Rivista Anarchica Online


attenzione sociale


a cura di Felice Accame

 

Colori cangianti

 

Alla manutenzione ideologica della nostra esistenza passata, bene o male, siamo dediti un po’ tutti. Il ricordo tende ad aggiustare in ragione del momento in cui ci si ricorda. Ciò, perlopiù, accade senza incorrere in gravi problemi. Almeno fino a che si ha a che fare solamente con se stessi: ci si aggiusta il passato in modo da non soffrirne, da guadagnarci in statura morale, da poter affrontare serenamente il futuro. Se incocciamo nell’altro, ovviamente, le cose si complicano – perché a ricordare si è in due e non è detto che la medesima opera di manutenzione convenga ad entrambi. Se, poi, quest’opera di manutenzione concerne qualcosa di empiricamente duraturo – un oggetto, un documento, una traccia o anche una data convenuta dai più –, sarebbe più che mai opportuno andarci cauti. Meglio evitare, piuttosto che venir colti in chiara contraddizione.
Nel 1969, il disegnatore brasiliano Ziraldo Alves Pinto pubblicò Flicts, che, tempo dopo, venne tradotto in lingua italiana e pubblicato dalle Emme Edizioni di Milano. Niente di strano se, come spesso capita ai libri, anni dopo, qualcuno lo ritiene ancora valido e, dunque, provvede a ristamparlo. Ci hanno pensato oggi gli Editori Riuniti, ma non senza provvedere a qualche modifica di poco conto e ad una modifica, ahinoi, particolarmente significativa. Flicts potrebbe essere considerato un libro per quell’età misteriosissima che è chiamata “infanzia”: narra le vicende di un colore, il color “flicts”, per l’appunto, che gira per il mondo in cerca di qualcosa o qualcuno che lo accolga. Non lo vuole il rosso, non lo vuole il giallo, nessuno accetta di giocare con lui e sarebbe quindi destinato a soffrire di solitudine se, al lieto fine, parola di astronauta (e qui, di passaggio, se ne nota l’età), non trovasse nella Luna “vista da vicino” la propria agognata identità.
Certe differenze fra la prima e questa nuova edizione possono essere addotte a problemi di traduzione. Per esempio, “anche il mare è blu” è diventato “il blu ha anche il mare”; oppure “è così incostante il mare” è diventato “è così vario il mare”; oppure ancora, “stanco di cercare” è diventato “e smise di cercare”. Altre differenze a questioni di gusto grafico. Per esempio, laddove la versificazione cambia, o laddove due pagine diventano una, o, anche – ma qui la questione potrebbe meritare ben altri approfondimenti – laddove una linea diagonale diventa misteriosamente una linea retta (va da sé che, da un punto di vista strettamente grafico, si tratta comunque di un mutamento consistente). Una differenza, una curiosissima differenza, invece, non può che essere ricondotta a motivi ideologici.
Nel peregrinare del triste colore solitario, una tappa lo vede “nei paesi più belli” – paesi che vengono rappresentati dall’artista con i colori della loro bandiera dispiegata a tutta pagina. Orbene, nella prima versione il campione di questi paesi è l’Inghilterra, mentre nella seconda, sorprendentemente, è il Brasile.
Sono lontani i tempi dei Beatles e, poco fa, l’Inghilterra si è distinta per il “signorsì” con il quale, invadendo militarmente l’Iraq, si è inchinata al volere statunitense. Il laburismo di Blair è tanto evoluto da confondersi con il conservatorismo. Al borsino ideologico, insomma, è un paese in caduta libera. La scelta del Brasile è molto meno compromettente: meta degli occidentali sogni vacanzieri, terra di musica, carnevali e calciatori, le speranze politicamente corrette nel presidente Lula – tutto un aggregato che ne costituisce il valore ideologico e la sua spendibilità al mercato delle buone idee correnti. Il prodotto culturale con la C maiuscola è fatto così: il tornaconto di oggi implica la sua totale soggezione, ieri incluso.

Felice Accame

P.s.: Ovviamente, le cose potrebbero essere andate altrimenti. Nell’originale, visto che l’autore è brasiliano, c’era la bandiera brasiliana, che, nella prima traduzione italiana, si pensò di sostituire con la bandiera inglese. Questa versione, dunque, rimetterebbe a posto le cose. Ma senza mutare il senso del cambiamento, un falso culturale, un accomodamento ideologico – spostandolo, più semplicemente, nel tempo.