Rivista Anarchica Online


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Vieni avanti, pinguino
di Carlo Oliva

 

La storia di due pinguini maschi ha dato vita, nell’America preelettorale, ad un dibattito singolarmente mal posto.

Anche se San Valentino è passato da un pezzo, permettetemi di occuparmi di due innamorati, i cui casi, peraltro, la stampa ha già avuto occasione di trattare. Si tratta, non ve ne stupiate, di Roy e Silo, due pinguini ospiti dello zoo del Central Park, a New York. Sono, sotto tutti gli aspetti, due amanti modello: inseparabili da sei anni, esibiscono, stando almeno a «Repubblica» (8 febbraio u.s.), che riporta un servizio del «New York Times», quello che «nel gergo dei pinguini», o, più probabilmente, degli studiosi che se ne occupano, «si chiama comunemente ‘comportamento estatico’», vale a dire che «se ne stanno appoggiati l’uno sulla spalla dell’altro, si lanciano richiami e fanno sesso». Niente da giustificare, in realtà, l’interessamento dei media, perché sono tutte cose che gli innamorati, potendo, fanno da sempre, a qualsiasi specie animale appartengano, ma sapete anche voi quanto siano pettegoli e conformisti gli operatori dell’informazione. Roy e Silo sono ambedue maschi e sembra che anche negli Stati Uniti basti questo per fare della loro storia un fatto di cronaca.

Leggi bigotte e intolleranti

Secondo la giornalista del NYT che si è occupata della faccenda, i due pennuti, «dovendo antropomorfizzare un po’, sono pinguini gay». In effetti, si direbbe che, una volta tanto, l’antropomorfizzazione non sia del tutto arbitraria: «quando è stata presentata loro una pinguina entrambi si sono categoricamente tirati indietro e anche le femmine della loro specie non paiono interessate a loro». Tuttavia, più fortunati dei loro omologhi umani vessati in buona parte del mondo da leggi bigotte e intolleranti, i due hanno potuto accedere all’esperienza dell’adozione: Rob Gramzay, il loro custode, ha provato a consegnargli un uovo fecondato e quelli se lo sono covato per i trentaquattro giorni regolamentari, fino alla nascita di una pulcina che hanno poi accudito con cura e perizia finché non ha raggiunto l’età per cavarsela da sola. Una bella storia, tutto sommato, sulla cui morale si dovrebbe meditare, non diversamente di quanto si fa con tanti altri racconti che hanno per protagonisti degli animali.
Quella di Roy e Silo, tuttavia, non è una favola. Il loro caso, che non è, tra parentesi, affatto unico, nemmeno negli ambienti ristretti dello zoo del Central Park e dell’acquario di Coney Island, è finito sotto i riflettori della stampa per via del dibattito, vivace in America in fase preelettorale, sui risvolti legali dell’omosessualità umana, risvolti che vanno dal matrimonio dei gay alle vecchie leggi contro la sodomia che molti stati si ostinano a mantenere in vigore. Anche se gli scienziati, in questi casi, sono comprensibilmente restii a generalizzare e a estrapolare, c’è chi lo fa per loro: così i gruppi gay sostengono che se il comportamento omosessuale è presente tra gli animali, non può certo definirsi, secondo la nota formula, «contro natura», per cui non dovrebbe essere censurato sul piano morale e legale. Meno legati all’ideologia roussoviana, i loro avversari, specie se appartenenti a gruppi religiosi di stampo fondamentalista, ribattono che quei comportamenti vanno perseguiti e preclusi proprio in quanto «animali».
È una questione, naturalmente, di punti di vista. Se volete un’opinione personale, il dibattito sembra singolarmente mal posto. Non crederò mai che qualsiasi discorso sul comportamento «naturale» dei nostri confratelli animali possa influire sulla realtà repressiva di quelle, o altre, leggi. La difesa dei diritti dei gay è sacrosanta, ma va ovviamente affidata, più che a un’analogia che lascia il tempo che trova, anche perché non si vede che cosa ci sia di «naturale» nella vita di due creature costrette loro malgrado in uno zoo, a una seria riflessione sulla libertà umana, che è appunto quello da cui certi ambienti più che da ogni altra cosa rifuggono.

Eredi di Galileo

Però è curioso, lo ammetterete, che ci si continui ad accanire, oggi, sul vecchio concetto tomistico e aristotelico del «secondo natura», quello che già metteva in tanto imbarazzo Dante nel XV canto dell’Inferno. E Dante e i suoi contemporanei, se non altro, avevano della natura una concezione piuttosto vaga, a metà tra il paradigma scientifico e l’ipostasi religiosa, e potevano tranquillamente inserirvi o escluderne tutto ciò che volevano o non volevano. Noi, figli più o meno devoti della rivoluzione scientifica ed eredi, in un modo o nell’altro, di quel Galileo cui persino papa Wojtyla ha sentito il bisogno di fare le sue scuse, abbiamo molto meno libertà di movimento. Dovremmo sapere, come minimo, che, salve le convinzioni morali e religiose di ognuno, non si può dare natura fuori dal regno della necessità, qual è definito dalle leggi scientifiche che di volta in volta poniamo. Che può sembrare un’affermazione complicata, ma vuol dire semplicemente che qualcosa «contro natura» non è né punibile né deprecabile, ma, semplicemente, impossibile. Come non ci sogniamo di stabilire una pena per chi dovesse violare la legge di gravità, non dovremmo avere bisogno di precludere per via legale dei comportamenti che, se la natura non li prevedesse, non si darebbero affatto. Attenendoci alle categorizzazioni correnti, insomma, dovremmo riconoscere alle «leggi di natura» e ai comportamenti naturali quel tanto di ineluttabilità che impedisce di farne oggetto di legislazione positiva, a meno di assumerci la responsabilità, tutt’altro che indifferente, di cambiare tutte le carte categoriali in tavola e rinunciare, oltre che alla scienza, alla tecnologia che su di essa si fonda.
Il problema – in altre parole – dovrebbe essere tutto di coerenza teorica. Dovrebbe, ahimè, perché quando qualcuno ha voglia (o interesse) di vietare qualcosa a qualcun altro, non si fa certo impressionare dalle contraddizioni della teoria dello stato di natura o da quelle della cultura corrente. Quando si tratta di imporre agli altri la propria volontà e i propri modelli, o di salvaguardare le istituzioni da cui dipende il proprio potere (la famiglia tradizionale, per dirne una), non c’è coerenza che tenga. Se il richiamo alla natura non basta, si può sempre ricorrere a qualcosa d’altro: una tradizione, un libro sacro o una esplicita dichiarazione dello Spirito Santo o di chi per Lui. Lo si è già fatto tante volte, d’altronde… Roy e Silo non lo sanno, perché i pinguini, fortunati loro, di certe cose non si occupano, ma tra noi umani i dadi del gioco del potere sono sempre truccati.

Carlo Oliva