Guerra non può
esser altro che guerra. Nassiriya lo dimostra e, con la sua
cristallina evidenza, smentisce in modo inequivocabile l’ipocrisia
ormai smascherata delle giustificazioni ideologiche dell’interventismo
militare in Iraq. Peacekeeping, guerra umanitaria,
ricostruzione, aiuti postbellici, esportazione della democrazia,
non sono altro che un ammasso d’incredibili balle, buttate
in pasto all’opinione pubblica con notevole investimento
mediatico. Con grande accelerazione i fatti si stanno curando
di sgretolarne la fragile maschera menzognera. Se veramente
avevano l’intenzione di aiutare a ricostruire un paese
devastato ci sarebbero andati con tecnici, ingegneri, sociologi,
educatori, medici ed ogni altro tipo di esperti in grado di
svolgere i compiti necessari con competenza. Invece sono piombati
là con forza militare, addestrata a combattere ed armata
di tutto punto. Almeno dall’altra parte non ci sono mascheramenti
di sorta. Sappiamo con quale terribile nemico abbiamo a che
fare. Le loro terrificanti intenzioni sono dichiarate: “non
amiamo la vita, ma la morte”, “vi distruggeremo
con ogni mezzo”, “le uniche leggi ammesse sono quelle
dell’Islam, all’occorrenza imposte con ferocia”.
Lo scopo vero del militarismo, di qualsiasi militarismo, anche
quello detto irregolare, rimane quello di vincere le guerre
per imporsi.
Volontà di dominare
Oggi, come ieri del resto, ma in fondo come da sempre, da quando
cioè sulla terra c’è traccia di storia e
di civiltà umane, tra le genti e su di esse aleggia imperativamente
una tensione tesa a governarle, a impossessarsi di beni, ricchezze,
volontà individuali, corpi, direzione di esistenze. È
una palese volontà di dominare cose e persone, gestita
ed imposta da potentissime oligarchie, voraci ed onnivore, capaci
d’impossessarsi e di mantenere gli strumenti chiave che
permettono loro di esercitare il tremendo potere di cui sono
detentrici con grande determinazione. Il dominio a tutt’oggi
è il senso fondamentale che determina le scelte e sottende
alle azioni della nostra specie.
Il mezzo principe con cui le oligarchie possono e riescono ad
imporsi è certamente la guerra, ma soprattutto la logica
di guerra. Non mi riferisco infatti tanto e solo ai momenti
episodici in cui gli eserciti contrapposti contendenti si scontrano
sui campi di battaglia, così prediletti dalle cronache
storiografiche, quanto all’insieme degli apparati militari
permanenti, i quali vengono mantenuti e continuamente aggiornati
per far si che la conquistata supremazia possa perpetuarsi ed
al contempo annullare ogni possibile resistenza e contrapposizione.
La logica di guerra è sorretta dal bisogno di conservare
e rafforzare la supremazia, sul nemico dichiarato ovviamente,
ma anche su tutto ciò che è ritenuto portatore
del rischio di metterla in crisi o in difficoltà. La
logica di guerra è funzionale a e permette di sconfiggere
e tenere a bada i nemici, tutti i nemici del potere vigente,
sia quelli cosiddetti esterni sia quelli cosiddetti interni.
Derivata dal latino medioevale guerra, ne ha mantenuto
intatto il fonema. È parola che esprime l’esplosione
e l’estremizzazione di uno stato di conflitto tra due
o più parti che non vogliono o non sono in grado di accordarsi.
È intuitivo che prima ci sia bisogno che la tensione
conflittuale sia sentita, e vissuta in tutta la sua entità,
da almeno uno dei contendenti. Sono quindi l’identificazione
e la voluta, spesso cercata, consapevolezza e soprattutto la
volontà dello stato di conflitto a dare senso e giustificazione
alla logica di guerra. Da parte dell’aggressore la guerra
può sempre essere evitata. Se la si fa, senza ombra di
dubbio, è perché la si vuol fare.
Ed oggi, più che mai, siamo immersi in un’atmosfera
ed in una condizione che hanno tutta l’aria di essere
guerra permanente. Oggi più che mai le forme vigenti
del potere, sia economico che politico, il cui senso è
completamente determinato dal bisogno del dominio, sulle cose,
sui beni, sulle ricchezze, sugli altri, sulla natura nel suo
complesso, sul mondo, si sorreggono attraverso l’uso sistematico
e pianificato della logica di guerra. La sopraffazione, che
assicura l’imposizione della propria volontà anche
e soprattutto quando contrasta con quella altrui, a tutti gli
effetti è l’elemento cardine dell’esercizio
del potere stesso. Permanenza dello sfruttamento a tutti i gradi
e tutti i livelli, da quelli più concertati a quelli
più degradanti ed inumani, imposizione coattiva, controllo
sia legale sia illegale delle reti mediatiche ed informatiche
che assicurano il consenso, militarizzazione dei territori con
la scusa continuamente sbandierata della garanzia di sicurezza,
controllo e gestione sia istituzionali sia occulti dei mercati
distributivi e finanziari, restrizione graduale e sistematica
delle libertà e delle garanzie perché non ci si
può fidare di nessuno.
Lucida follia
È una spirale impazzita, che, invece di essere determinata
da pulsioni irrazionali, al contrario è organizzata e
pianificata con sistematicità il più possibile
scientifica. La follia c’è, ma non sta nella realizzazione
delle cose, che nei fatti è portata a compimento con
meticolosa lucidità, bensì nella pulsione del
bisogno d’imporsi che è all’origine del bisogno
di dominare. Bisogni, fra l’altro, che non vengono minimamente
messi in discussione. Anzi! Vengono continuamente affermati,
giustificati, razionalizzati. Viene in mente Laborit: “Una
volta capito che gli uomini si uccidono l’un l’altro
per stabilire una dominanza e per mantenerla, vien voglia di
concludere che la malattia più pericolosa per la specie
umana, non è né il cancro né le malattie
cardiovascolari, come cercano di farci credere, ma il senso
delle gerarchie, di tutte le gerarchie. Non c’è
guerra in un organismo perché nessun organo cerca di
dominare l’altro, di comandarlo, di essergli superiore.
Tutti funzionano in modo da far sopravvivere l’organismo.”
(1).
Oggi, in questo momento storico, in questa fase del divenire
dell’umanità, la follia dilaga e ci avvolge, contrastata
da deboli crisi di coscienza, inefficaci e frequentemente penose.
È entrata a far parte delle nostre vite e scandisce i
ritmi psicologici del nostro esserci quotidiano. Ce la sentiamo
addosso con una pregnanza perennemente incombente e ci regala
il disagio di uno sgradevolissimo senso d’impotenza. La
guerra, la logica di guerra, sta diventando l’elemento
costante che col suo imperio di morte e distruzione travalica
le nostre deboli volontà. Il potere, tutti i poteri in
gioco, sembrano avere il sopravvento definitivo e con la determinazione
dei loro dati di fatto c’impongono il loro senso, cui
ci vorrebbero costringere ad adeguarci. La volontà da
vincitore di mantenere incontrastata la sopraffazione, dall’una
e dall’altra parte, ci costringe a vivere in una costante
tensione di conflitto. Un conflitto che al momento ci fanno
apparire non risolvibile in altro modo.
L’unico elemento di novità, questa volta, è
il disgusto generalizzato suscitato nell’apprendere quali
vigliacchi ed umilianti metodi di tortura vengono usati nei
confronti dei prigionieri. Potenza dei media! Ma, purtroppo,
ha tutta l’aria di risolversi in una scossa emotiva, seppur
particolarmente vibrante. Se a questa scossa non si aggiungerà
una ripulsa profonda, non più solo emotiva, ma dettata
soprattutto dalla consapevolezza che quelle immagini di torture
sono un’inevitabile conseguenza della logica di guerra,
c’è il serio rischio che col tempo vengano digerite
come si digeriscono tutte le brutture che compongono l’andazzo
del modo di vivere di questo sistema. Esse non sono una novità.
Ogni guerra, da sempre, è stata pienissima di tali malvagità,
frequentemente anche molto peggiori. La novità sta nel
fatto che oggi i media si divertono a sbattercele in faccia,
probabilmente per sete di business, per aumentare cioè
il livello e la quantità della fruizione e delle vendite
dei loro prodotti, voraci in genere di sensazioni forti.
Ingordo volere
Che cosa prospettano le potenti forze che, a suon di devastanti
aggressioni belliche, stanno sia governando sia contendendosi
il mondo determinandone il destino? Ci propugnano una costante
tensione caratterizzata dal bisogno di supremazia. Supremazia
di forze potenti, impositive e capaci di condizionare la vita
di tutti, sottomettendola ai loro enormi interessi ed al loro
ingordo volere. Da una parte le supponenti democrazie della
sfera occidentale, autoelettesi, in modo del tutto autoreferenziale,
quali uniche portatrici dei valori universali di libertà.
Dall’altra le schiere fanatiche della rivolta antioccidentale,
attualmente fagocitate da potenti e ricche elite sacerdotali
prive di scrupoli, dichiaratamente ansiose di sottomettere l’intero
universo terrestre a terrificanti regimi teocratici militaristi
ed ansiose di espiazione sacrificale. In mezzo la miriade di
esseri umani che non contano o contano pochissimo, di pensieri
differenziati, di tensioni emancipative dal basso ed altre al
contrario conservative, di bisogni di vivere e sopravvivere,
di vite dignitose che faticano ad arrivare alla fine del mese,
di sprechi incredibili e di miliardi di vite immerse nella miseria
più nera. Una mastodontica quantità di carne umana
che si arrabatta quotidianamente, tra incudine e martello, schiacciata
dalla sadica preponderanza di superforze votate al dominio su
tutto, caparbiamente e sadicamente tese a vincere, anzi a stravincere,
sulla pelle e sui corpi di tutti noi.
Da una parte il mito delle democrazie realizzate, che nella
realtà fattuale delle cose corrisponde all’organizzazione
di una mastodontica finzione, nell’attuale era tecnologica
appena iniziata sorretta dall’impatto quotidiano dell’induzione
mediatica, capace di ammorbidire le menti massificate e di indurle
a credere ed accettare gli assiomi del potere dominante. È
una finzione perché ci propina la balla che in esse la
sovranità è del popolo e che l’esercizio
del potere risponde ai bisogni ed alla volontà popolari.
Per contestare simile affermazione, continuamente sbandierata
dall’intellighenzia cui il sistema mediatico dà
spazio, è sufficiente sottolineare che i governi britannico
e spagnolo di Blair ed Aznar decisero di sostenere e partecipare
all’ultima guerra contro l’Iraq tuttora in atto,
nonostante che secondo tutti i sondaggi le popolazioni corrispondenti,
di cui erano i rappresentanti governativi ufficiali, fossero
in gran maggioranza contrarie.
In realtà le democrazie occidentali sono state capaci
di trasformare un principio di partecipazione popolare, che
fin dalle origini è già di per sé debole
in quanto prevede il diritto di voto come unico momento forte
di partecipazione, in una mastodontica macchina di consenso
all’esercizio del potere da parte di lobby ed oligarchie
politiche ed economiche. Tutta la tensione che muove l’occidente
è in realtà fondata sull’accumulo e la gestione
della ricchezza, concentrata in poche abili mani ed incontrastata
fonte della detenzione del potere, impositivo e decisionale
insieme. Per conservare tale status si sono trasformate completamente
in micidiali macchine belliche di distruzione ed hanno cominciato
ad occupare sistematicamente e progressivamente tutto il resto
del mondo, prima con dichiarate politiche coloniali, poi con
oculate ed astute omologazioni ed annessioni economico-finanziarie,
ai fini di soddisfare la loro insaziabile sete, capace di aumentare
a dismisura, di accumulo, di gestione e di consumo di ogni ricchezza
e di ogni bene disponibili. Per soddisfarsi hanno seminato e
continuano a seminare senza scrupoli morti genocidiche, sfruttamento,
fame, miseria, asservimento, distruzioni dell’ambiente
e delle altre specie animali.
Aspirazioni di supremazia
Dall’altra parte caste sacerdotali escluse dalla gestione
del mondo, o comunque non in grado in questa fase di esercitare
una vera e propria supremazia come invece aspirerebbero. In
qualche modo, facendo ampio e sapiente uso dei mezzi mediatici
improntati dal nemico, sono riuscite a diventare il riferimento,
simbolico e d’immagine insieme, di una consistente parte
del mondo, fino ad ora reietta e sottomessa, relegata dalla
politica di occupazione economica e culturale dell’occidente
ai margini delle possibilità di usufrutto della gestione
globale. Ci hanno dichiarato guerra ponendo in campo un elemento
che sembrava definitivamente escluso dalla modernità:
la guerra santa contro i crociati.
Purtroppo, com’era prevedibile, tutto il dibattito di
casa nostra su guerra sìi o guerra no è stato
trasportato esclusivamente sul piano del diritto internazionale.
Non vengono messi in discussione praticamente da nessuno il
senso ed il ruolo di fondo della struttura esercito in quanto
tale, bensì il suo impiego. Allora il dibattito tra le
varie componenti politiche si sta svolgendo solo sul fatto se
debba continuare la presenza dei soldati italiani a Nassiriya
o no. Il modo come i soldati nostrani gestiscono il loro mandato
è lodato da tutti, anche da quelli contrari. Il problema
sentito e dichiarato è se chi decide debba dar loro l’ordine
di andarsene o quello di rimanere.
Per quel che ci riguarda, siamo arciconvinti che la presenza
o l’assenza delle truppe italiane in Iraq sia irrilevante
rispetto ai destini ed alla conduzione della guerra. Ed il problema
di fondo che abbiamo presente è soprattutto quello della
guerra, della sua consistenza e della sua permanenza. Se dette
truppe non ci fossero, forse si determinerebbe qualche variazione
nei singoli episodi bellici, mentre la qualità dello
scontro resterebbe invariata. La presenza militare di casa nostra
è irrilevante dal punto di vista della qualità
e del senso di tutta questa vicenda, che non può essere
guardata con occhio territoriale, bensì osservata e valutata
nella sua globalità, anzi nella sua universalità.
Concentrare perciò tutte le energie d’opposizione
per cercare di ottenere, senza fra l’altro riuscirci,
un obiettivo tattico di stampo zapaterista, vuol dire spostare
la qualità propositiva e del dibattito sul piano conservatore
della conduzione dell’esistente. La guerra andava impedita
e, come a suo tempo sottolineammo, le grandi manifestazioni
pacifiste non furono in grado di farlo. Imploravano pace, ma
non osavano chiedere ed organizzare la diserzione. Dicevano
che non bisognava far la guerra, ma non hanno voluto né
osato mettere in discussione il militarismo. La guerra c’è,
più florida che mai, e le forze pacifiste continuano
a limitarsi a condurre una politica di pressione istituzionale
per tenere immobilizzati gli eserciti. Non possono che fallire,
perché gli eserciti ci sono ed agiscono.
Né con gli uni né con gli altri
Ciò che deve esser chiaro è che nell’allucinante
contesa cui stiamo assistendo gli anarchici non possono parteggiare.
Non possono cioè schierarsi a favore di nessuna delle
parti protagoniste della guerra in atto nel mondo. Non lo possono
in realtà in nessuna guerra, a meno che non si tratti
di rivoluzioni sociali tendenzialmente emancipatrici, di cui
e nelle quali sono sempre stati promotori e protagonisti di
primo piano. Per comprendere tale principio, bisogna tener presente
che, se per farsi anch’essa usufruisce di armamentario
e tecniche belliche, soltanto apparentemente una rivoluzione
è equiparabile ad una guerra tra potenze belliche, in
quanto non sorge per conquistare, come per esempio fa uno stato
potente, bensì per ribellarsi contro uno stato di disagio
sociale diffuso e per liberarsi dell’oppressione. Non
è dunque guerra per imporsi, ma rivolta popolare per
emanciparsi dallo stato di abiezione in cui i potenti di turno
costringono le genti.
In particolare rispetto all’attuale situazione di guerra
globale, che ha sempre di più l’aria di diventare
permanente, per il fatto stesso di essere anarchici, non riescono,
non possono e non dovrebbero schierarsi da nessuna delle parti
in conflitto. Per il motivo evidente che tutte le parti contendenti
combattono senza esclusione di colpi col fine, dichiarato o
meno non ha importanza, di vincere per imporre ai vinti le proprie
leggi, la propria visione del mondo, il proprio modo di condurre
la vita e di governare le società. In qualunque caso,
chiunque sarà il vincitore di questo scontro titanico,
ci sarà un aumento, quasi sicuramente esponenziale, di
forme più o meno velate e più o meno esasperate
di dispotismo, di assoggettamento, di controllo gerarchico delle
nostre vite e, cosa molto probabile, di impoverimento economico
e culturale generalizzati.
Cosa possono dunque aspettarsi gli anarchici? Come possono sentirsi
partecipi in qualche modo di questa devastante tensione globale
che, volenti o nolenti, invariabilmente ci coinvolge tutti?
Indipendentemente dagli esiti e dallo svolgimento del conflitto
che si sta consumando sotto i nostri occhi, sono destinati ad
essere messi ulteriormente da parte, repressi e imbavagliati.
Nessuna delle parti confliggenti in nessuna maniera può
rappresentare il benché minimo barlume di riferimento
per chi aspira alla realizzazione di società fondate
su presupposti libertari. Ma ciò che è peggio
è che, in tal modo, vengono vieppiù compresse
e tenute in disparte le idee e le proposte di emancipazione
assieme alle possibilità di sperimentazione radicale
di una società altra da quella vigente, fondata su principi
di libertà e di assenza di sfruttamento.
Gli anarchici sono tali non solo perché si ribellano
al presente stato di cose, né solo perché ripudiano
alle radici gli assetti politici vigenti fondati sul principio
di dominazione e d’imposizione. Ciò che li distingue
e li fa essere moralmente inattaccabili non è affatto
la scelta ribellista, di rifiuto totale del potere politico
gestito dall’alto. Questo è l’aspetto primario
della negazione, il punto di partenza che può spingere
a desiderare qualcosa di alternativo, ma che può benissimo
risolversi in scelte e atteggiamenti puramente individuali,
refrattari ad ogni ingerenza dall’esterno sulla propria
personale esistenza, il che non è di per sé in
grado di modificare alcunché. Ciò che li distingue
veramente è l’anelito che la libertà, cui
giustamente aspirano, sia estesa a tutti e che diventi una condizione
sociale estesa ad ogni essere umano. Ciò che li distingue
è la proposizione politica di rendere operante per l’insieme
della società una condizione di libertà, tutta
la libertà possibile, indistintamente per tutti, nella
condivisione reciproca, non proprietaria, dei beni e dei mezzi
che permettono la soddisfazione dei bisogni sia individuali
che collettivi.
Eguale libertà per ognuno
È importante a questo punto riprendere la tradizione
di pensiero, per dare l’idea della continuità distintiva
che ci appartiene. E chi meglio di chiunque se non il nostro
Errico? “L’insofferenza della oppressione, il
desiderio di essere libero e di potere espandere la propria
personalità in tutta la sua potenza non basta a fare
un anarchico.
Quell’aspirazione all’illimitata libertà,
se non è contemperata dall’amore degli uomini e
dal desiderio che tutti gli altri abbiano eguale libertà,
può far dei ribelli, ma non basta a far degli anarchici:
dei ribelli che, se basta loro la forza, si trasformano subito
in sfruttatori e tiranni.” (2).
Malatesta sottolinea con grande intelligenza l’importanza
del sentimento d’amore per l’umanità, capace
di contemperare e allo stesso tempo di dare senso alla spinta
di ribellione che sottende alle scelte ed agli atti degli anarchici.
L’amore rende possibile l’effettuazione della solidarietà,
indispensabile per garantire la realizzazione della libertà
e dell’eguaglianza sociali, portando così alle
sue logiche conseguenze la tensione rivoluzionaria universale
che si sprigionò durante la rivoluzione francese del
1789, che non a caso si espresse attraverso l’intramontabile
motto Egalité – Liberté – Fraternité.
Gli anarchici dunque sono esclusi dalla qualità, o non
qualità che dir si voglia, del contendere che sta caratterizzando
lo scontro bellico globale vigente. Un’esclusione determinata
sia dalle scelte che li distinguono, cioè per volontà
loro, sia dalle ragioni e dai fini per cui si guerreggia, cioè
per volontà dei poteri in campo. Per elezione e propositi
propri si trovano collocati su un altro pianeta politico, una
dimensione rifiutata e non considerata, o peggio considerata
inincidente e irrealistica. Essi si muovono e pensano ai fini
di un cambiamento alle radici degli attuali assetti, identificando
nelle logiche di potere che governano il mondo, assuefatte ad
una costante e spasmodica volontà di dominio, la causa
fondamentale che impedisce la messa in opera di società
fondate sulla reciprocità solidale, sulla giustizia,
sulla libertà, sull’equa e sostenibile distribuzione
delle ricchezze e dei beni che riguardano tutti. Non sono interessati
ad imporre alcunché, tantomeno la tanto conclamata finzione
democratica, ma a proporre, aiutare ed essere aiutati, in uno
spirito di fratellanza e sorellanza universali, spinti, appunto,
dall’amore degli uomini e dal desiderio che tutti
gli altri abbiano eguale libertà…
Gli anarchici rifiutano la logica di guerra ed ogni forma di
militarismo, per cui non si schierano, anzi sono disertori di
ogni esercito ed invitano a disertare. All’inverso pensano
ed agiscono per realizzare una società che ne faccia
a meno, in quanto militarismo e logica di guerra sono di per
sé contrari a qualsiasi tipo di bene comune condiviso
collettivamente.
Andrea Papi
1. Henri Laborit,
Elogio della fuga, Arnoldo Mondadori Editore, Milano
1982, pag. 150.
2. Errico Malatesta, La base morale dell’anarchismo,
in Pagine di lotta quotidiana vol. II, pag. 163.
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