Prima mossa
la mossa si esegue d’estate
I media di sinistra, di centrosinistra, di destra illuminata
fanno delle inchieste mirate sul disagio dei lavoratori atipici,
sulle nuove povertà, sugli effetti devastanti del taglio
del welfare sia per i lavoratori sia per i cittadini.
Escono finalmente inchieste giornalistiche decenti, pensano
gli ottimisti irriducibili, la classica scoperta dell’acqua
calda dei giornalisti che non sanno che dire dopo la fuga
a Casablanca del mostro di Loch Ness intenzionato a cambiare
sesso, affermano gli scettici.
Senza schierarsi per gli uni o per gli altri, una cosa è
evidente: se i media decidono che la tensione sociale latente,
detesto chiamarla disagio, è un buon argomento, vuole
proprio dire che qualche problema c’è e che quanto
resta di non bollito nelle classi dirigenti inizia ad essere
seriamente preoccupato.
Un passo indietro
Che non tutto vada bene nel nostro amato paese era, questo
va riconosciuto, oggetto di discussione da qualche tempo.
In particolare diversi esponenti della sinistra (1),
in particolare Gallino ma non solo, hanno posto l’accento
sul declino del sistema industriale e, di conseguenza, dell’economia
nazionale. La storia del declino industriale è stata
minuziosamente ricostruita e si scopre che il cavaliere azzurro
ne è responsabile abbastanza poco giacché si
tratta di una decadenza che ha una storia decennale. Ma la
sinistra insiste, se anche Berlusconi non è il padre
del declino è un medico sciagurato che si orna il capo
di ghirlande e deliba vini prelibati mentre il paziente è
entrato in uno stato preagonico. La riflessione sul declino
industriale dell’Italia, per la verità, è
seria ed interessante e conduce ad alcune necessarie riflessioni
sulla natura della borghesia, appunto, nazionale ma non è
questa la sede per sviluppare una ricostruzione del dibattito
economico e sociologico sull’argomento. Interessa, invece,
porre l’accento che, se vi è e se si riconosce
che è grave, un declino ne deriva – non per noi,
ma non è questo il punto – che è necessaria
un’azione di risanamento e rilancio dell’economia
nazionale. E il patto sociale che aveva, nel 1993, come oggetto
il risanamento del bilancio e l’“entrata in Europa”
spunta fuori come un coniglio dal cappello e si definisce
intorno alla fuoriuscita dal declino. Ma, nel merito, torneremo
alla terza mossa del nostro minuetto.
Seconda mossa
Sempre d’estate, il primo poliziotto d’Italia,
il democristiano di sinistra transumato a destra ma non troppo,
Pisanu, rilascia un’intervista di carattere giallistico
a “L’Espresso”, settimanale della sinistra
radical chic non passato alla destra economica perché
dalle posizioni della destra economica non si è mai
minimamente discostato.
Nell’intervista, il nostro eroe parla del più
e del meno, dei marxisti leninisti, dei sardisti, degli islamisti,
degli anarcoinsurrezionalisti mentre non si esprime sulla
cucina bulgara e sul canto gregoriano. Fuor di burla, il ministro
provvede a disegnare uno scenario preoccupante o, dipende
dai gusti, entusiasmante. Preannuncia, infatti, la calata
di orde di sovversivi politici e sindacalisti di base nei
cortei sindacali ed una stagione di scontri di piazza duri
e preoccupanti.
Non c’è bisogno di essere particolarmente acuti
per ricordare cosa sia una profezia che si rende vera. Se
il responsabile dell’ordine pubblico evoca scontri di
piazza, è ragionevole attendersi che i suoi dipendenti
provvederanno a rendere vera la profezia. In realtà,
si può dare delle posizioni di Pisanu un lettura parzialmente
diversa rispetto alla sola minaccia preventiva e la si può
interpretare come una mano tesa alla sinistra istituzionale
sia politica che sindacale alla quale è affidata la
gestione del conflitto in termini compatibili.
Gli scontri di Acerra, i tafferugli che hanno coinvolto Albertini
e Formigoni all’Alfa di Milano, le denunce agli autoferrotranvieri
sono fatti da valutare con grande attenzione. Chi gioca fuori
dalle regole è oggi un soggetto a rischio. In un certo
senso proprio la vicenda degli autoferrotranvieri, quella
svoltasi più “a freddo”, colpisce di più.
Esauritasi l’onda di lotta parzialmente vincente di
alcuni mesi addietro, arrivano i castigamatti a ricordare
che la macchina della repressione può essere tarda
ma arriva e che è bene non esporsi.
Terza mossa
con passo indietro
Se l’elezione di D’Amato alla presidenza della
Confindustria aveva preannunciato, assieme alle suggestive
dichiarazioni di un Giovanni Agnelli vetusto ma ancora potente,
l’ascesa di Silvio Berlusconi, la fine di D’Amato
e l’elezione in suo luogo di Luca Cordero di Montezemolo,
segnala, in primo luogo che la tradizionale oligarchia che
ha governato la Confindustria ha ripreso in mano la situazione
e, in secondo luogo, che il padronato prende le distanze dal
governo e apre un confronto aperto sia con la destra che con
la sinistra e guarda al sindacato come ad un interlocutore
importante ed affidabile.
La strategia di D’Amato che aveva puntato a battere
sul campo la CGIL è abbandonata e il nuovo presidente
di Confindustria dichiara apertis verbis che intende
trattare senza pregiudiziali con l’intero schieramento
sindacale istituzionale.
Le buone intenzioni, lasciamo al suo psicoanalista e al suo
cappellano di palazzo le interpretazioni delle sue motivazioni
profonde, del nuovo presidente di Confindustria si scontrano
con un problema banale, volendo una bazzecola, e cioè
il fatto che il padronato vuole sì restaurare il patto
sociale del 1993, vuole sì che il sindacato sia un
partner ma non vuole – o non può? – fare
concessioni economiche vere e serie. E, allora, tutto il discorso
sull’emergenza salariale scompare dall’orizzonte.
Naturalmente, se vi è volontà di intendersi,
un’intesa si può sempre trovare e fra Confindustria
e CISL un percorso è stato individuato. Schematizziamo:
- Indebolire la contrattazione nazionale e puntare su quella
aziendale. Sebbene, detta così, possa apparire accattivante
a qualche fautore del federalismo purchessia, la proposta
vuole dire solo che gli aumenti salariali sono legati in maniera
pressoché totale all’andamento delle singole
aziende e alla disponibilità delle aziende stesse a
fare concessioni.
- Liberare risorse per il salario diretto riducendo la pressione
contributiva. In altri termini, soldi freschi subito ma taglio
della previdenza.
- Liberare risorse recuperando quote di TFR. Non un aumento
ma un anticipo.
Ritengo sia abbastanza chiaro che la logica di ciascuna delle
tre proposte accennate o di una loro combinazione è
quella di non dare effettivi aumenti se non nelle aziende
più robuste ma di calmare i bollenti spiriti dei lavoratori
a costo zero.
Se la CISL non ha problemi ad accettare una filosofia sindacale
del genere, non altrettanto si può dire della CGIL
che ha l’ingombro della FIOM e, in ogni modo, un radicamento
fra i lavoratori industriali di maggior consistenza numerica
e di maggior spessore sindacale.
In ogni modo, la decisa disponibilità della CISL ad
“andare a vedere” le proposte di parte padronale
in primo luogo indebolirà il fronte sindacale ed in
secondo luogo aprirà la strada ad un più corrucciato
cedimento della CGIL salvo che non vi siano novità
importanti.
Quarta mossa
con tentativo di uscita laterale
Che la situazione sia tesa è evidente. Oltre sei milioni
di lavoratori in attesa di contratto. Una controriforma delle
pensioni in via di attuazione. La crescita numerica dei lavoratori
che si è stabilito di definire anomali anche se oggi
sarebbe forse opportuno definire anomali i lavoratori che
“godono” di un contratto tradizionale e la mancanza
di garanzie e di reddito che li caratterizza. Lo smantellamento
del welfare. Non mi dilungo su questo punto per non
tediare i lettori.
Che i meccanismi di controllo volti a bloccare o a deviare
il movimento siano attivati è altrettanto evidente.
Come abbiamo visto, dei punti di crisi esistono ma esprimono,
di per sé, solo delle potenzialità.
Se, però, su questi punti di crisi provassimo a ragionare
assieme, se i compagni d’area libertaria intervenissero
con metodo, continuità, capacità di coordinarsi
su questi punti, sarebbero possibili risultati molto interessanti
e per il movimento dei lavoratori e per il movimento libertario.
Penso, per fare un solo esempio, che la nostra area è
l’unica non ingessata in logiche parlamentari e che
non ha il problema di costruire un consenso elettorale e,
soprattutto, di accreditarsi presso i gruppi di potere reali
come sono costrette a fare destra e sinistra. Penso che questa
libertà ci consente di prendere posizioni chiare su
tutte le questioni in ballo.
Vedremo, e fra non molto, se le mie sono le speranze di un
inguaribile ottimista o se hanno un qualche fondamento.