Barbieri,
Pompeo Scipione
Nasce a Mezzana, frazione del comune di San Giuliano Terme
(Pi), l’8 ottobre 1881 da Carlo e Angela Morganti,
operaio perforatore. Giovanissimo si avvicina agli ideali
anarchici e diventa in breve tempo un buon propagandista.
Sue conferenze sono già segnalate nel 1907 in diverse
località della Toscana. Da quell’anno fino
al 1910 lavora allo stabilimento fiat di La Spezia, in
questo periodo diventa un assiduo collaboratore del settimanale
«Il Libertario» e stringe amicizia con Pasquale
Binazzi e Zelmira Peroni. Partecipa al III convegno degli
anarchici toscani (Pisa 26 dic. 1910). Nel 1911-12 è
particolarmente attivo nelle campagne antimilitariste
e tiene diverse conferenze e comizi in provincia di Pisa
e Livorno contro la Guerra italo-turca. Collabora al settimanale
«L’Avvenire anarchico» e prende parte
al V convegno fra gli anarchici della Toscana (Pisa mag.
1914), dove viene nominato segretario della neo costituita
Unione Anarchica Toscana, incarico che però lascia
nel mese di settembre. Nello stesso anno è chiamato
dai gruppi della Carnia a tenere un giro di conferenze
di propaganda in provincia di Udine. Deciso oppositore
dell’intervento italiano nella Grande Guerra, nel
maggio del 1915 viene arrestato a Pisa per aver partecipato
a una manifestazione antinterventista non autorizzata,
rimanendo in carcere per due mesi. Alla fine del 1919,
per motivi di lavoro, torna a risiedere a La Spezia, dove
riprende la collaborazione con «Il Libertario»,
entrando nella redazione insieme a un altro pisano, Mario
Lami. B. prende parte alle lotte operaie del Biennio rosso
e alle prime azioni armate contro il fascismo. Dopo l’ennesimo
arresto nel febbraio 1923 decide di emigrare clandestinamente
a Marsiglia dove prosegue la sua attività di agitatore,
particolarmente impegnato nella campagna pro Sacco e Vanzetti.
Trovato un impiego come operaio ai cantieri navali di
Seyne-sur-Mer muore per un incidente sul lavoro il 15
giugno 1928. (F. Bertolucci)
Fonti: ACS, CPC, ad nomen; Pompeo
Barbieri, «La Diana», Parigi, 1° ago.
1928;
Bibliografia: ACPC, ad nomen.
Unione Anarchica Valdarnese
(1920 circa)
Caleffi,
Giovannina
Nasce a Gualtieri (RE) il 4 maggio 1897 da Giuseppe e
Caterina Simonazzi, agricoltori, genitori di cinque figli.
Il padre emigra a Pittsburgh (Usa) insieme al figlio maggiore.
Giovannina (comunemente chiamata Giovanna) frequenta la
scuola a Gualtieri e, dal 1914, a Reggio Emilia dove si
trasferisce per completare gli studi. Frequenta il circolo
socialista assistendo ad alcune conferenze di Camillo
Prampolini, sentendosi socialista a sua volta. A 15 anni
perde la fede cattolica sostenendo parecchie discussioni
in famiglia. Ha come insegnante Adalgisa Fochi, scrittrice
conosciuta e attiva conferenziere nel circolo femminile
socialista. Consegue la licenza nel 1915 e comincia a
insegnare nella scuola elementare a Santa Vittoria di
Gualtieri (RE) prima, e l’anno dopo, già
di ruolo, presso le scuole elementari di Montecchio Emilia
(RE). In quello stesso anno conosce C. Berneri, figlio
della sua insegnante Fochi, studente liceale iscritto
alla FGS (organizzazione che lascerà nel 1916 avvicinandosi
a posizioni anarchiche). Camillo si trasferisce ad Arezzo,
dove la mamma insegna, e Giovanna lo raggiunge dopo circa
un anno. I due si sposano il 4 novembre 1917 a Gualtieri,
con il consenso dei genitori perché entrambi minorenni.
Il 1° marzo 1918, assente Camillo richiamato alle
armi e quindi inviato al confino, nasce la primogenita
della coppia Maria Luisa. Successivamente la famiglia
si trasferisce a Firenze. Qui, il 5 ottobre 1919, nasce
la seconda figlia Giliana. La loro casa diventa punto
di riferimento di compagni anarchici e dell’antifascismo.
Fra i molti amici e conoscenti ci sono: Gaetano Salvemini
e i promotori del Circolo di cultura fiorentino fra cui
Piero Calamandrei, i fratelli Rosselli, Ernesto Rossi,
Piero Jahier. Giovanna fino a questo momento si è
occupata dell’educazione delle figlie. Non si impegna
direttamente nella militanza e tuttavia vive i disagi
dell’appartenenza all’anarchismo del marito.
Nelle sue memorie ricorda che Camillo diceva di lei a
Salvemini: «non è anarchica nel senso di
essere una militante, però accetta le mie idee
e le condivide in gran parte». Con l’avvento
del fascismo cominciano per la famiglia le pressioni della
polizia. Camillo subisce due aggressioni. Impossibilitato
a continuare l’insegnamento per il rifiuto di giuramento
al regime, è costretto a espatriare nell’aprile
del 1926. Giovanna trascorre insieme alle figlie e alla
suocera alcuni mesi presso la casa paterna a Gualtieri,
e il 1° agosto dello stesso anno, varca la frontiera
a Ventimiglia in maniera fortunosa. La famiglia si riunisce
e va ad abitare alla periferia di Parigi in una casa a
Saint-Maur-des-Fossés. La vita scorre tra grosse
difficoltà finanziarie. Nel 1929 il marito cade
nel tranello approntato dalla spia dell’Ovra, Ermanno
Menapace, che gli è diventato amico carpendone
la stima. Per questo motivo subisce una serie di arresti
ed espulsioni che lo conduce a una travagliata peregrinazione
attraverso l’Europa. C. prende le sue difese, scrive
ai compagni, si rivolge all’avvocato Paul De Bock
di Bruxelles, si accolla il peso di mantenere la famiglia.
Nel 1933, grazie all’aiuto di sua sorella, e consigliata
da Louis Lecoin, apre una drogheria in rue de Terre-Neuve,
20, il cui retro diviene rifugio dei fuorusciti anarchici.
Questa sua attività, e l’essere moglie di
Berneri, comportano per lei un’attenta sorveglianza
da parte delle autorità. Il 2 dicembre 1934, il
Ministero dell’Interno francese chiede informazioni
politiche su di lei alla Prefettura di Milano, in seguito
ad accertamenti su Maria Bibbi, sua amica, che risulta
lavorare nel negozio. Il momento è propizio al
nazifascismo: in Italia sta per cominciare l’avventura
etiopica e la Guerra di Spagna è alle porte. Camillo
parte per cercare di liberare la Catalogna e Giovanna
è di nuovo sola a occuparsi delle bambine. Ben
presto i contrasti tra anarchici e comunisti in Spagna
portano all’eliminazione sistematica di chiunque
si opponga alla ferrea egemonia staliniana. Berneri è
assassinato, assieme a Francesco Barbieri, dai comunisti
il 5 maggio 1937 a Barcellona. Giovanna accorre al funerale
con la figlia Maria Luisa. Il dolore per la perdita del
marito la spinge ad abbracciare le sue idee sostituendosi
a Camillo nella corrispondenza con gli anarchici d’America
che chiedono contributi per le varie iniziative. Assiste
i compagni italiani che, espulsi dalla Francia, vengono
internati nei campi di concentramento. Un suo appello
è pubblicato senza firma, per motivi di sicurezza,
su «L’Adunata dei refrattari» nel 1939,
tradotto e diffuso sulla stampa da Emma Goldman. Si fa
promotrice a Parigi, del Comitato «C. Berneri»
e nel 1938 pubblica una raccolta di scritti del marito
dal titolo Pensieri e Battaglie, con prefazione
della stessa Goldman. Negli anni continua a mantenere
vivo il ricordo di Camillo, scrivendo articoli su giornali,
riviste, e difendendone la memoria. Scoppia la Seconda
Guerra mondiale, l’esercito tedesco occupa la Francia,
e per ordine delle autorità consolari fasciste
a Parigi, viene arrestata il 28 ottobre 1940 e resta tre
mesi nel carcere de La Santé. Nel febbraio 1941
viene deportata in Germania e rimane in prigione cinque
mesi. Dopo alcuni trasferimenti in varie carceri tedesche,
è condotta in Austria per essere consegnata alle
autorità italiane. È inviata al carcere
di Reggio Emilia e condannata il 25 agosto a un anno di
confino a Lacedonia (AV), «per aver svolto all’estero
attività sovversiva dimostrandosi elemento pericoloso
per gli ordinamenti politici dello Stato». Scontata
la pena si dà alla latitanza nell’Italia
meridionale perché, ritornata a Gualtieri, le viene
negato il passaporto per la Francia con il timore che
riprenda l’attività sovversiva. Si ritrova
con Cesare Zaccaria, amico di vecchia data della famiglia,
e va a vivere con lui nel febbraio del 1943. Finita la
guerra la nuova coppia collabora alla rinascita del movimento
anarchico insieme ad Armido Abbate, Pio Turroni e altri.
I due pubblicano il giornale clandestino «La Rivoluzione
libertaria» (1944), il giornale «Volontà»,
che in seguito alle decisioni del Congresso di Carrara
(1945) è sostituito dalla rivista «Volontà»,
alla quale collaborano Silone, Camus, Salvemini ecc. e
a cui C. dà un contributo fondamentale. Pensa che
la cosa più importante da fare sia quella di attualizzare
l’anarchismo, a dieci anni dall’uscita di
«Volontà», scrive: «Non si tratta
di una rivista fatta da intellettuali, da gente colta,
dalla penna facile per i quali lo scrivere è un
piacere o una professione. «Volontà»
è messa insieme, in generale, con il modesto contributo
di lavoratori che sentono impellente il bisogno di esprimere
la loro critica anarchica alla società ed agli
avvenimenti attuali e di inserirvi le loro idee di rinnovamento
sociale e di giustizia». Rilevante rimane la lettera
che scrive, da Napoli il 12 aprile 1945, ai compagni della
FCL di Livorno in cui mette in discussione l’opportunità
di adesione da parte della locale federazione al Cln,
come proponeva la stessa, ricordando ai compagni l’esperienza
spagnola. Intensa anche l’attività editoriale,
cura le edizioni RL e la Collana Porro dando alle stampe
numerose pubblicazioni: da Malatesta a Volin, da Fabbri
a Carlo Doglio. Affronta la campagna a favore del controllo
delle nascite, insieme a Cesare Zaccaria, con la pubblicazione
di un opuscolo Il controllo delle nascite (1948),
immediatamente sequestrato, contenente una raccolta di
articoli apparsi nel 1947 su «Volontà»,
che dimostra come l’eccesso della popolazione sia
uno dei principali mali che affligge molti paesi e in
particolare l’Italia. I due sono processati per
propaganda contro la procreazione e assolti entrambi con
formula piena nel maggio del 1950. Scrive su varie testate
anarchiche e no: «Umanità nova», «L’Adunata
dei refrattari», «Controcorrente» di
Boston; «Il Mondo», «Il Lavoro nuovo»
di Genova ecc. Nell’estate del 1948 concretizza
un progetto a lei molto caro: assicurare vacanze a bambini
di «compagni del Sud» presso «famiglie
del Nord Italia». Questo esperimento pilota, in
attesa di fare qualcosa di meglio, continua nell’estate
1949. Nell’aprile dello stesso anno, deve superare
il secondo e più grande dolore della sua vita:
la morte della primogenita Maria Luisa di 31 anni. È
così deciso tra quelli che vogliono onorarne la
sua memoria con un’opera libera e benefica, di fondare
una colonia per bambini a suo nome, con sede in Italia,
ma aperta ai figli di anarchici di tutti i paesi. L’idea
primaria è di realizzarla a Cesenatico, ma l’impresa
non si concretizza a causa della modesta somma raccolta.
Il 1° luglio 1951, la colonia diviene una realtà,
anche se più modestamente, grazie a Zaccaria, che
mette a disposizione la sua casa di campagna a Piano di
Sorrento, ospitando tre gruppi di tredici bambini. Quest’esperienza
positiva dura sette anni, concludendosi nell’estate
del 1957, con un deficit di Lit. 112.419 e senza la disponibilità
della casa di Piano di Sorrento (a causa della fine del
rapporto con Zaccaria). Si stabilisce a Genova Nervi nel
1956, dove trasferisce anche la sede amministrativa di
«Volontà», dal gennaio 1959 (n. 1),
anche la pubblicazione avviene a Genova Nervi. In questo
numero viene pubblicata la lettera di Zaccaria che spiega
il suo abbandono del Movimento anarchico e della rivista,
seguita da una nota di redazione. Giovanna non vuole rinunciare
a proseguire l’esperienza positiva della colonia
e tenta di sollecitare compagni e amici arrivando dopo
varie peripezie, all’acquisto di un terreno nella
pineta di Ronchi (MS) a 700 metri dal mare: nasce così
la Comunità «Maria Luisa Berneri»,
adoperandosi con abnegazione fino alla sua morte. La Colonia
continua per altri tre anni con le quattro persone che
costituiscono il nuovo gruppo della Comunità, dopo
la rinuncia della figlia Giliana, unica erede. Giovanna
muore tra le braccia di Aurelio Chessa il 14 marzo 1962,
per scompenso cardiaco, mentre sta uscendo dall’ospedale
di Genova Nervi, dove è stata ricoverata per una
grave malattia. (F. Chessa – G. Sacchetti)
Fonti: ACS, CPC, ad nomen; ivi,
Berneri Camillo; ivi, Berneri Giliana;
ivi, Berneri Maria Luisa; ivi, Zaccaria Cesare;
AFBC, Epistolario, Giovanna Caleffi; ivi, Fondo
Serge Senninger: Memoria ms. di Giovanna Caleffi; ivi,
Epistolario Cesare Zaccaria; ivi, Memoria
orale di Celestino Caleffi 1998; ivi, Memoria
scritta di Suzanne Képès, dic. 1998;
ivi, Memoria orale di Serge Senninger, 7 set.
2002; ivi, Fondo Colonia M.L. Berneri; ivi, Fondo Aurelio
Chessa; ivi Fondo Vernon Richard; G. Bianco, Ricordo
di Giovanna Berneri, «Il Lavoro Nuovo»,
Genova, 15 e 16 mar. 1962; È morta Giovanna
Berneri, «Avanti!», 16 mar. 1962; «un»,
25 mar. 1962; «Freedom», march 24 1962; Giovanna
Berneri, «Controcorrente», Boston, mar.-apr.
1962; U. Marzocchi, Giovanna Berneri, «Volontà»,
apr. 1962; Quelli che ci lasciano, «Ar»,
5 apr. 1962.
Bibliografia: Scritti di C. (con C. Zaccaria
e indicata come G. Berneri): Società senza
stato, Napoli 1946; Controllo delle nascite.
Mezzi politici per avere figli solo quando si vogliono,
Milano 1955. Scritti su C.: F. Montanari, Giovanna
Caleffi, «L’Almanacco», Reggio
Emilia, n. 31, 1998; F. Chessa, Italia: le donne di
casa Berneri, Giovanna Caleffi, «BAP»,
n. 12, 1999; G. Boccolari, F. Chessa (a cura di), Storie
di anarchici e anarchia – L’Archivio Famiglia
Berneri – Aurelio Chessa, catalogo della Mostra,
Reggio Emilia, 11 mar.-9 apr. 2000.
Giovanna Caleffi con le
figlie Maria Luisa (alla sua destra) e Giliana Berneri
Cannito,
Sante
Nasce ad Altamura (Ba) il 28 giugno 1898 da Graziantonio
e Anna Rosa Bellacicco, maestro muratore. In un paese
che agli albori del Novecento conta oltre l’80 per
cento di analfabetismo, C. riesce a terminare gli studi
elementari, si appassiona alla storia e l’approfondimento
di questa sua passione si trasforma nel tempo in scelta
politica di stare dalla parte dei più deboli. Allo
scoppio del primo conflitto mondiale viene inviato nelle
trincee del Friuli e, con l’avvento del fascismo
(«che fu la fame per tutti i lavoratori»,
come ha scritto nei suoi Frammenti) si trasferisce per
due anni a New York. Il contatto con l’ambiente
industriale americano, la vita condotta nel quartiere
di Brooklyn in una casetta di legno (proprio sotto il
famoso ponte) che condivide con il padre, i problemi che
gli emigrati si trovano ad affrontare, il lavoro come
muratore che lo porta a contatto con altri emigrati di
varie origini, la miseria e l’oppressione, contribuiscono
a fargli maturare quelle idee di giustizia sociale, poi
affinate con la lettura dei testi di Kropotkin (La conquista
del pane) e de «Il Martello» di Carlo Tresca
che gli aprono nuovi orizzonti. La sua adesione al sindacalismo
degli IWW e la condanna a morte di Sacco e Vanzetti maturano
definitivamente C. alle idee anarchiche. Ritorna in Italia,
ancora sotto il tallone fascista, ed è attivo nella
sua Altamura dove il regime mette in atto l’isolamento
dei suoi oppositori (socialisti e anarchici vengono perseguitati,
controllati e repressi). Nelle fasi cruente della liberazione
C. allaccia i rapporti con Tommaso Fiore e altri antifascisti,
restando sempre fermo nelle sue idee libertarie. Dopo
la liberazione, nel luglio del 1945, partecipa al convegno
dei Gruppi Libertari Pugliesi e negli anni successivi
sarà sempre attivo nell’opera di sensibilizzazione
sociale sul territorio in occasione di eventi importanti
come le occupazioni delle terre da parte dei contadini.
Nel dopoguerra partecipa al movimento delle cooperative
della sua città dove contribuisce a creare la Muratori
ed Affini il cui statuto presenta caratteristiche e finalità
libertarie, motivo per cui è invisa ai partiti
e, nonostante all’inizio ottenga degli appalti per
i lavori di ricostruzione ad Altamura, nel 1948 è
costretta a sciogliersi a causa degli ostracismi del potere
locale. C. continua nel suo lavoro di maestro muratore,
mentre sul piano sociale è attivo nella battaglia
contro il tentativo militare di installare i missili nella
zona tra Altamura e Gravina (1960-63). Negli anni Settanta
sull’onda delle lotte operaie e studentesche si
registra anche ad Altamura una presenza anarchica organizzata
che vede C. partecipare al lavoro e alle discussioni politiche
con entusiasmo insieme alle giovani generazioni, in un
rapporto aperto e comunicativo, disponibile al dialogo.
Muore il 4 maggio 1994, all’età di 96 anni,
mentre è ospite di un suo nipote a Isernia. (F.
Schirone)
Fonti: P. Castoro, Sante Cannito.
Un uomo lungo un secolo, «UN», 22 mag.
1994; B. Tragni, L’ultimo anarchico è
andato a concimare la terra, «La Gazzetta del
Mezzogiorno», inserto cultura, 8 mag. 1994.
Bibliografia: S. Cannito: Frammenti
di storia Altamurana, Altamura 1980 (1994, 3ª
ed.).
Giuseppe Ciancabilla
Del
Papa, Ugo
Nasce a Carrara (MS) il 18 settembre 1875 da Romualdo
e Lucia Pracchia, ornatista. Vicino all’anarchismo
fin da giovanissimo e «caldo propugnatore di quelle
delittuose teorie» secondo la definizione della
Prefettura di Massa, il 22 agosto 1894 viene condannato
a cinque mesi di carcere e una multa per grida sediziose.
Dopo un periodo di emigrazione a New York, torna a Carrara
nel 1911 per divenire «malgrado la sua mal ferma
salute, l’anima del partito anarchico locale»:
infatti fino al 1915 è protagonista assoluto, al
fianco di Alberto Meschi, delle vittoriose battaglie combattute
dal proletariato apuano sotto la bandiera della locale
CdL, della quale è vice-segretario. La sua opera,
insieme a quella del segretario Meschi, è infatti
determinante per la riorganizzazione della massima istituzione
operaia apuana, uscita pressoché distrutta dalla
serrata padronale del 1905 e da quel momento in poi condannata
a una stentata sopravvivenza fino a tutto il 1910. L’arrivo
di Meschi, unito all’ascendente di Del Papa negli
ambienti libertari carraresi e all’iniziale appoggio
del locale Psi, fanno letteralmente rifiorire la CdL della
regione dei marmi, dando inizio ad una lunga serie di
importanti affermazioni operaie. Nell’estate del
1911 arrivano i primi miglioramenti delle condizioni di
lavoro dei cavatori a seguito di uno sciopero durato due
settimane; un anno dopo ha luogo il grande sciopero di
tutti i lavoratori del marmo per l’ottenimento della
pensione, conclusosi con una storica affermazione; nella
primavera del 1913 tocca ai lavoratori del piano di Carrara,
Massa e Versilia conquistare l’orario unico di otto
ore; poi, fra la fine del medesimo anno e l’inizio
del 1914, la CdL è chiamata a difendersi da una
spietata quanto pretestuosa serrata padronale tesa a distruggerla,
come accaduto nel 1905 e da una misteriosa quanto innocua
esplosione avvenuta nel cortile di una caserma dei carabinieri
a Carrara, della quale vengono ingiustamente accusati
alcuni dirigenti camerali, fra cui lo stesso D., Meschi
e Riccardo Sacconi. Arrestati e poi inevitabilmente scarcerati
i tre e conclusasi la serrata, stavolta la CdL, ben più
forte di quanto non lo fosse nove anni prima, riesce a
sopravvivere senza danni. Nel medesimo periodo D. è
redattore sia de «Il Cavatore» (organo di
stampa della CdL) che de «Il ’94» (periodico
anarchico locale), ambedue fondati nel 1911 a ulteriore
testimonianza della rinascita del movimento operaio nei
paesi del marmo. A causa della sua sempre cagionevole
salute, aggravatasi in seguito a lunga detenzione nel
carcere di Massa nel corso del 1912 inflittagli per «eccitamento
all’odio di classe», si ammala di tubercolosi
e muore a Carrara il 1° giugno 1916. (M. Giorgi)
Fonti: ASMS, Questura di Massa, Sovversivi
deceduti, ad nomen.
Bibliografia: H. Rolland, Il sindacalismo
anarchico di Alberto Meschi, Firenze 1972; L. Gestri,
Capitalismo e classe operaia in provincia di Massa-Carrara,
Firenze 1976, ad indicem; A. Bernieri, Storia
di Carrara moderna (1815-1935), Pisa 1983; M. Giorgi,
Alberto Meschi e la Camera del Lavoro di Carrara (1911-1915),
Carrara 1998.
Emilio
Canzi (a sinistra) e Giuseppe Mioli in Spagna
Garino,
Maurizio
Nasce a Ploaghe (SS) il 1° novembre 1892 da Michele
e Nicoletta Chiglioni, operaio. Nel 1895 la famiglia si
trasferisce a Torino e nel 1900 a Cassine (AL). Dopo le
scuole elementari e una breve permanenza in un collegio
religioso G. inizia a lavorare come apprendista falegname,
diventando poi modellista meccanico. Ritornato a Torino
nel 1906, nel 1908 aderisce al Fascio Giovanile Socialista
Torinese. Di orientamento astensionista, si avvicina all’anarchismo
durante l’agitazione pro Ferrer, nell’autunno
1909. Agli inizi del 1910 G. è, con Ferrero, uno
dei fondatori della Scuola Moderna, una sorta di circolo
culturale finalizzato alla formazione culturale e politica
dei militanti operai, che pubblica anche un proprio bollettino
semestrale. Attivo nella campagna contro la guerra tripolina,
dopo la firma della convenzione tra la Fiom e il Consorzio
automobilistico torinese (gen. 1912) duramente contestata
dai disorganizzati perché in cambio del «sabato
inglese» aboliva le tolleranze e introduceva la
trattenuta sindacale obbligatoria, G. aderisce al nuovo
SUM, sorto per opera dei sindacalisti rivoluzionari, e
partecipa allo sciopero proclamato dal SUM, risoltosi
dopo più di due mesi con una grave sconfitta. L’esperienza
negativa della divisione sindacale lo induce a farsi portatore
nell’ambito del Fascio Libertario Torinese, insieme
con Ferrero, della scelta unitaria a favore della fiom,
anche dopo la costituzione, nel novembre 1912, dell’usi.
Il grande conflitto nel settore d’auto della primavera
1913, risoltosi favorevolmente per la Fiom, segna l’eclissi
del SUM, a cui farà seguito una sezione torinese
dell’usi guidata da Ilario Margarita. Nel giugno
1914 G. ha un ruolo di primo piano negli scioperi della
Settimana rossa. Arrestato per «violenza privata,
minaccia e porto d’arma», viene tuttavia prosciolto.
Lo scoppio della guerra lo vede su posizioni rigidamente
antiinterventiste. Il suo attivismo politico e sindacale
lo costringe a cambiare continuamente posto di lavoro
(Fonderie Subalpine, Acciaierie Fiat, Officine Savigliano
ecc.). Dichiarato abile (anche se riformato alla visita
di leva), ottiene l’esonero come «operaio
specialista». Contrario alla partecipazione al Comitato
di mobilitazione industriale, la sua intensa partecipazione
ad azioni rivendicative gli costa l’esonero (ma
verrà poco dopo nuovamente riformato) e il posto
di lavoro. Tra un licenziamento e l’altro, è
sempre in prima fila nelle agitazioni e partecipa ai moti
torinesi dell’agosto 1917. All’interno della
Sezione torinese della Fiom è, con Ferrero, tra
gli oppositori della linea sia della segreteria sezionale
che di quella federale e lo scontro di tendenze si fa
così acceso che, in occasione del Convegno Regionale
Metallurgico del 22 settembre 1918, si deve ricorrere
al referendum di lista per la nomina dei delegati. Ma,
soprattutto, ai riformisti appare «strano che nei
delegati a questo convegno si debba includere dei compagni
anarchici (quale Garino) che non possono essere favorevoli
che alla assoluta autonomia della Organizzazione»
(C. Artesani, Ai compagni, «La Squilla»,
12 set. 1918). Preoccupazione principale dei riformisti
è la possibile saldatura tra il «gruppo libertario»,
fautore dell’autonomia sindacale ma a loro avviso
deciso a «nascondere dietro il paravento dell’unità
sindacale il [suo] sogno di conquista», e la corrente
massimalista, i cosiddetti «rigidi», convinta
della subalternità del sindacato al partito (G.
Gotta, Ognuno al suo posto, «La Squilla»,
19 ott. 1918). In effetti, agli inizi del 1919 l’opposizione
alla linea del Comitato Direttivo si va coagulando in
un blocco anarco-massimalista. Le Commissioni interne,
riconosciute dall’accordo del 20 febbraio 1919,
tendono superare le proprie prerogative sfuggendo al controllo
dell’organizzazione e in qualche modo sostituendosi
ad essa. Dall’agosto 1919, a iniziare dalla fiat
Centro, le Commissioni interne procedono alla elezione
dei commissari di reparto che danno vita ai Consigli di
Fabbrica, ciascuno dei quali nomina un Comitato esecutivo
che a sua volta assume le funzioni di Commissione interna.
Il 17 ottobre la prima riunione dei Comitati esecutivi
dei Consigli costituisce un Comissariato centrale dei
Consigli. Il 1° novembre l’assemblea della Sezione
torinese della FIOM approva «a grande maggioranza»
l’odg. Boero-Garino, favorevole alla «costituzione
dei Consigli operai di fabbrica, mediante l’elezione
dei Commissari di reparto» (p. t. [P. Togliatti,
L’Assemblea della Sezione Metallurgica Torinese,
«L’Ordine nuovo», 8 nov. 1919), mettendo
in minoranza il vecchio Consiglio Direttivo ed eleggendone
uno nuovo, provvisorio, al cui interno Ferrero, pare su
indicazione di G. che declina un primo invito, assume
le funzioni di segretario. Contestualmente, viene istituita
una Commissione di studio sui consigli, alla quale partecipano
anche G. e Ferrero, e che tiene spesso le sue riunioni
nei locali de «L’Ordine nuovo». Da qui
nasce anche la consuetudine con gli ordinovisti e con
Gramsci, che scriverà dei due anarchici in termini
estremamente positivi (Cosa intendiamo per demagogia,
«Avanti!», ed. piemontese, 28 ago. 1920),
e una collaborazione che si esprimerà nel manifesto
Per il Congresso dei Consigli di fabbrica, apparso ne
«L’Ordine nuovo» del 27 marzo 1920.
Al Convegno straordinario della FIOM a Firenze (9-10 nov.
1919) Boero e Garino riescono a ottenere che i vertici
federali consentano all’«esperimento dei Consigli
di fabbrica» intesi come «la continuazione
dell’opera delle Commissioni interne coordinata
con quella dell’organizzazione» (M. Antonioli,
B. Bezza, p. 575). Nell’aprile 1919 G. è,
come rappresentante degli anarchici torinesi, tra i fondatori
dell’Ucai al Congresso di Firenze, dove è
designato quale membro del Consiglio generale. Nel dicembre
dello stesso anno partecipa al Congresso straordinario
della CdL di Torino e presenta una mozione a favore dei
Consigli, ritenuti «ai fini dei principi comunisti-antiautoritari,
organi assolutamente antistatali e possibili cellule della
futura gestione della produzione agricola e industriale».
Quando, nel maggio 1920, si tiene a Genova il Convegno
nazionale della FIOM, difende la linea conflittuale dei
metallurgici torinesi e «deplora la mancanza di
solidarietà del Comitato centrale e della Confederazione
del lavoro» (ivi, p. 590). Nel giugno successivo
interviene con Ferrero al Congresso anarchico piemontese
proponendo il medesimo odg del Congresso camerale e se
ne farà portatore anche al Congresso bolognese
dell’UAI (1°-4 lug. 1920). Protagonista dell’occupazione
delle fabbriche, nel settembre 1920, al Congresso nazionale
della Fiom tenuto a Milano, all’Umanitaria, appoggia
l’odg Ferrero e rimprovera ai dirigenti nazionali
di avere in qualche modo illuso «la massa operaia
che non distingue se il movimento fosse sindacale o politico,
aveva creduto che voi sareste andati fino in fondo, che
voi l’avreste condotta al gran gesto rivoluzionario»
(ivi, p. 625). Nel 1921 entra a lavorare in una cooperativa,
di cui poi diventerà dirigente e che verrà
trasformata in seguito in società per azioni per
evitare di essere fascistizzata. Durante il ventennio,
infatti, rimane a Torino subendo continui arresti e persecuzioni.
Dopo l’8 settembre 1943 riorganizza il movimento
anarchico torinese e dà vita al Circolo di Studi
Sociali. Prende parte alla guerra di liberazione; arrestato
nell’ottobre 1944, viene rilasciato grazie a uno
scambio di prigionieri. Dopo la Liberazione partecipa
alla vita del movimento libertario piemontese ricostituendo
la Scuola Moderna, che pur svolgendo una intensa attività
culturale con l’organizzazione di diverse conferenze
sui più svariati temi, non avrà più
quel carattere formativo dei militanti che aveva avuto
in passato. Dirigente dell’ANPPIA, muore a Torino
nell’aprile 1977. (M. Antonioli – T. Imperato)
Fonti: ACS, CPC, ad nomen; U.
Marzocchi, Maurizio Garino, «un»,
19 giu. 1977.
Bibliografia: scritti di G.: L’occupazione
delle fabbriche nel 1920, «Era nuova»,
1° apr. 1950; L’incendio della Camera del
Lavoro di Torino (1922), in Dall’antifascismo
alla resistenza. Trenta anni di storia italiana,
Torino 1961. Scritti su G: P.C. Masini, Anarchici
e comunisti nel movimento dei Consigli a Torino,
Torino 1951;Trentennio; G. L[attarulo] – R. A[mbrosoli],
I consigli operai. Un’intervista con il compagno
Maurizio Garino, «A», apr. 1971; M. Antonioli,
B. Bezza, La Fiom dalle origin al fascismo, 1901-1924,
Bari 1978, ad indicem; EAR, ad nomem;
MOIDB, ad nomem; M. Revelli, Maurizio Garino:
storia di un anarchico, «Mezzosecolo»,
n. 4, 1980/82.
Pompeo Barbieri
Giaconi,
Maria
Nasce a Cave di Sassoferrato (AN) il 26 settembre 1892
da Sabatino e Filomena Sebastianelli, contadina. Seconda
di quattro fratelli, fino all’età di vent’anni
vive con i genitori, non mostrando interesse per la politica.
Nell’autunno 1911 parte alla volta degli Stati Uniti
per raggiungere un fratello, colà emigrato e si
stabilisce a Peckville. Conosce e sposa Adolfo Ligi –
minatore, anch’egli originario di Sassoferrato –,
diventando un’attivista del locale movimento libertario.
Le autorità indicano in lei e in Ligi due «anarchici
pericolosi, conosciuti come tali e per conseguenza allontanati
e spregiati dall’elemento sano per le loro idee»
(Vice-Consolato in Scranton, 24 apr. 1933). In particolare,
G. è ritenuta la leader dei sovversivi nella colonia
di Peckville e per questo motivo è sottoposta a
sorveglianza. Nell’aprile 1932 spedisce del denaro
a Ernesto Bonomini, «l’uccisore del fascista
Bonservizi». Qualche settimana più tardi
le autorità intercettano una sua lettera per Malatesta,
alla quale è allegato uno chèque, «parte
ricavato dalla festa datasi il primo Maggio in Oldforge,
Pa.» (Polizia politica, 1° giu. 1932). Nel 1933
G. versa una sottoscrizione a «Il Risveglio anarchico»
di Ginevra, in favore del comitato pro figli dei carcerati
politici d’Italia. Sfugge una prima volta ai controlli
e la sua presenza viene segnalata a Ginevra, al fianco
di Luigi Bertoni, ma è lecito nutrire dubbi sulla
fondatezza della notizia. Nel 1935 si trasferisce con
il marito e la figlia a Filadelfia e nel 1937 è
a New York. Benché sia «rigorosamente sorvegliata
da Agenti federali e da privati detectives» (Ministero
degli Esteri, 21 feb. 1938), le autorità statunitensi
ne lamentano ancora una volta la scomparsa e la sospettano
di essersi recata in Spagna a combattere nelle milizie
repubblicane. Stando alle fonti di polizia, durante la
sua permanenza negli Usa G. sembra non avere tenuto alcun
contatto con la famiglia d’origine, a eccezione
di una lettera del dicembre 1940, indirizzata alla cognata
Maria, ma il cui contenuto è in verità rivolto
alla madre. Muore a New York negli anni Settanta. (R.
Giulianelli)
Fonti: ACS, CPC, ad nomen; ivi,
DPP, ad nomen; ASAN, Questura, Anarchici, b.
11, ad nomen; AFBC, Memorie di compagni.
Adolfo e Maria Ligi, cass. III.19.
Bibliografia: R. Lucioli, Gli antifascisti
marchigiani nella guerra di Spagna (1936-1939), Ancona
[s.d.], p. 153; A. Martellini, Fra Sunny Side e la
Nueva Marca. Materiali e modelli per una storia dell’emigrazione
marchigiana fino alla grande guerra, Milano 1999,
p. 126.
Virgilia D'Andrea
Alcune
sigle e abbreviazioni
ACPC
= Antifascisti nel casellario politico centrale, Quaderni
dell’ANNPIA, Roma, ANNPIA, 1989-1994.
ACS = Archivio Centrale dello Stato – Roma
AFBC = Archivio Famiglia Berneri e Aurelio Chessa –
Reggio Emilia
ANPPIA = Associazione Nazionale Perseguitati Politici
Italiani Antifascisti
ASMs = Archivio dello Stato – Massa
«BAP» = «Bollettino dell’archivio
G. Pinelli»
CdL = Camera del Lavoro
CLN = Comitato Liberazione Nazionale
EAR = Enciclopedia dell’Antifascismo e della
Resistenza, 6 voll. Milano-Bergamo, 1968-1989.
FCL = Federazione Comunista Libertaria
FGS = Federazione Giovanile Socialista
IWW = International Workers of the World
MOIDB = Il Movimento Operaio Italiano Dizionario Biografico,
Roma, Editori riuniti, 1976-1979.
OVRA = Opera Volontaria di Repressione Antifascista
SUM = Sindacato Unico Metallurgico
UAI = Unione Anarchica Italiana
UCAI = Unione Comunista Anarchica Italiana
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