Comunismo
anarchico
In seguito alla pubblicazione, sul n. 290, dellarticolo
di Felice Accame Quel matto di Cafiero,
al successivo intervento di Donato Romito con replica di Felice
Accame sul n. 293, riceviamo dallo stesso Romito questo lungo
brano di Carlo Cafiero, che pubblichiamo integralmente.
Il nostro ideale rivoluzionario è molto semplice: si
compone, come quello di tutti i nostri predecessori, di questi
due termini: libertà ed eguaglianza. Vi è solo
una piccola differenza.
Ammaestrati dallesperienza degli inganni commessi dai
reazionari di ogni tipo e in ogni tempo per mezzo delle parole
libertà ed eguaglianza, abbiamo ritenuto opportuno mettere
a fianco di questi due termini lespressione del loro esatto
valore. Queste due monete preziose sono state falsificate tanto
sovente che noi vogliamo in via definitiva conoscerne e misurarne
esattamente il valore.
Affianchiamo dunque a questi due termini, libertà ed
eguaglianza, due equivalenti, il cui significato preciso non
può dar luogo a equivoci e diciamo: Vogliamo
la libertà, cioè lanarchia, e
leguaglianza, cioè il comunismo.
Lanarchia, oggi, è lattacco; è
la guerra a ogni autorità, a ogni potere, a ogni Stato.
Nella società futura, lanarchia sarà la
difesa, la barriera contro la restaurazione di qualsiasi autorità,
di qualsiasi potere, di qualsiasi Stato: libertà piena
e completa dellindividuo, che liberamente e spinto soltanto
dai propri bisogni, gusti e simpatie, si unisce ad altri individui
nel gruppo o nellassociazione; libero sviluppo dellassociazione
che si federa con altre nel comune o nel quartiere; libero sviluppo
dei comuni che si uniscono in federazione nella regione e così
via, delle regioni nella nazione, delle nazioni nellumanità.
Il comunismo, il problema che oggi ci interessa maggiormente,
è il secondo termine del nostro ideale rivoluzionario.
Il comunismo attualmente è ancora lattacco;
non è la distruzione dellautorità, ma la
presa di possesso in nome di tutta lumanità di
ogni ricchezza esistente sulla terra. Nella società futura
il comunismo sarà il godimento di tutta la ricchezza
esistente da parte di tutti gli uomini, secondo il principio:
da ciascuno secondo le sue facoltà, a ciascuno secondo
i suoi bisogni, vale a dire: da ciascuno e a ciascuno
secondo la sua volontà.
Bisogna tuttavia notare e ciò in risposta soprattutto
ai nostri avversari, i comunisti-autoritari o statalisti
che la conquista e il godimento di tutta la ricchezza esistente
debbono essere, secondo noi, opera del popolo stesso. Non essendo
né il popolo né lumanità degli individui
che possano afferrare la ricchezza e tenerla tra le mani, se
ne è voluto concludere, è vero, che per questa
ragione bisogna istituire tutta una classe di dirigenti, rappresentanti
e depositari della ricchezza comune. Ma noi non siamo di questo
parere. Nessun intermediario, nessun rappresentante, che finisce
sempre per rappresentare solo se stesso! Nessun moderatore delleguaglianza
e nemmeno nessun moderatore della libertà! Nessun nuovo
governo o nuovo Stato, per quanto possa definirsi popolare o
democratico, rivoluzionario o provvisorio.
Poiché la ricchezza comune è diffusa su tutta
la terra e appartiene di diritto allumanità intera,
coloro che si trovano alla portata di questa ricchezza e in
grado di utilizzarla la sfrutteranno in comune. Gli abitanti
di un dato paese utilizzeranno la terra, le macchine, i laboratori,
le case ecc., e se ne serviranno tutti in comune. Come parte
dellumanità, eserciteranno di fatto e direttamente
il loro diritto a una parte della ricchezza umana. Ma, se un
abitante di Pechino venisse in questo paese, avrebbe gli stessi
diritti degli altri: usufruirebbe, in comune con gli altri,
di tutta la ricchezza del paese, cosi come avrebbe fatto a Pechino.
[...].
Ma ci viene chiesto: è attuabile il comunismo? Avremo
prodotti a sufficienza per lasciare a ciascuno il diritto di
prenderne a volontà, senza richiedere agli individui
più lavoro di quanto ne vorranno fare?
Rispondiamo: sì. Certamente, si potrà applicare
questo principio: da ciascuno e a ciascuno secondo la sua
volontà, poiché nella società futura
la produzione sarà tanto abbondante che non ci sarà
alcun bisogno di limitare i consumi, né di esigere dagli
uomini più lavoro di quanto potranno o vorranno dare.
Questimmenso aumento di produzione, di cui oggi non siamo
nemmeno in grado di farcene unidea, può esser immaginato
se esaminiamo le cause che lo provocheranno. Tali cause sono
essenzialmente tre:
1. Larmonia della cooperazione nei diversi rami dellattività
umana, sostituita alla lotta attuale che si fa con la concorrenza.
2. Lintroduzione su scala immensa di macchine di tutti
i tipi.
3. Leconomia considerevole delle forze di lavoro e delle
materie prime, ottenuta con labolizione delle produzioni
nocive o inutili. [...].
Bisogna infine tener conto delleconomia immensa che si
farà sui tre elementi del lavoro: la forza, gli strumenti
e la materia, che oggi sono orrendamente sprecati poiché
li si utilizza per la produzione di cose assolutamente inutili,
se non addirittura dannose per lumanità.
Quanti lavoratori, quanto materiale e quanti strumenti di lavoro
sono usati attualmente per lesercito di terra e di mare,
per costruire le navi, le fortezze, i cannoni e tutti quegli
arsenali darmi offensive e difensive. Quante di queste
forze sono impiegate per produrre oggetti di lusso che servono
a soddisfare soltanto i bisogni della vanità e della
corruzione!
E quando tutta questa forza, tutte queste materie, tutti questi
strumenti di lavoro saranno applicati allindustria, alla
produzione di oggetti che essi stessi serviranno a produrre,
quale aumento prodigioso della produzione vedremo realizzarsi!
[...].
Non è tutto affermare che il comunismo è una cosa
possibile: possiamo affermare che è necessario.
Non solo, si può essere comunisti: bisogna
esserlo, a rischio di fallire lo scopo della rivoluzione.
In effetti, se dopo la messa in comune degli strumenti di lavoro
e delle materie prime mantenessimo lappropriazione individuale
dei prodotti del lavoro, saremmo costretti a conservare il denaro,
e, di conseguenza, unaccumulazione di ricchezza maggiore
o minore a seconda del merito, o piuttosto dellabilità
di ciascuno. In questo modo leguaglianza sparirebbe, poiché
colui che giungesse ad avere ricchezze maggiori si sarebbe già
elevato per questo stesso fatto sopra il livello degli altri.
Non resterebbe che un passo da fare perché i controrivoluzionari
restaurassero il diritto deredità. E, in effetti,
ho sentito un socialista ben noto, proclamantesi rivoluzionario,
sostenere lassegnazione individuale dei prodotti e finire
col dichiarare che non vedrebbe alcun inconveniente se la società
permettesse la trasmissione ereditaria di questi prodotti: la
cosa, secondo lui, non avrebbe conseguenze. Per noi, che conosciamo
da vicino i risultati raggiunti dalla società con questa
accumulazione delle ricchezze e loro trasmissione ereditaria,
non vi possono esser dubbi al proposito.
Lassegnazione individuale dei prodotti ristabilirebbe
non soltanto la disuguaglianza tra gli uomini, ma anche lineguaglianza
tra i diversi generi di lavoro. Vedremmo ricomparire immediatamente
il lavoro pulito e il lavoro sporco,
il lavoro nobile e quello spregevole;
il primo sarebbe fatto dai più ricchi, il secondo sarebbe
attributo dei più poveri. Allora, non sarebbero più
la vocazione e il gusto personale a spingere luomo a darsi
a un genere di attività piuttosto che a un altro: sarebbe
linteresse, la speranza di guadagnare di più in
una data professione.
Rinascerebbero cosi la pigrizia e la diligenza, il merito e
il demerito, il bene e il male, il vizio e la virtù e,
di conseguenza, la ricompensa da un lato e la punizione
dallaltro, la legge, il giudice, lo sbirro e la prigione.
Vi sono socialisti che insistono nel sostenere questidea
dellassegnazione individuale dei prodotti del lavoro basandosi
sul sentimento di giustizia.
Strana illusione! Col lavoro collettivo, impostoci dalla necessità
di produrre in grande e di applicare su larga scala le macchine,
con questa tendenza, sempre più accentuata, del lavoro
moderno a servirsi del lavoro delle generazioni precedenti come
si potrebbe determinare qual è la parte di prodotto delluno
e quale dellaltro? E assolutamente impossibile, e i nostri
stessi avversari lo sanno tanto bene che finiscono per dire:
Ebbene, ci baseremo per la ripartizione sullora
di lavoro; ma nello stesso tempo ammettono essi stessi
che sarebbe ingiusto, poiché tre ore di lavoro di Pietro
possono spesso valerne cinque di Paolo.
Una volta ci dicevamo collettivisti per distinguerci
dagli individualisti e dai comunisti-autoritari, ma in fondo
eravamo semplicemente comunisti-antiautoritari, e, dicendoci
collettivisti pensavamo di esprimere in questo modo
la nostra idea che tutto devessere messo in comune, senza
fare differenze tra gli strumenti e i materiali di lavoro e
i prodotti del lavoro collettivo.
Ma un bel giorno vedemmo spuntare una nuova setta di socialisti,
i quali, risuscitando gli errori del passato, si misero a filosofare,
a sceverare, a distinguere su questa questione.
Ma affrontiamo finalmente la sola e unica obiezione seria avanzata
dai nostri avversari contro il comunismo.
Tutti sono daccordo che si va necessariamente verso il
comunismo, ma ci viene osservato che, allinizio, non essendo
sufficientemente abbondanti i prodotti, bisognerà stabilire
il razionamento, la divisione, e che la miglior divisione dei
prodotti del lavoro sarebbe quella basata sulla quantità
di lavoro fatta da ciascuno.
A questo rispondiamo che nella società futura, anche
quando si fosse costretti a razionare i beni, si dovrebbe rimanere
comunisti; cioè il razionamento dovrebbe esser fatto
non secondo i meriti, ma secondo i bisogni.
Prendiamo la famiglia, questo piccolo esempio di comunismo,
di un comunismo autoritario piuttosto che anarchico, è
vero, ma che daltronde non cambia nulla in questo caso.
Nella famiglia il padre guadagna, supponiamo, cento soldi al
giorno, il figlio maggiore tre franchi, un ragazzo più
giovane quaranta soldi, e il minore soltanto venti soldi al
giorno. Tutti portano il denaro alla madre che tiene la cassa
e dà loro da mangiare. Non tutti portano in modo eguale,
ma a pranzo ciascuno si serve come vuole e secondo il proprio
appetito: non vi è razionamento. Ma arrivano tempi brutti
e lindigenza costringe la madre a non rimettersi più
allappetito e al gusto di ciascuno per la distribuzione
del pranzo. Bisogna dividere in razioni e, sia per iniziativa
della madre, sia per tacito accordo, le porzioni di tutti vengono
ridotte. Ma notate, questa ripartizione non vien fatta secondo
i meriti perché sono soprattutto i ragazzi più
giovani a ricevere la parte maggiore, e, per quel che riguarda
il boccone migliore, è riservato alla vecchia che non
guadagna proprio nulla. Anche durante la carestia si applica
in famiglia questo principio del razionamento secondo i bisogni.
Potrebbe essere altrimenti nella grande famiglia umana del futuro?
È evidente che ci sarebbe altro da dire su questo argomento,
se non lo trattassi davanti ad anarchici.
Non si può essere anarchici senza essere comunisti. In
effetti, la minima idea di limitazione contiene già i
germi dellautoritarismo. Non potrebbe manifestarsi senza
generare immediatamente la legge, il giudice, il gendarme.
Dobbiamo esser comunisti, perché nel comunismo realizzeremo
la vera eguaglianza. Dobbiamo essere comunisti perché
il popolo, che non afferra i sofismi collettivisti, capisce
perfettamente il comunismo, come gli amici Réclus e Kropotkin
hanno già fatto notare. Dobbiamo essere comunisti, perché
siamo anarchici, perché lanarchia e il comunismo
sono i due termini necessari della rivoluzione.
C. Cafiero, Anarchia e comunismo. Riassunto del discorso
pronunciato dal compagno Cafiero al Congresso della federazione
giurassiana, in Le Revolté, 13-27 novembre
1880; ora in C. Cafiero, La rivoluzione per la rivoluzione,
a cura di G. Bosio, Roma 1970, pp. 47-56.
Donato Romito
(Pesaro)
Propongo
una lista
Il 5-6-7 dicembre, Fiera dei Particolari. La mia idea ha trovato
subito accoglienza dai ragazzi per me lo sono
del Leoncavallo che ha posizione e strutture in Milano tali
da poter accogliere i miei vignaioli.
So per esperienza quasi sessantennale del dissidio singolare
che nasce per una sorte inesplicabile di spontaneità,
in ogni persona che ha scelto, o comunque si obbliga a scegliere,
il percorso personale verso il massimo possibile di libertà.
Dovrebbe subito conseguirne questo sì in modo
del tutto chiaro e spontaneo la considerazione che il
massimo possibile di libertà proprio coincide con il
massimo possibile di libertà dellaltro.
Lho sentito asserire, innumerevoli volte, dagli uomini
della sinistra. Purtroppo, pressoché subito, si smentivano
con avversioni imbarazzanti, ripetute, infinite. Prese di posizione
e di contrasto, dannosissime, con ogni iniziativa di quellaltro,
anche se a conoscenza della sua volontà di favorire,
comunque, la sinistra.
Di politica so nulla di nulla. Al termine della guerra che non
ho fatto per la giovane età (nel 1944 sino a mezzo 1945
sono stato internato in un campo di lavoro della vicina Svizzera
in cui avevo trovato rifugio) ho frequentato ogni luogo in cui
presupponevo di apprendere politica, con varie esperienze di
cui la più importante, dal 56, I Problemi
del Socialismo editi con Lelio Basso. Ne uscii nel 1959,
dopo un congresso in Napoli che aveva visto la vittoria di un
Nenni che considerava compagno il giovanissimo Craxi.
Da allora sono tornato a riferirmi quanto a politica,
dico alle parole delle lezioni ultime (debbo credere)
tenute da Benedetto Croce in Milano nel palazzotto liberale
di Corso Venezia, proprio di fronte ai Giardini Pubblici.
Ci aveva insegnato, con espressioni di notevole impegno e facilissima
comprensione, essere lanarchia pura, armonica e
razionale il punto darrivo definitivo e finalmente
gioioso del lungo percorso umano.
Contraddiceva i teorici dellanarchismo sui tempi. Allanarchia
pura, armonica e razionale si sarebbe potuti arrivare
dopo altri millenni di oppressione statale.
Semplice, vero? La mia politica è tutta lì, con
una convinzione: i mutamenti avvenuti con la fine del secondo
millennio, per merito (sì merito) della globalizzazione
per cui non ho mai scritto no-global ma new-global
hanno abbreviato i tempi dellevenienza anarchica. Saranno
meno io mi auguro, molto meno di millenni per
giungere a quella che è unutopia. Vivan las utopias.
Mi sono comportato, in ogni congiuntura ritenuta importante,
in modo di favorire la liberazione.
Certo, a volte ho sbagliato faccio esempio nella scelta
del voto per un partito politico mai, proprio mai, con
la volontà di sbagliare. Ho sempre considerato le opinioni
degli altri che si dichiaravano, anche, per la liberazione (esclusi
quindi, a priori, i fascisti e gli stalinisti) degne dinteresse
e di discussione. Più ancora, degne dappoggio e
daiuto anche se, in qualche misura, in contrasto o quantomeno
in sospensione, rispetto allanarchia (o, più modesto,
rispetto al mio pensiero di ciò che è o non è
a favore dellanarchia).
Ecco allora, in particolare, la mia adesione a ciascuna delle
iniziative tese a soddisfare il progresso, appunto della liberazione
umana: circoli sociali, centri anarchici, volontariato anche
se marcato da fedi religiose, accoglienza immigrati,
quantaltro.
Ed ecco il mio convincimento contro la decisione così
dannosa da parte dei dirigenti dei movimenti anarchici di un
distacco completo dal mondo politico e dalle sue evenienze
di avere il maggior rapporto ripeto: fatta esclusione
per fascisti e per stalinisti con ogni parte, così
da portare avanti con discussioni dialettiche i problemi, anziché
bloccarli, sino agli episodi, purtroppo a volte violenti, di
ostilità. La società la cambi se la vivi, se ci
sei dentro, se puoi operare con trattative continue allinizio
per un mutamento sino non ti spaventi il termine
alleversione. Non ha nulla di antidemocratico. Quando
condivisa dalla stragrande maggioranza della popolazione, è
lapice della democrazia.
Proprio nel ricordo delle parole di Benedetto Croce, la conferma
del massimo errore commesso dai teorici dellanarchismo,
del socialismo e del comunismo. Per più di due secoli,
tutto lottocento e tutto il novecento, hanno teso a valorizzare
le invenzioni della scienza per una non meglio identificata
modernizzazione, anche a danno di ciò che era stato,
nei millenni, a vantaggio delluomo, lagricoltura
e lartigianato in primis. Ho già dichiarato la
mia debolezza nellargomentare di politica e più
ancora nel farla ma sino a oggi non ho avuto seria contrapposizione
al mio ripetuto assunto essere stato il massimo degli errori
lostacolo determinante ad un reale progresso.
Se vogliamo andare molto, molto avanti, dobbiamo tornare un
passo indietro. Ho scritto e scrivo dei prodotti della terra
non solo perché necessari alla sopravvivenza, soprattutto
perché esemplari di come un uomo capace possa vivere,
e far vivere i propri familiari, in condizioni di benessere.
I prodotti sostengo anche quelli dei luoghi più
ostili, per la durezza delle condizioni ambientali se
portati a compimento nella loro terra, assumono in sé
per sé, a causa dellinimitabilità, valori
alti, che trovano collocazione ed acquisto alla sola condizione
che siano proposti. Proprio da ciò scende laffermazione:
le aziende agricole industriali, quelle che hanno
puntato anziché sui contadini, sui mezzi, non hanno,
nei fatti, ragione di esistere. Il mezzo, qualsiasi mezzo, che
non abbia lassistenza fisica e intellettuale del singolo
uomo, contadino, esperto, porta a un degrado, se non a un degrado,
ad unomologazione in qualche modo dannosa.
Lo stesso, identico, per ciò che riguarda la trasformazione
dei prodotti della terra. Lindustria alimentare è
un controsenso da che porta alla pressoché immediata
decadenza delle valenze naturali. A parte il fatto che unindustria,
per definizione, non può non tendere al profitto senza
il purché minimo cedimento a ciò che è
sentimentale. Il contadino e lartigiano, mettono
certo in conto il profitto, senza il quale non avrebbero la
possibilità di vivere e far vivere, ma ci aggiungono
sempre, per ragioni storiche e culturali, inalienabili contro
ogni tentativo, la volontà del ben eseguito e del coinvolgimento
appunto sentimentale.
Qui, da noi, può sembrare chio sia linventore
o lo scopritore fai tu di una via nuova per la
liberazione delluomo. Mi piace contraddirlo. I contadini
del Chiapas, proprio con la via campesina, mi hanno,
ci hanno, preceduto, con pene e sacrifici inenarrabili. I risultati
migliori li hanno ottenuti, li stanno ottenendo, con linstaurazione
di trattative e quindi con la rinuncia al solo mezzo delle armi,
con le quali avrebbero corso il rischio io penso la certezza
dello sterminio e dellestinzione.
Sono le trattative intransigenti nei luoghi in cui lintransigenza
è necessaria con le autorità a portare
attraverso modificazioni continue delle leggi, prima al miglioramento
della situazione sociale, poi alleversione senza violenze
di cui non abbiamo paura. Anzi e meglio: di cui nessuno deve
e può avere paura.
Io mi auguro che la Fiera dei Particolari milanese nata
sul successo clamoroso di Terra e Libertà/Critical Wine
veronese inneschi una serie di manifestazioni in ogni
città italiana che dimostri agli ignari come sia iniziato
il terzo millennio, da cui luomo cosciente e rispettoso
della libertà propria ed altrui, si attende lanarchia
pura, armonica e razionale.
I mercati che verranno ad aprirsi con la messa in evidenza:
dei prodotti contadini e artigianali protetti dalle Denominazioni
dorigine Comunale, garantite da Sindaci che debbono essere
autorità amministrative e non politiche (non mi stancherò
mai di ripetere laffermazione di Brunetto Latini, scrittore
fiorentino del 200 di cui Dante riconosceva la maestria
«Le uniche autorità cui è dovuto rispetto
sono la madre, il padre e il comune»; ove per comune era
certo intesa la comunità) avranno condizioni di
favore esponenziale nei confronti di ogni altro ed in primis
dei supermercati delle multinazionali, con vantaggi appunto
esponenziali a favore dei contadini, degli artigiani e dei cittadini.
Soprattutto per la riduzione massiccia dei prezzi dovuta alla
pressoché totale scomparsa dellintermediazione.
I politici allinizio entusiasti della mia proposta
1999 per una legge diniziativa popolare che imponesse
le De. Co. hanno tradito proprio nel momento (ma forse
scriverei meglio proprio per il momento) in cui la legge costituzionale
n. 3 del 2001 ha nei fatti anticipato la necessità delliniziativa
popolare col passaggio del potere di legislazione (e di modifica
della legislazione) dallo Stato non alle Regioni, non
alle Province diretto al Comune; si sono infatti accorti
che quella legge, in quel dispositivo, era anarchica (sindigni
pure chi pensa che legge e anarchia siano in contrasto; o meglio
legga Reclus).
Il successo sono disposto a scommettere clamoroso
ed eversore dei mercati sociali, proposti in ogni città,
convincerà ed è proprio lora
gli anarchici ad abbandonare lassenza nelle istituzioni
e quindi anche dal voto.
Propongo infatti, da cittadino e non da politico, che già
nelle prossime elezioni europee siano presenti liste con simbolo
non equivoco i centri sociali, cui concorrano solo gli appartenenti
in giovane età dei centri sociali appunto, dei circoli
anarchici, del volontariato e delle associazioni di immigrati.
Per quanto scandalo possa aggiungere, fu interdizione
ahinoi, intelligente da parte dei conservatori più
maliziosi, laver convinto: sarebbe stato meglio, in base
alle loro teorie, che gli anarchici fossero assenti dalle elezioni.
Io che non farò mai parte di una lista per la
sola ragione delletà dichiaro: fu vero e
proprio autolesionismo; ci è costato troppo caro.
Luigi Veronelli
(Bergamo)
I
nostri fondi neri
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Sottoscrizioni.
Andrea Della Bosca (Cosio Valtellino) 20,00; Aurora
e Paolo (Milano) ricordando Amelia e Alfonso Failla,
500,00; Davide Foschi (Gambettola) 15,00; Roberto
Di Giovannantonio (Roseto degli Abruzzi) 5,00; Alberto
Ciampi (San Casciano Val di Pesa) ricordando Gianni
Furlotti, 30,00; Daniele Rosati (Modena) 2,00; Giuliano
Galassi (Monteprandone) 5,00; Fausto Franzoni (Pianoro)
5,00; Massimo Bellini (Riola) 5,00; Maurizio Pastorino
(Torino) 5,00; Dario Cercek (Lecco) 15,00; Andrea
Catalano (Palermo) 5,00; Giampiero Manuali (Perugia)
16,00; Silvia Golino (Cornedo allIsarco) 6,00;
Patrizio Quadernucci (Bobbio) 11,00; Marco Breschi
(Pistoia) ricordando Aurelio Chessa, 150,00; Antonio
Abbotto (Sassari) 5,00; Massimo Bianchi (Codognè)
100,00; Antonio Mencarelli (Villaggio Prenestino)
4,00; Giuseppe Zanlungo (Mentana) 4,00; Andrea Ferrari
(Reggio Emilia) vendita libri di Alfonso Failla, 20,00;
Alessandro Natoli (Cogliate) 20,00; Simona Biancucci
(SantElpidio a Mare) 5,00.
Totale euro 968,00.
Abbonamenti sostenitori.
Marco Breschi (Pistoia) 100,00; Fabrizia Golinelli
(Carpi), 150,00; Zelinda Carloni e Adriano Paolella
(Roma) 100,00; a/m Alfredo Gagliardi, Ida Gagliardi
(Ferrara) 100,00.
Totale euro 415,00.
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