Da diversi decenni,
da quando cioè i politicanti professionisti delle politiche
istituzionali hanno raggiunto la consapevolezza che i loro messaggi
e le loro riflessioni giungono al vasto pubblico attraverso
la forza della persuasione mediatica, il linguaggio della politica
ufficiale è continuamente improntato da tensioni elettoralistiche.
In altre parole è come se fossimo permanentemente immersi
in una campagna elettorale che sembra non aver fine. Le regole
fondamentali di tale linguaggio sono la costante criminalizzazione
dell’avversario ed il bisogno, indotto dagli strumenti
mass-mediatici, di semplificare al massimo i codici linguistici
della trasmissione del pensiero, a scapito ovviamente della
vera comprensione che, se è tale, non può non
tener conto della complessità del reale, dei passaggi
argomentativi e della vastità delle problematiche, difficilmente
rinchiudibili in slogan e frasi ad effetto, come invece richiede
la prassi consolidata della comunicazione mediatica.
L’asprezza dello scontro verboso è in costante
aumento e sottrae l’attenzione delle masse in ascolto
che, invece di essere indotte a soffermarsi e riflettere sul
senso e la complessità dei problemi che ci attanagliano,
sono al contrario portate ad immergersi in una fruizione da
tifo per l’una o l’altra parte in lizza, trasportate
su un piano ad effetto ricettivo d’istinto, con l’intento
programmato di deviarle dal bisogno di capire e valutare, per
il quale invece sarebbe indispensabile venissero offerti strumenti
adatti a riflettere, opposti a quelli in auge, atti ad indurre
ed intontire per essere meglio fagocitati e sottomessi ai bisogni
dei poteri vigenti.
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Messaggi semplici, anzi semplicisti
Quando poi c’è una concreta campagna elettorale
in atto, tutto questo fare ed apparire della politica professionale
si dilata a dismisura, proprio per il bisogno degli imbonitori
politicanti che i messaggi siano il più possibile semplici,
di fatto semplicisti ridotti all’osso, e chiari, di fatto
fruibili senza riflessione, perché debbono creare distinzione
identificativa. In una competizione che, come aveva ampiamente
previsto Schumpeter, ha sempre di più le caratteristiche
della concorrenza pubblicitaria finalizzata a lanciare prodotti
sul mercato, lor signori, per sedurre gli elettori a votarli,
debbono essere accattivanti, seducenti ed apparire credibili.
In questa kermesse i prodotti che vengono lanciati sono gli
stessi lor signori, a scapito ovviamente delle idee, quelle
poche quando ci sono, che invece dovrebbero contraddistinguere
la propaganda politica.
Ci avviciniamo alle elezioni europee del 2004 in corso e questa
specifica teatralizzazione mediatica ad ampio raggio è
sotto gli occhi di tutti noi con grande evidenza. Il potenziale
elettore viene sommerso quotidianamente da informazioni e comunicazioni
aggressive, attraverso un ampio e sapiente uso di parole, immagini
e suoni, che, al di là delle precostituite differenze
di parte, nella sostanza è portatore di un unico messaggio
di fondo: la demonizzazione dell’avversario ed il tentativo
di essere accreditati come i veri capaci risolutori delle istanze
e dei problemi quotidiani delle persone che devono essere governate.
Tutta l’area di centrosinistra, prodiana e non, accusa
il governo berlusconiano in carica di essere la causa principale
dello sfascio economico e sociale che sta vivendo il bel paese.
Di rimando la coalizione di centrodestra sostiene al contrario
che tutto sta marciando per il verso giusto, mentre quelle poche
cose che ancora non funzionano sono dovute esclusivamente a
problemi internazionali, di cui quindi non si sentono responsabili,
e, soprattutto, all’eredità completamente manchevole
lasciata dai precedenti governi dell’attuale opposizione,
ma, se si continuerà a darle fiducia, nel giro di qualche
anno risolveranno tutto nonostante il sabotaggio constante attuato
dalla coalizione avversaria di sinistra.
A noi, che siamo staccati osservatori non fruitori e non coinvolti
emotivamente, ma che, come ogni altro abitante di questo beneamato
bel paese, siamo costretti a subire le decisioni dell’uno
o dell’altro pur non partecipando e contro la nostra volontà,
questo teatrino mediatico della politica istituzionale nostrana
ci appare alquanto caricaturale, ben farcito di contenuti comici
avulsi da ogni tipo di autoironia, drammaticamente sospeso su
un provincialismo inveterato e sulla mancanza di consapevolezza
della tragicità della commedia che stanno seriosamente
recitando. Una cosa va chiarita. La nostra distanza non è
in alcun modo equidistanza dall’uno e dall’altro.
Se così fosse, in un certo senso saremmo nel mezzo, geometricamente
appunto distanti in egual modo da entrambi, quasi ironicamente
e fatalmente parte del famoso centro sociopolitico da tutti
corteggiato. In realtà è come se ci trovassimo
su un altro pianeta, allegoricamente degli alieni della politica,
che scrutano curiosi i comportamenti, ai nostri occhi paradossali,
dei politicanti professionisti, senza sosta impegnati a racimolare
consensi per avere il potere di gestire, con poca soddisfazione
e gran fatica, ciò che con un eufemismo da tempo consolidato
tutti continuano a chiamare bene comune.
Scannarsi per gli stessi obiettivi
La prima cosa che notiamo è che entrambi i contendenti
tendono a scannarsi con gran fendenti usando bellamente gli
stessi parametri e gli stessi riferimenti, propugnando più
o meno gli stessi obiettivi da raggiungere ed usando lo stesso
identico linguaggio. Al livello della qualità di rappresentazione
tra loro insomma non ci sono differenze, né di stile
né di immagine. Quelle che ci sono appaiono insignificanti
rispetto alla differenziazione, più o meno efficaci a
seconda dei casi. Dalle ugole mediatiche dei leader in lizza,
di centrodestra o centrosinistra non ha importanza, fuoriesce
continuamente un grido univoco, scandito con ossessiva e avida
insaziabilità: “Noi vogliamo potervi governare.
Il nostro programma di governo è fondato sulla volontà
di risolvere i problemi di tutti voi. Fidatevi! Abbiamo i numeri
per poterlo fare e ne siamo del tutto capaci, a differenza dei
nostri avversari.”. La volontà di pervenire al
potere col consenso elettorale, per acquisire la possibilità
di esercitare legittimamente il governo su tutto e su tutti,
è il minimo e allo stesso tempo massimo comun denominatore
di entrambi.
Dal nostro osservatorio di alieni è proprio questa inveterata
volontà di governare a tutti i costi che non funziona.
E non funziona per due ordini di motivi: primo perché
riteniamo impositiva, autoritaria e coattiva ogni logica fondata
sul comando dall’alto, mentre vorremmo che il decidere
ciò che riguarda tutti fosse concordemente stabilito
da tutti; secondo perché lo scopo fondamentale del loro
governare è quello di governarci per far funzionare al
meglio il sistema vigente, che non ci piace ed a cui, nolenti
o volenti, non possiamo sottrarci.
Perché il presupposto principale e fondamentale accreditato
per la soluzione dei problemi della società deve avere
sempre e soltanto un carattere di decisione verticale, secondo
cui spetta solo a degli addetti specializzati, che hanno l’onere
e il compito di stabilire per tutti gli altri, il come e il
quando vanno applicate norme e soluzioni che bisogna subire
obbligatoriamente? Dal punto di vista del principio ha un’importanza
molto relativa che a farlo sia un monarca o un parlamento. Si
tratta sempre di qualcuno, investito di una carica istituzionale,
che ha la facoltà di decidere per tutti e il potere di
imporre le sue decisioni con la forza e la prepotenza delle
armi e dei tribunali. Eleggerli vuol dire quindi contribuire
a scegliersi consensualmente i propri padroni. È come
dare un’investitura ad un monarca collettivo. Infatti
non vanno lassù con un mandato revocabile, bensì
con una vera e propria investitura di potere. Una volta lassù,
fino a quando il governo non decade, o per incapacità
o per fine del mandato costituzionale, chi ha votato non può
più intervenire, ma può solo imprecare per gli
errori commessi od aspettare il prossimo turno elettorale per…
ripetere sostanzialmente lo stesso errore: delegare a dei professionisti
della politica ciò che potrebbe tentare di condividere
con altri, come lui o lei, attraverso forme di autogestione
collettiva.
Andiamo a vedere che cosa poi vuol dire nei fatti. Lor signori
debbono e vogliono governarci. Per farlo definiscono quell’insieme
di leggi e leggine che, sia nei tempi sia nei modi, stabiliscono
i nostri comportamenti nei luoghi di lavoro, per la strada,
nei luoghi d’incontro, quando acquistiamo qualcosa, dovunque
insomma abbiamo necessità di muoverci e di agire. Le
loro decisioni sono leggi, cioè comportamenti obbliganti
cui siamo costretti ad attenerci, che siano eque o no, che ci
appaiano giuste o no, altrimenti incorriamo in sanzioni, stabilite
sempre da loro, più o meno pesanti a seconda che la trasgressione
sia giudicata più o meno grave. Alle loro decisioni non
abbiamo partecipato, se non come fruitori informati quando abbiamo
la costanza e la voglia di seguirne i complicati iter, né
abbiamo potuto farlo, perché a noi spetta soltanto il
compito di dar loro il mandato di decidere, non certamente di
essere compartecipi della decisione.
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Irrisolvibilità dei problemi
Ma ciò che più conta dal nostro punto di vista
è che tutto questo meccanismo, complesso e complicato
insieme, è funzionale a far funzionare al meglio il sistema
vigente. Il fatto che non ci riescano, per quanti tentativi
facciano e per quante ricette mettano in campo, riuscendo ogni
volta più che altro a dilatare l’irrisolvibilità
dei problemi che, invece di diminuire, sembrano aumentare a
dismisura, la dice lunga sulla fondatezza del senso del dover
permanere in questo sistema di cose, che siano in grado di governarlo
o no. In fondo sono state sperimentate diverse ricette, e probabilmente
altre di nuove col tempo ne verranno messe in campo, per riuscire
a far si che nel mondo funzioni in modo accettabile il sistema
che da troppo tempo ci sovrasta. A suo tempo si disse anche
che oramai eravamo piombati nelle società del benessere,
capaci di soddisfare i bisogni di massa, al punto che gli individui
che ne facevano parte erano alla ricerca di nuove emozioni per
trovare un senso alla propria esistenza, ormai demotivata dall’avere
tutto. La fantasia suadente degli imbonitori intellettuali aveva
anche cercato di affascinarci prefigurando futuri, che si sono
poi dimostrati non futuribili, in grado di farci vivere, più
o meno tutti, in una specie di eden dei desideri appagati, in
una specie di mondo da sempre sognato dalla specie. Non ci volle
molto perché tali fantasie crollassero ignominiosamente.
Al contrario oggi vengono continuamente prefigurati paesaggi
di un futuro prossimo venturo desolanti e squallidi, che sanno
di morte e distruzione, in cui noi tutti ci troveremmo abbruttiti
da costanti carenze e da livelli d’inquinamento insopportabili,
fino ad esser deprivati dell’essenziale che sottende alla
vita.
Proviamo a divertirci supponendo ciò che allo stato delle
cose non può che risultare assurdo. Che cioè lor
signori, sia quelli offertici dal teatrino mediatico sia quelli
occulti che hanno un gran potere e che agiscono nell’ombra,
riescano prima o poi governando a realizzare effettivamente
tutto ciò che senza sosta ci promettono, rendendo perciò
operativo al meglio il funzionamento di questo sistema che hanno
interesse a conservare a tutti i costi. L’economia filerebbe
a gonfie vele e gli investimenti produrrebbero innovazione e
prodotti competitivi, le speculazioni finanziarie nelle borse
sarebbero molto redditizie, il risparmio con i conseguenti investimenti
sarebbero alla portata di moltissime tasche, l’inflazione
si troverebbe sotto controllo e quasi nessuno sarebbe costretto
a lottare quotidianamente per far quadrare i conti, la disoccupazione
sarebbe quasi inesistente e, siccome il welfare state, lo stato
sociale, sarebbe funzionante, quei pochi provvisoriamente a
spasso sarebbero assistiti dalle istituzioni e riceverebbero
un congruo salario d’assistenza, il terrorismo debellato,
la criminalità in affanno, l’opposizione sociale
ridotta al lumicino. Ecco il paradiso capitalista continuamente
solo promesso e pubblicizzato, sistematicamente inesistente.
È davvero questo il mondo dove ci piacerebbe vivere?
Siamo proprio sicuri che vi troveremmo la realizzazione dei
nostri sogni e dei nostri desideri? Forse, anzi senz’altro,
dei desideri indotti dal bombardamento mediatico e dalla pubblicità
mercantile.
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Assoggettati e integrati
Il fatto è che per realizzarsi e perdurare dando l’idea
di diventare una costante, perché altrimenti sarebbe
solo un accadimento provvisorio e non una caratteristica di
questo tipo di sistema, un tale mondo avrebbe bisogno che tutti
noi, indistintamente, fossimo del tutto assoggettati, completamente
integrati in esso, e non ci sognassimo neppure di non essere
convinti compartecipi. Per funzionare, infatti, avrebbe bisogno
che tutte le cose stessero al loro posto, senza inghippi od
alzate di testa. Coloro che hanno funzioni direttive avrebbero
bisogno di poter governare e sperimentare i loro piani senza
trovare opposizione di alcun tipo, mentre coloro, la gran massa,
che parteciperebbero all’esecuzione dovrebbero farlo,
possibilmente con entusiasmo, mettendoci tutto il loro impegno
e le loro competenze, che ovviamente sarebbero premiate. Un
siffatto sistema complesso non può comprendere la non
partecipazione fattiva, mentre ha necessità di escludere
la partecipazione decisionale, in quanto è fondato su
una logica completamente manageriale, quindi gerarchica, in
cui le diverse competenze ed i relativi compiti sono funzioni,
componenti integrate della complessità del funzionamento,
collegate fra loro ed interdipendenti.
La qualità della partecipazione fattiva, per la filosofia
che lo sottende, va incentivata con premi la cui entità
è direttamente proporzionale al tipo di incarico e funzione
svolti. Siccome è fondato sull’utile, il denaro
ed il privilegio economico, in cima alla gerarchia i manager
ed i loro protetti si beccherebbero incentivi economici astronomici,
mentre sarebbero piccolissimi per gli esecutori delle funzioni
e delle mansioni che non contano nel livello decisionale, utili
tutt’al più a far condurre una vita decorosa con
qualche eccezionale piccola soddisfazione. Il divario cioè
tra chi ha e può avere e chi può permettersi poco
più oltre il minimo indispensabile sarebbe costantemente
elevatissimo, fonte di permanente ingiustizia e strutturale
sfruttamento. Ci troveremmo cioè tutti mediamente poveri,
senza allo stesso tempo essere ridotti alla miseria, quel tanto
che basta per poter assicurare livelli di consumo indispensabili
alla perpetuazione del sistema stesso. Un mondo quindi fondato
sulla disuguaglianza e sul privilegio, dove chi ha di più
ha veramente tantissimo e può aspirare ad avere sempre
ed ancora di più, mentre chi ha poco al massimo può
aspirare ogni tanto in un incentivo, sempre sudatissimo, per
prendersi qualche soddisfazione non prevista.
A latere di questa normalizzazione della struttura economica,
funzionale all’efficienza del suo mantenimento, sarebbe
applicato un elevato controllo sociale. Non si tratterebbe di
sostanza, ma di forma, in cui però la sostanza si manifesta
e con cui agisce. L’occidente, inteso come propensione
culturale vincente e capace di estendersi a livello globale,
che dirige questo gioco, è principe nell’invenzione
e nella produzione di tecnologie informatiche, telematiche e
robotiche. Uno degli usi che ne farebbe, che in parte poi sta
già ampiamente facendo, sarebbe quello di mettere in
piedi una rete altamente complessa di strumentazioni sofisticate,
atte a e in grado di esercitare un costante controllo poliziesco
e politico sui singoli esseri umani e sull’insieme della
società. Discreto e tendente ad essere invisibile, per
non rischiare di suscitare moti di ripulsa difficilmente arginabili,
veglierebbe silenzioso sulle nostre vite ignare e, classificando
secondo criteri di valutazione funzionali all’esercizio
del controllo, catalogherebbe ogni nostro pensiero comunicato
ed ogni nostra manifestazione. Le informazioni sarebbero vagliate
da apposite commissioni che avrebbero il potere di giudicare
la liceità del nostro esserci e del nostro comportarci.
Nel caso non fossimo giudicati consoni scatterebbero forme di
repressione adeguata.
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Pianeta insufficiente
Ma ciò che sarebbe più grave, e per molti versi
già lo è ampiamente, è che per il pianeta
che ci ospita sarebbe insostenibile l’impatto ambientale
necessario a mantenere gli standard richiesti dalla conduzione
e dalla sopravvivenza del sistema. Se fosse veramente in grado
di soddisfare i bisogni indotti dalla necessità del profitto
lucrativo che ne è alla base, la terra non reggerebbe
e in pochissimo tempo, molto meno di quello che spereremmo,
darebbe forfait. Già oggi, infatti, il capitale terrestre
di risorse disponibili comincia ad essere insufficiente, in
una situazione in cui solo pochissimi sono in grado di consumare
per soddisfare appieno le loro esigenze. Circa il 20% della
popolazione consuma l’80% delle risorse disponibili, per
cui quell’80% maggioritario è in una situazione
di sottosviluppo. A questo ritmo, se l’intera popolazione
avesse la possibilità di raggiungere economicamente gli
standard di consumo di chi già vive il benessere, un
pianeta non sarebbe più sufficiente. Ce ne vorrebbero
almeno altri due subito ed altri con l’andar del tempo.
In breve ci sarebbe il collasso e tutto sarebbe ingovernabile.
Allora veramente addio a tutto.
Il fatto è questo sistema, che lor signori dicono di
voler e saper governare portandoci tutti ad un alto grado di
benessere materiale, intendendo per benessere un elevato livello
di consumo individuale diffuso in grado di arricchire senza
limiti i privilegiati che hanno in mano le sorti di tutto e
di tutti, non può essere diverso da quello che è.
E quello che è si sorregge sul privilegio, sulla corruzione,
sul potere d’imposizione, sull’uso forsennato delle
risorse fossili, sulla produzione di veleni inquinanti che depauperano
e distruggono il patrimonio biologico indispensabile alla vita,
sullo sfruttamento delle masse umane a loro sottoposte, sulla
speculazione finanziaria, sul controllo militare dei territori
e tecnologico dei cittadini. Volendo governarlo al meglio, seppur
animati dalle migliori intenzioni, non solo lo si conserva,
ma lo si porta ai livelli di devastazione dovuti alla insostenibilità
fisiologica della capacità terrestre.
Allora il nostro sguardo alieno, distante dalla ritualità
politica che osserva, ci porta ad essere sempre più esterrefatti
per la mancanza di consapevolezza collettiva. Ci chiediamo com’è
possibile che si continui a dar potere a lor signori per autorizzarli
a conservare, addirittura facendolo funzionare bene, ciò
che al contrario andrebbe prima bloccato e poi radicalmente
cambiato nella sostanza. Senza quella consapevolezza si può
fare poco, troppo poco. Di fronte al rito delle elezioni non
possiamo che limitarci a non partecipare. Purtroppo, nonostante
lo sguardo, non siamo in realtà alieni. Non abbiamo un
pianeta cui tornare per vivere nei fatti ciò che qui,
guardando lo sfascio in atto, possiamo solo desiderare e ipotizzare.
Così, indomiti al di là del destino, continuiamo
ad opporci come possiamo e ci asteniamo dal partecipare al sabba
del voto politico per lor signori.
Andrea
Papi
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