Il quotidiano inglese The Independent
un paio di mesi orsono pubblicò una vignetta in cui erano
raffigurati Saddam Hussein e Bin Laden, i due pericoli pubblici
numero 1, quelli contro i quali George II, il presidente dei
petrolieri e dei mercanti darmi, ha scatenato la guerra
santa contro il terrorismo, la guerra permanente, la guerra,
minaccia Bush, destinata a durare 30 anni.
Nella vignetta del giornale inglese i ritratti di Saddam e Bin
Laden erano incollati insieme alla meno peggio, come in un fotomontaggio
mal riuscito. In altre due vignette si vedevano le immagini
«originali», quelle nelle quali i due erano ritratti
accanto al presidente degli Stati Uniti durante un colloquio
amichevole. Il vignettista di The Independent raffigurava
così un fatto universalmente noto: la trascorsa buona
amicizia tra lamministrazione USA e due personaggi le
cui innegabili malefatte in altri tempi erano taciute o giustificate
in nome della lotta con il satanasso dellepoca, rappresentato
dai regimi dellEst europeo. Tramontato limpero del
male, gli scenari sono cambiati e le alleanze di un tempo sono
state a gran velocità messe nellarchivio in cui
giacciono le cronache ormai muffite.
Non è certo abitudine dei libertari scandalizzarsi per
il cinismo dei potenti, della loro sfacciata disinvoltura, di
unetica le cui coordinate variano velocemente nel tempo
e nello spazio a seconda delle alleanze e degli interessi del
momento. Vale comunque la pena in questa tragica vicenda della
seconda guerra irachena o, per meglio dire, della seconda fase
di un conflitto ormai ultradecennale, osservare la doppia morale
delle argomentazioni con le quali gli Stati Uniti hanno preteso
di giustificare il massacro. Si sono moltiplicate le biografie
di Hussein, gli articoli volti a dimostrare la natura perversa
e criminale delluomo. Non sono neppure mancate le cronache
dellinfanzia infelice, dura, povera, di un bambino dai
natali oscuri. Come non di rado accade il nemico è sempre
in qualche modo affetto da una patologia: il suo attaccamento
al potere, la sua ferocia, la sua volontà predatoria
«devono» essere connotate patologicamente. In questo
modo, il proprio attaccamento al potere, la propria ferocia,
la propria volontà predatoria assumono le vesti rassicuranti
della necessità. Una necessità magari dolorosa
ma ineludibile: come il bisturi di un chirurgo.
Quei 100.000 morti nascosti
Intendiamoci. Il presidente iracheno è indubbiamente
un lestofante di prima caratura. Peccato che, nel lontano 1988,
quando le sue truppe gasavano a morte gli abitanti dei villaggi
del Kurdistan iracheno, solo pubblicazioni e riviste underground
fossero disponibili ad ospitare i reportage e le impressionanti
immagini della strage perpetrata. Rammento con quale fatica
gli studenti curdi nel nostro paese facevano circolare le notizie
di quel genocidio. Secondo Amnesty International le vittime
toccarono le 100.000. Oggi quei morti anonimi, in una regione
di cui i più allora ignoravano persino lesistenza,
sono saliti alla ribalta delle cronache, come tassello, tra
i tanti, della macchina propagandistica statunitense. Naturalmente,
come nella foto strappata dellIndependent,
il governo degli Stati Uniti omette di dire che nel periodo
dei massacri perpetrati dal governo di Saddam nelle regioni
curde, così come nella precedente guerra tra Iran ed
Iraq, il sostegno politico, militare ed economico al regime
iracheno non è mai venuto meno. A dire il vero il milione
di morti nel feroce conflitto tra Iran e Iraq resta per lo più
sepolto nella sabbia della memoria, poiché, non dimentichiamolo,
lIran continua a far parte dellasse del male e,
quindi, quei morti non hanno valore propagandistico.
Tutti oggi ricordano che la prima guerra del Golfo ebbe inizio
a seguito dellinvasione irachena del Kuwait, i più
dimenticano tuttavia, che gli USA, fieri paladini della sovranità
kuwaitiana, non molto tempo prima avevano mostrato ben altro
atteggiamento nei confronti di Panama e della sua sovranità.
Le ormai famose «pistole fumanti» sono giuste se
nelle mani degli autoproclamati difensori della libertà
e della democrazia. Armi nucleari, missili intercontinentali,
ordigni batteriologici o chimici divengono strumenti del diavolo
o «portatori di pace» a seconda di chi li impugna.
La guerra degli USA è giusta perché sono giuste
le sue ragioni. Come dice il Cavalier Berlusconi, dopo averci
liberato dal nazismo e dal comunismo, i prodi americani ci solleveranno
dalla minaccia del feroce Saladino, dalla barbarie islamica.
Costi quel che costi, noi tutti e il popolo iracheno in primis,
gusteremo i frutti della pax americana. Una pace che per 13
bambini su 100, nei dieci anni dopo la prima guerra nel Golfo,
ha significato non arrivare a 5 anni, raddoppiando il tasso
di mortalità infantile registrato prima dellinizio
del conflitto. La stessa pace che ha portato a 6.000 casi di
leucemia al mese tra i bambini. Una pace che ha visto drasticamente
ridursi laccesso allacqua potabile, alle cure, ai
medicinali, al cibo per una popolazione massacrata dalle bombe
e stremata dallembargo.
Nella fase guerreggiata del primo conflitto in Iraq vennero
sganciate 88.500 tonnellate di bombe. Il Washington Post
lo definì il bombardamento più concentrato della
storia. Di queste bombe, solo il 7% era costituito da «ordigni»
intelligenti, ossia il fiore allocchiello della propaganda
americana, quella cui si deve la mirabile invenzione della guerra
chirurgica, quella che interviene per asportare il male senza
danneggiare il paziente. In realtà oggi sappiamo che
i proiettili alluranio impoverito, usati massicciamente
in Iraq, ne hanno gravemente contaminato laria e il suolo
e sono allorigine di quella che è stata definita
la «Sindrome del Golfo». Oltre a decine di migliaia
di iracheni, ne sono stati colpiti diversi militari statunitensi
reduci dal Golfo che si sono ammalati o hanno generato figli
deformi. Quale tipo di «chirurgia» gli USA avessero
applicato in Iraq viene chiarito già pochi mesi dopo
la fine della prima guerra del Golfo sulle pagine del Washington
Post: «Anche se molti dettagli sono stati chiariti,
le interviste a coloro che sono stati coinvolti nella scelta
dei bersagli, svelano tre principali contrasti con la precedente
posizione dellamministrazione Bush, incentrata su una
campagna mirata unicamente alla distruzione delle forze armate
irachene, dei loro mezzi di rifornimento e del loro comando.
Alcuni bersagli, soprattutto nella fase finale della guerra,
furono bombardati principalmente per determinare degli effetti
post bellici sullIraq, non per influenzare il corso del
conflitto in sé. Gli strateghi ora dicono che il loro
intento era distruggere o danneggiare strutture preziose che
Baghdad non avrebbe potuto riparare senza assistenza da parte
di paesi stranieri... A causa di questi obiettivi, i danni agli
interessi e alle strutture civili, invariabilmente descritti
dai relatori durante la guerra come collaterali
e involontari, a volte non lo sono stati affatto».
Gli USA hanno usato armi di distruzione di massa, massacrato
indiscriminatamente la popolazione civile, affamato e assetato
un intero paese in una guerra feroce. Oggi Bush II si accinge
a finire il lavoro iniziato da suo padre, si prepara alla soluzione
finale, allultimo atto della «tempesta nel deserto».
Quando è «giusta» la guerra è pace,
come nella sin troppo spesso inverata distopia del buon vecchio
Orwell.
Maria Matteo
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