Il Sistema Sanitario Nazionale e gli anarchici
Concettualizzare, in poche righe, uno fra i tanti punti di
vista degli anarchici rispetto al Servizio Sanitario Nazionale
(d’ora in poi SSN) è cosa ardua ma utile se serve
alla formazione collettiva di un orientamento condiviso degli
anarchici. Sul e nel mondo della Sanità. In altri termini
quando lo Stato era pura repressione, come abbiamo avuto occasione
di vedere a Genova tempo fa e le malattie infettive e le malattie
sociali come la pellagra, la TBC falcidiavano la popolazione
senza che questa, a parte l’opera meritoria dei medici
condotti, dei Sindacati e di alcuni illuminati Igienisti avessero
alcuno dalla sua, non era presente ciò di cui la popolazione
è virtualmente in grado usufruire, nel quadro normativo
del SSN, sotto il profilo della Prevenzione, Terapia e Riabilitazione.
Oggi a prescindere dalla maggiore o minore, migliore o peggiore
assistenza erogata dal SSN da parte dei singoli Servizi, Distretti,
Policlinici Universitari ecc., si pone il problema per gli anarchici
come porsi sul piano dei principi rispetto ad una funzione dello
Stato di rilevante interesse nazionale, costituzionalmente garantita
di enorme impegno economico (fondo sanitario del Paese di 80
milioni di euro per il 2004), che coinvolge la totalità
della popolazione.
Non appare coerente con la finalità di un movimento che
via via sta diventando sempre più popolare, trascurare
un aspetto così importante delle preoccupazioni popolari
rivolte alla tutela della salute. Fatto di per sé banalissimo
perché corrisponde al più naturale esercizio della
cura di sé, ma che non si limita a questo; ma si collega
alla tutela dei più deboli, degli immigrati, degli anziani
e dei bambini, degli affetti da malattie per le quali la ricerca
scientifica si batte per affrontarle nel miglior modo: penso
alle distrofie muscolari, alle patologie genetiche, ecc.
Eppure dove l’attenzione è più avvertita,
dove l’assistenza e la prevenzione degli infortuni e delle
malattie professionali è più avanzata come ad
es. nelle ex regioni rosse, nel Trentino, in Piemonte, si tratta
sempre e comunque degli effetti dell’applicazione più
puntuale e rigorosa di leggi che pur vi sono da oltre un cinquantennio
o di norme recenti e del tutto innovative, come il Dlgs 626/94
sottoposto a continue modifiche migliorative assai complesse,
norme che quando applicate con maggiore dedizione e rigore dalle
varie figure coinvolte, a cominciare dal mondo del lavoro, passando
per la Magistratura del Lavoro, per le ASL, per il personale
sanitario, producono concreti effetti di salute.
Ossia ci si trova di fronte ad un’equazione che denega
le speranze degli anarchici nel venir meno del ruolo fondamentale
dello Stato ma che migliora la vivibilità popolare. Da
una parte il funzionamento reale delle leggi, della Magistratura
Penale e Civile in funzione di difesa dei diritti dei cittadini
e della popolazione migliora di fatto la vita della popolazione
e ne tutela le componenti più deboli, dall’altro
ciò comporta la delega di potere, induce e ribadisce
l’abitudine a cercare nello Stato la tutela del diritto
assistenziale e preventivo delle malattie, rende vana sotto
questo aspetto la tesi dell’anarchismo che contraddice
lo Stato e non ne vede alcun lato positivo. Che fare quindi?
Si apre la possibilità e l’opportunità di
trattare di queste contraddizioni per determinare i principi
del pensiero anarchico su temi di grande rilevanza popolare
che sono di pressoché esclusiva competenza gestionale
dello Stato e dei privati, che rientrano in un discorso non
solo manageriale ma anche di migliore allocazione delle risorse,
che per definizione sono scarse, sotto il profilo assai complesso
della produzione del bene salute.
Chiunque operi nel sistema sanitario sa bene che questo sistema
non ha nulla di anarchico, risponde a reali esigenze e bisogni
della collettività e non soltanto come espressione della
gestionalità statale, ma anche di quella regionale, ossia
dei microstati in formazione, della comunale e delle ASL in
un contesto normativo caratterizzato dal profondo rinnovamento
della Pubblica Amministrazione. Di fronte a tutto ciò
noi non abbiano proposte metodologiche per invertire la tendenza
sempre più statizzante di soggiogare la difesa e la tutela
della salute alla direzione dello Stato e di organi comunque
ispirati dalla metodologia di funzionamento statale, difesa
e tutela che tuttavia con tutte le sue lacune funziona meglio
di quanto si creda.
Argomentando sui temi della vita Malatesta che scrisse Al
Caffè, opuscolo di immensa rivoluzionaria saggezza
e riflessione che fu tradotto in tutte le lingue del globo,
oggi sicuramente inserirebbe una riflessione sulla salute, pur
serbando sempre molta diffidenza per l’assistenza e la
previdenza perché vi vedeva un inganno. Il maestro tracciò
con l’elaborazione del concetto di gradualismo rivoluzionario
una metodologia alla quale fare riferimento per affrontare temi
che apparentemente non sembrano affrontabili dal punto di vista
della rivoluzione sociale; per l’assoluta sproporzione
tra l’ideale e la realtà e dove il coinvolgimento
rischia di trasformare un’ideologia rivoluzionaria in
un’ideologia riformista.
Oggi porre il problema della gestione della salute sotto il
profilo anarchico, ossia dell’autogoverno e del federalismo,
elaborare la soluzione delle problematiche, può essere
utile nella prefigurazione del mondo che verrà quando
lo Stato avrà esaurito il suo ruolo nella coscienza popolare.
Ippocrate
Premio Tenco 2003. Un posto per l’anima dei poeti
Un’edizione, la XXVIII, in continuità con la precedente.
Da “Tradittori e tradutori” a “L’anima
dei poeti, quando la canzone incontra la letteratura”.
Un tema dalle possibilità infinite tanto è vicino,
da sempre, l’arte della scrittura con la canzone d’autore.
Infatti, di carne al fuoco ce n’è stata parecchia
se consideriamo i convegni che hanno tenuto banco e che hanno
visto numerose partecipazioni tra artisti, giornalisti e studiosi;
ricordiamo Andrea Satta, Franco Fabbri, Francesco Guccini e
Sergio Staino, Enzo Vendrame, Gianni Mura, Vincenzo Cerami,
Fernanda Pivano… naturalmente gli organizzatori, esperti
ed appassionati ispiratori. E pazienza se qualche incontro ha
avuto una resa più folkloristica quando nella maggior
parte dei casi, invece, si è avuto il taglio ben specifico
dell’approfondimento. Per esempio, tra gli appuntamenti
più interessanti, è da ricordare senz’altro
l’intervento, simpatico e assai brillante, della musicista-studiosa
Giovanna Marini nella non insolita veste di docente di cultura
e musica popolare. Un’altra caratteristica non dichiarata
di questa edizione è stata la massiccia presenza femminile
tra le protagoniste assolute. Se, infatti, andiamo a sbirciare
nel palmares del Premio Tenco ci accorgiamo che mai si erano
avute quattro premiate nell’ambito della stessa manifestazione.
Nello specifico, Patti Smith, Jane Birkin e Maria del Mar Bonet
Premi Tenco, Giovanna Marini Targa Tenco nella categoria miglior
interprete per il disco Il fischio del vapore con Francesco
De Gregori, ormai assente cronico della manifestazione. Il quadro
si completa se consideriamo, tra gli ospiti, anche Alice che
ritira la Targa assegnata a Giorgio Gaber per il miglior disco,
Io non mi sento italiano. Altre situazioni interessanti
si sono avute con i Sud Sound System vincitori della Targa per
il miglior disco in dialetto, Lontano. Il collettivo
pugliese non poteva fare miglior esordio alla manifestazione
con un riconoscimento più importante: sia pur priva del
guru Papa Gianni, la compagine salentina per alcuni ha scompaginato
il trend del Premio Tenco – ai tempi gli “intrusi”
si chiamavano 99 Posse, Almamegretta, Frankie Hi-Nrg, La Famiglia…
– per altri invece, più semplicemente, lo ha compattato.
E pazienza per i nostalgici (puristi?) che non riescono ad entrare
nell’ottica di una cultura musicale altra che, per la
qualità di scrittura dei testi e per la capacità
di comunicazione ed espressione musicale, anche se con scale
e tempi differenti, non si muove nella stessa lunghezza d’onda
della musica della banalità. In attesa che l’hip-hop
esprima il suo De André, segnaliamo con piacere che il
Tenco non mostra né segnali di logoramento né
problemi di lungimiranza (anche se un punto di osservazione
altro non può non notare che la presenza costante di
alcuni personaggi limita, gioco forza, la partecipazione di
altri). Per rimanere in argomento, il talento stravagante di
Vinicio Capossela, per fortuna, ha trovato nella manifestazione
sanremese un ottimo compagno di viaggio che ha saputo assecondarlo
magnificamente. A parte i concerti, non riusciamo a vedere altri
palcoscenici importanti in grado di esaltare l’estro del
buon Vinicio che “rilegge”, per esempio, i sonetti
di Michelangelo immobilizzato da una camicia di forza. E che
dire dell’erede di Roberto Murolo, Fausto Cigliano? Per
lui il problema è uguale anche se per motivi opposti:
riuscite ad immaginare la sua lenta e passionale napoletanità
nei salotti “buoni” della domenica pomeriggio o
nei veloci format dei satellitari musicali? Insomma, la manifestazione
pare realizzare un’edizione di alto valore culturale in
cui accompagna, ed affianca, artisti più freschi (Enrico
Nascimbeni, Nicola Costanti, Kosovni Odpadki, i dervisci roteanti
Sabri Mahomood e Fana, Morgan, Targa Tenco per il miglior disco
d’esordio) ad altri più stagionati (Roberto Vecchioni,
Mauro Pagani, Palladini e Gargano, Alessandro Haber, Enzo Jannacci,
Targa Tenco per la miglior canzone) in un continuo e producente
passaggio di consegne. Da ricordare, anche la presenza massiccia
dei comici d’autore come Antonio Albanese, Stefano Nosei
e Marco Paolini che scorta i Mercanti di Liquore, tra i più
promettenti artisti degli ultimi anni. Meglio non considerare,
invece, Enzo Iacchetti il cui repertorio è risultato
debole e inutile: era forse quello degli esordi?
Stefano Starace
San Remo, Premio Tenco 2003.
Antonio Silva, Fernanda Pivano, Patti Smith
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