Nel
1938 Hitler si mangia l’Austria e la Cecoslovacchia, nel
1939 la Polonia e la “città libera” di Danzica
e, nel giugno del 1940, le truppe tedesche entrano a Parigi.
Peyrefitte racconta che, ancora poche ore prima, la propaganda
del governo francese parlava di un Hitler in difficoltà,
alle prese con le perplessità del vertice nazionalsocialista
e con il malcontento della popolazione; si chiedeva come avrebbe
fatto ad uscire dal “ginepraio” in cui si era cacciato
e garantiva i francesi che “i carri armati francesi superavano
di gran lunga quelli tedeschi”. Sorpresa, dunque.
Sto leggendo Hitler mi ha detto di Hermann
Rauschning. Questo Rauschning era un nazista della prima ora
e ricoprì anche la carica di Presidente del Senato di
Danzica, che, dal 1919, con un’operazione di chirurgia
politica dei vincitori, era stata separata dalla Polonia. Rauschning,
fra il 1932 e il 1934, ha una via di accesso privilegiato a
Hitler ed alla sua tavola: non solo perché è nazista,
ma anche, e soprattutto, perché Hitler è interessato
a Danzica come un possibile rifugio “en cas des malheures”.
Bene, in questi colloqui è già tutto chiaro. Sono
chiari gli obiettivi – il dominio del pianeta da parte
di una “razza tedesca rigenerata” –, è
chiara la strategia: per esempio, “in alcuni minuti, la
Francia, la Polonia, l’Austria, la Cecoslovacchia, sono
private dei loro dirigenti. Le armate private dei loro Stati
Maggiori, tutti i governi eliminati, regnerà una confusione
indescrivibile” e tutto ciò senza dichiarare nessuna
guerra, ma grazie a qualche truppa infiltrata pacificamente
e travestita con le uniformi del “Paese ospitante”.
La Francia, per esempio, poteva essere presa senza sparare un
colpo. Bastava qualche finto turista, qualche scontento che
non bisognerà neppure corrompere, perché “verranno
a cercarci, spinti dalla voglia di fare, dall’accecamento,
dalla ostilità partigiana e dall’orgoglio”.
“Non ci sarà”, afferma Hitler con sicurezza,
“nessuna linea Maginot che possa fermarci”, perché
“la nostra strategia consisterà nel distruggere
il nemico dall’interno”. Lo dice molti anni prima
che effettivamente accada - ed effettivamente accade. La Francia
non opporrà alcuna resistenza e un maresciallo Pétain
a disposizione lo si troverà davvero.
È tutto chiaro e tutto noto. Cosa c’è che
non va? C’è che questo Rauschning ci mette qualche
anno, ma, alla fine, si convince di averci a che fare con un
pazzo pericoloso e lo pianta in asso. Ricostruisce tutti i colloqui
che ha avuto con Hitler e con tutta la cerchia esoterica dei
suoi fidi – i vari Hess, Goebbels, Darré, Himmler,
Goering –, presumibilmente utilizza delle trascrizioni
che almeno parzialmente aveva già fatto al momento opportuno
e pubblica il tutto. È un documento sconvolgente per
le sue proprietà preditive.
Leggendolo nessuno poteva aver dubbi sulla natura del nazionalsocialismo,
sullo scopo dei campi di concentramento, sull’alleanza
con la Russia, su quel che pensava Hitler del fascismo italiano
e della Chiesa Cattolica e su tutto quello che, con orrore,
abbiamo poi tardivamente appreso.
C’è che non va che lo pubblica nel 1939, in Francia.
Dove nessuno, evidentemente, era in grado di leggere. Dove si
è preferita la sorpresa all’assunzione di responsabilità.
Felice Accame
P.s.: L’edizione italiana di Hitler mi ha detto
la si deve a Rizzoli (Milano-Roma, 1945). Il resoconto di Roger
Peyrefitte è ne La fine delle ambasciate
(Longanesi, Milano 1968).
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