Loccasione di questo intervento
mi è stata data da un incontro organizzato nel mese di
ottobre 2003 dal Circolo libertario Carlo Pisacane
di Bassano del Grappa, in collaborazione col Circolo arcobaleno
di iniziativa libertaria e non-violenta, intitolato: La
violazione dei diritti umani a Cuba. La violenta e indignata
levata di scudi che tale incontro ha provocato in una parte
consistente dellestrema sinistra locale è indice,
a mio avviso, di una serie di problemi e di questioni non risolte
che riguardano settori non indifferenti di quel movimento no-global
di cui molti anarchici fanno, in qualche modo, parte. Mi pare
di una certa importanza, pertanto, cercare di affrontare e,
se possibile, di risolvere, tali problemi e tali questioni.
In una certa parte della sinistra dalla quale tenderei
a non escludere anche certe componenti dellanarchismo
militante circolano, su Cuba, alcuni miti e alcuni luoghi
comuni difficili non dico da rimuovere ma perlomeno da scalfire.
Si tratta, perlopiù, di idee preconcette e pesantemente
inquinate dallideologia, che si manifestano anche in altri
ambiti: quando, per esempio, si parla degli Stati Uniti o del
conflitto arabo-israeliano. È inutile negarlo: un antiamericanismo
fondamentalista unito a forme più o meno larvate di antisemitismo
che, nella versione politicamente corretta, si travestono
da antisionismo fanno da collante di ampi ed eterogenei
settori della sinistra radicale e permettono perfino la saldatura
di alcuni di questi settori con movimenti di estrazione neonazista
e neofascista (1). Questi pregiudizi
e queste gabbie mentali entrano in gioco anche quando si parla
di Cuba. Occorre pertanto, a mio avviso, sgombrare il terreno
dagli equivoci e affrontare, punto per punto, le principali
obiezioni che vengono comunemente mosse a chi si permette di
criticare il regime dispotico di Fidel Castro.
Fidel
Castro
Diritti umani violati
Una prima obiezione che viene avanzata consiste nel ritenere
poco opportuno affrontare problemi come la violazione dei diritti
umani a Cuba, mentre nel mondo imperversano ben altrimenti gravi
violazioni di diritti umani, come per esempio quelle perpetrate
dagli Stati Uniti. A questa obiezione si può rispondere
nel modo seguente: anche ammettendo che gli Stati Uniti o altri
Stati stiano commettendo nel mondo doggi violazioni più
gravi di quelle attuate dal regime di Fidel Castro, resta nondimeno
vero che tali violazioni sono effettivamente commesse a Cuba.
A chi, oggi, nello Stato cubano, subisce la mano pesante della
repressione del regime credo sia di poca consolazione sapere
che gli Stati Uniti, o chi per loro, stiano usando, nei riguardi
di altri popoli, gli stessi sistemi o anche peggiori (della
qual cosa, comunque, ho diversi dubbi). Credo, invece, che agli
oppositori della tirannia caraibica interessino e molto
la solidarietà e lappoggio internazionali,
se possibile concreto, nella loro lotta per liberarsi dal potere
oppressore. Qualunque violazione dei diritti umani e delle libertà
fondamentali dei cittadini merita a mio giudizio di essere denunciata:
a Cuba come in Iraq, in Italia come in qualunque altro paese.
Chi si limita a denunciare i crimini o i presunti crimini
degli Stati Uniti e dei loro alleati dimostra che, in
fondo, tali crimini vengono denunciati non perché crimini
ma perché commessi dagli Stati Uniti: se si considera
un certo atto un crimine in se, non si capisce perché
sia giusto e doveroso denunciarlo in un caso e tacerlo in un
altro. Sono convinto che, in fondo, ad una certa parte della
sinistra interessino abbastanza poco la difesa delle libertà
fondamentali dellindividuo e la violazione dei diritti
delluomo. Tali temi, infatti, vengono agitati da alcuni
in maniera palesemente strumentale: per essere espliciti, solo
quando riguardano i crimini o presunti crimini delle odiate
democrazie liberali occidentali.
Embargo o economia fallimentare?
Una seconda obiezione consiste nel ritenere gli Stati Uniti
e il loro embargo la causa principale delle sofferenze del popolo
cubano. Di fronte allembargo, sostengono i difensori della
dittatura rossa, ben poca cosa risultano le misure di polizia
prese da Fidel Castro contro i suoi oppositori. Occorre affermare
con forza che questa obiezione è storicamente e politicamente
falsa. Come hanno sostenuto in più occasioni diversi
scrittori, tra cui per esempio, Mario Vargas Llosa, il popolo
cubano deve la propria miseria molto più alla fallimentare
economia comunista del regime castrista che allembargo
statunitense. Non bisogna dimenticare, a questo riguardo, che
se linefficiente e burocratica economia sovietica cubana
non è tracollata prima dora ciò è
avvenuto solamente perché Cuba è stata per decenni
letteralmente sommersa doro da Mosca. Si tratta, pertanto,
di uneconomia che è stata artificiosamente assistita
per tantissimi anni, e, non a caso, quando le sovvenzioni sono
venute a mancare per la dipartita dellUnione Sovietica,
Fidel Castro ha dovuto, per non affondare completamente lisola
nella miseria più nera, fare qualche apertura alleconomia
di mercato e permettere larrivo di capitali e capitalisti
occidentali (2). Come ha scritto Vargas
Llosa, «qualunque embargo economico, da parte di un solo
paese, sebbene tanto potente come gli Stati Uniti, è
una burla. Se Cuba fosse in condizioni di farlo, potrebbe comprare
tutti i prodotti manifatturieri (...) di cui necessita dalla
Francia, dalla Spagna, dal Canada, dalla Germania, dallItalia,
dal Giappone, dalla Corea del Sud e da dozzine di altri paesi
ansiosi di vendergliele e, molti di essi, a prezzi più
competitivi di quelli delle industrie nordamericane» (3).
Se ciò non avviene, continua poco oltre Vargas Llosa,
ciò accade solo perché la penuria economica dellisola
la rende priva di denaro per pagare le merci in contanti e priva
di qualsivoglia credibilità per ottenere prestiti di
qualunque specie. Il motivo principale del collasso economico
di Cuba, secondo lo scrittore sudamericano, «non ha nulla
a che vedere con limperialismo nordamericano, ma con il
socialismo cubano: lo sperpero incommensurabile di mezzi in
progetti senza la minima base scientifica, ispirati ai deliri
e alla megalomania del leader; una pianificazione politica dello
sviluppo che ha introdotto linefficienza e la burocratizzazione
nellindustria e nellagricoltura e ha annullato ogni
forma di concorrenza e di iniziativa; un gigantesco sperpero
di armamenti nelle avventure militari straniere» sono
la vera causa del fatto che Cuba paese che prima della
rivoluzione castrista era, nonostante un governo mafioso e gravi
ed ingiuste sperequazioni sociali, la quarta economia del continente
oggi ha un milione di disoccupati e un livello di vita
assai modesto (4).
Cuba
Lanarchico Souchy a Cuba
Occorre aggiungere, tra laltro, che tutto questo era
stato ampiamente previsto. Come si evince da un documento disponibile
nel web sulla storia dellanarchismo cubano, nellinverno
del 1960 lanarchico tedesco Augustin Souchy fu invitato
dal nuovo governo rivoluzionario a visitare Cuba e ad esprimere
la sua opinione sulla riforma agraria varata dal castrismo:
«Come studioso del problema agrario, Souchy aveva scritto
un opuscolo molto commentato in Europa, intitolato Le cooperative
di Israele, sullorganizzazione nel paese suddetto
del kibbutz, motivo per cui il governo cubano sperava
in qualcosa di simile da Souchy per avallare il suo gigantesco
programma agrario e come propaganda nei mezzi di comunicazione
anarchici internazionali. Non accadde ciò. Souchy viaggiò
per tutta Cuba con gli occhi e il cuore aperto a tutto ciò
che gli si mostrava e a tutto ciò che per suo conto poté
osservare. Il risultato della sua analisi non poteva essere
più pessimista. Cuba si avvicinava al modello sovietico;
la mancanza di libertà e di iniziativa individuale non
potevano che condurre al centralismo nel settore agrario. Lo
stesso si notava in quello economico. Souchy fu onesto nel suo
inventario totale e il suo opuscolo intitolato Testimonianze
sulla rivoluzione cubana fu pubblicato senza passare per
la censura ufficiale. Tre giorni dopo la sua partenza da Cuba,
ledizione integrale di questo lavoro fu controllata dal
governo castrista su suggerimento della Direzione del Partito
Comunista Cubano e distrutta nella sua totalità»
(5).
Rispetto al problema dellembargo statunitense, in conclusione,
rimane da dire ununica cosa. Se il suo scopo era quello
di indebolire il governo comunista a Cuba, esso si è
dimostrato completamente inefficace, anzi, ha ottenuto lo scopo
opposto: lembargo è la scusa che tuttora permette
a Castro di indicare fuori dallisola, in un grande e potente
vicino nemico, i mali dei cubani, e gli consente di rinsaldare
il suo potere attraverso la mobilitazione incessante di sentimenti
nazionalistici (6). Se agli Stati Uniti
interessasse davvero liberarsi di Castro, la prima cosa che
dovrebbero fare è di porre fine allembargo, e,
con esso, agli alibi di una dittatura sempre più irrigidita
nel suo interminabile tramonto. Occorre dunque riconoscere che
la politica statunitense nei riguardi di Cuba deve essere accusata
non di aver ostacolato il regime di Fidel Castro, ma di averlo,
paradossalmente, favorito.
Uccisione di numerosi militanti libertari
Una quarta obiezione consiste nellidea, altrettanto bacata,
che vi sia un nesso tra lembargo economico degli Stati
Uniti e il terrore poliziesco che vige a Cuba. Questa volta
ad essere chiamato in causa è il mito, adattato alloccorrenza,
della rivoluzione tradita: un mito, ancora una volta, assolutamente
infondato. Come varie testimonianze dimostrano oltre ogni ragionevole
dubbio (7), il potere dispotico e poliziesco
a Cuba iniziò poco dopo che il gruppo rivoluzionario
di Fidel Castro e Che Guevara aveva preso il potere e prima
che gli Stati Uniti decretassero il loro embargo (che entrò
in vigore nel 1961). Per quanto riguarda lanarchismo cubano,
che vantava nellisola una gloriosa tradizione di lotte
e che aveva combattuto con forza contro i precedenti dittatori
ultimo, nellordine, Batista esso fu implacabilmente
liquidato nello stesso inverno del 1960 (8).
Impossibilitato ad esprimersi in forme pacifiche, il movimento
libertario cubano tornò allora alla lotta armata, per
difendere il suo diritto ad esistere: limpari lotta portò
alluccisione di numerosi militanti libertari. Agli anarchici
cubani non restarono che tre possibilità: carcere, fucilazione,
esilio. I più fortunati abbandonarono lisola e
a New York, nellinverno del 1961, fu costituito il Movimento
Libertario Cubano in esilio. Da allora, gli anarchici cubani
non hanno smesso di reclamare libertà e giustizia, e
la fine del regime terroristico di Fidel Castro. Naturalmente,
non furono solo gli anarchici ad essere repressi dallo Stato
totalitario: tutte le forze di opposizione, di qualsivoglia
matrice ideologica, furono eliminate coi metodi più brutali
e polizieschi. A questo riguardo, occorre sfatare il mito che
tutta lopposizione a Fidel Castro sia foraggiata dagli
Stati Uniti e sia composta unicamente da capitalisti, feudatari
espropriati, banchieri e sfruttatori di vario genere. Sicuramente,
tra gli esuli cubani, ci sono personaggi di questo tipo, ma
ci sono anche varie organizzazioni sinceramente democratiche
che lottano per una Cuba nuova, finalmente libera, e non per
un ritorno a stagioni di privilegi e sfruttamenti. Insieme a
persone appartenenti alle classi privilegiate e benestanti sotto
le precedenti dittature, sono scappate da Cuba, nei quarantanni
di dittatura comunista, decine di migliaia di persone comuni,
spinte a cercare in altri paesi un futuro migliore non da ideologie
o da pregiudizi controrivoluzionari, ma dal semplice e umano
desiderio di volersi sottrarre al giogo della dittatura e della
miseria.
Dittatura uguale conquiste sociali?
Una quinta obiezione può essere sintetizzata dallidea
che, nonostante i suoi difetti, la rivoluzione cubana
cioè la dittatura di Fidel Castro debba
essere comunque difesa per le conquiste sociali che essa ha
conseguito; tali conquiste sociali si citano, di solito,
soprattutto listruzione e la sanità porrebbero
Cuba allavanguardia rispetto a molti altri paesi dellAmerica
centro-meridionale, governati anchessi da dittature ma
mancanti di quel minimo di servizi pubblici essenziali di cui
invece godrebbero i sudditi di Fidel Castro. Come anarchico
e come libertario, sono dellidea che le dittature debbano
essere condannate senza se e senza ma: senza alcuna reticenza.
Nessuna conquista sociale può giustificare la privazione
delle libertà fondamentali dei cittadini e la violazione
sistematica dei loro più elementari diritti. Conviene
poi ricordare a questi partigiani indefessi della dittatura
che i despoti di opposto orientamento ideologico hanno fatto
largo uso, nel passato, delle medesime scusanti per giustificare
i loro sanguinari regimi. Come ha ricordato uno scrittore cubano,«Franco
e Salazar domandarono universale rispetto per le scuole, gli
ospedali e le dighe che essi inauguravano. Mussolini usò
la puntualità dei treni e la fine degli scioperi come
una scusa perfetta per il fascismo italiano». Lo stesso
Hitler poteva esibire come conquiste del nazismo «una
rete di superstrade, la fine dellinflazione, la drastica
diminuzione della disoccupazione» (9).
Se la dittatura cubana, come ogni dittatura, solleva un problema
di libertà, che senso ha spostare il discorso dal piano
politico a quello sociale? Se io dico: «A Cuba non cè
libertà» non è una risposta dire «a
Cuba ci sono molti laureati». Vale a dire: può
darsi che a Cuba ci siano molti laureati o molti ospedali,
o molte scuole ma questa non è unobiezione
alla constatazione che a Cuba manchi la libertà. Con
questo, non voglio naturalmente sostenere che scuole, ospedali
e altri servizi sociali siano elementi accessori o poco importanti
per una società che voglia dirsi civile: tuttavia è
del tutto evidente che non è necessario impiantare dittature
o Stati totalitari per far funzionare i servizi pubblici. Lesempio
di decine di nazioni rende ridicola e patetica ogni giustificazione
di regimi dittatoriali che si basi su queste argomentazioni.
Tra laltro, con la loro mania centralistica e burocratica,
le dittature totalitarie di stampo marxista-leninista sono risultate
tutte e non credo che proprio Cuba, da questo punto di
vista, faccia eccezione alla lunga molto più inefficienti
di altri regimi politici nellorganizzare i servizi pubblici
(10). Lesperienza storica dimostra,
in conclusione, che non ci può essere vera giustizia
sociale senza libertà: la libertà è la
conditio sine qua non di ogni ulteriore conquista, in
campo sociale o in altri campi; e il socialismo senza la libertà,
come dimostra lesperienza drammatica del XX secolo, significa
dispotismo politico e miseria economica. Gli anarchici hanno
sempre sostenuto questo punto di vista: non vedo perché
Cuba dovrebbe costituire per loro uneccezione.
L'incrociatore
"Maine" che fu alla base della Guerra Ispano-Americana
Contestualizzare le iniquità
Una sesta obiezione riguarda il contesto storico: secondo i
difensori del castrismo, la dittatura cubana va contestualizzata,
cioè non si può giudicare il regime cubano prescindendo
dal contesto storico in cui esso si è sviluppato. Devo
ammettere di non capire, almeno in parte, questo tipo di argomentazione.
Mi pare del tutto evidente che ogni fatto storico può
essere pienamente compreso solo avendo come riferimento il contesto
in cui esso è inserito. E allora? Anche il fascismo o
il nazismo vanno contestualizzati, così come
la tratta dei neri, il colonialismo, linquisizione o le
altre centinaia di nefandezze di cui è costellata la
storia umana. Ma, una cosa è il comprendere, altra è
il giustificare. Confondere giudizi di fatto e giudizi di valore
è unoperazione logicamente scorretta ed eticamente
aberrante. Nessuna crisi economica o imposizione di eccessive
sanzioni economiche potrà mai giustificare, ai miei occhi,
ciò che il nazismo ha fatto negli anni Trenta o Quaranta.
Nessuna ragion di Stato, allo stesso modo, potrà mai
persuadermi della necessità di appoggiare
le dittature di estrema destra nel Centro e Sud America durante
la Guerra Fredda, cosa che gli Stati Uniti, comè
noto, hanno fatto nel caso del Cile di Pinochet e in molte altre
circostanze: con la scusa di combattere il totalitarismo rosso,
i governi degli Stati Uniti per decenni hanno finanziato e foraggiato
quello nero per difendere, nella sostanza, i loro interessi
economici.
Mi pare del tutto evidente che, alla stessa maniera, la dittatura
di Batista o limperialismo statunitense non possono giustificare
i crimini di Fidel Castro. A meno di adottare una posizione
di tipo deterministico: ma un punto di vista che esclude la
libertà dalla storia umana non può essere un punto
di vista anarchico. Dico di più: non può essere
neppure un punto di vista sensato. Chi legge la trama storica
come un insieme di rapporti necessari e meccanicisticamente
causali dovrebbe essere portato ad un totale silenzio nei riguardi
di qualunque fatto storico. Se si esclude dalla storia la possibilità
di operare scelte diverse, qualunque accadimento è legittimo,
in quanto necessario. Ragion per cui sarebbe opportuno stare
zitti e rimanere passivi di fronte agli eventi. Chi ritiene
invece che la volontà umana abbia un peso importante
nella storia degli uomini, chi ritiene che la libertà,
sia pure condizionata dalla storia, non sia da essa completamente
soggiogata, non potrà che guardare con orrore ai crimini
contro lumanità che si commettono in molti paesi
del mondo, e non potrà rimanere insensibile di fronte
alla richiesta di aiuto che ci viene, ogni giorno, da milioni
di persone ingiustamente oppresse e sfruttate. È una
forma sottile di razzismo culturale sostenere che, poiché
in alcuni paesi lo sviluppo economico e produttivo è
ancora arretrato rispetto agli standard occidentali, alcune
violazioni dei più elementari diritti umani vanno non
solo comprese ma anche giustificate. In ossequio ad una moda
culturale che pretende di assolvere le più infami aberrazioni
nel nome del relativismo culturale, alcuni settori dellestrema
sinistra hanno abbracciato la tesi per cui la cultura di un
popolo va salvaguardata dallideologia occidentale dello
stato di diritto, che risulterebbe in ultima analisi una forma
di imperialismo culturale. Così, in nome dellastratta
salvaguardia della cultura di un popolo, dovremmo tollerare
la negazione concreta della libertà per milioni di uomini
o di donne. Di fronte a queste tendenze occorre riaffermare
i valori internazionalistici e cosmopolitici dellilluminismo
e della cultura socialista e libertaria, tali per cui i diritti
degli individui, degli oppressi e degli sfruttati sono in tutto
il mondo uguali, e in tutto il mondo devono essere difesi.
Democrazia sociale? No dittatura!
Ci sarebbe poi una sesta argomentazione, che sfioro soltanto
perché mi sembra così evidentemente falsa da risultare
offensiva per lintelligenza di coloro che la pongono.
Secondo alcuni, a Cuba non ci sarebbe affatto una dittatura,
ma una vera democrazia, una democrazia sociale anzi socialista.
Chi considera la situazione cubana libero da pregiudizi ideologici
non potrà constare che a Cuba, a meno di rivoluzionare
il linguaggio politico e il senso reale delle cose, esiste un
regime di tipo dittatoriale. A questi interlocutori, attardati
su linguaggi sepolti da più di ottantanni di fallimenti,
occorre ricordare che: dove vi è un partito unico al
potere; dove mancano libertà di stampa, di associazione,
di pensiero; dove i dissidenti politici vengono perseguiti anche
sulla base di semplici sospetti; dove si infliggono condanne
enormi per reati attinenti alla libertà di
pensiero; dove non cè una società civile
indipendente dallo Stato; dove non è possibile svolgere
libera attività sindacale; dove non cè libertà
economica; dove non cè separazione dei poteri dello
Stato; dove il potere non è limitato da altri poteri:
ebbene, in quel fortunato paese vige un regime che nel linguaggio
politico delle persone civili si chiama dittatura. Nel caso
di Cuba si tratta di una dittatura totalitaria, con tutte le
differenze che ciò comporta da altri tipi di dittature
(11). Aggiungo, inoltre, che risulta
sorprendente e financo inquietante il fatto che militanti abituati
ad urlare nelle piazze che viviamo in uno Stato di polizia,
lì dove lo Stato di polizia cè davvero,
non solo tacciono, ma anche acconsentono.
Alcuni osservano che il regime di Fidel Castro gode di un consenso
di massa, come dimostrerebbero le oceaniche adunate in occasione
dei logorroici comizi del líder maximo. Va detto
che questa non è affatto una argomentazione che possa
ribaltare la classificazione del regime politico cubano. Anche
Hitler, Mussolini e Stalin godevano del consenso ampiamente
maggioritario della loro popolazione, e ai loro comizi accorrevano
osannanti centinaia di migliaia di individui, mobilitati dalla
liturgia totalitaria; ma nessuna persona con un minimo di cervello
si sognerebbe di ricavare da questa osservazione lidea
che in quei regimi politici vigesse una democrazia, cioè
una democrazia degna di essere considerata tale. Come ha dimostrato
ampiamente Norberto Bobbio, le dittature comuniste non meritano
affatto questo appellativo, aldilà del fatto che esse
si proclamassero democrazie, e che anzi pomposamente enunciassero
di essere le vere e le uniche democrazie (12).
Il problema, naturalmente, non si pone neppure per le dittature
totalitarie di stampo nazifascista, che non avevano di queste
pretese, e che facevano dellideologia antidemocratica
un motivo di vanto. Le uniche democrazie storicamente realizzate,
in età contemporanea, degne di essere definite tali,
nonostante tutti i loro noti vizi e limiti, sono le democrazie
liberali. Una caratteristica essenziale delle quali, come osservava
Popper, è il fatto che esse permettono il cambiamento
del governo senza spargimento di sangue (13).
Questa considerazione ci riporta nuovamente a Cuba, un paese
nel quale, nonostante il succitato consenso di massa, dichiarato
e probabilmente reale, il regime appare evidentemente terrorizzato
dalla minaccia di essere democraticamente spodestato. E ne ha
ben ragione. Infatti, a ben considerare, in nessun paese uscito
dalla dittatura comunista i comunisti sono tornati al potere
con i programmi marxisti-leninisti che avevano caratterizzato
i regimi dellEst Europa: segno evidente che, avendo la
possibilità di scegliere, di esercitare quindi un libero
e reale consenso, la maggioranza della popolazione in nessun
caso, nonostante i limiti e le imperfezioni delle democrazie
liberali, ha preferito tornare al comunismo.
Minoranza dissidente
È stato notato che, a differenza di altre dittature
totalitarie, lo Stato cubano non ha fatto eccessivo e sistematico
ricorso, a partire dagli anni Settanta, a forme di repressione
di massa del dissenso, anche per il fatto che il 10% dei Cubani
ha preferito fuggire dallisola, con qualunque mezzo di
imbarcazione, compresi i copertoni delle automobili, piuttosto
che impegnarsi in una lotta intestina contro il regime. Nonostante
questa emigrazione di massa, nonostante limpossibilità
di esercitare una qualsivoglia forma di critica al sistema,
nonostante la sfiducia e la rassegnazione pervadano ampi settori
della società cubana, a Cuba non è mai mancata
una minoranza dissidente che ha pagato duramente la sua opposizione
alla dittatura (14). Da alcuni anni a
questa parte, un movimento di ispirazione democratica, profittando
delle aperture del regime alla Chiesa cattolica, ha cercato,
con mezzi pacifici e legali previsti dalla stessa costituzione
cubana, di avviare un processo di democratizzazione e di liberalizzazione
del sistema politico. Per ben due volte, questo movimento, chiamato
Progetto Varela, è riuscito a raccogliere, in mezzo ad
ogni sorta di opposizione e di intimidazioni, le 15 mila firme
necessarie per avviare un processo che porti alle libere elezioni.
Il regime di Castro, che pare usare una tattica molto astuta
concedere delle piccole aperture in modo da far emergere
lopposizione per poi stroncarla senza pietà con
condanne esemplari ha recentemente proceduto allarresto
di oltre 70 dissidenti o presunti tali e ha nuovamente applicato,
dopo diversi anni, la pena capitale (15).
È chiaro perciò che, a dispetto di quello che
possono credere il giornalista Gianni Minà, il prete
Frei Betto e gli ultimi nostalgici di Che Guevara, il regime
è ormai attanagliato da una profonda crisi. Quanto potrà
durare ancora? In un sistema comunista la morte del leader unico
è sempre molto importante.
Dopo Fidel, Raúl
La scomparsa di Fidel Castro, quando avverrà, precipiterà
di certo gli avvenimenti. Ma non è detto che provochi
automaticamente la caduta del regime. Il controllo delleconomia
e della struttura militare è saldamente in mano al fratello
Raúl. Già da tempo, cè una parte
consistente dellapparato che è preoccupata e pensa
seriamente al da farsi nel caso in cui le cose si mettano male»
(16). Gli anarchici di tutto il mondo
possono dare il proprio contributo ad accelerare lagonia
del regime e a restituire al popolo cubano una libertà
che gli spetta, come spetta a qualunque altro popolo del mondo.
In un recente comunicato, il Movimento Libertario Cubano
«reclama, dai suoi compagni anarchici a livello mondiale,
la solidarietà e la richiesta di libertà del nostro
popolo e che coloro che ancora lo mantengono rompano finalmente
il mutismo complice con la dittatura castrista. Il potere non
lo sostiene un solo uomo. Sicari della repressione, eunuchi
intellettuali e collaboratori silenziosi fuori e dentro Cuba
sono i complici colpevoli di mantenere in catene un popolo da
più di quarantanni. È ora che come anarchici
reclamiamo e proclamiamo la libertà e la giustizia. Speriamo
che tutti i compagni di tutti i paesi che non lo hanno ancora
fatto si uniscano a questa protesta collettiva contro il dispotismo
castrista e occupino il loro posto tra gli esseri umani liberi
del mondo» (17).
Recentemente, importanti intellettuali, anche in Italia hanno
rotto il muro omertoso del silenzio che ancora regna sovrano
in una certa sinistra e si sono schierati contro il regime (18).
Perfino Rifondazione Comunista ha preso finalmente posizione,
sia pure in maniera ambigua, contro i metodi repressivi di Fidel
Castro. In tutta Europa, oramai, come ha osservato Carlos Franqui,
«la grande maggioranza dei partiti e movimenti progressisti
europei sono schierati dalla parte dei gruppi della dissidenza
e dellopposizione al regime totalitario» (19).
Che cosa faranno gli anarchici italiani? Che cosa faremo noi?
Francesco Berti
Note
1.
Si veda, a questo proposito, Magdi Allam, «LOccidente
per noi è un nemico». Così gli estremisti
ora si alleano, «Corriere della Sera»,
Lunedì 13 ottobre 2003, p. 6. Mi sembra quasi superfluo
aggiungere che il ripudio dellantiamericanismo e
dellantisionismo preconcetti non significano, per
quanto mi riguarda, approvare acriticamente tutto quanto
facciano gli Stati Uniti o Israele.
2. Cfr. Jorge I. Dominguez, Why Cuban Regim Has Not
Fallen, e Jaime Suchlicki, Cuba: Withouth Subsides,
in Irving Louis Horowitz (cur.), Cuban Communism,
New Brunswick (N.J.), 1995, pp. 680-696.
3. Mario Vargas Llosa, Desafíos a la libertad,
Madrid 1994, pp. 190-91.
4. Ivi, p. 190.
5. Movimiento Libertario Cubano, ¿Quiénes
somos?, http://www.red-libertaria.net/noticias/modules.php?name=News&file=article&sid=716.
6. Sul fallimento dellembargo cubano si può
vedere, tra gli altri, Donna Rich Kaplowitz, Anatomy
of a Failed Embargo. U.S. Sanctions against Cuba,
Boulder (Col.), 1998.
7. «Sin dal trionfo della Rivoluzione, non si è
mai permesso lo sviluppo di una opposizione pacifica:
la linea è stata sempre e solo una, quella di reprimere».
(Carlos Franqui, Cuba sì, Castro no!, «Micromega»,
n. 3 2003, p. 258).
8. Movimiento Libertario Cubano, ¿Quiénes
somos?, cit.
9. Carlos Alberto Montaner, The Cuban Revolution and
Its Acolytes, in Horowitz (cur.), Cuban Communism,
cit., p. 757.
10. «Si è spesso ritenuto che il negativo
primato cubano in merito ai diritti politici è
compensato dallesemplare progresso sociale (...).
Cuba dimostra che le squillanti dichiarazioni di diritti
concreti non producono automaticamente risultati. A dispetto
della estensiva mobilitazione della società nel
perseguimento di risultati economici e sociali, la realizzazione
del modello di sviluppo cubano sono molto limitate, e
i costi economici del sistema sono più alti di
quanto sia spesso riconosciuto. Molti dei risultati economici
di Cuba sono stati eguagliati e sorpassati da altri paesi
latinoamericani senza lestensiva soppressione delle
libertà politiche imposta dal modello di sviluppo
cubano. Perciò, bisogna domandarsi se il progresso
sociale di Cuba realmente richieda i sacrifici politici
ed economici che hanno caratterizzato il processo rivoluzionario
sotto la leadership di Castro». (Rhoda Rabkin, Human
Rights and Military Rule in Cuba, in Horowitz (cur.),
Cuban Communism, cit., p. 560). La risposta non
può che essere una: no.
11. Sulla specificità della dittatura totalitaria
si può vedere Giovanni Sartori, Democrazia:
che cosè?, Milano 1994, p. 125-31, e
soprattutto pp. 130-31: il totalitarismo denota «il
dominio capillare del potere politico su tutta la vita
extrapolitica delluomo». Ciò che è
accaduto a Cuba: «Il governo di Castro ha non solo
intensificato luso di tecniche di repressione ordinaria,
familiari nella Cuba del passato, ma anche introdotto
forme di irregimentazione del tutto nuove a Cuba. Con
lavvento del socialismo cubano, ogni sfera di vita
anteriormente ritenuta privata, inclusa leconomia,
la religione, lemigrazione, e perfino il sesso,
sono divenute politicizzate e soggette a rigide norme
di condotta. Questa politicizzazione è la conseguenza
dellideologia rivoluzionaria che vieta la vecchia
divisione tra pubblico e privato, ritenuta illegittima».
(Rabkin, Human Rights, cit., p. 553). Sono note,
sotto questo profilo, la persecuzione, da parte del regime,
dellomosessualità e la lotta contro tutte
le forme di supposta devianza sociale e di
vizi borghesi. Per quanto riguarda la libertà
di parola, di stampa e di associazione, esse sono di fatto
rese vane dallarticolo 61 della Costituzione, secondo
il quale nessuna libertà riconosciuta ai
cittadini può essere esercitata in contrasto con
lesistenza e gli obiettivi dello Stato socialista
e in contrasto alla decisione del popolo cubano di costruire
il comunismo. Larticolo 108 del Codice Penale
prevede inoltre che chiunque inciti contro lordine
sociale, la solidarietà internazionale, o lo Stato
socialista, attraverso la propaganda orale o scritta o
in qualunque altra forma rischia una condanna da
1 a 8 anni di prigione (Ivi, p. 549).
12. Cfr. Norberto Bobbio, Della libertà dei
moderni comparata a quella dei posteri, in Id., Politica
e cultura, Torino 1974, pp. 160-94.
13. Karl Popper, La società aperta e i suoi
nemici, a cura di D. Antiseri, Roma 1974, p. 210.
14. Rabkin, Human Rights, cit., pp. 551-55.
15. Sulla recente ondata repressiva vedi, tra gli altri,
Amnesty International, Cuba: Essential measures?
Human rights crackdown in the name of security, www.amnesty.org.
16. Franqui, Cuba sì, Castro no!, cit.,
p. 261.
17. Movimiento libertario cubano, Manifiesto del movimiento
libertario cubano, aprile 2003, http://www.red-libertaria.net/noticias/modules.php?name=News&file=article&sid=620.
18. Cfr. ad esempio Adriano Sofri, Quando cantavamo
per Cuba, «Repubblica», sabato 2 agosto
2003, pp. 1 e 15.
19. Franqui, Cuba sì, Castro no!, cit.,
p. 260.
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