo gran caos di notizie che si annullano
luna con laltra, dove ad ogni strillo corrisponde
un controstrillo, in un teatrino quello in cui è
maestro Silvio Berlusconi che ficca nello stesso calderone
premi nobel e politici, ladri e giudici, spettatori e sportivi,
direttori di giornali e presentatori televisivi. Con tutti che
fanno il lavoro degli altri.
Quello che mi manca, fra questi due estremi, è la controinformazione,
lo sforzo creativo, una certa spinta. Identifico tre cause della
sua (quasi) scomparsa.
La prima è il predominio del mercato, quel triangolo
delle Bermuda ai cui vertici si trovano i mezzi di comunicazione,
le aziende e la pubblicità, in cui sparisce linformazione
come ricerca della verità probabile e come quarto potere,
capace di tenere sotto controllo gli altri tre.
La seconda è la massa crescente di informazione prefabbricata
che si riversa su ogni redazione e su ogni giornalista. Le agenzie
di stampa, gli uffici stampa e quelli di relazioni pubbliche
propongono via fax, via pc, via Internet una quantità
impressionante di informazioni che è sufficiente tagliare,
cucire e mettere in pagina o leggere in video. Fax ed e-mail
sono veicoli attraverso i quali arriva ai giornali tutto e il
contrario di tutto. Sempre salvo eccezioni, non cè
né tempo né modo per approfondire, per fabbricare
autonomamente informazione, per dedicarsi ad altro che a smistare
fogli e testi elettronici. Le tecnologie in questo non aiutano:
ogni giornalista può confezionare più pagine più
rapidamente, ma semplicemente cucinando incollato ad un video
pietanze preparate da altri, limitando il proprio lavoro alla
composizione di titoli, occhielli e sommari, alla scelta di
foto (anchesse proposte elettronicamente) e alla stesura
di didascalie, e alla correzione di bozze, alla ricerca di errori
e refusi. Facendo così tre parti in commedia: redattore,
poligrafico e correttore di bozze.
La terza è lo strapotere degli editori, soprattutto di
quelli medi e grandi, che si tengono la mano in un intreccio
di interessi che omogeneizza ed omologa. Anche gli ultimi vecchi
statuti dei giornali conquistati oltre ventanni fa, come
quello del «Messaggero», che a parole garantivano
lautonomia della categoria, sono già in archivio
o in procinto di finirci. Terrorizzati di perdere il posto,
la paga e soprattutto i benefit di un mestiere invecchiato,
i giornalisti stanno chiusi nel loro ridotto, masticando pagine
o minuti di video secondo le indicazioni dei loro direttori,
che a loro volta seguono quelle dei loro editori, che a loro
volta ascoltano pubblicitari, aziende, politici faccendieri
e chi più ne ha più ne metta. Aspettano il giorno
in cui faranno giornalismo come il capitano Drogo nella Fortezza
Bastiani aspettava i Tartari, ma fa prima ad arrivare la pensione.
Con laggravante dellautocensura, con la quale i
giornalisti si flagellano per paura di beccarsi qualche querela,
una smentita o una rettifica, ma soprattutto per mancanza di
coraggio di fronte ai propri editori e direttori, in ogni caso
per evitare grane. Di nuovo certe parole non si dicono, telefonate
di controllo spiacevoli non se ne fanno, ricerche sul campo
o darchivio men che meno. Così linformazione
arriva ai lettori belle filtrata, tagliuzzata, ridotta
a nulla o a men che nulla. Spettacolarizzata, magari
e lo dico per tornare al Gabibbo o alle Iene ma incolore,
insapore e indolore.
Redazioni & redattori (tratti da questo paragrafo)
Una forma tutta particolare di redattore è il cronista.
I cronisti sono quei giornalisti che lavorano sul territorio
nella località in cui ha sede il quotidiano, dovrebbero
essere sempre giornalisti professionisti e si occupano di cronaca
nera (delitti e incidenti), cronaca giudiziaria
(processi e inchieste giudiziarie), politica, cronaca bianca,
cioè tutto il resto, salvo lo sport che è seguito
dai cronisti sportivi e gli spettacoli che sono seguiti
dai critici (teatrale, cinematografico, eccetera).
Qualcuno potrebbe essere tentato di chiamare i cronisti reporter,
ma sbaglierebbe. Reporter è un termine anglosassone che
da noi non si usa più. Nelle vecchie redazioni indicava
quei giornalisti che limitavano il loro lavoro alla raccolta
di informazioni da riferire ad un estensore, cioè a un
redattore di bella scrittura, a sua volta incaricato di compilare
larticolo. Potete invece usare la parola fotoreporter
per indicare i fotografi della cronaca, qualche volta dipendenti
del giornale o più spesso di agenzie specializzate.
Il cronista, in sostanza, è colui che esce dalla redazione
alla ricerca di notizie. Ha fra le sue fonti polizia,
carabinieri, vigili del fuoco, procure e tribunali, Comune,
Provincia, Regione, sindacati, uffici stampa aziendali, enti
e organismi di ogni genere. Si muoverà anche per realizzare
inchieste o interviste o assistere a eventi di vario genere,
comprese le conferenze stampa, quegli incontri con i giornalisti
in un luogo e unora prefissati che anche voi potreste
essere tentati di organizzare e di cui riparleremo diffusamente
più avanti.
È quindi il cronista uno dei personaggi in cui vi sarà
più facile incappare. Sappiate quindi che i cronisti
dispongono di un certo potere nellambiente in cui si muovono,
ma sono anche condizionati dalle loro stesse fonti. Il
cronista di nera, per esempio, vivrà a stretto
contatto con poliziotti, carabinieri e magistrati, rischiando
così di diventare uno strumento consapevole o inconsapevole
della strategia di comunicazione scelta dalle fonti stesse.
Tenuto costantemente sotto sterzo dalle sue fonti che
possono in ogni momento tagliarlo fuori dal gioco favorendo
la concorrenza scriverà quello che gli sarà
concesso di scrivere: la versione dei fatti che leggerete sui
giornali sarà quasi sempre quella fornita dalle questure,
dai commissariati e dai comandi dei carabinieri. Raramente
anche se capita il cronista di nera verificherà
le notizie diffuse dalle fonti ufficiali e andrà a sentire
le altre voci, magari quelle fuori dal coro come le vostre.
Lo stesso discorso vale per il cronista politico: anche a prescindere
dalla posizione sua personale o della sua testata che
spesso non coincidono a forza di frequentare i politici
ne potrà diventare il confidente, lamico, lo strumento.
Spesso, invece di limitarsi a osservare la partita e a farne
la cronaca, vorrà mettersi a giocare: non è casuale
che siano così numerosi i giornalisti che finiscono per
entrare di persona in politica. Fra gli esempi più clamorosi,
in questo campo, troviamo Giulio Andreotti, che non solo è
stato giornalista ma ancora dirige un periodico, il mensile
«Trenta Giorni», e Giovanni Spadolini, che è
stato direttore del «Resto del Carlino» e del «Corriere
della Sera». Eugenio Scalfari è stato deputato,
così come lo è stata Sandra Bonsanti, ex inviata
della «Repubblica» e ora direttore del «Tirreno».
Ancora una volta, la maggiore preoccupazione del cronista saranno
i buchi dati o presi. Per questo, nelle città
in cui sono presenti più mezzi di informazione e quindi
teoricamente ci sarebbe maggior concorrenza, è facile
che i cronisti si organizzino spontaneamente in pool,
gruppetti che si danno una mano per tenere sotto controllo la
situazione e non prendere buchi. Accade in luoghi come
i tribunali e la procura della Repubblica (quindi in cronaca
giudiziaria), nelle questure e nei comandi dei carabinieri (quindi
in cronaca nera) o nei palazzi delle istituzioni come Comune
o Regione (quindi nelle cronache politiche). Non è quasi
mai questione di rapporti politici o economici fra giornali,
ma di amicizie e alleanze fra gli stessi giornalisti. Così
potrete trovarvi a parlare con il cronista di un quotidiano
vicino alle vostre posizioni e scoprire il giorno dopo che quello
che gli avete detto è stato riferito anche ad altri quotidiani
i cui cronisti fanno parte di un pool magari
lontanissimi da voi e dal vostro modo di pensare. Se poi il
giornalista che avrete incontrato lavora per unagenzia
di stampa il problema non si pone neppure: quello che scriverà
sarà trasmesso via computer o via telescrivente a tutti
gli organi dinformazione abbonati allagenzia stessa.
Se lagenzia è lAnsa, la maggiore agenzia
di stampa italiana e una delle maggiori agenzie dEuropa,
di proprietà di una cooperativa formata dagli stessi
organi dinformazione italiana, lo stesso lancio
lancio o flash è quel testo redatto dai
giornalisti di agenzia trasmesso via telescrivente o via computer
arriverà a tutti i giornali, le radio e le tivù
abbonate, a prescindere dal loro modo di trattare la cronaca
o dalla loro collocazione politica. Sarà poi il redattore
incaricato di mettere in pagina il lancio di agenzia
a decidere se lasciarlo tale quale o modificarlo più
o meno profondamente.
Il cronista, durante il suo lavoro, non risponde né a
voi né a una ipotetica opinione pubblica, ma al proprio
capocronista e di riflesso al proprio direttore. Parlerà
di diritto di cronaca e dinformazione, si capisce, ma
soprattutto vorrà fare bella figura allinterno
dellorganizzazione giornalistica e consolidare il proprio
ruolo, cercando nel contempo di evitare incidenti, cioè
di non prendere querele né di incappare in rettifiche
e smentite, alle quali comunque reagirà con stizza e
aggressività: la categoria non brilla per capacità
di ammettere di potersi sbagliare.
Latteggiamento del cronista verso il proprio lavoro dipenderà
anche dalletà e dallesperienza: il giovane
appena entrato in redazione si darà da fare più
possibile per entusiasmo, per farsi notare, nella speranza di
fare carriera verso un posto da caposervizio o da inviato. I
più anziani, spesso delusi nelle loro aspettative di
fare carriera, si saranno probabilmente adagiati in un certo
tran tran. Non sarà infrequente, durante giornate particolarmente
impegnative, osservare i cronisti di un pool mettersi
daccordo per rimandare la diffusione di una o più
notizie al giorno dopo, evitando così di sovraccaricarsi
oggi e garantendosi nel contempo il lavoro di domani.
Fra i problemi che il cronista affronta quotidianamente ci sarà
anche la competizione fra colleghi che regna allinterno
delle testate giornalistiche. Il successo professionale e la
relativa autostima di un giornalista, infatti, non dipendono
solo dallassegnazione di particolari qualifiche
caposervizio, caporedattore, inviato ma anche dallimportanza
degli argomenti che gli saranno assegnati, dalla posizione in
pagina dei suoi articoli, dalla frequenza nella pubblicazione
della firma: ci sono quotidiani in cui il numero dei giornalisti
è così alto rispetto allo spazio disponibile in
pagina che è difficile riuscire perfino a farsi assegnare
servizi e articoli, rischiando di finire in uno spiacevole limbo
professionale. È un problema qualche volta anche politico:
i cronisti sgraditi alla direzione o alla proprietà corrono
il rischio di finire in frigorifero, tristemente inutilizzati.
Se i cronisti lavorano soprattutto nelle città, in provincia
incontrerete molto più facilmente i corrispondenti,
quei giornalisti che da una certa località scrivono articoli
detti corrispondenze perché una volta venivano
spediti per posta o fuorisacco, cioè lasciandoli fuori
dei sacchi postali e affidandoli alle mani degli autisti dei
pullman o dei macchinisti dei treni per un giornale che
ha sede da unaltra parte.
I grandi giornali, come il «Corriere della Sera»,
«La Repubblica», «Il Sole 24 Ore», «La
Gazzetta dello Sport», «La Stampa», «Il
Messaggero» e via dicendo, ma anche le agenzie di stampa,
la Rai e le radio più importanti hanno corrispondenti
da tutte le parti, sia in Italia che allestero. I corrispondenti
potranno essere sia professionisti che pubblicisti, potranno
dedicarsi in esclusiva ad una testata o lavorare per
più giornali, radio e tivù.
È molto comune che gli stessi cronisti o redattori di
quotidiani, agenzie, radio e tivù di una certa città
abbiano in portafoglio una o più corrispondenze
per testate di altre città. È un modo per arrotondare
lo stipendio, ma anche per fare apparire la propria firma su
una testata di maggior prestigio di quella per cui si scrive
abitualmente, guadagnarsi una posizione di potere maggiore nel
territorio in cui si opera, tenersi aperta una diversa opportunità
professionale.
Fare il corrispondente può essere un mestiere prestigioso,
come nel caso di Tiziano Terzani, lautore del libro Un
Indovino mi disse e del recente Lettere contro la guerra,
per trentanni corrispondente della rivista tedesca «Spiegel»
in Oriente. Ma può essere un lavoro triste e sottopagato:
sono, infatti, corrispondenti anche coloro che spediscono ai
quotidiani regionali o provinciali articoli e articoletti da
qualche paesino, sempre sperando, come nel Deserto dei Tartari
di Dino Buzzati (giornalista pure lui, fra laltro, ideatore
del suo libro più famoso mentre passava lunghe notti
di guardia alla cronaca del «Corriere della Sera»),
che accada un fatto eccezionale dal quale trarre un momento
di gloria. Che non ci sarà, perché quando quel
fatto accadrà davvero il giornale per cui scrivono molto
probabilmente preferirà spedire sul posto un inviato...
Il silenzio è doro
Può darsi che il vostro istinto vi dica di mandare al
diavolo i giornalisti appena arrivati fino a voi. Il loro atteggiamento
potrebbe farvi venir voglia di prenderli, molto semplicemente,
a calci. Potete provarci lo fanno le star dello spettacolo
e quelle dello sport (ricordate Alberto Tomba e le sue aggressioni
a cronisti e fotografi?), lo hanno fatto i poliziotti e i carabinieri
a Genova, perché voi no? ma ricordate che aggiungerete
benzina al fuoco, del vostro gesto si parlerà, se ne
scriverà proprio sui giornali dei cronisti che volevate
allontanare a forza. Magari quel calcione sarà ripreso
da fotografi e teleoperatori, proprio mentre la rabbia vi contrae
il volto, facendo il gioco di chi vuole danneggiare limmagine
vostra e del gruppo di cui eventualmente fate parte.
Inoltre non pensate di trovare sempre scarsa resistenza. Soprattutto
i fotografi al lavoro nelle grandi città come Roma e
Milano, che devono difendere attrezzature che valgono migliaia
di euro e devono per professione esporsi maggiormente, sono
preparati a rispondere alle aggressioni. Ogni bravo fotoreporter
di cronaca ne ha subita più duna ed è deciso
a reagire. Badate: una macchina fotografica impugnata dalla
cinghia e fatta roteare in aria diventa unarma di una
certa efficacia.
Comunque, violenze (che disapprovo) a parte, il silenzio verso
la stampa può essere una scelta politica, oppure essere
dettato da un legittimo desiderio di riservatezza, specie quando
la situazione in cui vi trovate è delicata o il gruppo
di cui fate parte lavora con soggetti particolari (minori, handicappati,
emarginati eccetera). Ancora più semplicemente, potete
non fidarvi dei mezzi di comunicazione e dei suoi rappresentanti.
È un vostro diritto restare in silenzio, come dicono
i poliziotti dei film americani, e se questa è la strada
che intendete imboccare la vostra lettura di questo manuale
potrebbe anche finire qui. Salvo seguirmi per il tempo necessario
a precisare qualche dettaglio:
se non volete parlare non fatelo, ma tutti i membri del
vostro gruppo devono cucirsi la bocca. Un articolo o un servizio
radio o tivù basato su mezze parole, qualche frase incontrollata,
indiscrezioni e chiacchiere potrebbe rivelarsi veramente dannoso.
Tanto per fare un esempio: se avete un centralino telefonico,
magari presidiato da volontari, tutti devono sapere che non
si devono fare né dichiarazioni né commenti;
non barate. Se avete annunciato che fino a domani non
ci saranno dichiarazioni, fino a domani state zitti con tutti
i giornalisti, a meno che non vi diverta farvi dei nemici: ricordate
il problema dei buchi dati e presi che affligge i cronisti,
gli inviati e i corrispondenti;
non rimandate inutilmente la scelta. Se avete già
deciso di non parlare non annunciate dichiarazioni che non ci
saranno. Non dite: parleremo fra unora per poi mancare
lappuntamento. Ricordate il problema dei tempi di chiusura
e le preoccupazioni di tutta la catena giornalistica, dal collaboratore
che aspetta le vostre parole per scrivere il suo articolo, fino
al caporedattore che vuole chiudere le pagine per mandarle
in tempo in tipografia;
non tirate immotivati colpi bassi. Se non cè
una ragione ben precisa, per esempio una discriminante politica,
non dite di no ad alcuni giornalisti e sì ad altri. Non
tagliate fuori i piccoli, i giornalisti alle prime armi o di
mezzi di comunicazione di scarso rilievo. Non fatevi affascinare
dai nomi delle grandi testate, dai microfoni e dalle telecamere.
Trattate tutti i giornalisti con lo stesso metro: lo sgarbo,
il buco dato al collaboratore di una piccola testata
potrebbe provocarvi la sua eterna inimicizia. Immaginate il
ragazzino di oggi quando sarà arrivato a un posto di
comando dal quale potrà influenzare in negativo la comunicazione
su di voi.
Aggiungo che non cè un solo tipo di silenzio. Fra
le frasi «non abbiamo niente da dire» e «no
comment» cè una bella differenza. Secondo
le regole non scritte della comunicazione, «no comment»
non vuole dire veramente no, ma è una dichiarazione a
tutti gli effetti, pubblicabile, e vuole dire «probabilmente
è vero, ma per ora non possiamo confermarlo». Immaginate
di sentire questo dialogo alla «Domenica Sportiva»:
«È vero che il vostro allenatore si è dimesso?»
«No comment». Voi cosa capite? Che lallenatore
magari non si è ancora dimesso, ma sta per farlo. Quindi
se volete dire solo «no» dite no e nientaltro.
Meglio ancora: non aprite quella porta, con i giornalisti non
parlateci proprio.
Anche il silenzio stampa è una cosa diversa dal
silenzio puro e semplice. Il silenzio stampa è una richiesta
tipica delle famiglie dei rapiti che chiedono alla stampa di
non interferire con le indagini. Si parla di silenzio stampa
anche nel campionato di calcio: lo adottano le società
calcistiche o i giocatori che per un motivo qualsiasi sono arrabbiati
con i giornalisti. In altri termini, il silenzio stampa è
unazione ben precisa verso la stampa, rappresenta un «tagliare
i ponti» intenzionale, linizio di un braccio di
ferro per fare cambiare opinione o atteggiamento ai giornalisti.
Se volete usarlo, fatelo, ma con cognizione di causa, pensando
che prima o poi potreste rimettervi a parlare.
Concludo questa parte del mio discorso avvertendo che stare
zitti non impedirà la stesura degli articoli o dei servizi
radio e tivù, se il caso in cui siete coinvolti è
davvero interessante. Avete presente i diversi profili professionali
dei giornalisti? Li unifica la necessità di concludere
il lavoro, di portare comunque in redazione un risultato. Così
non stupitevi se leggerete descrizioni dei luoghi in cui vi
trovate, di voi stessi o delle persone che sono insieme a voi,
oppure fra virgolette qualsiasi frase abbiate pronunciato, anche
solo: «Andatevene, non abbiamo niente da dire»,
magari con precisazioni sul tono che avete usato, sul vostro
accento, sul fatto che siate uomo o donna, sui vostri abiti
o il taglio dei capelli. Tutti i cronisti sono in grado di trasformare
il niente in un articolo di cinquanta o cento righe. Senza contare
quelli più cinici che, se siete soggetti abbastanza deboli,
sono semplicemente capaci di inventarsi di sana pianta una vostra
dichiarazione: è successo a personaggi illustri dello
spettacolo o dello sport, figurarsi se non può succedere
a voi. Daltra parte ditemi come verificare se è
stata davvero pronunciata una frase attribuita a «un giovane
del centro sociale» o a «un membro dellassociazione»
o a «un conoscente della famiglia».
Cristiano Draghi
Cristiano
Draghi
Nato nel 1955 a Firenze, è arrivato al giornalismo
nel 1980 dopo la laurea in pedagogia, indirizzo psicologico.
È di formazione politica libertaria, pacifista
e ambientalista. È stato cronista in varie città
e collaboratore di grandi quotidiani come il «Corriere
della Sera» e «La Stampa». È
lattuale direttore responsabile dei quotidiani
locali il «Corriere di Firenze» e il «Corriere
di Lucca». Scrive per i maggiori periodici italiani
specializzati in giornalismo, editoria e comunicazione,
il mensile «Prima Comunicazione» e il trimestrale
«Problemi dellInformazione». È
consigliere nazionale dellOrdine dei Giornalisti
ed è spesso chiamato a tenere lezioni e seminari
da università, master e scuole di specializzazione.
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