Che cos’è Teledurruti? È
innanzitutto un romanzo di Fulvio Abbate, rimasto a lungo inedito
e infine pubblicato dall’editore Baldini & Castoldi
lo scorso anno. Nello stesso tempo, si tratta di un improbabile
programma televisivo che dall’ottobre del 1998 va in onda,
tutti i venerdì alle 23.30, con lo stesso titolo, su
due emittenti romane, TeleAmbiente e TeleDonna.
Dico improbabile, o magari semplicemente singolare, poiché
Teledurruti, fin dalla sua memorabile e irripetibile sigla dove
compaiono i miliziani confederali in cammino verso l’ultima
barricata, mostra un egoismo poetico ed esistenziale da fare
invidia al mondo professionale dei media. Teledurruti, insomma,
porta in sé anche un progetto politico e, pensate un
po’, perfino televisivo. In che modo? Provate a immaginare
voi stessi nei panni di una persona ribelle e scoglionata che
improvvisamente, dall’oggi al domani, grazie a un inqualificabile
colpo di testa, sceglie di trasportare dentro i teleschermi
del vicinato (o addirittura di un’intera regione) una autentica
televisione che, senza sconti di pena, affermi felicemente il
proprio sentire umano, il proprio punto di vista sul mondo;
una televisione dove si possa rinunciare alla fretta, alle sollecitazioni
stronze del mercato, una televisione che abbia come unico committente
possibile il proprio bisogno di incanto e magari perfino di
lotta. Una televisione che non abbia paura di prendersi tutto
il tempo che le occorre per ragionare su questo mondo e quell’altro.
Un magazzino ideale
Insomma, una televisione che giorno dopo giorno coincida sempre
più la materia romanzesca e nebulosamente unica da cui
nasce. Un magazzino ideale in grado di accogliere le cose, gli
oggetti, i reperti, le immagini, le fototessere, gli spettri,
lo smarrimento, il sarcasmo, i ricordi incancellabili e l’ironia
di una televisione in rivolta, una televisione sospesa in aria
ad affermare la propria distanza dalla banalità, dal
conformismo e dall’esistente. Teledurruti, ossia la televisione
dei non riconciliati, forse. L’unica emittente del pianeta
che sia mai stata dedicata a un leggendario condottiero anarchico,
Buenaventura Durruti, appunto. Lo stesso uomo che disse ai suoi
amici: “Noi non abbiamo paura delle rovine, noi erediteremo
la terra, portiamo un mondo nuovo dentro i nostri cuori.”
Una frase, questa, che sarebbe giunta intatta fino ai giorni
della rivolta studentesca del 1968.
Insomma, come si può intuire, al di là di ogni
ripugnante retorica, Teledurruti in ogni caso aspira a esprimere
il proprio sentire antagonista perfino rispetto al presente
culturale.
Ma anche, pensandoci bene, visto che gli studi si trovano poco
lontano dalla via Casilina e dalle Grotte Celoni (dove nei giorni
della Resistenza era situato il quartier generale di Giuseppe
Albano, detto “il gobbo del Quarticciolo”) si tratta
di un’emittente idealmente dedicata sia a Pier Paolo Pasolini,
il poeta civile cui dobbiamo alcune fra le migliori pagine sulla
realtà dell’omologazione e sulla stessa capitale,
sia al pittore Mario Schifano, un nostro amico caro, che avrebbe
dovuto disegnarne il marchio, proprio lui, Schifano, l’artista
dei “Paesaggi anemici” e del “Futurismo rivisitato
a colori”, che, non a caso, riteneva la televisione quasi
come una vera e perfetta finestra sulla realtà. Teledurruti,
forse, sarebbe loro piaciuta molto.
Un germe di televisione scalcagnata, antifascista e certamente
vicina alle ragioni del movimento situazionista, dunque, e tuttavia
in grado di dare l’assalto al cielo della memoria e della
storia attraverso una collezione di volti, di fototessere, di
immagini che altrimenti non troverebbero altro luogo d’esistenza
mediatica. Certo, per una coincidenza assoluta e totale fra
la materia romanzesca e la realtà concreta del nastro
magnetico mancano ancora, anche questo è vero, alcuni
personaggi straordinari nati, appunto, sulla pagina scritta:
a cominciare da Lupita, la gattina nera e bianca che ha ricevuto
le stimmate, e dal tenente paracadutista americano della V Armata
rimasto sospeso inspiegabilmente sopra il Colosseo per quasi
sessant’anni, ciononostante l’inventore del progetto
non dispera per il futuro.
In ogni caso, soltanto all’interno del perimetro di un’avventura
commerciale a fondo perduto, qual è Teledurruti, è
stato però possibile processare il terribile pupazzo-idolo
Rockfeller, simbolo della televisione per famiglie infelici;
interrogarsi se l’Altare della Patria debba essere demolito
o piuttosto ampliato; chiedere di prorogare il secolo di un
anno attraverso un 1999 bis; promuovere un seminario sul tema
dello stronzo; raccontare il mondo e la storia attraverso il
soma da casellario cimiteriale delle fototessere: chi se non
noi ha potuto farlo fino a oggi? E ancora, vanno ricordate le
iniziative parallele che meglio definiscono nel suo complesso
il cosiddetto Teledurruti project: la mostra di quadri e oggetti
intitolata “Kit”; il lancio del modulo che consente
di diventare “gay per un giorno”; il Gran premio del
“Secolo breve”, realizzato attraverso il gioco dell’ippodromo
meccanico; il “Premio Teledurruti 2000” assegnato
infine al cantautore Flavio Giurato, la rubrica “un cesso,
un libro”; le lezioni di storia e la rassegna-stampa realizzate
insieme alla gatta Trappi, i reportage di viaggio: New York,
Los Angeles, San Diego, Londra, Madrid, Barcellona, Parigi,
Nizza, Lisbona, Rabat, Fez; l’omaggio a Franco Serantini
nel trentennale della morte, e altre iniziative in corso di
costante elaborazione.

Omaggio alla tomba di Stan Laurel
Teledurruti, fra l’altro, ha reso possibile un proposito
a lungo coltivato dal suo inventore: rendere omaggio alla tomba
di Stan Laurel al Forest Lawn Memorial Park di Hollywood Hills
di Los Angeles. Ma se tutto questo non valesse nulla dal punto
di vista culturale, basterebbe avere fatto scorrere sui teleschermi
i volti di Durruti e dei suoi miliziani, il loro western anarchico,
per dire che valeva la pena di imbarcarsi su un guscio di noce
che innalza la bandiera della rivolta.
Dimenticavo, Teledurruti si avvale della collaborazione assidua
del giornalista Toni Jop. Alla realizzazione del progetto ha
innanzitutto collaborato il pittore Mariano Rossano; è
sua infatti la scena che raffigura un profilo nero e rosso su
sfondo azzurro.
La sigla mostra le immagini di Durruti e della sua Colonna in
marcia verso il fronte di Saragozza nell’autunno del 1936,
accompagnate da “Cant’Help Falling In Love” di
Elvis Presley registrata via satellite alle Hawaii il 14 gennaio
1973.
A Teledurruti fino a oggi, hanno partecipato, fra gli altri,
gli scrittori Michele Mari, Paola Biocca; gli artisti Giovanni
Albanese, Antonio Riello; il pugile Mario Romersi; il disegnatore
Riccardo Mannelli. Il 24 marzo 1999 è stato ospite della
trasmissione lo storico Abel Paz (alias Diego Camacho), scrittore
e biografo di Buenaventura Durruti. Teledurruti ha inoltre lanciato
la candidatura di Vladimir Luxuria, direttore artistico del
Circolo di Cultura Omosessuale “Mario Mieli” di Roma,
alla Presidenza della Repubblica italiana, con la parola d’ordine:
“Un transessuale al Quirinale”.
Siccome in ogni emittente che si rispetti il gioco non può
mancare, il già citato Gran premio del “Secolo breve”,
competizione realizzata attraverso il gioco dell’ippodromo
meccanico, si è concluso nel dicembre del 1999 con la
vittoria di padre Camilo Torres, il sacerdote guerrigliero assassinato
in Colombia dalle squadre militari governative nel 1966. In
occasione del World Gay Pride 2000, ospitato a Roma, Fulvio
Abbate attraverso il Teledurruti project ha lanciato dalla prima
pagina de “l’Unità” l’iniziativa:
“Diventa gay per un giorno”.
Se tutto questo non bastasse, Teledurruti si è guadagnata
perfino una citazione da parte del drammaturgo Arrabal (“Viva
la muerte”, ricordate?) nel suo ultimo libro.
Il sito di Teledurruti è: http://utenti.tripod.it/fulvioabbate.
Fulvio Abbate
Fulvio
Abbate è nato a Palermo nel 1956 e vive a
Roma. Ha pubblicato, fra l’altro, i romanzi “Zero
maggio a Palermo” (1990), “Oggi è un
secolo” (1992), “Dopo l’estate”
(1995), “La peste bis” (1997), «Teledurruti»
(2002). E i reportage: «Capo d’Orlando. Un
sogno fatto in Sicilia» (1993) e «Il rosa
e il nero» (2001).
Dal 1994 al 1998 ha condotto su ItaliaRadio “Avanti
popolo”, talkshow del sabato.
Attualmente lavora a un racconto-inchiesta sulla vita
e l’esilio di Juan García Oliver.
È commentatore de “l’Unità”
dove, ogni mercoledì, cura la rubrica «Sagome».
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