Circa due anni fa dovevo presentare
a Mestre il cd La mia generazione ha perso, perciò
chiesi a persone che conosco, di età diverse, di raccontarmi
qualcosa sul tema: Le canzoni di Gaber nella mia vita.
Lincontro fu annullato allultimo momento: Gaber
era già malato, e non poté venire.
Come si può immaginare, Gaber, che è del 1939,
è ascoltato soprattutto da chi nasce tra il 1940 e i
primi anni Sessanta, e ha potuto conoscerlo per esperienza diretta
(prima in tv e poi a teatro) oppure grazie a dischi e cassette
di fratelli e sorelle maggiori. Sotto i trenta-trentacinque
anni è facile trovare chi non ne sa niente, o tuttal
più ha intravisto nei programmi di revival in televisione
il Gaber di Torpedo blu e degli spettacoli di varietà.
Per queste fasce più giovani, il fatto di non conoscere
Gaber può essere considerato come una cosa ovvia (mai
sentito); vissuto con il rimpianto per unepoca di
cui si è sentito tanto parlare (mi sono mancate
le sue canzoni); rivendicato come segno del conflitto
tra generazioni (la vostra generazione ha perso? è
quello che vi abbiamo sempre detto).
Le canzoni di Gaber hanno a che vedere con la politica.
Il fatto cioè di amarle o meno, viene ricondotto non
a faccende musicali o di teatro, ma allimpegno politico.
Anche qui conviene seguire le diverse generazioni.
Silvano, operaio del Petrolchimico, sui cinquantanni,
ricorda di Gaber una vecchia canzone sulloperaio
che va dal dottore; loperaio è pieno di tic e di
problemi dovuti al lavoro alienante. Si era alla fine
degli anni Sessanta, e Gaber, mi dice Silvano, è
uno dei pochi cantanti che ha capito cosa vuol dire fare loperaio.
Eppure, faccio io, in quegli anni loperaio era quello
a braccia conserte nello sciopero, battagliero e allavanguardia
delle lotte, maschio, adulto e tutto dun pezzo: anzi,
non si parlava di singoli individui, ma di classe operaia. Ma
anche allepoca delle lotte mi ha risposto Silvano
loperaio rimaneva lindividuo solo e sfruttato
da un lavoro alienante di cui parla Gaber: e solo se sentiva
quella solitudine e quellisolamento, un operaio poteva
sentire la solidarietà, ciò che lo univa agli
altri.
Il personale è politico
Claudio mi racconta che Gaber è stato la colonna sonora
della sua vita tra la fine degli anni Settanta e i primi anni
Ottanta, quando, sui ventanni, ha comperato Il signor
G, Dialogo tra un impiegato e un non so, Anche
per oggi non si vola, Libertà obbligatoria
e Polli di allevamento, ritrovandovi lidea che
il personale è politico. «Mi piacevano
i testi racconta , il suo modo di parlare dei problemi.
Mi chiedo oggi perché Gaber mi piacesse. Credo perché
era un modo per tornare al personale, al corpo, al sesso, allamore,
alla famiglia, alla politica, senza lideologia che dava
risposte a tutto e su tutto. Mi faceva tornare coi piedi per
terra, ai problemi che avevano tutti. A cominciare dalle ragazze.
Quelle con cui si usciva erano femministe. Bisognava leggere
Noi e il nostro corpo e Dalla parte delle bambine
prima di uscire con loro. Per un periodo una con cui sono uscito,
di Lotta Continua, diceva: Non sta rompere a figa,
invece che rompere el cazzo, che era maschilista.
Ora mi hanno detto che è diventata testimone di Geova.
Bene, Gaber cantava di sesso, di orgasmo, di rapporti con le
donne, senza ipocrisie (a me pareva). Metteva in evidenza le
contraddizioni della famiglia, dei rivoluzionari di professione
ipocriti, della società borghese, quella che noi contrastavamo:
aveva rabbia dentro di sé.
Altra canzone ricordata per i suoi legami con la politica di
quel periodo è Io se fossi dio, del 1980. Piero,
anche lui ventenne allepoca, mi ha detto di possedere
un unico 33 giri di Gaber, con quella canzone che lha
segnato perché fece scalpore ed ebbe problemi con
la censura per i riferimenti ad Aldo Moro. Altri ricordano
che ascoltare Io se fossi dio, spesso da cassette che
giravano tra compagni, sembrava un prolungamento della militanza.
Cè chi ricorda la forte emozione di ascoltare Qualcuno
era comunista, negli anni Novanta, perché faceva
sentire il valore di ideali disprezzati dopo la caduta
del muro. Damiano lha ascoltata al Teatro Comunale
di Treviso. «Sentivo crescere dentro, assieme ad una fortissima
emozione, la convinzione di essere dalla parte giusta, che essere
comunisti è lunico modo per essere
uomini, che non può essere che così».
Comè successo per molti cantautori, è il
contesto politico a dare significato alle canzoni di Gaber.
La cosa si verifica anche per canzoni che sembrano avere poco
a che fare con la politica. Racconta Daniela: Le canzoni
nella mia vita sono di Baglioni, però quando facevo politica
mi piaceva ascoltare Shampoo, mi sembrava adatta al periodo.
Le ho chiesto il perché. «Il periodo mi
ha risposto è circa la metà degli anni
Ottanta e facevo parte del direttivo del PRI della cittadina
dove allora abitavo. Eravamo in pochi ed ognuno aveva le sue
simpatie: chi idealizzava i socialisti di Craxi e quindi: Uniamoci
a loro!, chi non si staccava dal motto: La DC ci
fa ponti doro se votiamo i loro progetti (leggi intrallazzi).
Io con tre amici facevo parte di una minoranza, la sinistra
repubblicana. Il nostro programma consisteva in questo: diminuire
limpatto ambientale dei rifiuti e delle acque urbane (allora
la cittadina non aveva un depuratore e la cava di cui si serviva
il comune si stava riempiendo). Cercai di informarmi e leggere
il più possibile. Cosa non facile! Allora lavoravo 10
ore in fabbrica, preparavo la cena, lavavo i piatti e se non
crollavo dalla stanchezza, leggevo oppure uscivo a far politica.
Io non lo sapevo, ma i giochi con la DC erano già stati
fatti. Dopo una discussione feroce me ne tornai a casa. Per
calmarmi accesi la radio e trasmettevano la canzone di Gaber,
Shampoo. Il giorno dopo mi comprai il disco e mi feci
uno shampoo, non restava altro».
Ma non cè un solo Gaber
La centralità della politica nel modo di ascoltare le
canzoni di Gaber spiega perché si trovi da discutere
sul matrimonio tra uno come lui e sua moglie, pubblicamente
schierata con Berlusconi. I più giovani possono cogliere
il lato paradossale della cosa. Federico mi dice: Ad ogni
modo, chi ha voluto dire tanto per generazioni prima della mia
e si ritrova con una moglie di Forza Italia va sostenuto con
tutto il calore possibile. Dallaltro invece cè
chi, come Ornella, cinquantenne, vi trova la conferma delle
sua diffidenza: Gaber dice che loro due discutono molto.
Mi piacerebbe sapere di che e su cosa trovano un accordo.
Ornella non ha più seguito Gaber dopo le prime canzoni.
Ma non cè un solo Gaber, ce ne sono tanti, secondo
le fasi della sua attività. Chi ama unepoca, precisa
se ama o no anche quelle successive. I giudizi sono netti. Non
ci sono vie di mezzo. I ricordi parlano di scoperta
quando lo si ascolta per la prima volta, e di rifiuto,
quando viene abbandonato e non lo si segue più.
Cè chi si ferma al Gaber della prima maniera. Michele
Serra racconta di una partita allo stadio di San Siro, nel 1981,
quando Gaber viene riconosciuto da molti come il cantante che
lavorava alla televisione, quello di Porta
Romana e del Cerruti Gino, quello che partecipava al
festival di Sanremo e a Canzonissima (M. Serra, Giorgio
Gaber. La canzone a teatro, Il saggiatore, Milano 1982,
p. 13). La stessa cosa ricorda Filippo di uno spettacolo teatrale
a Mestre dei primi anni Novanta: «Ero in platea, circondato
soprattutto dalleleganza casual di persone nate intorno
agli anni Cinquanta; alla fine tutti in piedi a battere le mani
e a cantare in coro il mio nome è... e barbera
e champagne...».
Persone molto coinvolte nellimpegno politico lasciano
Gaber quando non vi ritrovano più le proprie convinzioni,
o quando sentono che i suoi testi mettono in dubbio il senso
della militanza e degli ideali. Ornella, come dicevo, ha lasciato
Gaber presto: Ho amato il Gaber di Non arrossire
e delle primissime canzoni, poi basta. La sua famosa Libertà
non è star sopra un albero mi ha sempre urtato per
la sua banalità. Non ho più ascoltato le canzoni
di Gaber, e neppure so quali sono. Claudio ha smesso quando
gli sembrò che anche Gaber si fosse adattato al coro
di quanti, alla fine degli anni Settanta, dichiaravano chiusa
la politica: Si andava da un posto allaltro in cinquecento
e si cantava Libertà non è star sopra un albero,
Shampoo e altre. Anche se devo dire che la canzone che
mi piace di più è Dallaltra parte del
cancello sui malati di mente nei manicomi e sul concetto
di normale. A un certo punto non ho più comperato niente.
Con la crisi della politica, la fine degli ideali che avevamo,
sentire anche lui che girava il coltello nella piaga delle mie
illusioni, sullinutilità della politica, sulla
crisi esistenziale della mia generazione non mi è più
piaciuto.
Lesistenza di dischi e cassette permette uno scambio tra
generazioni: i giovani imparano dai vecchi, ma anche viceversa.
Nadia, trentaquattro anni, ha trovato delle cassette in casa.
Erano di sua sorella, più giovane di lei, che le aveva
ricevute in regalo dal fidanzato. Le ha ascoltate e ha scoperto
Qualcuno era comunista. La canzone mi aveva colpito
forse perché, non ancora trentenne e uscita dalla Fgci
dopo il crollo del muro di Berlino, mi sentivo orfana. Ho continuato
ad ascoltarla ed è uno di quei pezzi che mi fanno venire
i brividi e il magone ogni volta. Qualche tempo dopo,
in un viaggio in macchina con i suoi genitori, Nadia e il suo
compagno si portano dietro anche le cassette di Gaber. «I
miei genitori racconta Nadia hanno un passato
di militanti comunisti dentro al Pci: la domenica diffusione
porta a porta dellUnità, le ferie a montare
gli stand alle feste del partito, il primo maggio cortei di
macchine piene di bandiere rosse a colpi di clacson per paesi
e paesini, le campagne elettorali in salotto a ripiegare fogli
ciclostilati e poi farsi chilometri a imbucarli nelle buche
delle lettere, la bandiera col nome Sezione Di Vittorio
cucita in casa
Ma ritorniamo al nostro viaggio in macchina.
Quando è arrivata lora di Qualcuno era comunista
ho chiesto ai miei di ascoltare. Loro non lavevano mai
sentita. Alla fine della canzone, ascoltata in silenzio, mi
sono voltata. Non potevo vedere mia madre che era dietro di
me, ma potevo vedere mio padre. I suoi occhi erano rivolti al
finestrino, lucidi. Allora volsi anchio gli occhi al finestrino».
Non parlo di partiti o di gruppi politici, e dei loro errori
anche gravissimi, ha aggiunto Nadia: quello che ho visto
negli occhi di mio padre è la vita quotidiana spesa con
molte altre persone a inseguire un sogno di giustizia, di uguaglianza,
di libertà.
Le canzoni di Gaber vengono contrapposte da un lato a quelle
sentimentali, per esempio di Baglioni, dallaltro lato
alle canzoni di lotta, da coro, per esempio di Guccini. La contrapposizione
con Baglioni esprime il contrasto tra impegno e disimpegno;
quella con Guccini esprime il contrasto tra individuo singolo
e gruppo organizzato.
Anarchico, cane sciolto
Anche quando viene sentito dalla propria parte,
si capisce che Gaber non lo è mai fino in fondo. Negli
anni Settanta si poteva cantare La libertà (Libertà
non è star sopra un albero
), e Shampoo;
poi basta. Le successive canzoni di Gaber sono fatte per un
ascolto individuale. Da allora, le sue canzoni sono la colonna
sonora del contrasto amaro tra ciò che si dice e si crede
di fare, e ciò che si è. Raccontano non la parte
teatrale che recitiamo, quello che sembriamo o vogliamo sembrare
in pubblico, ma ciò che siamo quando siamo soli e ci
guardiamo allo specchio.
La critica ai generi di discorso della sinistra e la dimensione
individuale, fanno sì che le canzoni di Gaber piacciano
negli ambienti libertari. Questo vale non solo per le canzoni
scritte più di recente per il teatro, assieme a Sandro
Luporini, ma anche per quelle degli anni Settanta. Davide, trentacinque
anni, ha scoperto Gaber, assieme agli altri cantautori impegnati,
grazie alle radio libere e alle cassette dei fratelli, di parecchio
più vecchi di lui. Allora era piccolo e ricorda Libertà
obbligatoria e Polli dallevamento. «Ascoltavo
Tennis, in cui un gruppo di mucche si alzano in volo
e cagano su dei giocatori di tennis e sulle loro bianche magliette
con il coccodrillino, e pensavo alla mia insegnante di italiano
di allora, fanatica di Montanelli e del Giornale,
e che ci parlava del figlio maestro di tennis. E ricordo anche
un pezzo in cui Gaber esponeva la sua teoria sui partiti che
scivolavano verso destra, per cui la nonna che votava Dc nel
dopoguerra si trovava a votare Dp senza aver cambiato idea.
Gaber gli sembrava diverso dagli altri, anche perché
ricorda un libro di testi di Gaber in cui nellintroduzione,
credo di Michele Straniero, lo si definiva un anarchico, un
cane sciolto.
Quando ho detto a Claudio che sarebbe venuto Gaber, mi ha detto:
Gaber a Mestre? Dimmi quando, perché quando cè
lui, la vendita militante del nostro giornale anarchico ha dei
picchi. Claudio, che collabora a un foglio anarchico,
mi ha spiegato che il pubblico di Gaber compra il nostro
giornale. Per capirne di più, ho voluto allora
sentire Paolo, della mia generazione, che mi ha risposto così:
«Due flash. Milano, Teatro dellArte, primi anni
70. Gaber sul palco attacca con la durezza del suo sarcasmo
la buona borghesia progressista, le sue ipocrisie, i suoi tic.
Mi ritrovo ad applaudire. Mi guardo intorno: è uno scroscio
generale di applausi. Aguzzo lo sguardo: sono proprio loro,
loggetto dei suoi strali, a spellarsi le mani dagli applausi.
Boh!
Milano, redazione di A, 1976. Gaber, con un suo
amico (non ne ricordo il nome, era un docente dellUniversità
di Cosenza), ha accolto linvito a venire a fare quattro
chiacchiere con noi anarchici della rivista A. È
anche lepoca del Comitato Spagna Libertaria, da noi costituito
per aiutare gli anarchici spagnoli nella difficile stagione
di trapasso dal franchismo al post-franchismo. Limpressione
che a me, allora venticinquenne, fa quelluomo è
forte. È timidissimo, ha dei suoi codici molto diversi
dai nostri militanti, ma sento che a suo modo è uno
dei nostri. Spiega il suo no alla nostra proposta di una
serata politica con lui in teatro, stacca un assegno per la
Spagna libertaria, se ne va. Un quarto di secolo dopo, continua
a piacermi. Anche a farmi incazzare. E pone interrogativi scomodi».
Tutte le testimonianze concordano su una cosa: scomodo
è un aggettivo che va bene per parlare di Gaber.
Piero Brunello
*Le
foto che accompagnano l'articolo sono di Reinhold "Deny"
Kohl
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