Tramonto
di un regime
Desidero complimentarmi con Francesco Berti per il suo articolo
Quando i miti son duri a morire, apparso sul numero
295 di «A». Larticolo ha suscitato lentusiasmo
soprattutto di mia moglie Anita, che non è anarchica
ma è cubana (è nata nel dicembre 1953 a La Habana
e vi ha vissuto fino al 1996, attraversando praticamente tutte
le fasi del regime salvo gli ultimi sviluppi). Anita è
molto grata a Berti per ciò che ha scritto, che corrisponde
perfettamente a ciò che lei pensa. Sostiene di non avere
mai letto finora una posizione così netta sulla questione
cubana, da quando vive qui in Italia.
Il mio giudizio personale è un poco più articolato.
Avrei qualche obiezione su alcuni giudizi espressi nel testo,
che non riguardano però largomento centrale ma
piuttosto lo sfondo. Sul ruolo assunto dagli Stati Uniti nella
politica mondiale, sul conflitto arabo-israeliano, sulla scelta
stessa da parte dei libertari degli interlocutori politici privilegiati,
mi sembra di capire che tra il mio approccio e quello di Berti
ci siano differenze di non poco conto. Su questi aspetti potremo
tornare in futuro, se ce ne sarà loccasione. Qui
mi interessa affrontare il tema principale dellarticolo,
cioè la questione cubana, e su tale aspetto ritengo che
quello di Berti sia un contributo valido e serio.
Conosco abbastanza la realtà cubana, non solo per le
ragioni familiari a cui ho già accennato. Oltre ad avere
letto nel corso degli anni qualche testo, io stesso ho trascorso
complessivamente alcuni mesi a Cuba in occasione di tre diversi
viaggi tra il 1995 e il 2000. Nei miei viaggi cerco sempre di
conoscere la realtà sociale, culturale e politica dei
paesi che visito, nei limiti in cui questo è possibile
a uno straniero che dispone in genere di un tempo limitato.
In questo caso specifico, avere una moglie cubana mi ha consentito
di conoscere più facilmente delle persone e di entrare
in confidenza con loro, stabilendo relazioni meno superficiali
di quelle che normalmente si creano tra i residenti e un semplice
turista.
Sulla base delle mie esperienze e conoscenze, trovo assolutamente
giustificate e corrette le critiche di Berti al regime castrista
e ai suoi estimatori. Riprendo sinteticamente le sue principali
argomentazioni: 1) A Cuba i diritti umani vengono pesantemente
violati e il fatto che le violazioni avvengano anche in altri
paesi non è un valido argomento per evitare di parlarne.
«Qualunque violazione dei diritti umani e delle libertà
fondamentali dei cittadini merita (
) di essere denunciata:
a Cuba come in Iraq, in Italia come in qualunque altro paese».
2) Non è vero che la causa principale delle sofferenze
del popolo cubano dipende dallembargo degli Stati Uniti.
In realtà, le difficoltà del paese e la miseria
di gran parte della popolazione derivano da un sistema economico
fallimentare e da errori dei dirigenti politici. Lembargo
si è risolto invece in un comodissimo alibi per il regime,
per giustificare i propri fallimenti. 3) La pressione economica
e politica esercitata dagli Stati Uniti non può giustificare
in alcun modo il terrore poliziesco che vige a Cuba. In realtà,
il potere dispotico e poliziesco a Cuba iniziò poco dopo
che il gruppo rivoluzionario di Fidel Castro e di Che Guevara
aveva preso il potere e prima che gli Stati Uniti decretassero
il loro embargo (entrato in vigore nel 1961). Lo sanno bene
gli anarchici cubani, eredi di una lunga tradizione di lotte
sociali, in prima fila contro tutte le dittature insediatesi
nel paese caraibico (ultima quella di Batista). A partire dal
1960 molti libertari cubani furono costretti a espatriare per
sfuggire alle persecuzioni, mentre i loro compagni meno fortunati
venivano incarcerati o fucilati. Naturalmente, non furono solo
gli anarchici ad essere repressi dal regime totalitario: tutte
le forze di opposizione, di qualsivoglia matrice ideologica,
furono eliminate coi metodi più brutali e polizieschi.
4) Le conquiste sociali della rivoluzione nellistruzione
e nella sanità non giustificano né potranno
mai giustificare la mancanza di libertà. Non è
necessario creare delle dittature per far funzionare i servizi
pubblici. 5) La pretesa di alcuni estimatori del regime, secondo
i quali a Cuba non ci sarebbe affatto una dittatura bensì
una vera democrazia, una democrazia socialista,
è palesemente falsa e ridicola e non meriterebbe neppure
di essere presa in considerazione. Come osserva giustamente
Berti, «dove vi è un partito unico al potere; dove
mancano libertà di stampa, di associazione, di pensiero;
dove i dissidenti politici vengono perseguiti anche sulla base
di semplici sospetti; dove si infliggono condanne enormi per
«reati» attinenti alla libertà di pensiero;
dove non cè una società civile indipendente
dallo Stato; dove non è possibile svolgere libera attività
sindacale; dove non cè libertà economica;
dove non cè separazione dei poteri dello Stato;
dove il potere non è limitato da altri poteri: ebbene,
in quel fortunato paese vige un regime che nel linguaggio politico
delle persone civili si chiama dittatura. Nel caso di Cuba si
tratta di una dittatura totalitaria, con tutte le differenze
che ciò comporta da altri tipi di dittature».
Tutte queste argomentazioni, e altre riferite a Cuba su cui
non mi soffermo contenute nellarticolo, sono a mio giudizio
corrette e ampiamente condivisibili. Su ciascuno di questi aspetti
potrei intervenire con ulteriori considerazioni, ma anche se
potrebbe risultarne ancora più ricco il quadro conoscitivo,
la sostanza non cambierebbe. Mi limito piuttosto a riprendere
un breve accenno di Berti sul fatto che il regime di Fidel sembrerebbe
godere di un «consenso di massa, come dimostrerebbero
le oceaniche adunate in occasione dei logorroici comizi del
lider maximo». Berti aggiunge giustamente che,
pur ammettendo che tale consenso sia reale, questo fatto non
può ribaltare la classificazione del regime politico
cubano (del resto, anche il fascismo italiano e il nazismo tedesco
hanno goduto per un certo periodo di un ampio consenso di massa,
ma nessuno si sognerebbe di definirli per questo delle democrazie).
A queste giuste considerazioni vorrei aggiungere unopinione
personale che si basa sulla mia diretta conoscenza del paese
caraibico, certo limitata ma credo non del tutto trascurabile.
Ritengo che a Cuba il regime comunista abbia perso da tempo
il consenso della maggioranza della popolazione (consenso di
cui ha indubbiamente goduto nei primi decenni dopo la rivoluzione
contro Batista). Certo, le piazze si riempiono ancora di centinaia
di migliaia di persone in occasione delle adunate di regime,
ma sono convinto che solo una minoranza di loro lo fa per convinzione,
gli altri vanno ormai solo perché ritengono più
prudente non attirare su di sé lattenzione di un
apparato di controllo e di repressione ancora molto efficiente
e ramificato. Del resto, chi può se ne va, anche su imbarcazioni
precarie a rischio della propria vita (sono oltre due milione
i cubani esuli in altri paesi, contro una popolazione residente
nellisola di circa 11 milioni). Nonostante i notevoli
rischi, sono ormai migliaia i dissidenti aperti e dichiarati
che cercano coraggiosamente di modificare il sistema con una
lotta nonviolenta condotta allinterno del paese. La cosa
che più mi ha impressionato, fin dal primo mio viaggio
nel 1995, è il fatto che la quasi totalità dei
cubani che ho conosciuto nelle più diverse province dellisola,
si lamentavano apertamente con me che ero uno straniero, e affermavano
di non poterne più del sistema. Tra queste persone ce
nerano molte che per anni avevano dato alla rivoluzione
la parte migliore della loro vita. Credo proprio che il lento
e tormentato tramonto del regime castrista sia fatale e irreversibile.
Gianpiero Landi
(Castel Bolognese)
Per
Faber e gli “esclusi”
La smisurata preghiera con cui, strappatoci cinque
anni fa da un male crudele, Fabrizio De André ha concluso
la sua straordinaria opera di cantautore e poeta, sempre disobbediente
alle leggi del branco e sempre vicino a chi viaggia
in direzione ostinata e contraria, è un vero e
proprio manifesto di umanità, di giustizia e di pietà,
nel senso più autentico e profondo della parola. Nelle
sue canzoni, senza retorica e senza compiacenti buonismi, vivono
e ci parlano gli esclusi, gli emarginati, i diversi, le anime
sofferenti e solitarie, e con loro, anzi soprattutto grazie
a loro, tutti quelli che continuano a volere un mondo giusto
di liberi ed eguali. Il nostro amato poeta anarchico non cè
più, ma continua a vivere in noi e nelle sue parole,
che sono le nostre parole. Per questo motivo, pur essendo
del tutto insensibili ad ogni forma di culto della personalità,
proponiamo di intitolare una piazza o una via delle nostre città
a Fabrizio De André; anche attraverso il suo nome non
dobbiamo mai dimenticare chi è rimasto tagliato
fuori, chi non si è voluto intruppare
o chi semplicemente non ha neppure avuto la possibilità
di scegliere. Ci piacerebbe anzi che questo atto simbolico fosse
linizio di una nuova spinta collettiva in favore di una
piena valorizzazione delle differenze e della lotta allesclusione
e allemarginazione. Intitoliamo dunque una piazza a Fabrizio,
diamo vita in città e in provincia ad un tavolo di confronto
sulle nuove povertà, opponiamoci con forza a chi esorcizza
le diversità e difende pregiudizi di ogni tipo, ed apriamo
una nuova fase di sensibilità e impegno. Giustizia, pace,
libertà, i valori di sempre.
Per Alessandriacolori e per tutti quelli amano le canzoni
di De André e il pensiero libertario.
Giorgio Barberis
(Alessandria)
Pacchi
postali, pacchi bomba
Care compagne e compagni,
alcuni giorni fa ho ricevuto per posta un paio di cose molto
interessanti, la prima riguarda una mostra internazionale di
«spazzole dartista» per gentile interessamento
di Tania Lorandi «The big Bosse de Nage» dellIstituto
Patafisico; la seconda una raccolta di libretti artistici sul
mestruo, proprio così, sulle mestruazioni, sintitola:
MOSTRIAMO IL MESTRUO ed è a cura di Strega Troglodita
(Troglodita Tribe).
E ancora debbo terminare il «sasso» da dipingere...
già, un sasso, un ciottolo tondo e liscio, che mi ha
mandato un compagno di Alessandria, affinché io lo dipinga.
Anche questo è arrivato per posta, meno male per posta,
non come i sassi dal cavalcavia, e non era diretto a ferirmi...
Mi è venuto da sorridere pensando: ecco, cè
ancora chi fa della posta un servizio creativo!
Che dire della resistenza a Internet, che ormai ci ha fatto
perdere luso delle mani? Mi commuove Remy Perrot da Parigi,
che utilizza i timbri con le anatre che volano.
Ci sono ancora artiste, artisti, e sono tantissimi ve lo assicuro,
che inondano le borse dei postini con le loro missive colorate,
facendo lo slalom fra pubblicità tasse scadenze balzelli
multe e ridondanza dinformazioni patinate, con le loro
carte riciclate, con la loro povertà sbandierata, con
i loro indirizzi scritti a mano, coi loro pacchi e pacchetti
pieni di stelline. Poesia postale che non aspetta natale, arte
povera, anarchia della comunicazione, se ne fotte del consumismo,
è tutto gratis, tutto circolare, una linea orizzontale
continua.
Io e il mio compagno usammo la posta per quattro anni, per rompere
i muri del carcere dovera recluso... erano i nostri i
veri «pacchi bomba», trasgressivi, animati di vita
propria, guardati con sospetto dai secondini, talvolta sequestrati
se il regolamento sessuofobico non accettava il pizzo di un
body dentro una busta. Troppi colori, troppo profumo, troppa
fantasia, troppo erotismo, troppa vita!
Nulla a che vedere con gli anonimi (acronimi omonimi e via dicendo)
che utilizzano la posta per distruggere, per ferire, per mutilare,
per insultare, come il pazzo che per anni, ingegnandosi a imbucare
le lettere da varie località pensando di non essere riconosciuto
(il mostro...), tormentò Horst Fantazzini in galera con
lettere diffamatorie, deliranti, infarcite di volgarità
e di fotomontaggi pornografici sulla sottoscritta, quasi fossi
una diva colpevole di non distribuire la mia fighetta a chi
ne era rimasto sprovvisto.
Ma quale azione diretta? Della posta ci si può servire
per creare contatti, tendere fili o interrompere rapporti, progettare,
ricordare, augurare, criticare, polemizzare, esercitare i propri
diritti; restituire un corpo fisico a unidea sempre più
asettica con Internet; dare tepore e consistenza alle parole
di due innamorati; far sentire la propria solidarietà
ai prigionieri e alle prigioniere che non sono raggiungibili
in altro modo nemmeno per telefono; creare intralcio al potere
con proteste concrete... altri usi o meglio: abusi, sono soltanto
lultima spiaggia di frustrati che non sanno come incanalare
il loro odio represso, la loro frustrazione moscia come il loro
pisello... e questo è possibile e fattibile soltanto
perché la POSTA può essere usata in modo anonimo.
Anonimo, come sono i pacchi bomba, che per me non hanno differenze
sostanziali con le lettere anonime del cazzo, volevo dire del
pazzo.
Anche il pazzo rivolgendosi a Horst si firmava: «un anarchico
che ti stima», e questi plichi incendiari vengono rivendicati
con un volantino assolutamente inconcludente da un punto di
vista politico, che tira in ballo, con grande gioia dei mass
media più fetenti che si cibano unicamente di queste
porcherie, una sedicente inesistente «Federazione Anarchica
informale», e poi cè anche il nome di Horst
Fantazzini, perché vogliono ricordarlo così.
Sì, vogliono ricordarlo così, con le confidenze
«da uomo a uomo» o con lesaltazione maschia
guerriera, sprecando fiumi di inchiostro (e magari prefazioni
barocche auto-celebrative nei libri che Horst non si è
mai occupato, perché non aveva più interesse o
voglia, di ripubblicare)... ma senza avere avuto mai il CORAGGIO
di guardarlo in fondo agli occhi.
Perché, comunque, Horst era molto più donna di
quanto potessero sopportare e accettare.
Un abbraccio libertario e femminista,
Patrizia Diamante «Pralina»
(Bologna)
Un
passo indietro e due avanti?
In riferimento alla lettera di Luigi Veronelli apparsa su A
rivista n. 9 dicembre 03 gennaio 04 dal titolo Propongo
una lista mi permetto di dare il mio contributo come segue.
Sì, lanarchia come vita collettiva (che non può
escludere a priori lapproccio individualista e comunque
lintreccio della sfera individuale con quella sociale)
potrebbe avverarsi in tempi assai ridotti rispetto alle pre-visioni
di Benedetto Croce, ammesso che noi sedicenti anarchici ci chiarissimo
le idee (oltre alle pratiche) su cosa possa e potrà mai
essere questa anarchia «pura, armonica e razionale».
Lavoro duro con se stessi e con gli altri!
Sì, ci si deve confrontare con tutto e con tutti e non
arroccarsi in torri davorio tra mitologia e purismo, forse
anche senza esclusioni a priori.
Non ho riflettuto e dibattuto a sufficienza per poter dire se
un ritorno un passo indietro (società rural-artigianal-commercial-pre
o post industriale?) possa aiutare a farci fare due passi avanti
verso la realizzazione dellanarchia.
Dubito che le odierne autorità (civili, militari, religiose),
anche volendo privilegiare il rapporto con quelle locali, con
cui si dovrebbe trattare, possano essere considerate eticamente
degne di sostenere la trattativa, quantomeno per forma mentis:
in ogni caso nulla escludo a priori!
Fatico a capire se i mercati che verrebbero ad aprirsi ai prodotti
delle «Denominazioni di Origine Comunale» ed i profitti
da questi derivati si possano intendere alternativi al sistema
economico-finanziario che ci domina (attuale mia condizione
sine qua non per passeggiare verso Anarchia, ma potrei sbagliarmi
vista la mia assoluta ignoranza in materie economiche); fatico
ancor di più a capire come arrivare socialmente a partorire
dei «Sindaci che debbono essere autorità amministrative
e non politiche» (quindi con una «forma mentis»
assai diversa dagli attuali appartenenti a quelle autorità
con cui si dovrebbe trattare!).
Infine non ho capito, evidentemente, «il successo clamoroso
ed eversore dei mercati sociali» almeno nella misura in
cui credo di poter rilevare un potenziale anarchico (la messa
in discussione dellautorità?) in leggi di iniziativa
popolare con il passaggio del potere «dallo Stato
non alle Regioni, non alle Province diretto al Comune»
(non conosco la legge costituzionale n. 3 del 2001, ma è
interessante conoscere cosa le autorità odierne abbiano
inteso per «iniziativa popolare col passaggio del potere
di legislazione e di modifica della legislazione»: leggerò
Reclus).
Leventuale opzione elettorale non mi trova pregiudizialmente
contrario (né credo sia nuova in area libertaria) fosse
solo perché di fronte allincapacità di realizzare
purezza, armonia e razionalità con le «nicchie
utopiste» capisco si possa ad un certo punto ritenere
di combattere il sistema «se lo vivi, se ci sei dentro,
se vuoi operare con trattative continue» facendosi portavoce
di un riformismo radicale fino al limite dell«eversione».
Ma mi pare la strada seguita dalle rispettive maggioranze dei
Verdi, di Rifondazione assieme ai Centri sociali del Nord-Est
e di qualche altra parte dItalia; a costoro si deve aggiungere
la variegata ed attivissima area dei cattolici di base che comunque
fanno più cose e spesso migliori di tutti gli altri soggetti
messi assieme.
Per concludere, caro Veronelli, credo ci sia molto da lavorare
in area libertaria per arrivare a scegliere di provare lopzione
elettorale come da te ventilato, intendo dire che bisogna discuterne
con lidea di trovare risposte e decisioni in tempi brevi
(anche in tempo per le prossime europee se vuoi), ma più
il traguardo che ci si darà è vicino nel tempo
e più dovremo mettere a disposizione del nostro tempo
e delle nostre energie alla politica. In ogni caso sinceramente
trovo equivoco, a differenza di te, oltre che prematuro il simbolo
ed il nome alleventuale lista di «Centri Sociali»
proprio perché richiamano alloperazione Verdi-Rifondazione-Disobbedienti
con tutto il portato di autoritarismo e verticismo che comporta
restare nella logica del sistema politico e partitico attuale
come questi signori continuano a fare. Preferisco pensare ad
un nome in cui compaia il termine Libertario piuttosto che Anarchico
se proprio non si vuole spaventare i benpensanti o per aggirare
la potenza del fuoco mediatico e di preconcetti che ci caricherebbero
addosso. Va bene pure scomparire in un qualche cosa di neutro
che assorba la poliedricità dei soggetti da te citati.
In ogni caso non credi che caratterizzarsi per dei politici
non di mestiere, che timbrino il cartellino e non percepiscano
assegni che li pongono anni luce distanti dal paese reale, che
contestino ogni spreco di denaro delle pompemagne istituzionali
sarebbe già un passetto avanti? Se sì riesci a
renderti conto di quale cambio di mentalità e prassi
politica comporta raggiungere un così minimo e parziale
obiettivo anche solo sulla strada della democrazia ?! La fretta
è la peggior consigliera ed il modo con cui il dominio
ti fa restare sempre a 90 gradi, in ogni caso cè
bisogno di darsi una mossa perché a star sempre seduti
a piangere sugli allori si finisce per non aver più il
coraggio di cambiare almeno il paesaggio che si ha di fronte.
Salute!
Ruggero Lazzari
Poetattore libertario (Venezia)
La
replica di Veronelli
Nella lettera di Ruggero vi sono numerose suggestioni.
Lo ringrazio. Ho riletto a lungo una frase di Noam Chomsky (in
Capire il Potere, Marco Tropea Editore, 2002): Lopposizione
della gente alla politica non ha fatto altro che intensificarsi:
era già forte in partenza ed è aumentata per tutti
gli anni ottanta. Prendiamo in considerazione i media: qualcosa
è cambiato, vi è una maggiore apertura, maggiore
franchezza. Oggi è più facile, per i dissidenti,
trovare accesso ai mezzi di informazione di quanto non fosse
ventanni fa e in realtà oggi allinterno delle
istituzioni ci sono addirittura persone uscite dalla cultura
e dalle esperienze degli anni sessanta, persone che si sono
fatte strada nei media, nelle università, nelle case
editrici e in una certa misura perfino nel sistema politico.
Il problema più grande dellanarchismo nasce dallequivoco,
voluto da secoli, sulla parola anarchia e sugli atti che ha
dovuto sottolineo: dovuto compiere. Oggi abbiamo
un estremo bisogno di corretta informazione e visibilità.
Di qui linvito a partecipare. Col proposito ben
diverso da quello dei partiti citati di una eversione,
senza violenza fisica alcuna.
Senza saperlo e senza la possibilità di comunicarlo,
con quegli spazi, anche radiofonici e televisivi, cui avremmo
diritto mi sia permesso il paradosso noi siamo
già maggioranza.
Luigi Veronelli
(Bergamo)
Chiarezza
e semplicità
Ringrazio Antonio Cardella per larticolo Ma
il capitalismo non è emendabile (A
296).
Prima di leggerlo avevo intuito, con un sesto senso più
vicino allignoranza che alla sicumera della conoscenza
per queste cose, che nel tracollo della Parmalat, come in quello
di altri «giganti» internazionali di cui le cronache
recenti danno notizia, qualcosa di «grottesco» e
al contempo di «normale» riassumeva il corso dei
fatti.
Giacché lo capivo anchio tanto era evidente
la buona salute industriale e commerciale del gruppo
agroalimentare non era né è in discussione. La
perderà, la buona salute, molto probabilmente per far
tornare i conti delle speculazioni e dei salti mortali finanziari.
Presagivo che il fatto cinico sarebbe stato (sarà?) che
a pagare il debito fosse proprio la fetta societaria che non
laveva contratto o che comunque ne era esente. In altre
parole, verrà smantellato quello che funzionava?!
Faccio una proposta alla commissione governativa addetta a risolvere
la questione: lasci la ditta nelle mani di chi ci lavora. Chissà
se il suggerimento di autogestione verrà recepito come
una provocazione terroristica?
Torno allarticolo di Cardella. La semplicità è
una grazia rara e fa tuttuno con la chiarezza saputa da
lui far valere. Cosa che per esempio non è riuscita a
trasmissioni benpensanti come «Ballarò»,
da me insolitamente seguita per cercare di capirci qualcosa
sulla faccenda. Ho capito che i presenti interpellati erano
tutti intenti a colpevolizzare gli altri. Insomma parlavano
di come sarebbero dovute andare le cose e non di come stavano.
Non so se larticolo sulla rivista è stato scritto
dal suo autore anche con lintenzione di suscitare riso
in chi lo avrebbe letto. A me ha scatenato risate addirittura
incontenibili tanto le rappresentazioni e il loro ripensamento
da parte mia sono così alla lettera da cogliere
di una tragica farsa la pura allegoria dei fatti.
E grazie al Ma il capitalismo non è emendabile
resto appresso allantico adagio di Brecht: «Che
cosè un grimaldello in confronto a un titolo bancario?
».
Monica Giorgi
(Bellinzona - Svizzera)
I
nostri fondi neri
|
Sottoscrizioni.
Angelo Zanni (Sovere) 10,00; Aurora e Paolo (Milano)
ricordando Cesare Fuochi e Alfonso Failla, 500; Enrico
Bruzzo (Arenzano) 5,00; Massimo Ortalli (Imola) 10,00;
Salvo Vaccaro (Palermo) 5,00; Salvo Pappalardo (Acireale)
10,00; Fabio Canton (Milano) 5,00; Fernando Ainsa
(Saragozza Spagna) 10,00; Giancarlo Nocini
(San Giovanni Valdarno) 65,00; Andrea Gaspardo (Pordenone);
Massimo Locatelli (Inverigo) 20,00; Giampiero Manuali
(Perugia) 16,27; Massimo Bellini (Riola) 20,00; Piero
Bertero (Cavallermaggiore) 20,00; Luca Sini (Milano)
5,00; Edy Zarro (Massagno Svizzera) 10,00;
Andrea Cassol (Cesio Maggiore) 30,00; Libreria Voltapagina
(Genova) 28,00; Felice Riboli (Crema) 5,00; G. Tomasini
(Milano) 5,00; Marcello Motta (Milano) 5,00; Danilo
Vallauri (Dronero) 15,00; Marco Gotta (Torino) 3,00;
Massimo Ortalli e Cristina Valenti (Imola) ricordando
Cesare Fuochi, 100,00; Antonio Pedone (Ponte Felicino)
10,00; Giancarlo Zilio (Selvazzano) 6,00; Giorgio
Nanni (Lodi) 20,00; Angela Sacco (Milano) 10,00; Marco
Buraschi (Roma) 5,00; Riccardo Caneba (Grottaferrata)
10,00; Enrico Panzeri (Valgreghentino) 30,00; Piero
Cagnotti (Dogliani) 20,00; AB (Milano) 30,00;
Roberto Bardelli (Arezzo) 5,00; Oreste Roseo (Savona)
ricordando Giovanna Berneri, Elvira e Umberto Marzocchi,
Amelia e Alfonso Failla, Ugo Mazzucchelli, 11,00;
Vittorio Carsana (Napoli) 10,00; Fabio Rosana (Cuneo)
ricordando Nuto Revelli, 15,00; G.A. (Marsiliana)
20,00; Paolo Scarioni (Milano) 10,00; Cesare Ambrosone
(Como) 5,00; Alessandro Marozzi (Riccione) 10,00;
Michele Vaccaro (Pompei) 5,00; Tiziano Viganò
(Casatenovo) 10,00.
Totale euro 1.189,27.
Abbonamenti sostenitori.
Cosimo Valente (Grugliasco) 250,00; Aimone Fornaciari
(Liutuntie Finlandia) 100,00; Stefano Quinto
(Maserada sul Piave) 100,00; Livio Ballestra (Nizza
Francia) 200,00; Luigi Piccolo (Padova) 100,00;
Gianluca Botteghi (Rimini) 100,00; Luca Todini (Brufa
Torgiano) 100,00; Arturo Schwarz (Milano) 100,00.
Totale euro 1.050,00.
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