Dopo Austria e Germania,
arriva anche in Italia la proposta di allargare il suffragio
universale anche ai minori.
A rilanciare questa idea sono le ACLI attraverso un documento
redatto dal presidente Luigi Bobba e il prorettore della Cattolica
di Milano, Luigi Campiglio.
“Dieci milioni di bambini senza rappresentanza, ci vuole
una politica di più ampio respiro” (Corriere della
Sera del 30 marzo 2004), sostengono come premessa gli estensori
di questo documento. In pratica la proposta si concretizza nell’idea
di affidare alle madri, per procura, il compito di votare e
di interpretare quindi le idee e le opinioni dei minori rispetto
alle scelte politiche ed amministrative.
Se il progetto dovesse andare in porto in Italia avremo circa
dieci milioni di elettori in più. L’idea è
molto semplice: dar corso ad una riforma costituzionale che
estenda il concetto di “suffragio universale” a
tutti gli italiani e delegare le madri ad esprimere le preferenze
dei propri figli fino al raggiungimento del diciottesimo anno
di età.
In Germania e Austria le proposte a questo riguardo hanno accolto
un’adesione trasversale agli schieramenti politici e lo
stesso succederà, è facile prevederlo, anche qui
da noi. Addirittura esiste una proposta in tal senso anche rispetto
alla costituzione europea e quindi di estensione del voto ai
minori in tutti i paesi dell’Unione.
Le ragioni di tutto ciò stanno nella convinzione, espressa
dai proponenti, che i giovani siano davvero il nostro futuro
e che quindi solo queste regole consentirebbero una politica
di più ampio respiro e costituirebbero un metodo efficace
per dare voce ai più piccoli.
Naturalmente occorre essere convinti, come di fatto si esprimono
chiaramente Luigi Bobba e Luigi Campiglio, che per i cittadini
il voto sia lo strumento centrale attraverso il quale ogni cittadino
esprime realmente la sua sovranità, comunica la sua approvazione
o disapprovazione rispetto a ciò che un governo, un partito,
un singolo politico, promettono di fare.
Esercitare il potere
Per i partiti politici invece, sostengono i due proponenti,
acquisire il voto favorevole dei cittadini, è l’obiettivo
principale che ne legittima la ragion d’essere e la virtù
fondamentale che consente loro di prendere il potere, esercitarlo
e mantenerlo (il più a lungo possibile, aggiungo).
L’idea di fondo è che la democrazia rappresentativa
sia quella che in modo più completo ed esauriente rappresenti
veramente la volontà popolare. Inoltre, sempre secondo
questa proposta, va ricordato che gli interessi economici degli
elettori “si materializzano, fra l’altro, nella
percentuale del Pil che viene prelevata e distribuita con criteri
politici anziché di mercato… La sua distribuzione
per categorie di spesa rispecchia in gran parte gli interessi
economici di quei gruppi sociali che possono meglio garantire
la maggioranza elettorale e quindi la conquista del potere politico”.
Tutto questo sarebbe una “virtù e non un vizio
delle moderne democrazie” anche se gli interessi degli
elettori organizzati (le lobby) contano economicamente e quindi
anche politicamente. Ma il pregio di questa innovazione starebbe
proprio nel fatto di costituire di fatto una lobby di lungimiranza,
una scommessa sul futuro, un’ipoteca sul domani.
Il principio di eguaglianza democratica (uguali di fronte alla
legge del governo della cosa pubblica), quello insomma tutto
giacobino di “una testa, un voto”, che qui si traduce
nel piano economico “un interesse personale, un voto”,
è inapplicato nel caso dei minori.
Ciò è particolarmente grave perché vi è,
sempre secondo i proponenti, una trascuratezza sociale evidente
di bambini e ragazzi che si accompagna ad una rapida riduzione
della natalità.
Quindi è necessario un riequilibrio del Welfare a favore
della più giovani generazioni.
Con questa modifica costituzionale insomma “si realizza
il raro risultato di far coincidere gli interessi del rappresentante
con quelli del rappresentato, creando una competizione in cui
il politico che interpreti meglio gli interessi economici dei
minori è anche quello che ha maggiori probabilità
di vincere le elezioni”.
Questa proposta si accompagna ad una precedente legge che ha
istituito in circa cinquecento città e paesi italiani
i Consigli comunali dei ragazzi, eletti secondo opposti schieramenti,
ma che hanno potere consultivo.
Ecco delineato il quadro di una vera e propria educazione alla
democrazia delegata. Dopo l’introduzione nelle scuole,
da parte di tutti i progetti di riforma degli ultimi anni, di
questo insegnamento, anche l’intero sistema elettorale
e ordinamentale sarebbe così completato.
A parte la legittimità, non giuridica, ma sostanziale
di una tale proposta (come può una madre votare al posto
del proprio figlio adolescente rispettandone i desideri?), ciò
che mi preme mettere in rilievo è la sostanza di tale
progetto.
La crisi della rappresentanza politica è un dato di fatto,
incontrovertibile, che si manifesta non solo nell’ampliarsi
dell’astensionismo elettorale, ma anche purtroppo nell’accettazione
passiva di un sistema democratico che, attraverso la delega
sempre più lontana, della rappresentanza politica, ha
permesso l’affermarsi violento e stabile dell’oligarchia
espressasi sia a livello economico che politico.
Democrazia mass-mediatica
La nostra non è più neppure una democrazia della
rappresentanza, ma piuttosto una democrazia che si esprime nell’esercizio
legittimo e non di apparati di potere e di lobby internazionali.
È chiaro che proprio gli interessi, anche economici,
che ruotano attorno ad un mondo giovanile sempre più
interlocutore di grandi businnes e di massicce campagne pubblicitarie,
trovano in questo quadro una loro nuova espressione e interpretazione.
In una democrazia post-moderna e mass-mediatica, come la nostra,
prevale la logica della formazione del consenso rispetto ad
una originaria attenzione a garantire il dissenso. Per formare
un “bravo” cittadino, un uomo e una donna ben inseriti,
in questo sistema, il passaggio attraverso una codificazione
e una istituzionalizzazione della rappresentanza politica e
governativa, è essenziale.
Dopo la famiglia, dopo la scuola, tocca ora all’intero
sistema adeguarsi alla formazione del consenso e anzi, ancor
più strabiliante, ipotecarne addirittura il futuro per
delega.
La democrazia per legge, quella che si vuole anche esportare
in tutto il mondo, in realtà non consente l’espressione
di una vera e libera volontà individuale, ma solamente
un’accettazione a-critica e fondamentalista, del principio
della delega come unica forma di manifestazione del proprio
pensiero e della propria agibilità.
Altre sono le forme, altri i contenuti, di una possibile partecipazione
diretta di ogni essere umano alla determinazione delle scelte
di una comunità.
Si cominci allora a rendere scuole e famiglie veri luoghi di
espressione della propria autonomia, dell’uguaglianza
e della responsabilità. Gli esempi non mancano, proviamo
ad estenderli. Ma soprattutto sveliamo con forza e convinzione
la perversa logica di potere che nascondono proposte come questa
che ammantandosi di una falsa verità innovatrice, nascondono
in realtà tecniche più sofisticate e attuali,
più spendibili sul piano dell’immagine, del potere.
Abbiamo sicuramente bisogno di dare voce vera e concreta ai
bambini, ai loro bisogni, alle loro aspettative, ma abbiamo
il dovere il aiutarli a realizzare i loro sogni e non ad ingannarli
con queste idee che non mutano minimamente i rapporti di potere
tra gli esseri umani.
Francesco Codello
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