Linsistenza sulla
necessità della coscienza storica appare evidente se
ricordiamo che linsurrezione del 1° gennaio si definisce
«una guerra contro loblio, una lotta per la memoria».
Per quanto riguarda la storia, non cè tema più
frequente di questo: «La guerra cominciata il 1° gennaio
1994 è stata una guerra per farci ascoltare, una guerra
per la parola, una guerra contro loblio, una guerra per
la memoria... La nostra lotta è per la storia e il malgoverno
propone loblio... Lottiamo per parlare contro loblio,
contro la morte, per la memoria e per la vita. Lottiamo per
la paura di morire la morte delloblio» (1° gennaio
1996). Sono così espresse con una stessa parola la causa
e lobiettivo del movimento zapatista, al contempo sfida
collettiva e motivazione individuale dei suoi membri, come suggeriscono
le parole commoventi e piene di dignità che Marcos presta
alla muta fotografia di un compagno morto nei combattimenti
di Ocosingo: «Sono Álvaro, sono indigeno, sono
soldato, ho preso le armi contro loblio» (12 maggio
1995).
Contro loblio, i ribelli possiedono larma della
memoria e, con essa, tentano di conquistarsi un posto nella
storia. Linsurrezione del 1° gennaio aveva un obiettivo
militare e un obiettivo simbolico: «Lultima notte
del 1993, siamo scesi da qui, dalle montagne tzotzil del sud-est
messicano, per impadronirci della città di San Cristóbal
e per conquistare il nostro posto nella storia del Messico»
(12 giugno 1996). Questa metafora non ha certo come obiettivo
la gloria di un riconoscimento nei libri di storia («Non
abbiamo chiesto un posto speciale nella storia, non lottiamo
per denaro, per una carica politica o per qualche riga nei libri
di storia», 15 maggio 1994). Il suo uso così frequente
può invece trovare spiegazione nel fatto che essa spazializza
il tempo e offre una dimensione concreta e tangibile allastrazione
storica («Sempre così grande è la povertà
delle nostre terre e sempre così piccolo il nostro posto
nella storia del Messico», 14 febbraio 1994). Pur facendo
riferimento alle necessità indispensabili per lesistenza
(la terra, lo spazio), queste formule reclamano soprattutto
il riconoscimento dei popoli indigeni in quanto parte integrante
della nazione messicana (poiché la storia, ancora e sempre,
è sinonimo di nazione).
La memoria e loblio
La dualità memoria/oblio costituisce quindi una delle
contrapposizioni fondamentali che strutturano il linguaggio
zapatista, il che la pone in stretto rapporto con altre coppie
come vita/morte, pace/guerra, verità/menzogna, parola/silenzio
(«Due campi: da un lato, loblio, la guerra, la morte;
dallaltro, la memoria, la pace, la vita», 8 febbraio
1996). Loblio è inoltre associato allemarginazione,
allumiliazione e al disprezzo subiti dagli indigeni. Quanto
alla memoria, essa è associata alle realtà materiali
indispensabili alla stabilità dellesistenza umana,
come la terra e la casa («La nostra lotta è per
un tetto decoroso e il governo distrugge la nostra casa e la
nostra storia... Vogliono toglierci la terra perché non
ci sia più un suolo sotto i nostri passi. Vogliono toglierci
la storia perché loblio uccida le nostre parole»,
1° gennaio 1996). La storia, fondamento e radice, strettamente
legata agli antenati, è il terreno solido che permette
agli uomini di avanzare, mentre loblio è un precipizio
in cui rischiano di cadere: «Per noi è importante
la bandiera che dichiara le fondamenta indigene di una nazione
finora condannata alla disperazione... per noi è importante
il suolo che ci sostiene nella storia e impedisce che cadiamo
nelloblio di noi stessi» (12 ottobre 1995). Infine,
la storia è in stretto rapporto con quel concetto fondamentale,
materiale e simbolico insieme che definisce la possibilità
di unesistenza veramente umana: il concetto di dignità.
«La dignità ha a che fare con la storia»
(ottobre 1997), e questi due principi sono tanto intimamente
connessi alla lotta zapatista quanto sono rinnegati dagli «uomini
grigi che, dai luoghi del potere, tramano la svendita della
dignità e loblio della storia» (19 settembre
1996).
I comunicati non sembrano preoccuparsi molto di distinguere
la memoria, realtà sociale immediata, più limitata
nella sua profondità temporale e spesso incline a mescolare
dati reali ed elementi mitici, dalla storia che, pur alimentando
la memoria collettiva (e alimentandosi di essa), si sforza di
oltrepassare i limiti di questultima e di criticarne i
cedimenti. Nella maggior parte dei casi, i termini storia e
memoria sembrano utilizzati come sinonimi. Ma questa equiparazione
legata alla trasmissione orale della memoria nelle comunità
indigene si realizza mediante unamplificazione
del concetto di memoria, piuttosto che attraverso una limitazione
della prospettiva storica alla sola dimensione della memoria.
In questo modo, si attribuisce alla memoria una capacità
di abbracciare passato, presente e futuro, cioè proprio
quello che caratterizza una visione storica nel pieno significato
del termine («La memoria che insiste a fondare e a fondere
lumanità nel passato, nel presente e nel futuro»,
marzo 1998). Analogamente, in occasione del 25° anniversario
del colpo di Stato militare in Argentina, Marcos afferma: «I
nostri più grandi antenati ci hanno insegnato che la
celebrazione della memoria è anche una celebrazione dellavvenire.
Ci hanno detto che la memoria non è un modo di volgere
la testa e il cuore verso il passato, un ricordo sterile che
provoca riso o lacrime... La memoria guarda sempre al domani
ed è questo paradosso a permettere che, in quel domani,
gli incubi non si ripetano e le gioie, anchesse presenti
nel repertorio della memoria collettiva, si rinnovino»
(24 marzo 2001).
Tempo senza tempo
La memoria zapatista appare quindi come linsieme di più
dimensioni. Essa include la storia (soprattutto la storia del
Messico, insegnata dai meticci), la memoria trasmessa oralmente
di fatti storici (per esempio quando il maggiore Moisés
racconta lo sfruttamento dei suoi genitori nelle fincas) e le
tradizioni relative allorigine del mondo e a quel «tempo
senza tempo [dal quale] la parola giunge alle nostre voci»,
che i racconti del vecchio Antonio traducono nella forma scritta.
Si tratta di una memoria attiva e combattente, che influenza
lazione e promuove la lotta, perché questa memoria
«immemore», legata al tempo che precede il tempo,
è invocata, al pari del passato storico, come legittimazione
della parola e dellazione ribelli. Gli antenati, presenti
nella memoria dei vivi, attraverso la memoria reclamano rispetto
e giustizia e incitano alla resistenza: «Abbiamo parlato
con noi stessi, abbiamo guardato nel profondo di noi stessi
e abbiamo guardato la nostra storia: abbiamo visto i nostri
nonni soffrire e lottare, abbiamo visto i nostri antenati lottare,
abbiamo visto i nostri genitori con la collera tra le mani...
e i morti hanno visto che eravamo ancora nuovi e ci hanno chiamato
di nuovo alla dignità e alla lotta» (1° febbraio
1994). La memoria può anche incarnarsi nelle montagne
in cui vivono i morti, oppure negli «scrigni parlanti»,
oggetti tradizionali della regione di Los Altos, ora recuperati
per trasmettere non più, come un tempo, la parola dei
santi, ma quella della storia e della dignità («La
montagna ci ha parlato di prendere le armi per avere una voce...
Ci ha parlato di conservare il nostro passato per avere un domani.
Nella montagna vivono i morti, i nostri morti... Scrigni parlanti
ci hanno raccontato una storia diversa che giunge da ieri e
guarda a domani», 27 luglio 1996). Dunque, gli zapatisti
occupano una posizione paradossale: si iscrivono in una memoria
profonda, che attraversa i secoli della storia per giungere
fino al «tempo senza tempo» degli avi e del mito;
e al tempo stesso sono i dimenticati, le vittime dellamnesia
imposta dai dominatori. Sono contemporaneamente coloro che mantengono
i legami più stretti con la memoria e coloro che soffrono
di più loblio. Memoria nascosta, radice negata,
sono «il cuore dimenticato della patria», che la
nazione può tuttavia ancora ricordare per ricordarsi
di se stessa («Quando parla con il suo cuore indio, la
patria si mantiene degna e conserva la memoria», 1°
gennaio 1996). Proprio per questo la lotta zapatista è
una rivolta contro loblio e una ribellione per la memoria.
|
Dominio etnico
Molto spesso, loblio è posto in relazione con
la situazione coloniale e postcoloniale subita dagli indigeni.
È insieme la conseguenza e la causa e perciò
quasi un sinonimo dellumiliazione e dello sfruttamento
che sono stati loro imposti fino a oggi. In questa prospettiva,
loblio è il risultato del dominio etnico e il suo
principio trova origine nella storia della nazione messicana.
Ma esiste unaltra lettura, accennata durante i preparativi
dellIncontro intercontinentale del 1996 e pienamente sviluppata
negli estesi comunicati del febbraio e del marzo 1998 (senza
dubbio i più importanti e i più approfonditi per
quanto riguarda la problematica storica). Così, il testo
intitolato Il dialogo di San Andrés: tra loblio
dallalto e la memoria dal basso, benché abbia per
oggetto lanalisi della non-applicazione governativa degli
accordi di San Andrés, spiega con chiarezza che loblio
non è soltanto la conseguenza della dominazione subita
dagli indigeni, ma è un fenomeno di cui soffrono tutti
gli uomini immersi nella globalizzazione capitalista. In effetti,
il principale fattore di amnesia ha un nome «dalla
parte delloblio si trovano le forze molteplici del mercato»
e di conseguenza possiamo definire «la grande battaglia
della fine del XX secolo come quella del mercato contro la storia».
Qui il tema delloblio si amplifica e si apre a unanalisi
molto più generale dei tempi storici: «Da un lato
cè il mercato, il nuovo animale sacro. Il denaro
e la sua concezione del tempo, che nega lieri e il domani.
Dallaltro cè la storia (quella che il potere,
sempre, dimentica). La memoria che insiste a fondare e a fondere
lumanità nel passato, nel presente e nel futuro.
Nel mondo della modernità il culto del presente
è arma e scudo. Loggi è il nuovo
altare sul quale si sacrificano principi, lealtà, convinzioni,
pudori, dignità, memorie e verità. Per i tecnocrati
che il nostro Paese subisce come governanti, il passato non
è più un riferimento da assimilare e su cui crescere.
Per questi professionisti delloblio, il futuro non può
essere nientaltro che un prolungamento temporale del presente.
Per vincere la storia, le si nega qualunque orizzonte che vada
al di là del qui e ora neoliberista. Non
cè un prima né un dopo,
solo loggi. La ricerca delleternità è
finalmente soddisfatta: il mondo del denaro non è soltanto
il migliore dei mondi possibili, è lunico necessario»
(marzo 1998).
Nel mondo neoliberista, cioè sotto il regno autocratico
della merce, «loggi è il nuovo tiranno»
cui «si devono omaggio e obbedienza» e che, per
meglio assicurare il proprio dominio, fa sparire il passato
nelloblio e cancella ogni prospettiva di un futuro alternativo
(febbraio 1998). Lesperienza del passato e la speranza
dellavvenire non assenti ma ogni volta più
ristrette e ridotte a trompe-loeil scompaiono a
poco a poco a favore di un onnipresente che si manifesta in
mille modi, con la dittatura dei tempi brevi e dei ritmi sincopati,
con lideale di immediatezza e di istantaneità,
come con la negazione del tempo che passa e la conseguente proibizione
dellinvecchiamento decretata dai media. Si impone un eterno
presente, fatto di istanti effimeri che brillano del prestigio
di unillusoria novità, ma non fanno che sostituire,
sempre più rapidamente, lidentico allidentico.
Nel mondo moderno, il tempo diventa una delle forme più
sensibili delloppressione, imposta a esseri frettolosi
e stressati, soggetti alla «tirannia degli orologi»
(N. Elias) e alla coazione di sapere che ore sono. Così,
inesorabilmente, si imprimono nei nervi tormentati degli individui
le leggi inasprite della redditività e la loro lotta
accanita contro il parametro temporale: massimizzazione del
tempo disponibile e riduzione della durata di ogni operazione,
flussi forzati e rotazione accelerata delle scorte prodotte,
rapidità dei movimenti di capitale e profitti lampo della
speculazione. La mercificazione del mondo è una guerra
contro il tempo; la prima si misura con il secondo, per farlo
arretrare sempre più fino a vincerlo. Il presente perpetuo
è quindi semplicemente laltra faccia di quella
virtù tipicamente capitalista che è la velocità.
Fra loro esiste un legame necessario, che permette di mascherare
limmobilizzazione nelleterno presente con unaccelerazione
dei ritmi di attività, e di offrire un residuo di esperienza
del tempo anche quando ogni visione di divenire storico sia
stata abolita («Solo il trionfo universale del ritmo di
produzione e di riproduzione meccanica garantisce che nulla
cambi e che non accada niente di sorprendente», Th. Adorno
M. Horkheimer). Dunque, la tirannia del presente perpetuo
e il culto della velocità associati per distruggere
il tempo si addicono perfettamente alla logica economica
della mercificazione e del profitto e ai discorsi miopi e smemorati
che le corrispondono.
Dominatori eterni
Nellidolatria dell«oggi» onnipotente,
loblio trova le sue origini più evidenti e la storia
le ragioni più profonde della sua negazione. Il dominio
neoliberista tende contemporaneamente a distruggere la coscienza
storica del passato e a chiudere gli accessi al futuro. Non
cè più futuro, eccetto che nella menzogna
o nella ripetizione del dominio presente. («La superbia
aveva scelto di agganciare il suo futuro alla menzogna del Primo
mondo [ma] il domani di Salinas non lasciava posto agli indigeni»,
30 giugno 1996). I dominatori credono e fanno credere nella
loro eternità: «Il Potere si guarda allo specchio
e si scopre eterno e onnipotente» (9 gennaio 1996). Questa
analisi, particolarmente frequente nel corso del 1996, dà
luogo a molteplici variazioni, da uno scenario scecspiriano
che infila Salinas negli abiti di Macbeth e fa dei ribelli
del 1° gennaio la foresta che avanza verso il suo palazzo
per porre fine alla sua potenza illusoria fino a riferimenti
biblici che prestano al potere le parole della divinità
giudaico-cristiana: «Io sono colui che è, la ripetizione
eterna», o ancora: «Sono la migliore delle religioni,
sintetizzo il nuovo dio e il suo culto, il mistero e latto
di fede, il prete e il fedele, limmagine sacra e il tempio;
non ho alcun bisogno di altri, neppure per venerarmi; per questo,
ho a disposizione lo specchio offerto dalle statistiche del
mio trionfo» (maggio 1996). Ma, a questo proposito, non
cè mito più efficace di quello della fine
della storia, cui le rovine del Muro di Berlino forniscono una
scenografia impeccabile. La tematica della fine della storia
trasforma il presente neoliberista in eternità e permette
al potere di «vendere la versione di un futuro impossibile
senza il suo dominio». Loggi divinizzato, loblio
trionfante e il presente perpetuo sono tre espressioni di una
stessa realtà: nel tempo dominato dal mercato globalizzato,
non cè alcun passato da conoscere, alcun futuro
da sperare.
È proprio perché la logica neoliberista la nega
che la storia è ogni giorno più necessaria. Ed
è per questo che i testi zapatisti puntano sul recupero
congiunto del passato e del futuro, cercando di ristabilire
al tempo stesso la coscienza storica del passato e la visione
innovativa del futuro. Questo comporta in primo luogo di smascherare
la menzogna della fine della storia: la proposta dellEzln
di realizzare, nella stessa Berlino, un Incontro europeo contro
il neoliberismo aveva il solo obiettivo di rovesciare il simbolo
della fine della storia per farne quello del suo nuovo inizio:
«Sulla menzogna della nostra sconfitta, il potere ha costruito
la menzogna della sua vittoria. Il potere ha scelto la caduta
del Muro di Berlino come simbolo della sua onnipotenza e della
sua eternità... Perché non cominciare col ritornare
in quel luogo, in quello che il potere considera il simbolo
della fine della storia e delleternità del suo
mandato?» (30 gennaio 1996). Quindi, se la storia comincia
a scrollarsi di dosso la stanchezza e a risvegliarsi, allora
è possibile guardare di nuovo verso il futuro. Il domani,
che si spera «migliore», «plurale»,
«di inclusione e di tolleranza», può tornare
a far parte del lessico in uso, e gli zapatisti possono allontanare
laccusa che viene loro rivolta di essere dei «professionisti
della violenza» e definirsi «professionisti della
speranza» (6 marzo 1994).
Rivoluzione senza lettera maiuscola
Sappiamo poco sul futuro sperato dal movimento zapatista, se
non che si propone essenzialmente di dare consistenza alla dignità
umana. Questa è una conseguenza della rottura con quella
concezione di avanguardia storica che presumeva di conoscere
in anticipo la destinazione finale verso la quale guidare il
popolo (presupposto che costituiva la base ideologica della
sua legittimità a dirigerlo). Ed è anche conseguenza
della riformulazione del concetto stesso di rivoluzione che,
come abbiamo visto, gli zapatisti si sono impegnati a liberare
della lettera maiuscola. Certo, qualche testo degli anni 1994
e 1995 permette ancora di cogliere qualche traccia di marxismo
ortodosso. Oltre allinfelice lettera ad Adolfo Gilly,
un comunicato del 6 maggio 1994 profetizza che il futuro sperato
«nascerà da scienza certa», continuando a
fare appello alle presunte leggi della storia che condurrebbero
lumanità verso un futuro ineluttabile. Tuttavia,
negli anni successivi, questi riferimenti scompaiono e lasciano
il posto a un futuro desiderato ma privo di certezze, diverso
ma imprevedibile, possibile ma solo ipotetico. In una parola,
un futuro aperto: nel pensiero immaginifico del vecchio Antonio
questo significa che il cammino che hanno di fronte non è
tracciato (senza che per questo sia proibito intraprenderlo).
La possibilità di un altro futuro, o meglio di altri
futuri, esiste, ma non si può conoscerli prima di avventurarcisi.
Collegata a questa concezione aperta del futuro, unaltra
caratteristica della grammatica zapatista dei tempi storici
è la relazione stabilita fra passato e futuro. Questultima
si manifesta con efficacia e in modo abbastanza sorprendente
in una formula singolare che propone di «avanzare allindietro»
o, un po meno paradossalmente, di «guardare indietro
per poter andare avanti». Espressioni simili si incontrano
almeno quattro volte, in forme diverse, fra i mesi di gennaio
e di luglio del 1996, e il fatto che siano associate a vari
personaggi potrebbe suggerire qualche indicazione sulle modalità
di scrittura dei comunicati. Dopo una prima enunciazione, a
proposito di una citazione di Lewis Carroll («Così
come Alice scopre che per raggiungere la Regina Rossa deve camminare
allindietro, anche noi dobbiamo volgerci verso il passato
per poter avanzare ed essere migliori. Nel passato possiamo
scoprire delle strade verso il futuro», 30 gennaio 1996),
in una frase già citata Marcos afferma: «Abbiamo...
lo sguardo rivolto allindietro per poter andare avanti»
(4 aprile 1996). Poi, Durito trae un insegnamento morale da
una storia di «granchi, molluschi e parenti degli scarabei,
i quali sanno che il miglior modo di avanzare è a ritroso»
(5 luglio 1996), e infine il vecchio Antonio dissipa i dubbi
di un subcomandante smarrito nella foresta del pensiero indigeno:
«Perché mi hai detto che quando uno non sa che
cosa ha davanti, deve guardare indietro? Non è per trovare
la strada del ritorno?» ho chiesto.
«No», ha risposto il vecchio Antonio... «Voltandoti
per guardare indietro, ti rendi conto di dove sei arrivato...
Cioè puoi vedere il cammino che hai fatto sbagliando...
È servito perché così abbiamo capito che
non serviva, e allora non lo prenderemo di nuovo... e possiamo
prenderne un altro che ci conduca dove vogliamo» (6 luglio
1996).
La formula sembra dunque esser stata suggerita dalla lettura
di Lewis Carroll e poi variamente modificata da Marcos e dai
suoi compagni immaginari per collegare in modo più articolato
i due elementi: guardare indietro e andare avanti.
Jérôme
Baschet
Futuro aperto
Tali enunciazioni non implicano un ritorno al passato, e le
spiegazioni del vecchio Antonio eliminano ogni equivoco a questo
riguardo. Esse non fanno dellavvenire una ripetizione
del passato, ma suggeriscono invece lidea di un futuro
aperto (espresso dallimmagine del cammino non ancora tracciato),
che di conseguenza rinuncia a pensare la storia come un eterno
ritorno. Certo, i comunicati attestano anche una percezione
ciclica del tempo, che fa ritornare continuamente allo stesso
punto, creando una contraddizione con la speranza di un avvenire
diverso. Tuttavia, ognuna di queste concezioni si manifesta
in contesti differenti: la ripetizione ciclica si manifesta
quando si confronta la situazione presente con il passato, mentre,
se si guarda dal presente verso il futuro, si apre la speranza
che la lotta possa risvegliare la storia. Per questo la credenza
in uninvincibile ripetizione storica è tipica delle
parole ingannatrici che i potenti rivolgono agli insorti: «Ribelli
di tutto il mondo unitevi nelle disfatte! Non cè
alcuna vittoria nel vostro passato... Prendete il vecchio riciclato,
imitatemi, sono quello di sempre appena ritoccato, sono il vecchio
rinnovato, lincubo di sempre ma con il vantaggio di essere
ora globalizzato... Non tentate nulla di nuovo, ripetete il
vecchio» (3 maggio 1996). La storia come pura ripetizione
è unarma dei dominatori, destinata a scoraggiare
tutti coloro che si sforzano di inventare un mondo nuovo.
Ma come intraprendere una positiva alleanza fra passato e futuro
che non induca a riprodurre domani il vecchio di ieri? I testi
zapatisti indicano parecchie prospettive. In primo luogo, lidea
di guardare indietro per andare avanti deve essere intesa come
un intervento a favore della conoscenza del passato, indispensabile
per ampliare le nostre prospettive e le nostre aspettative nei
confronti del futuro. Le spiegazioni del vecchio Antonio, sottolineando
la necessità di guardare la strada già percorsa,
costituiscono una magnifica difesa della coscienza storica.
Nei suoi commenti, si coglie soprattutto la critica degli errori
passati, la preoccupazione di individuare le difficoltà
e la coscienza del fatto che una parte del cammino è
servita proprio per rendersi conto che non è servita
a nulla! La conoscenza del passato è dunque utile per
distaccarsene e allontanarsene; è una condizione necessaria
per non ripeterlo ed evitare di esserne nuovamente vittime.
Analogamente, in una formulazione più «modernista»,
il comunicato che propone la riunione di Berlino rileva: «Noi,
come voi, non abbiamo aspirazione più grande del futuro.
Per questo il passato è importante. Se nasce qualcosa
di nuovo, è perché muore qualcosa di vecchio.
Ma nel nuovo perdura il vecchio e può divorare il futuro
se non lo definiamo, se non lo conosciamo, se non ne parliamo
e non lascoltiamo, insomma se continuiamo ad avere paura
di lui».
Alleanza tra passato e futuro
Ma nei comunicati possiamo anche trovare unidea opposta
più complementare che contraddittoria che
riconosce nel passato alcuni elementi positivi (se con questa
espressione non intendiamo forme di vita o di pensiero che andrebbero
riprodotte tali e quali, ma elementi ispiratori, punti di partenza
per una critica presente e un progetto futuro). Questa caratteristica
è chiaramente legata alla dimensione indigena dellinsurrezione,
in quanto il passato rivalutato è associato alla cultura
dei popoli indigeni, discendenti dei primi abitanti delle terre
americane: «Il passato è la chiave del futuro.
Nel nostro passato esistono pensieri che possono esserci utili
per costruire un futuro in cui ci sia posto per tutti, senza
essere oppressi come oggi ci opprimono coloro che vivono in
alto. Il futuro della patria lo troveremo guardando verso il
passato, verso coloro che per primi ci hanno animato, verso
coloro che per primi ci hanno pensato, verso coloro che per
primi ci hanno fatto» (9 gennaio 1996). Laffermazione
di unalleanza necessaria tra passato e futuro è
semplicemente un altro modo di rivendicare lintegrazione
dei popoli indigeni nella nazione messicana: «La nobile
nazione messicana riposa sulle nostre ossa. Se ci distruggono,
lintero Paese crollerebbe e comincerebbe a vagare senza
radici né direzione. Prigioniero delle ombre, il Messico
negherebbe il suo futuro negando il suo passato», perché
«un Paese che dimentica il suo passato non può
avere futuro» (17 marzo 1995; 12 ottobre 1995). Qui la
cronologia diventa geologia, e «i primi abitanti di queste
terre» sembrano costituire il sottosuolo simbolico del
Messico. Sono la parte presente del suo passato, proprio per
questo indispensabile alla stabilità futura dellintera
nazione.
Tuttavia sarebbe errato confinare i popoli indigeni in unidentità-col-passato,
perché la relazione passato/futuro qui stabilita vuole
distruggere lillusione di una tradizione immobile e oppressiva.
Gli stessi zapatisti scherzano sulla folklorizzazione degli
indigeni e sui politici ufficiali che li trasformano in pezzi
da museo («Sono esseri viventi, e non i fossili che la
propaganda del potere globale si augurerebbe», maggio
1996; «Ci offrivano un bel posticino nel museo della storia»,
17 marzo 1995). Gli zapatisti rifiutano lequiparazione
degli indigeni con il passato, una trappola delloblio
manipolata dallalto: «Il potere vuol relegare nella
nostalgia la lotta indigena attuale... Si tenta di confinare
la lotta degli indios nei limiti del passato, qualcosa come
il passato ci raggiunge con i suoi debiti da pagare.
Quasi che pagare quei conti potesse essere il solvente efficace
per cancellare quel passato e far regnare senza problemi loggi,
oggi, oggi, diventato la battuta emblematica del presidente
Fox (12 marzo 2001). Ma qui si sta parlando di popoli legati
a un passato vivo, presente, senza alcun rapporto con il passato
morto del museo. Se le comunità non sono la manifestazione
incontaminata di un passato precapitalista, a maggior ragione
le lotte contadine non sono una reazione di rifiuto inevitabilmente
passatista, o addirittura reazionaria, nei confronti della modernità
capitalista. Questa visione classica è stata ampiamente
criticata e ormai possiamo riconoscere la capacità diniziativa
delle comunità contadine per resistere e adattarsi al
tempo stesso (N. Harvey), e per ammettere il potenziale rivoluzionario
di cui sono capaci, in determinate condizioni, coloro che E.
Hobsbawm chiama, con unespressione che la sua penna considera
benevola, i «ribelli primitivi». Sarebbe però
altrettanto errato contraddire completamente il punto di vista
corrente, per esaltare la modernità delle comunità
indigene, capaci di rompere con la tradizione, di aprirsi e
di innovare a tal punto da essere perfettamente in sintonia
con il mondo globalizzato. È forse più ragionevole
rinunciare a entrambe queste visioni estreme e considerare che
le comunità indigene non sono, per natura, né
reazionarie né rivoluzionarie, né primitive né
moderne.
Ricaricare lorologio
Le comunità indigene formano un mondo presente che si
mescola e si confronta con le realtà più attuali.
È questo presente che dobbiamo prendere in considerazione
in primo luogo, pur riconoscendo che a partire da esso profonde
radici affondano nel passato, mentre si costruiscono progetti
di futuro talvolta ambiziosi. Nella prospettiva zapatista, lapertura
al futuro e il desiderio di trasformazione acquistano un ruolo
fondamentale: «La lotta indigena messicana non viene a
rallentare lorologio [della storia]. Non si tratta di
ritornare al passato e di declamare, con voce ispirata e commossa,
che ogni tempo passato era migliore. Credo che questo
lo avrebbero tollerato e persino applaudito. No, noi popoli
indigeni veniamo per ricaricare lorologio e garantire
così che giunga il domani includente, tollerante e plurale
che, sia detto en passant, è il solo domani possibile...
Insomma, noi indigeni non apparteniamo a ieri, apparteniamo
a domani» (12 marzo 2001). Dopo questa rivendicazione
del futuro si può dare un senso alla forte percentuale
di passato che le comunità indigene manifestano. Per
quanto, come diremo, non riproducano affatto limmagine
di una comunità originaria, esse fanno tuttavia conoscere
delle forme di organizzazione sociale che il capitalismo ha
in genere eliminato ogniqualvolta sono venute a trovarsi sulla
strada del progresso e della modernizzazione. Pur senza rappresentare
il persistere di un mondo precapitalista miracolosamente preservato,
le comunità indigene, attraverso le sfaccettature delle
loro incessanti trasformazioni, permettono di cogliere i bagliori
di quel passato (come testimonia in particolare la loro esperienza
del tempo e dello spazio, della natura e delle relazioni collettive).
Nel presente incessantemente ricreato delle comunità
esiste quindi una componente precapitalista che, se funzionerà
la miscela alchemica fra la reinvenzione dellesperienza
e il recupero di un futuro nuovo, potrebbe costituire una situazione
adatta per radicare una solida resistenza e sviluppare una ribellione
creativa.
Sfida alla disillusione
Tuttavia, la proposta di una nuova alleanza fra passato e futuro
non riguarda solo i popoli indigeni, ma lintera umanità
nella misura in cui si fonda sulla critica del tempo dominante
nel mondo neoliberista. Se il presente perpetuo costruisce la
sua tirannia sulloblio del passato e sulla negazione del
futuro, la storia, nella sua lotta contro il mercato, deve sforzarsi
di ristabilire contemporaneamente la memoria del passato e la
possibilità del futuro. Rifiutare il regno delloggi
neoliberista presuppone una coscienza storica del passato indispensabile
per spezzare lillusione della fine della storia e riaprire
la prospettiva di un avvenire che non sia la ripetizione del
presente. «Le cose sono sempre state così»:
non cè veleno distillato nel clima dei nostri tempi
che sia più utile ai fini delloppressione. La storia,
invece, risalendo il tempo e scoprendo lesistenza di mondi
passati diversi dal nostro, dimostra che ciò che oggi
consideriamo inevitabile, necessario, naturale, è sempre
una costruzione recente, verosimilmente non meno transitoria
delle realtà precedenti («Il nostro sogno già
rivela che i monumenti che il neoliberismo erige a se stesso
non sono che future rovine», 12 marzo 2001). Possiamo
quindi constatare che nei testi zapatisti lidentificazione
del presente perpetuo del mercato trionfante come avversario
fondamentale induce a proporre unalleanza fra passato
e futuro. Di fronte al presente divinizzato, diventato eternità
e sinonimo di oblio e disperazione, una strategia critica non
può essere altro che lesatto rovesciamento della
funesta grammatica dei tempi storici. Per questo linsurrezione
zapatista può definire se stessa come una ribellione
che «ha sfidato la disillusione presente mettendo un piede
nel passato e laltro nel futuro» (maggio 1996).
Jérôme Baschet
Jérôme
Baschet
LA
SCINTILLA ZAPATISTA
insurrezione india e resistenza planetaria
204 pp. / euro 16,00
Lautore, Jérôme Baschet, professore
associato alla École des hautes études en
sciences sociales di Parigi, è anche docente nellUniversità
di San Cristóbal de Las Casas, nel Chiapas. Nel
2000 ha pubblicato, con Gallimard, Le Sein du père,
Abraham et la paternité dans lOccident médiéval.
|
|