Rivista Anarchica Online


appartenenza

Identità e libertà
di Francesco Codello

 

La nostra concezione della libertà non può essere né l’uguaglianza forzata del socialismo, né l’estremizzazione senza valori del liberalismo.

Una schiacciante maggioranza di deputati francesi (494 contro 36) ha approvato il 10 febbraio scorso, in prima lettura, una legge che vieta agli alunni di tutte le scuole, di esibire tutti i segni e i modi di vestire che manifestino ostentatamente la loro appartenenza religiosa.
Niente più velo, niente più kippah, niente più crocifisso, niente più turbante: a scuola nessuno può indossare il segno più evidente e immediato della propria appartenenza religiosa.
Questa legge ha aperto in Francia, ma anche negli altri paesi europei, una vivace e accesa discussione nella quale è difficile non trovare ragioni sensate e positive nei vari schieramenti creatisi e nei distinguo all’interno delle opzioni più generali che si affrontano sulla questione.
Soprattutto è apparentemente impossibile non accogliere le istanze di eguaglianza e di emancipazione che provengono dallo schieramento a favore di questo provvedimento, ma è altrettanto difficile non accettare le tesi dello schieramento opposto, quando rivendicano il diritto all’appartenenza identitaria e al ruolo della donna nel processo di emancipazione (rimando alla lettura esemplificativa di due articoli apparsi su “Le Monde Diplomatique” del febbraio del 2004).
In realtà il problema non si esaurisce nella trattazione delle ragioni espresse dai due schieramenti e dal tentativo comune di dimostrare come questo provvedimento sia positivo o negativo, avvicini o allontani, stimoli o reprima, il comune obiettivo dichiarato di maggiore libertà e più completa emancipazione dalla religione e dalla sua funzione oppressiva.

Principi e valori

Allora proviamo a isolare la discussione dalle sue argomentazioni più evidenti e immediate, dalla storia e dalla cultura francese, dalle difficoltà enormi che hanno non solo gli Stati ma anche le società di integrare popolazioni diverse in un mondo sempre più globalizzato, dall’influenza esercitata dal Vaticano e dalle pressioni delle altre comunità religiose, dalla volontà di rendere tutti uguali formalmente e asetticamente, dalle istanze di affermazione delle differenze e dalla spinta all’unificazione globale.
Proviamo insomma a condurre la discussione su di un piano di principi e valori e di dare ad essa una lettura libertaria che possa servire a riflettere sulla natura stessa dell’anarchismo e sulle sue fondamenta.
E qui risultano evidenti subito due chiavi di interpretazione abbastanza distinte che ripropongono ancora una volta la discussione sulle radici dell’anarchismo e sulla sua evoluzione storica.
Ma, onde evitare fraintendimenti, un’ulteriore precisazione: leggere la realtà e astrarre poi da essa delle considerazioni e non viceversa mi pare un elemento fondamentale per non commettere il tragico errore di sovrapporre alla vita uno schema ideologico dentro il quale spiegare conseguentemente il mondo.
Dietro alla questione sopra esposta possiamo esplicitare una serie di problematiche e di conseguenze che cercheremo di affrontare con una prospettiva libertaria. I problemi in evidenza sono parecchi ma il principale attiene al rapporto tra libertà individuale, neutralità sociale e dimensione comunitaria.
Voglio dire che esiste innanzitutto il valore della libertà personale e di come questa libertà possa esprimersi concretamente ma anche di quale diritto abbia, e quanto possa, una società limitarne le manifestazioni. Parlo di società e non di Stato, in quanto considero quest’ultimo per definizione uno strumento oppressivo sia nella sua confessionalità che nella sua laicità.
Intendo dire che non si può che essere contrari al fatto che sia un organismo estraneo alla libera associazione degli uomini e delle donne ad arrogarsi il diritto di imporre una religione o una ideologia agli individui.
Quindi i termini della questione così come sono affrontati dai vari dibattiti che vedono nello Stato il punto di snodo della questione non mi interessano.
Ma questo non significa che non esistano comunque delle questioni aperte e tendenzialmente, anche all’interno dell’anarchismo, interpretabili in modo diverso.
Così come mi pare evidente che la scuola non può esigere in ingresso nessuna dichiarazione di fede, né nessuna abiura alla propria fede e ai propri valori, mi pare altrettanto evidente che la stessa scuola, perlomeno quella che piacerebbe a me, non può esimersi, attraverso il confronto, dall’impedire che prendano piede forme organizzate di potere discriminante e oppressivo.
Detto questo rimangono aperti i problemi veri, quelli per i quali non esistono sicuramente verità assolute, né soluzioni definitive, né tantomeno certezze dietro le quali nascondersi.
L’anarchismo, nella sua costante tensione tra libertà individuale e dimensione comunitaria, tensione irrisolvibile e per fortuna mai compiutamente soddisfacente, può, proprio per questo, aiutarci a scandagliare i problemi e indicarci una via percorribile pur nella sua relatività.
Il liberalismo e il socialismo, precisando la superiorità di un aspetto o dell’altro, hanno fallito sostanzialmente la risoluzione di questi problemi. Non possiamo, credo, accettare il relativismo etico (poiché tutto è relativo tutto è accettabile) né il dogmatismo identitario (questa comunità ha queste regole e a nessuno è dato modificarle o sopprimerle). E qui non si tratta solo di velo, ma di infibulazione, di negazione e oppressione delle diversità, ecc. ecc.

Forza conservatrice

Ma non si può neanche accettare l’assunto che libertà giuridica di scelta equivalga ad ammettere che in virtù di ciò tutti siano realmente liberi di scegliere.
Il multiculturalismo, guidato dal postulato della tolleranza liberale che afferma il diritto di una comunità all’autoaffermazione e al riconoscimento pubblico delle identità, nasconde spesso una forza essenzialmente conservatrice e perpetuante le disuguaglianze (l’esempio più evidente è quello delle donne islamiche). L’oscenità morale viene spesso rivalutata come bellezza estetica di tipo culturale.
Bisogna dunque distinguere tra una libera adesione individuale ad un’appartenenza (sempre rinegoziabile) con una scontata a priori appartenenza identitaria da cui discendono i contorni entro i quali esercitare la propria libertà individuale.
Ciò che prima era giustificazione della disuguaglianza fondata sulla presunta minorità di alcune razze si trasforma in un’altra disuguaglianza, teorizzata ed espressa dal diritto alle diversità di esprimere la propria specificità.
Insomma non possiamo rinunciare, in quanto anarchici, all’esaltazione della diversità e al contempo abdicare ad alcuni valori fondanti la nostra identità e la nostra ragione d’essere.
Non posso accettare, in pratica, che in nome della propria cultura, tradizione, religione, storia, alcuni esseri umani perpetuino una violenza e una sopraffazione ai loro simili, ma non posso neanche impedire a queste varietà culturali di esprimersi. La nostra concezione della libertà non può naufragare né dentro l’uguaglianza forzata del socialismo, né dentro l’estremizzazione senza valori del liberalismo.
La nostra indispensabile identità non può mai essere un ostacolo alla nostra individuale libertà di sperimentazione ma neppure la nostra irrinunciabile libertà può trasformarsi in limitazione di quella altrui.
Voglio dire, tornando al pretesto storico e attuale di queste riflessioni, che nessun anarchico può ragionevolmente contestare a nessun uomo o donna di esprimere la propria religiosità in modo individuale e pubblico fin tanto che questa pratica non rappresenta una minaccia per gli altri e non si trasforma, da scelta libera e consapevole di ogni individuo, in automatica e deterministica definizione identitaria.
In ogni caso nessuna legge dello Stato può mai risolvere la libertà individuale e sociale. Solo la ragione e il confronto possono promuovere una pluralistica comunità di essere liberi e uguali.
Si badi bene che non sto parlando di fredda e asettica tolleranza ma ancora una volta di necessaria meticizzazione e non penso pertanto ad un pluralismo di diversità contrapposte ma di sempre nuove e il più possibile eterogenee comunità.
Così come non si esporta con la violenza la democrazia tantomeno non si impone con la violenza neanche l’anarchia. Ma soprattutto non si amplia la libertà negando e contestando quelle forme, pur relative e sempre più spesso minacciate di approssimazione alla libertà che desideriamo.

Francesco Codello