Martedì 7 ottobre 2003
Gianfranco Fini, leader di Alleanza Nazionale e vicepresidente
del consiglio dei ministri in carica, sorprendendo lintero
mondo politico italiano compresi gli stessi affiliati del suo
partito, ad un convegno del CNEL annuncia che sono maturi
i tempi per discutere del voto agli immigrati, almeno in sede
amministrativa. La sorpresa generale è più
che giustificata, dal momento che Fini è un leader indiscusso
della destra europea e, prima della svolta politica moderata
di AN, è stato per anni segretario dellMSI, partito
dichiaratamente nostalgico del fascismo. Il suo annuncio rompe
con lo stereotipo che la concessione di diritti agli immigrati
sia tradizionalmente patrimonio esclusivo di una cultura di
sinistra, che non potesse essere abbracciata in alcun modo da
chi a qualsiasi titolo proviene dalle file della destra, tanto
più da chi ne ha responsabilità di dirigenza istituzionale.
La politica e la cultura di destra si prepara dunque ad invadere
il campo specifico della sinistra? Comè possibile
che i rappresentanti di una visione del potere, secondo lo stereotipo,
conservatrice, quindi proiettata a mantenere e favorire le differenze
di classe e di casta con i privilegi connessi, possano occuparsi
di e tentare soluzioni che, secondo lo stereotipo opposto, appartengono
per diritto di nascita ad una visione riformatrice ed estensiva
dei diritti che riconosca luguaglianza sociale? Non esiste
forse, almeno sempre secondo una visione stereotipata, un confine
invalicabile tra un modo di pensare e di agire che si colloca
politicamente a sinistra, intesa in senso lato, ed uno che al
contrario si può collocare solo a destra, sempre intesa
in senso lato? Cosè quindi che può farci
dire oggi che una scelta è di destra ed unaltra
di sinistra?
Presunta invasione di campo
Appare evidente che per tentare di rispondere bisogna innanzitutto
uscire dagli stereotipi e poi tentare di identificare quale
nesso strutturale stia alla base di questa presunta invasione
di campo. Non mi riferisco ovviamente agli addetti ai lavori,
i politicanti di professione, i quali presumo dovrebbero essere
sufficientemente disincantati da aver superato da un pezzo i
confini ideologici e precostituiti, allinterno dei quali
continua a vederli ed a considerarli il popolo dei fruitori
dello spettacolo della politica. Mi riferisco invece a quellenorme
numero di persone, non coinvolte direttamente nelle decisioni,
ma che col cuore e con la mente si identificano negli schieramenti
ed accettano di buon grado di essere parte e partigiani dei
greggi che sostengono e rafforzano loperato dei differenti
leader di riferimento. Per sentirsi schierati debbono immedesimarsi
in idee e principi forti, capaci di identificare lo schieramento
cui ci si sente di appartenere, che dovrebbe distinguerli e
permetter loro di rappresentarli nei desideri, nelle illusioni,
nelle propensioni immaginative. In altre parole, destra e sinistra
fin dalle origini usufruiscono di due immaginari collettivi
contrapposti, entrambi in grado di creare e determinare identificazione.
Proprio rispetto a questo dato di fatto, luscita a sorpresa
di Fini sul voto agli immigrati ha rotto gli argini, scompaginando
e destrutturando ulteriormente i residui dei margini delle certezze
identificative.
In questo articolo non farò riflessioni politologiche,
più o meno aderenti alla realtà, sulle conseguenze
politiche delle affermazioni di Fini e dei rigurgiti che possono
scaturirne nei meandri del palazzo, cioè per esempio
dello scontro interno alla maggioranza di governo o del voto
trasversale su una simile eventuale legge quando sarà
votata in parlamento. Non è di questo che minteressa
parlare. Prenderò invece a pretesto luscita dimpatto
mediatico di Fini per analizzare il senso del rapporto, innanzitutto
istituzionale, tra lo schieramento detto di destra e quello
detto di sinistra. Da tempo sono infatti convinto che non ha
più senso, se non puramente convenzionale, parlare di
differenziazioni politiche di destra e di sinistra, rifacentisi
a schieramenti di tradizioni storiche consolidate. Esistono
delle tradizioni, quelle sì, che ne rispecchiano i contenuti
ed il senso, ormai però saldamente storicizzate, ma non
esiste più né un senso né dei contenuti
che si possano rispecchiare in dette tradizioni. Da tempo non
cè più politica, né come proposte
né come scelte, identificabile in modo netto nelle contrapposte
visioni storiche della destra e della sinistra.
Per capire vediamo di risalire al senso genetico. La destra
e la sinistra politica hanno origine nello storico parlamento
della rivoluzione francese quando, il 17 giugno del 1789, i
rappresentanti del popolo si proclamarono e si legittimarono
assemblea nazionale, dando lavvio alla rivoluzione che
portò al potere la borghesia ed al tramonto definitivo
lantico regime feudale. Da allora, la disposizione dei
seggi di questo storico parlamento è diventata il simbolo
delle tendenze e delle tensioni politiche, messe in moto proprio
dalla rivoluzione francese. A destra, di fronte al presidente,
i nobili e i prelati assolutisti, cioè il blocco degli
aristocratici, che auspicavano la restaurazione dellantico
regime. Al centro i deputati liberali, conservatori o monarchici
che, pur pendendo dalla parte della destra, volevano mediare
in modo da adattare il nuovo avanzante alle esigenze del vecchio.
A sinistra i patrioti, ancora sostenitori della monarchia, ma
soprattutto timorosi della controrivoluzione, quindi dalla parte
del progresso contro la conservazione e la restaurazione. Allestrema
sinistra il gruppo dei democratici, tra cui Robespierre, intransigenti
sui due punti della sovranità nazionale e delleguaglianza
civile, per la cui vittoria erano anche disposti alluso
della violenza rivoluzionaria.
Visioni contrapposte del mondo
Da allora il senso originario si è dilatato pur rimanendo
inerente ai presupposti fondanti. Destra e sinistra sono ben
presto diventate differenti visioni contrapposte del mondo,
vere e proprie aree culturali difficilmente conciliabili, che
hanno ispirato scelte politiche legate ad esse. Per cui la destra
si è identificata nella difesa dei valori tradizionali,
fino ad auspicare un vero e proprio tradizionalismo esoterico,
riconoscendosi nellinstaurazione autoritaria dellordine
costituito sostenuto da poteri forti, nella divisione gerarchica
della società in tutte le sue sfaccettature, nella teorizzazione
di disparità e divisioni che trovano riscontro nella
legittimazione di élite di comando. Mentre la sinistra
vuole eliminare le disuguaglianze e le ingiustizie sociali,
propugna politiche che riconoscono pari diritti e pari dignità
a tutti gli esseri umani, agendo nel senso della realizzazione
delluguaglianza sociale, rifiuta ladattamento al
sistema capitalista e liberista, in quanto instauratore di aberranti
forme di sfruttamento e di disuguaglianze estreme legate alla
realizzazione di profitti economici e finanziari, concepisce
la comunità sociale sorretta dalla solidarietà
e non dallesercizio del comando per il mantenimento del
dominio. Nel mezzo cè il centro, mediatore tra
le due e comunque sempre moderato, che, pur sostenendo regimi
liberaldemocratici fondati su principi di libertà, riconosce
livelli e forme di disparità e propugna la necessità
del comando come regolatore dei conflitti sociali, proponendosi
contrario ad interventi radicali di qualsiasi tipo, in quanto
si considera oltremodo pragmatico e realistico. Infine le due
ali estreme contrapposte che, pur con differenti soluzioni allinterno,
propugnano cambiamenti radicali non mediabili, corrispondenti
alle due visioni di destra e di sinistra.
Nella politica ufficiale però ormai questi due universi
politico-culturali contrapposti trovano pochissimo riscontro.
Senzaltro le scelte strategiche si sono livellate a tal
punto che è sempre meno possibile identificare una chiara
politica di destra che si contrapponga in modo inequivocabile
ad una di sinistra. Gli scontri tra le due aree non avvengono
più da tempo sul piano delle idee e delle proposizioni
sociali complessive, comè stato in origine, bensì
sui programmi di governo oppure in occasione delle campagne
elettorali, durante le quali più che altro si scambiano
reciprocamente fendenti mediatici tesi soprattutto a screditarsi
a vicenda per incrinare limmagine degli avversari.
Quando presero corpo sotto la propulsione della rivoluzione
francese, destra e sinistra si differenziarono da subito perché
rappresentarono senza equivoci visioni del mondo e prefigurazioni
sociali diversificate. Furono cioè fucine di idee e di
ipotesi di sperimentazione politica che, per la loro natura,
non potevano che essere in conflitto luna contro laltra.
Nonostante sostanziosi cambiamenti e vistose metamorfosi teoriche
sopraggiunte nel tempo, hanno pur sempre continuato a rappresentare
la stessa cosa fino al 1989, quando, col crollo simbolico del
muro di Berlino, crollò pure definitivamente limpero
sovietico, cioè lalternativa politico-sociale al
capitalismo per limmaginario collettivo. Da quel momento
le politiche ufficiali in tutto il mondo hanno subito una svolta
epocale e, non più caratterizzate dallo scontro teorico-politico
tra due realtà e due universi culturali fino allora inconciliabili,
hanno totalmente spostato i loro campi dindagine e di
azione dal piano delle idee e delle progettazioni sociali complessive
a quello delle progettazioni pragmatiche, finalizzate alla gestione
del mondo del giorno per giorno.
Organici e funzionali al sistema
Oggi si può affermare con grande tranquillità
che il sistema istituzionale nel suo complesso è sostanzialmente
omogeneo, che cioè le forze, le coalizioni e i partiti
che lo compongono, pur conservando in alcuni casi differenze
non sottovalutabili, sono tutte organiche e funzionali al sistema
stesso. Tutte si riconoscono nel metodo liberaldemocratico e
confondono la democrazia liberale applicata in auge con la realizzazione
della libertà politica. Tutte accettano di essere parte
del sistema capitalista e liberista complessivo dominante, differenziandosi
solo nella proposizione di modi diversificati per gestirlo.
Tutte si pongono, pur con proposte differenziate, come garanti
della sicurezza della continuità del presente stato di
cose. Poi, siccome in realtà il sistema non funziona
se non per gli interessi di pochissimi, mentre tutte le forze
democratiche in campo dicono di pensare e di agire per gli interessi
della collettività nel suo complesso, allora tutte tentano,
ognuna a modo suo, di accreditarsi come riformiste, riconoscendo
implicitamente la necessità di modificarlo e di condurlo
in modo tale da trasformarlo in una garanzia di equità
sociale e di realizzazione della giustizia. Nella realtà
delle cose il sistema continua imperterrito il suo cammino di
appropriazione delle ricchezze collettive distribuendo a man
bassa miseria, sopraffazione, sfruttamento, ingiustizie e deprivazione
di senso, mentre i proponentisi riformisti non riescono a far
altro che a garantirne la continuità.
Cosè successo dunque alla destra e alla sinistra?
Mi piace chiamarlo un processo progressivo di erosione della
sostanza, che ha portato allannichilimento dei principi
originari e dei fondamenti teorici che ne hanno giustificato
lemergere. Mentre erano sorte come portatrici di valori
e di principi irrinunciabili, sostenitrici di sistemi sociali
basati su idee forti ed inconciliabili, nella continua illusione
e nel continuo tentativo di usare il sistema nemico che avrebbero
dovuto abbattere o superare, sono state progressivamente ma
inesorabilmente assorbite fino a diventare le garanti della
perpetuazione del nemico originario. Nei meandri della politica
istituzionale oggi nessuno più si sogna di restaurare
lantico regime feudale a destra, o il sol dellavvenire
a sinistra. Oggi sono tutti diventati dei bravi pragmatici realisti,
consapevoli della posta in gioco, che non è più
la trasformazione alle radici del sistema di cose presente,
ma quella di scalarne i vertici per gestirlo ed indirizzarlo,
lasciandone intatta la sostanza. In fondo la leggendaria presa
del potere di marca leninista, sorta a suo tempo per gestire
la rivoluzione sociale, in qualche modo è tuttora rimasta
una presa del potere, ma molto più pragmaticamente e
utilitaristicamente per appropriarsene e basta. Oggi le differenze
tra destra e sinistra non sono più sulle contrapposte
visioni del mondo e dei sistemi politici, bensì molto
più terra a terra sui programmi e sulle proposte per
gestire la stessa identica cosa, il sistema vigente, tranquillamente
accettato e difeso da entrambe.
Convivenza e connivenza
Un vero e proprio trionfo della convivenza e della connivenza
tra fazioni sorte per combattersi, che ha riscontri sia allinterno
dei singoli stati nazionali, sia soprattutto a livello della
politica internazionale. A dimostrazione sono sufficienti i
casi più eclatanti. Il premier inglese Blair, esponente
di punta della sinistra storica britannica, vanta lamicizia
ed è perfettamente appaiato sulle posizioni di politica
internazionale con Bush, presidente degli USA, rampollo della
destra repubblicana più conservatrice. Schroeder, segretario
del partito socialdemocratico e premier del governo tedesco
in carica, agisce in combutta con e sostiene le stesse posizioni
di Chirac, attuale presidente della repubblica francese e storico
rappresentante della destra moderata. In questo valzer di allegre
alleanze pragmatiche cinteressa da vicino sottolineare
la consonanza a tutto campo tra lo stesso Blair ed il premier
di casa nostra Berlusconi, dichiaratamente moderato di destra,
entrambi in combutta frequente col premier spagnolo Aznar, anchegli
proveniente dalla destra moderata.
Un accenno al quadretto di casa nostra, utile a rendere più
succoso il quadretto generale che sto esponendo, fra laltro
del tutto insufficiente. Nella coalizione governativa di centrodestra
si trovano accomunati, più dalla litigiosità ormai
endemica che da altro, AN, convinti nazionalisti, e la Lega,
dichiaratamente secessionisti. Dati i dispetti quotidiani che
con noncuranza continuano a propinarsi alla luce del sole, ormai
è chiaro a chiunque mastichi un po di politica
che una tale alleanza si regge esclusivamente per conservare
le poltrone governative, ci verrebbe da dire quasi per dispetto
della concorrente coalizione parlamentare allopposizione.
Nel centrosinistra allegramente si trovano insieme i DS, eredi
storici del vecchio PCI, e personaggi come Mastella, democristiano
moderato che mi ha sempre dato lidea di un faccendiere
della politica, e Dini, che guarda caso inizialmente fu eletto
nelle fila di Berlusconi. Il loro spensierato stare insieme
ha tutta laria di essere un patto di ferro per il solo
comune interesse, costi quel che costi, di contrapporsi allodiata
immagine di Berlusconi con tutte le forze disponibili, al di
là e contro ogni convergenza di pensiero.
Una riflessione particolare richiede lultimo atto ufficiale
di politica internazionale. Dopo lultima risoluzione del
Consiglio di sicurezza dellONU votata allunanimità,
che autorizza e raccomanda a tutti i paesi di collaborare alla
ricostruzione dellIraq, larea del centrosinistra
si è spaccata. La risoluzione ONU da più parti
è stata interpretata come una legittimazione postuma
dellintervento bellico americano in Iraq. Lillusorio
grandissimo fronte unitario che aveva fatto bella mostra di
sé durante le manifestazioni di milioni di persone contro
la guerra, in un batter docchio si è diluito ed
è saltata fuori la vera natura delle cose. Subito La
Margherita ed i DS hanno annunciato, pur con differenti diplomatiche
sfumature, che la legittimazione ONU permetteva di appoggiare
la scelta berlusconiana dinviare truppe di pacificazione
e ricostruzione in terra irachena, tuttora teatro sempre più
acceso di continuità della guerra, nonostante Bush il
1 maggio scorso ne avesse dichiarato ufficialmente la fine.
No War senza... lavallo dellONU
Qual è allora il senso politico profondo di questa ennesima
vicenda sinistrese? Che cè una differenza incolmabile
tra una visione di principio ed una di azione politica che si
considera realista. Da una parte larea plurale movimentista
che è contro la guerra in quanto tale, perché
la considera uno strumento di sopraffazione egemonica da parte
degli stati più forti nei confronti delle popolazioni
aggredite ed opta per interventi di altra natura politica e
sociale per risolvere i conflitti. Dallaltra larea
istituzionale che pensa, si propone ed agisce in funzione della
gestione del potere democratico, che aveva rifiutato la guerra
in Iraq non perché guerra, ma perché non aveva
lavvallo dellONU, facendo finta di dimenticarsi,
fra laltro, che col governo DAlema aveva scelto
di partecipare alla guerra in Kossovo sempre al di fuori delle
Nazioni Unite. Il famoso No War senza se e senza ma,
che aveva scandito il senso delle grandiose manifestazioni a
cui avevano aderito anche le forze istituzionali, si è
così aerizzato di fronte al pressare della realpolitik.
Questi signori, che continuano a dirsi di sinistra, hanno trasformato
un problema antropologico di principio che inerisce al senso
della guerra in un problema di legalità internazionale,
aderendo allo stesso terreno dei signori della guerra, facendo
finta di dimenticare che il permesso degli organismi internazionali
è storicamente sempre stato un alibi usato dai prepotenti
per aggredire e colonizzare. Soprattutto dimenticando che il
mondo non lo si cambia limitandosi a gestire al meglio il presente
stato di cose, ma applicando con coerenza principi radicalmente
diversi da quelli su cui il presente si sorregge.
Dove sono finite allora destra e sinistra? Ammesso che lo siano
mai state, non appartengono più alla politica fattuale,
votata per natura al pragmatismo realista ed alla conservazione
del potere vigente. Esse permangono come visioni contrapposte
delle cose, molto dilatate, sempre più dilatate. Aleggiano
nellaria e ci sovrastano riuscendo ogni tanto a sfiorare
gli avvenimenti nel loro succedersi. Ma, ormai troppo spurie
ed ambigue, non ne sono le interpreti, perché la politica
nel suo realizzarsi giorno dopo giorno le ha bandite, pur tentando
strumentalmente di tenerne conto e di usarle. Sono spunti di
pensiero ed occasioni di tensioni ideali, che non hanno però
la forza e non trovano la dignità di diventare ed essere
vicenda vissuta.
A ben guardare e riflettere, le differenze che rappresentano
realmente chiavi di lettura utili ad intervenire per modificare
lo stato di cose che non vorremmo, non sono poi di destra o
di sinistra, troppo invischiate di amalgami teorici estremamente
differenziati e contraddittori tra loro. La diversità
che conta è invece tra altre due inconciliabili visioni
delle cose. Da una parte una miriade di concezioni che, pur
diverse tra loro, vedono come prioritaria la necessità
dellesercizio del potere politico attraverso strutture
gerarchiche e forme di dominio più o meno mascherate.
Dallaltra la concezione di società che si autogestiscono
attraverso la realizzazione di principi di libertà, capaci
di suggerire forme di autoregolazione fondate su un potere
anarchico, o non potere, o assenza di dominio, o potere di tutti,
gestito paritariamente, reciprocamente ed equamente tra tutti
gli individui componenti le diverse società. Luna
pianifica e semplifica attraverso lingiustizia e la prepotenza
del comando dallalto, laltra realizza i valori delluguaglianza,
della libertà, della fratellanza.
Andrea Papi
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