C’è una
profonda differenza tra gli anarchici e la sinistra progressista,
liberal. Questa, socialisti inclusi, ama immaginare che cambiamenti
graduali, all’occorrenza anche radicali, possano rendere
più umana la macchina statale. Lo sfruttamento può
essere ridotto e minimizzato per mezzo di una legislazione illuminata,
attuata da partiti politici dotati della necessaria volontà
di realizzare i propri programmi progressisti. L’anarchismo
non è affatto contrario ai valori democratici, ma si
rende conto che per attuarli in misura significativa è
necessario un cambiamento di grande entità, e lavora
in questo senso. Sottopone l’assetto sociale esistente
a un’analisi più approfondita che quella liberal,
identificando i meccanismi e i modelli ideologici attraverso
cui lo sfruttamento e il controllo di classe vengono mantenuti,
a livello non solo politico ed economico ma anche sociale e
psicologico. Nell’ambito delle problematiche che riguardano
autorità, comando e dominazione, l’anarchismo cerca
di capire perché le persone accettino lo sfruttamento
classista senza ribellarsi..
Seán M. Sheehan
Gli ingranaggi nella testa
A volte, in passato, il dissenso radicale degli anarchici è
stato visto come diretto soprattutto contro le istituzioni dello
Stato e l’autorità dei governi, ma la loro opposizione
all’autorità imposta, al potere gerarchico e a
tutte le forme di dominio si è sviluppata in ambiti che
vanno al di là di quello strettamente politico. Gli anarchici
vedono con particolare chiarezza come l’ordine esistente
sia radicato nel controllo della vita sociale, e come l’accettazione
di certi atteggiamenti, rafforzati da strutture di comando e
obbedienza, generi una condizione di prigionia intellettuale
che può assumere la forma di repressione psichica, ciò
che Stirner chiamava “gli ingranaggi nella testa”.
Questo non significa affatto che i gruppi o gli individui contrari
all’autoritarismo siano automaticamente considerabili
come anarchici ad honorem, ma ci sono alcuni movimenti, formazioni
culturali e modi di sentire, anche individuali, che si oppongono
alle forme “non politiche” di autoritarismo e gerarchia
in modo sufficientemente coerente da essere assimilabili all’anarchismo,
se già non si sono consapevolmente situati in tale ambito.
I modi di pensare antitetici a quelli basati sul rapporto comando/obbedienza
per la sinistra libertaria sono altrettanto vitali della più
tradizionale attenzione per le organizzazioni e le istituzioni
politiche. Senza dimenticare la necessità di prendere
in considerazione i problemi del controllo politico, l’interesse
per gli aspetti culturali e sociali collegati alle idee di comando
e obbedienza è basato sulla più ampia comprensione
di come il potere politico si mantenga. La presa del potere
politico non è necessariamente il punto di partenza principale.
Pensare in termini di “presa” o “conquista”
del potere politico, e limitare la teoria a tale ambito, significa
affrontare in modo semplicistico e fuorviante il problema di
come realizzare un cambiamento radicale. Sappiamo benissimo
che le classi dirigenti non cedono volontariamente il potere
e che il motore della rivoluzione non può funzionare
bene con il solo carburante fornito da un entusiasmo a elevato
numero di ottani. Ma bisogna anche capire come mai le persone
non si ribellino in massa e anzi si sottomettano alle strutture
di un’autorità che le rende infelici. Arrivare
a capire questo è altrettanto importante che costruire
la resistenza organizzata. L’anarchismo si occupa in modo
particolare degli effetti dell’alienazione, non soltanto
nel luogo di lavoro ma nell’essenza sociale della vita
quotidiana, e ciò contribuisce a spiegare l’importanza
del situazionismo e dell’interesse che ha suscitato.
Il situazionismo, legato agli anni Sessanta e in particolare
alla rivolta parigina del maggio 1968, è nato nel contesto
della Guerra Fredda, in un periodo in cui si cercava una re-interpretazione
del marxismo tradizionale. L’emergere della Nuova Sinistra
e la riscoperta delle idee anarchiche nei circoli intellettuali
di sinistra costituiscono il principale background del situazionismo,
che si è presentato come un Giano bifronte, da un lato
rivolto indietro, verso il modernismo, mentre dall’altro
guardava in avanti, forse inconsapevolmente, verso forme di
anarchismo urbano. In mezzo stava la precoce consapevolezza
che la dinamica rivoluzionaria del capitalismo, mirabilmente
espressa da Marx nel Manifesto comunista, era entrata
in una nuova fase. Secondo questo nuovo modo di vedere, l’oppressione
non proveniva da tenebrosi mulini satanici, ma da fattori come
la pubblicità, l’architettura, il turismo, i supermarket
e i divi del cinema. Il capitalismo è tutto fuorché
conservatore, dicevano i situazionisti, può umanizzare
le merci, minare desideri illeciti e subconsci, colonizzare
le avanguardie e intanto consolidare il sistema di classe dietro
la trance del consumo sensuale e apparentemente soddisfatto.
Consumismo in discussione
Marx, descrivendo le conseguenze della transizione dal feudalesimo
al capitalismo, scriveva di come “le estasi celestiali
del fervore religioso, dell’entusiasmo cavalleresco, del
sentimentalismo filisteo” erano state annegate “nell’acqua
gelida del calcolo egoistico” (1).
Ma nella sua nuova fase il capitalismo ha potuto audacemente
presentare le merci come oggetto di desiderio, ripristinando
quegli aspetti che Marx riteneva ormai distrutti. Il situazionismo
lo ha riconosciuto e ha cercato di contrattaccare. L’alienazione
non poteva essere abolita tanto facilmente, per quanto sottile
fosse la sua mediazione, ma la rivolta poteva essere provocata
attraverso un détournement, l’appropriazione
sovversiva delle immagini, dei simboli e degli artifici che
tanto abilmente nascondono la povertà metafisica di una
società consumistica e classista.
L’Internazionale Situazionista, fondata nel 1957 da un
piccolo gruppo di intellettuali e artisti d’avanguardia
europei, intendeva mettere in discussione la cultura del consumismo
passivo, visto come una nuova forma di alienazione. Fin dal
1953, nel terzo numero di “Lettrist International”,
una rivista pubblicata da un gruppo di parigini che avrebbe
co-fondato l’Internazionale Situazionista quattro anni
dopo, si può trovare una nota dissonante per bocca di
Guy Debord, che dichiara: “A nessun prezzo vogliamo partecipare,
accettare di stare tranquilli, accettare. Ma non è per
arroganza che ci dispiace rassomigliare a chiunque altro”
(2). L’Internazionale Situazionista
è andata avanti su questa strada indicando la necessità
di portare alla luce i “desideri dimenticati”, creando
“situazioni” (da qui il nome del gruppo) in cui
le persone potessero diventare partecipanti gioiosi della vita
e non osservatori passivi dello “spettacolo” (3).
Era questo il termine versatile con cui veniva indicata la mercificazione
della società capitalista moderna, vista come uno show,
una rappresentazione in cui il consumatore ha il ruolo (e l’atteggiamento
mentale) del pubblico, cioè di chi sta a guardare. Per
il situazionismo, chiaramente influenzato dal dadaismo, l’arte
stessa è parte di questo show, parte di una discarica
culturale creata da una logica funzionale solo agli interessi
della borghesia dominante. Il culmine della notorietà
è arrivato quando la pubblicazione, nel 1966 all’Università
di Strasburgo, di un articolo intitolato Della miseria nell’ambiente
studentesco ha fatto sì che il sindacato studentesco
venisse chiuso per ordine del tribunale. Quando, un anno e mezzo
dopo, c’è stata l’eruzione parigina, l’Internazionale
Situazionista ha vantato un ruolo nell’insurrezione per
l’influenza esercitata da questo pamphlet.
Sebbene l’Internazionale Situazionista non si sia mai
allineata con il movimento anarchico (4),
era comunque ben consapevole dell’influenza anarchica
su dadaismo e surrealismo e più in generale dell’anarchismo
politico. La natura e lo scopo dello spettacolo, l’invito
al consumo passivo, erano visti come elementi strettamente intrecciati
all’assetto politico di una società gerarchica
e classista. Debord vedeva lo spettacolo come il progresso del
capitalismo consumistico verso il feticismo e la reificazione,
quindi non un oggetto o un’immagine specifica, bensì
il tipo di relazioni interpersonali costruite dalle immagini
di una società spettacolarizzata. Il che non significa
semplicemente consumismo, ma una crescente alienazione verso
un nuovo livello di oggettificazione.
Mentalità da “cricca”
Paradossalmente, pur definendosi esplicitamente come movimento
non-gerarchico, l’Internazionale Situazionista era affetta
da una mentalità da “cricca” e indulgeva
a periodiche espulsioni e dimissioni, come un qualunque gruppuscolo
marx-leninista. Al tempo stesso, però, aveva la capacità
di offrire interpretazioni provocatorie che uscivano totalmente
dagli schemi dei partiti della sinistra tradizionale. Nel 1962,
ad esempio, in un’analisi della Comune di Parigi del 1871,
veniva celebrata la natura carnevalesca e non-gerarchica di
quell’evento, quasi prevedendo la festosa eruzione parigina
del 1968 (5). All’inizio degli
anni Sessanta, quando il gruppo era attivo, a dispetto del gran
sfoggio di aspirazioni e intenzioni ben poco è stato
effettivamente realizzato, a meno che la decapitazione della
statua della Sirenetta, a Copenhagen, non venga considerato
come l’ispirata liberazione di “desideri dimenticati”.
Nonostante il loro atteggiamento elitario, comunque, i situazionisti
sono giustamente ricordati per il loro programma sovversivo
e per l’impeto creativo che hanno fornito agli artisti
della rivolta parigina del 1968. Molti degli slogan più
famosi, come
-
siate realisti,
chiedete l’impossibile
vietato vietare
realizzate
i vostri desideri
la merce
è l’oppio dei popoli
più
consumi, meno vivi
l’arte
è morta: non consumate il suo cadavere
non lavorare
mai
corri compagno,
il vecchio mondo è dietro di te
sotto il
selciato, la spiaggia
anche se non ispirati direttamente dai testi anarco-situazionisti,
erano certamente in sintonia con il loro spirito di insubordinazione.
Esistevano legami diretti tra il situazionismo e altri gruppi
più apertamente anarchici degli anni Sessanta. Uno dei
primi attivisti dei Provos olandesi (gruppo anarchico formatosi
ad Amsterdam nel 1965) era un ex-situazionista, e lo era anche
uno dei fondatori del gruppo Kommune 1 di Berlino, più
o meno nello stesso periodo. I Provos avevano raggiunto la notorietà
nell’estate del 1965 quando avevano lanciato un attacco
propagandistico contro la proprietà privata, offrendo
gratis per uso pubblico biciclette dipinte di bianco (poi confiscate
dalle autorità); l’anno seguente avevano tirato
bombe fumogene sul corteo nuziale della famiglia reale olandese
(6). Fedeli alla loro filosofia anarchica,
nel 1967 si auto-dissolvevano quando alcuni di loro decidevano
di partecipare alle elezioni municipali e gli altri intuivano
il pericolo di essere risucchiati nell’establishment politico
democratico.
La proletarizzazione del mondo
Il situazionismo è stato presentato come l’antenato
culturale del dirompente movimento punk, soprattutto in Tracce
di rossetto (1989) di Greil Marcus. Tale genealogia è
rafforzata dalla forte probabilità che qualcuno di quei
gruppi, ad esempio i Clash e gli Adam and the Ants, fosse stato
influenzato, in qualche scuola d’arte, dalle tradizioni
culturali del dissenso attraverso il dadaismo. Ciò trascura
ovviamente il fatto che il punk ha origine nel proletariato
inglese, ma è indubbio che il movimento abbia interpretato
idee chiave del situazionismo. Le superstar alla moda su cui
il punk sputava erano un esempio evidente di spettacolo, anche
se l’energia esplosiva e la velocità punk erano
qualcosa di più che un fenomeno musicale. Il punk era
un movimento insurrezionale che prendeva d’assalto la
vita alienata che stava dietro la società dello spettacolo,
mentre la conclamata mancanza di potere spingeva insieme i disoccupati,
i sotto-pagati, gli impiegati di basso livello, ma anche taluni
“professionisti”, in un maledetto pozzo comune di
negazione e isolamento: la proletarizzazione del mondo, come
diceva Debord. Tracce di rossetto si scontra con la
difficoltà di mettere insieme momenti culturali di epoche
diverse, legando Johnny Rotten a un Guy Debord di cui il cantante
non aveva mai sentito parlare, ma Greil Marcus coglie la fecondità
offerta da quell’approccio scombinato e così facendo
introduce entrambi i movimenti nella tradizione anarchica (7).
In un’arena tutta diversa, l’idea situazionista
di “psicogeografia” era in anticipo sui tempi con
il suo tentativo di mettere in discussione e riformare la relazione
psicologica tra gli individui e il loro ambiente urbano. Bisognava
dunque fare un’opera di détournement attraverso
giochi e burle da mettere in atto in vari punti delle città.
Uno dei gruppi che aveva fondato l’Internazionale Situazionista
nel 1955 aveva pubblicato un Piano per migliorare la razionalità
della città di Parigi che invitava a tenere aperti i
giardini pubblici anche la notte e a costruire ascensori che
arrivassero fino ai tetti per creare marciapiedi aerei. Un altro
situazionista, Ivan Chtcheglov, era un entusiasta assertore
del potere liberatorio di edifici che interagissero con la gente
in strada e ne liberassero le emozioni, un’architettura
psichica, di fantasia, in cui la progettazione degli ambienti
e delle costruzioni si sarebbe connessa con la gamma di desideri
trivializzati e reificati dall’eccesso di soddisfazione
materiale. La rielaborazione situazionista dello spazio urbano
guardava avanti, verso i movimenti di ispirazione anarchica
tipo Critical Mass (Massa critica) e Reclaim the Streets (Riprendiamoci
le strade), che mirano a riconquistare gli spazi pubblici super-controllati.
Critical Mass si è diffusa in tutto il mondo, dopo la
sua nascita in USA nel 1992, e ciò che era iniziato come
un tentativo locale di opporsi ai drogati dell’auto e
ai fuoristrada nella Bay Area di San Francisco è cresciuto
fino a diventare una delle strategie principali del movimento
anticapitalista: il concetto di massa critica, tratto dalla
fisica, si è trasformato in metafora politica per indicare
la possibilità di un intervento di massa, senza leadership,
capace di mettere in atto una dinamica di azione diretta dall’esplosiva
potenza sociale. Con una traiettoria simile, Reclaim the Streets
è venuta alla luce a Londra all’inizio degli anni
Novanta e si è successivamente diffusa in Europa, Australia
e nelle Americhe. La sua discendenza dall’anarchismo è
risultata evidente nel 1997, durante le elezioni generali inglesi,
quando i Sex Pistols, l’azione diretta e la dichiarata
futilità del voto si sono fusi nello slogan “Chi
se ne frega delle elezioni, riprendiamoci le strade”.
Jeff Ferrell, nel suo incalzante Tearing Down the Streets
Adventures in Urban Anarchy (8),
riconduce queste e altre forme di attività decentrate
e non-gerarchiche, come lo skateboarding, il base jumping (paracadutarsi
da edifici, antenne, ponti), il graffitismo, le radio illegali
di strada, o anche semplicemente l’andare a spasso, allo
stesso generico impulso anarchico di sovvertire le gerarchie
espresse attraverso forme sterilizzate di potere urbano.
Le attività di ispirazione anarchica descritte da Ferrell
offrono fruizioni alternative degli spazi culturali pubblici
e contrastano la gentrification (trasformazione di
un quartiere popolare in quartiere di lusso) dell’ambiente
urbano, che è parte del controllo di classe. In nome
della salute pubblica, una kafkiana proliferazione di sistemi
di sorveglianza urbana nasconde la necessità di prendere
in considerazione le cause dei reati sociali. Allo stesso modo,
il riferimento a concetti come “tolleranza zero”
o reati contro la “qualità della vita” nasconde
la propria natura di classe dietro ideali, falsi ma attraenti,
di comportamento civile e soddisfacimento urbano.
La politica del desiderio
Il situazionismo si è anche occupato della sessualità,
argomento che nel pensiero anarchico riceve maggiore attenzione
che nei testi del comunismo e socialismo tradizionali. Nel 1967,
Raoul Vaneigem, figura chiave dell’Internazionale Situazionista,
ha pubblicato La rivoluzione nella vita quotidiana,
un libro dove si trovano molti degli slogan che hanno coperto
i muri di Parigi nel 1968, tra cui il più lungo di tutti:
chi
parla di rivoluzione e lotta di classe con esplicito riferimento
alla vita quotidiana, senza capire il potere sovversivo dell’amore
e quanto sia positivo il rifiuto delle costrizioni, ha un cadavere
in bocca.
L’eco blakeiana del sentimento rimanda alla convinzione
anarchica che la relazione tra libertà politica e sessuale
è importante, che le strutture repressive interiorizzate
sono legate alla volontà di alcuni di accettare il controllo
politico al punto di desiderare l’autorità. Da
tale punto di vista, e non per la prima volta, gli anarchici
vedono nella storia del regime comunista in Russia dopo il 1917
la chiara indicazione di cosa possa accadere a un movimento
rivoluzionario privo di anima libertaria. Nei primi tumultuosi
mesi del governo bolscevico, la legislazione reazionaria in
materia di sessualità e rapporti tra i sessi è
spazzata via da una nuova normativa matrimoniale. Divorziare
diventa facile, le coppie non sposate sono pienamente riconosciute
sul piano legale ed è nell’aria la legalizzazione
dell’aborto e dell’omosessualità. Ma con
il consolidarsi dell’autoritarismo politico, in un processo
parallelo al collasso culturale anche in altri settori, la legislazione
radicale viene revocata e l’atteggiamento ufficiale verso
la sessualità diventa non dissimile da quello presente
negli Stati europei occidentali.
Agli “ingranaggi nella testa” di Stirner e ai “ceppi
mentali” di Blake è difficile sfuggire tanto quanto
alle costrizioni materiali, ma il socialismo libertario vede
nella psicologia sociale di Wilhelm Reich, alleata allo spirito
anarchico ribelle di Blake, uno strumento di liberazione. Reich
fornisce una via di fuga da certe implicazioni reazionarie della
psicoanalisi classica, secondo la quale la sessualità
istintiva e non disciplinata deve essere necessariamente sublimata
affinché possa esistere la civiltà. Al tono della
controproposta anarchica la poesia di Blake fornisce ricchezza
espressiva. La dialettica metafisica di Blake, in opere come
The Marriage of Heaven and Hell, si costruisce sui
contrasti (“Le tigri dell’ira sono più sagge
dei destrieri dell’istruzione... Il progresso traccia
strade dritte; ma le vie irrimediabilmente tortuose sono le
vie del Genio... La cisterna contiene; la fontana trabocca”),
asserendo che “l’energia è eterna delizia”
e che
chi
limita il proprio desiderio, lo fa perché esso è
debole abbastanza da poter essere limitato; e il limitante,
o la sua ragione, ne usurpa il posto e governa la mancanza di
volontà. Ed essendo limitato, esso a poco a poco diventa
passivo, fino a essere solo l’ombra del desiderio
(9).
Segugio assassino
Dando voce al ruolo della cultura nella repressione sessuale,
Blake indica l’esistenza di un legame tra aggressività
e forme di repressione (“Per la guerra l’energia
è Schiavizzata”) (10), che
in seguito sarebbe stato esplorato da Reich nel contesto del
fascismo europeo del ventesimo secolo. Nell’opera di Reich
Psicologia di massa del fascismo, scritta durante la
seconda guerra mondiale, è riportato un articolo del
“New York Times”, citato come esempio di militarismo
assassino:
Gli
Afrika Corps tedeschi hanno sconfitto l’Ottava Armata
perché avevano velocità, rabbia, vitalità
e cattiveria. Come soldati nel senso tradizionale, i tedeschi
sono scadenti, assolutamente scadenti... Ma i generali tedeschi
sono scienziati, che sperimentano e migliorano continuamente
la dura formula matematica dell’omicidio... La guerra
è solo una questione di fisica, per loro... E il soldato
tedesco viene addestrato ad assumere una psicologia da segugio
assassino (11).
Reich vuole capire cosa porti una persona a trasformarsi in
un simile sadico, capace di uccidere in modo meccanico. Egli
considera l’umanità come dicotomica, divisa in
una parte animale, apparentata con la natura e spinta biologicamente
a ricercare gratificazione sessuale e cibo, e un’altra
che tende invece a negare questo livello animale sviluppandosi
attraverso strutture meccaniche di organizzazione e pensiero.
Le macchine aprono la via a un’immensa espansione della
“organizzazione biologica umana”, ma questo processo
ha prodotto una “civiltà della macchina”
che induce alla creazione di gerarchie rigide e incoraggia una
visione meccanicistica della biologia umana. In tal modo, il
cervello diventa il comandante-in-capo degli organi corporei
e si afferma una pedagogia statalista:
I
neonati devono assumere una precisa quantità di latte
a intervalli stabiliti e dormire un numero ben preciso di ore.
La loro dieta deve contenere esattamente un x per cento di grasso,
y per cento di proteine e z per cento di carboidrati ... I ragazzi
devono studiare matematica x ore, chimica y ore, zoologia z
ore, tutti esattamente uguali, e tutti devono acquisire la stessa
quantità di sapere. Cento punti significano intelligenza
superiore, ottanta punti intelligenza media, quaranta punti
stupidità (12).
Terrore per ciò che vive
Un simile processo meccanicistico va di pari passo con lo sviluppo
economico, e agli individui viene insegnato a corazzarsi contro
il naturale e lo spontaneo, finché “non nutrono
un terrore mortale per ciò che vive ed è libero”.
Reich prosegue mettendo questo in relazione con l’assetto
gerarchico dello Stato, la paura della responsabilità
e con “l’ardente desiderio di un führer
e la voglia di autorità”.
Reich non è anarchico, ma le sue prime riflessioni sulla
sessualità umana, se pure di impostazione marxiana, nella
convinzione che l’ideologia possa essere una forza materiale,
sono fatte proprie dall’anarchismo, che vi vede la via
per capire come mai le persone non rifiutino forme di autorità
che tanto evidentemente ostacolano la loro capacità di
condurre un’esistenza felice. È facile sorridere
del concetto reichiano di “potenza orgastica”, riducendolo
all’idea che l’energia sessuale e la sua liberazione
attraverso l’orgasmo stiano alla base dello stato di buona
o cattiva salute individuale, e certo negli ultimi anni Reich
ha attirato l’ironia per il modo in cui esprimeva le proprie
teorie. Queste, però, devono essere considerate nel contesto
delle concezioni sviluppate nella sua Analisi del carattere,
che differiscono da quelle freudiane per quanto riguarda la
descrizione dell’Es. Per Reich, la natura umana ha tre
componenti, due delle quali si manifestano nell’intrinseca
capacità di apprezzare spontaneamente il lavoro e le
relazioni sociali. Tale attitudine naturale viene immotivatamente
repressa dalla cultura, da cui deriva l’inconscio visto
come una malsana miscela molto vicina a quella descritta da
Freud. Questo porta a un terzo livello, la maschera sociale
dell’inautenticità, che Reich chiama “carattere”
e che è equivalente all’Ego freudiano, ma visto
come qualcosa di insano. Invece che difesa necessaria contro
ciò che Freud definisce il “calderone” dell’Es,
l’Ego reichiano è la risposta spiacevole e malsana
all’inconscio. Scopo della terapia, dunque, deve essere
la rimozione del carattere e la liberazione della “potenza
orgastica”, e a tal fine è necessario svelare dove
l’individuo abbia racchiuso la sua energia psichica, cioè
il suo carattere. Lasciando da parte descrizioni di sogni, lapsus,
battute, Reich guarda soprattutto al modo in cui una persona
parla, più che al contenuto verbale vero e proprio, ritenendo
che come una persona usa il linguaggio sia più rivelatore
di ciò che effettivamente dice.
Come è necessario essere aperti a molte delle accuse
che è diventato di moda rivolgere a Freud, così
l’adozione di questa o quella delle idee reichiane richiede
sempre un approfondimento, stante la loro semplicità
e naïveté. Se il lato utopico e rousseauiano
di Reich è continuamente sul punto di scivolare in una
versione psicoanalitica del primitivismo, l’anarchismo
sa invece apprezzare quanto c’è di valido nel tentativo
di fondere Marx e Freud e nel suo contributo a smantellare uno
dei paradigmi dominanti della nostra cultura. Reich collega
le proprie teorie alla natura repressiva della società
sostenendo che la liberazione non sta nel divano dello psicoanalista
ma in una modificazione delle relazioni sociali e sessuali,
che a sua volta dipende da un cambiamento politico. Verso la
fine degli anni Venti è membro del partito comunista
austriaco, e come tale ha organizzato nei pressi di Vienna cliniche
di partito per la sessuoterapia. In seguito i burocrati comunisti
le faranno chiudere con l’accusa di rappresentare una
distrazione dalla causa principale, sordi alla considerazione
che gli individui interiorizzano l’ideologia repressiva
del capitalismo e che, secondo il materialismo marxista, la
repressione dell’individuo diventa parte della sua natura.
Per Reich, la Rivoluzione russa del 1917 è finita male
per la sua incapacità di mettere in discussione la sessualità
e la famiglia patriarcali, lasciando che le persone rimangano
sottomesse e represse. Il suo elogio della sessualità
e della masturbazione adolescenziali come attività salutari
contribuisce a spiegare la sua espulsione dal partito comunista
all’inizio degli anni Trenta, inducendolo ad abbandonare
tanto il marxismo che la politica. Da allora, la sua terapia
diventa fisica, sostituendo la “cura parlata” con
programmi volti al riequilibrio fisiologico della libido, fino
alla “scoperta” di una forza vitale, l’energia
orgonica, misurabile con un cosiddetto Misuratore del Campo
Energetico Orgonico. Nel 1939 Reich si trasferisce negli Stati
Uniti, dopo un soggiorno a Oslo dove modifica leggermente le
proprie idee, e muore quasi paranoico in prigione, incarcerato
in seguito a una disputa ridicola sul suo Accumulatore Orgonico.
Licenziosi e amorali
Nonostante Freud venga oggi re-interpretato come un fantasioso
e metafisico narratore di storie, la lettura reazionaria della
sua opera continua a tenere il campo. Questa postula gli umani
come fondamentalmente licenziosi e amorali, bisognosi di controllo
repressivo al fine di tenere a freno gli impulsi irrazionali
che si nascondono minacciosi nella loro mente. In tale contesto,
Reich resta importante per la sua interpretazione di Freud da
un punto di vista politico e libertario che ha messo in evidenza
la possibilità di un’esistenza umana felice, dove
l’aspetto erotico venga celebrato invece che represso.
Potrebbe apparire che la diffusione, almeno in alcune parti
del mondo, di un atteggiamento aperto e progressista nei confronti
della sessualità, con l’abbandono di molti tabù,
riveli un’intrinseca difficoltà a porre in relazione
la repressione sessuale con il controllo politico. Ma questo
significa avere un’idea limitata della liberazione sessuale,
che esclude comodamente l’alienante mondo del lavoro e
delle classi che determina le relazioni sessuali. Inoltre, significa
sottostimare il ruolo che la famiglia patriarcale continua a
svolgere nella creazione di strutture psichiche conformiste,
ignorando al contempo la grande capacità del capitalismo
consumistico di mercificare i comportamenti sessuali moderni
diminuendone il valore progressista. In un certo senso, all’interno
di luoghi geograficamente e culturalmente ben definiti, una
rivoluzione sessuale c’è stata, ma accompagnata
da nuove forme di sessualità alienante e reificante.
Come ha assorbito e imparato ad adattare a sé le richieste
politiche provenienti dalla classe operaia, il capitalismo moderno
sta imparando a venire a patti (i suoi patti) con l’omosessualità
maschile e femminile, con la sessualità giovanile e gli
altri aspetti di un più aperto atteggiamento sessuale.
In ultima analisi, l’anarchismo non sta tentando di dire
che affrontare i problemi sessuali sia un sostituto della lotta
politica, che l’orgasmo perfetto conduca verso una migliore
lotta di classe. Ciò su cui gli anarchici insistono sono
le composite e complesse conseguenze delle relazioni di classe:
i temi della sessualità e del desiderio sono intimamente
legati con l’esercizio del potere politico e con i problemi
dell’autorità e dell’obbedienza.
Lavoro alienato
Sono appunto le idee che informano il film di Elio Petri La
classe operaia va in paradiso, girato nel 1971. Il protagonista,
Ludovico Massa, è un operaio metalmeccanico la cui cupa
routine di lavoro alienato è incisa sul suo volto affaticato,
mostrato in primo piano all’inizio del film, e sulla sua
meccanica vita sessuale. Prima che un incidente sul lavoro gli
provochi la perdita di un dito, questo stakhanovista incarna
in modo formidabile il concetto reichiano sviluppato nel libro
La funzione dell’orgasmo, secondo cui l’uomo non
solo crede di essere una macchina, ma “funziona realmente
in modo automatico, meccanicistico e meccanico” (13).
Sono temi, questi, raramente affrontati nel pensiero della sinistra
tradizionale, anche se riguardano problemi che interessano alla
maggior parte delle persone, quale che sia il livello della
loro coscienza politica. Sono temi trattati da artisti non anarchici
in opere letterarie come Misura per misura (1604) di
Shakespeare, dove hanno una trattazione che supera lo spettro
consueto dell’arte e dell’estetica politica. Il
testo shakespeariano disseziona la dialettica della sessualità,
rappresentando un governatore repressivo, Angelo (le cui prime
parole sono “Sempre obbedienti...”), torturato dal
desiderio per Isabella, una giovane donna che sta per entrare
in convento. Proprio costei gli rivolge una supplica perché
venga risparmiata la vita a suo fratello, che Angelo ha condannato
a morte per una trasgressione sessuale. Una compassione priva
di sentimento si accumula in Angelo man mano che la sua profonda
infelicità si manifesta crudamente ed egli si rende conto
di come la propria gioia sia stata confiscata da ciò
che chiama “i ceppi della legge che tutti lega”.
Il tema della legge e del desiderio viene affrontato evitando
di ritirarsi nel conservatorismo che Freud avrebbe poi espresso
in Il disagio della civiltà, e la profondità
dell’opera è persino eccessiva per un genere letterario
che di norma si conclude con il semplice elogio del matrimonio
e dell’ordine sociale. L’atto sessuale tra il condannato
e il suo amante emerge come l’unica relazione non viziata
della storia, e Lucio, il personaggio che rifiuta il conformismo
sessuale, è la sola persona che riesce a conquistare
la simpatia del pubblico.
Le tensioni e le ambiguità sovversive di Misura per
misura, certamente una delle opere più “problematiche”
di Shakespeare, sono particolarmente significative perché
non provengono da una dichiarata posizione libertaria. Quando
l’arte coscientemente anarchica si concentra sulla sessualità,
un film come Bof di Claude Faraldo (1971) riesce a
celebrare sediziosamente la liberazione per mezzo di una tranquilla
rottura del conformismo sessuale. Il film è stato fatto
quattro anni dopo che Faraldo aveva lasciato il proprio lavoro
di fattorino, e comincia proprio descrivendo la noia mortale
di tale lavoro. Il giovane fattorino, che lavora per una ditta
parigina di vini, è tanto fortunato da cogliere lo sguardo
di una ragazza, Germaine, attraverso la vetrina di un negozio.
Così mettono su casa e il padre di lui, persona perfettamente
qualificata per ribellarsi a un’esistenza di lavoro alienante
(“Venticinque anni, vacanze escluse, sapete dirmi quante
volte ho messo la sveglia?”), abbandona il lavoro e si
trasferisce da loro. Germaine accetta il suggerimento del suocero
di fare l’amore, e un felice ménage si instaura
tra i tre. Anche il giovanotto lascia il lavoro e tutti partono
insieme per il sud della Francia. Bof è stato
criticato perché offrirebbe poco più di un immaturo
invito all’evasione (14), ma si
dimentica lo spirito anarchico di Zeitgeist contenuto
nel titolo e la sua allegra concezione di festa sessuale, oltre
al contributo a un’estetica provocatoria. L’elogio
che il film fa della licenza sessuale non è affatto adolescenziale
o sessista. Più che un discorso sulle alternative alle
strutture familiari repressive è una metafora dell’opportunità
e necessità della ribellione. Il dialogo è deliberatamente
semplice fino alla banalità, poiché Faraldo non
è tanto interessato a sviluppare una polemica come tale,
quanto a infondere nella narrazione un senso di sovversione,
senza sollevare quel tipo di questioni che il cinema convenzionale
tratterebbe in una storia come quella. Bof esprime
efficacemente ciò che emana dallo spirito bohémien
dei suoi personaggi, e l’idilliaca immagine finale di
questi che vanno a spasso per la campagna fa da contrasto visivo
e retorico a quelle iniziali del luogo di lavoro alienato. I
congressi carnali di Bof indicano l’inizio di
una rottura di gruppo con la società di classe e sono
all’estremo opposto di quelli rappresentati in Y Tu
Mamá También di Alfonso Cuaron (2001). Qui
le buffonate sessuali, liberatorie ed egualitarie, di Tenoch
e Julio rappresentano invece una chiusura, perché i due
sono all’apice della loro posizione da adulti in seno
alla gerarchia di classe della società messicana contemporanea.
L’arcivescovo fuori dalla finestra
L’elogio del desiderio come forza anti-gerarchica, tanto
evidente sia in un film anarchico come Bof sia in uno
non anarchico come Y Tu Mamá También,
ha una genealogia cinematografica che risale al surrealismo
e a L’età dell’oro di Buñuel
(1930). Questo film celebra la rivolta, in una contrapposizione
blakeiana tra ragione e desiderio: una manifestazione di Stato,
popolata da militari, preti, monaci, suore, poliziotti e borghesi
in cilindro (15), viene messa in crisi
dal vigoroso rapporto sessuale di una coppia, interrotto prematuramente
quando la donna è allontanata dagli sconvolti apostoli
della religione e dello Stato. Altrove, il conflitto è
all’interno della psiche individuale, come nella scena
in cui l’eroe adirato lancia fuori dalla finestra un abete,
e poi un aratro, una giraffa, un arcivescovo e mucchi di piume,
che sono stati interpretati come simboli, rispettivamente, della
famiglia, del lavoro, dell’onore, della religione e dei
beni materiali (16). L’anticlericalismo
e l’antiautoritarismo di Buñuel sono rimasti una
forza altrettanto potente quando, decenni dopo, ha girato Viridiana
(1961). Il personaggio principale del film sta per farsi suora,
come l’Isabella di Shakespeare, ma c’è una
nota di sensualità repressa nella sua fredda cristianità
(una croce di legno, chiodi e una corona di spine sono messi
in valigia quando parte per andare a trovare lo zio, prima di
prendere i voti). Come Isabella, anche lei attrae le lascive
attenzioni di un uomo, suo zio appunto, che angosciato dal senso
di colpa finisce per impiccarsi. Il film diventa quindi deliziosamente
blasfemo. La giovane donna, turbata, raccoglie un gruppo di
grotteschi mendicanti e li invita in casa per un confuso tentativo
di redenzione. Quelli approfittano in pieno dell’opportunità
offerta e l’orgia che ne segue raggiunge il culmine in
un’inversione rabelaisiana dell’Ultima cena
leonardesca, durante la quale Viridiana viene molestata. Oltre
a essere la trionfante risposta di Buñuel a Franco e
al cattolicesimo (mostrando cinematograficamente il medio all’invito
del dittatore a lasciare l’esilio messicano e tornare
in Spagna a fare un film di sua scelta), Viridiana
ci delizia mostrando come la liberazione non venga dall’alto
e meno ancora da una morale ascetica negatrice della vita.
Sotto la veste della razionalità
Anarchismo e surrealismo non sono sinonimi, ma negli atteggiamenti
culturali, nello spirito, hanno rassomiglianze di famiglia.
Condividono l’intenzione provocatoria di screditare i
presupposti convenzionali circa le nostre possibilità
esistenziali, dichiarando che la nostra coscienza rimane incompleta
se, confondendo la realtà che è con quella che
potrebbe essere, il desiderio viene scoraggiato e represso.
La capacità di cambiare la realtà è parte
dell’essere, e l’ontologia marxiana riceve una torsione
surrealista: “L’uomo propone e dispone. È
in suo potere appartenere solo a se stesso, cioè mantenere
in condizione di anarchia la banda dei suoi desideri che ogni
giorno diventa così più formidabile” (17).
Prima che l’Olocausto li dimostrasse profeti, artisti
anarchici e surrealisti come Blake, Shelley e Wilde hanno visto
cosa poteva nascondersi sotto la veste della razionalità,
e questo spiega perché lo spirito di rivolta che sta
nel cuore del surrealismo sia ugualmente importante per l’anarchismo
culturale. Blasfemia, rivolta e disordine (in una sequenza che
li distanzia nettamente dalla licenza irrazionale) sono valutate
positivamente per ciò che intendono negare. André
Breton, come molti surrealisti, si è reso conto che l’impegno
nel terrorizzare la sensibilità borghese poteva equivalere
a solleticarla, e la consapevolezza di questa possibilità
sta alla base del suo allontanamento da Salvador Dalí.
Breton sapeva che l’arte non è la scorciatoia per
la rivoluzione sociale, e si è volto al comunismo nella
speranza di costruire un ponte tra la liberazione mentale dell’individuo
e la più ampia trasformazione della società. Comprendeva
la posizione marxiana che la verità è un’entità
non indipendente ma legata alla conoscenza, e la sua infelice
esperienza con un partito comunista incapace di accogliere lo
spirito libertario non gli ha impedito di tentare di forgiare
una prassi dove il surrealismo si alleava all’azione diretta.
La prima presa di posizione politica del surrealismo è
stata infatti contro la guerra coloniale francese in Marocco,
e surrealisti politicamente impegnati hanno partecipato a vari
picchettaggi e hanno combattuto contro Franco nella guerra civile
spagnola.
Seán M. Sheehan
(brano tratto da Ripartire dall’anarchia)
Note
- Marx
K., The Communist Manifesto, Londra 1998, p. 37.
- Citato
in Bracken L., Guy Debord, Revolutionary, Los Angeles
1997, p. 27.
- Questi
termini situazionisti sono presi da Home S., The Assault
on Culture, Edimburgo 1991, pp. 18, 29, 30 [trad. it.:
Assalto alla cultura, AAA Edizioni, Bertiolo 1996].
- Debord
ha rigettato l’anarchismo individualista come “risibile”
e l’anarchismo in generale perché centrato a
suo avviso più sull’obiettivo della lotta rivoluzionaria
che sul metodo, accusandolo di essere l’ideologia della
“libertà pura” che rende tutto uguale.
Le citazioni sono tratte da Debord G., Society of the
Spectacle, Detroit 1970, edizione riveduta 1983, sezioni
92-94 del cap. 4 [trad. it.: La società dello spettacolo,
Baldini e Castoldi, Milano 1997]. Bakunin è stato accusato
di sostenere le proprie opinioni in modo autoritario, esattamente
come Marx. Al tempo stesso, però, Debord ha riconosciuto
che la rivoluzione sociale spagnola del 1936 è stata
una delle realizzazioni più avanzate della classe operaia
in tutta la storia.
- Si
veda Bracken L., op. cit., pp. 114-19.
- Per
saperne di più sui Provos olandesi e Kommune 1, così
come su altri movimenti degli anni Sessanta, ad esempio i
Motherfuckers, gli Yppies e le White Panthers, si veda Home
S., op. cit., cap. 12.
- Si
veda anche Savage J., England’s Dreaming: Anarchy,
Sex Pistols, Punk Rock and Beyond, New York 1991 [trad.
it.: I Sex Pistols e il rock inglese in rivolta,
Arcana, Roma 1994], e Nehring N., Flowers in the Dustbin:
Culture, Anarchy, and Postwar England, Ann Arbor 1993.
- Ferrell
J., Tearing Down the Streets Adventures in Urban Anarchy,
New York 2001, cap. 6.
- Blake
W., The Marriage of Heaven and Hell, in Collected
Poems, Oxford 1968, pp. 149-50 [trad. it.: Selected poems,
Einaudi, Torino 1996].
- Blake
W., riga 152 di Night the Ninth in The Four Zoas,
in Collected Poems, cit., p. 361.
- Reich
W., The Mass Psychology of Fascism, Londra 1997,
p. 332 [trad. it.: Psicologia di massa del fascismo,
Esedra, Milano 1994].
- Reich
W., op. cit., p. 337.
- Reich
W., op. cit., p. 342.
- Porton
R., Film and the Anarchist Imagination, Londra 1999,
pp. 162-64.
- Aranda
F., Luis Buñuel: A Critical Biography, p.
76, citato in Porton R., op. cit., p. 238.
- Cardinal
R. e Short R. S., Surrealism, Londra 1937, p. 123.
- Citato
in Cardinal R. e Short R. S., op. cit., p. 36. Tratto dal
Secondo Manifesto Surrealista.
Elèuthera
Seán
M. Sheehan
Ripartire
dall’anarchia
attualità delle idee e delle pratiche libertarie
176
pp. / euro 13,00
l’autore
Seán M. Sheehan, nato nel 1951, dopo avere insegnato
per vent’anni Inglese nelle università di
Swansea e Oxford, è da cinque anni scrittore a
tempo pieno. È autore di libri di storia e di viaggi,
oltre che di una “guida” a Wittgenstein. Divide
il suo tempo fra Londra e West Cork (Irlanda).
l’opera
Il viaggio di Sheehan alla riscoperta dell’anarchia
parte da Seattle, dove nel 1999 “nasce” il
variegato movimento no-global. Non solo e non tanto perché
gli anarchici in senso stretto, in una riemersione storica
pari a quella del ‘68, vi condivisero l’invasione
delle strade con ambientalisti, pacifisti e una quantità
di altri gruppi, ma anche e soprattutto perché
con voce d’an-archia parlava una parte rilevante
del nuovo movimento: nella sua natura non gerarchica,
nel suo rifiuto della politica partitica tradizionale,
nella sua contestazione globale allo status quo post Guerra
fredda, post bipolarismo capitalismo/comunismo di Stato.
Il viaggio di Sheehan si sposta poi a monte, nella multiforme
storia dell’anarchismo, di cui racconta aneddoti,
grandi eventi e personaggi, esplorando il ricco corpus
di pensiero che cerca continuamente di coniugare l’individuo
e la comunità tra i poli estremi del nichilismo
e del comunismo. L’autore vi legge un fecondo sforzo
di coerenza tra mezzi e fini, in cui il mezzo è
il messaggio e l’anarchia non è un vangelo
millenaristico ma una sensibilità libertaria ed
egualitaria che si fa tensione del presente. Una tensione
tra le cose così come sono e come dovrebbero e
potrebbero essere, tra disperazione e speranza, tra solitudine
e solidarietà...
Una mappa del mondo senza un luogo per l’anarchia
non vale la pena d’essere usata, conclude l’autore
parafrasando Oscar Wilde. E nel percorso in process che
si va aprendo, nella nuova mappa che va emergendo, la
A cerchiata segna anche, secondo Sheehan, il luogo di
un nuovo appuntamento con Marx. E con Nietzsche. |
www.eleuthera.it
è
ondine il nuovo sito con ricerca full-text sull’intero
catalogo, consultazione della rassegna stampa recente, anticipazioni
sulle prossime uscite, percorsi di lettura suggeriti, segnalazione
degli eventi più importanti, opportunità di ordini
via email
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