“Opperbacco!
Marzocchi sono io”. Il vecchietto, con quel curioso pizzetto
bianco, fece un salto dalla poltrona in cui era seduto. Dall’altra
parte del tavolino, gli occhi vividi di Alfonso Failla seguivano
la scena divertiti.
9 aprile 1971. Il giorno dopo sarebbe cominciato a Carrara il
9° congresso della FAI e i compagni erano già affluiti
numerosi da tutta Italia. Non pochi facevano riferimento alla
casa di Alfonso Failla, lungo il vialone che dal mare porta
nel cuore di Carrara. C’era un bell’andirivieni
di vecchie barbe, giovani capelloni e gente varia. C’ero
anch’io, appena arrivato in auto da Milano, con un bel
paccone di riviste “A” – il n. 3, fresco di
stampa.
Appena entrato in casa Failla, mi presentai: “Sono Paolo
Finzi, della rivista “A”: ho una delega di Umberto
Marzocchi”. Fu a questo punto che il vecchio Umberto uscì
fuori con quell’interiezione che gli avrei poi sentito
ripetere tante volte negli anni successivi. Il fatto è
che Marzocchi aveva inviato un certo numero di deleghe (in bianco),
da lui firmate, a un compagno del Circolo “Ponte della
Ghisolfa” che gli aveva comunicato che da Milano saremmo
scesi numerosi per il Congresso: c’erano Luciano, Fausta,
Amedeo, Rossella, Umberto, Enrico, Cesare e altri del Circolo
che era stato (fino a un anno e mezzo prima) quello di Pino
Pinelli. Deleghe in bianco, appunto, segno di una stima che
travalicava i formalismi. Per cui anche la mia delega era firmata
da Marzocchi, che nemmeno mi conosceva.
In realtà sia lui sia Failla mi conoscevano di nome quale
collaboratore di “Umanità Nova” e questo
favorì – una volta chiarita la questione della
delega – l’inizio di un dialogo che non si è
più interrotto.
Luglio 1974, Lisbona. In un localino della città vecchia
sono a pranzo numerosi esponenti dell’Internazionale delle
Federazioni Anarchiche. È il 19 luglio e da tre mesi
è caduta la dittatura di Salazar e la “rivoluzione
dei garofani” ha riportato l’inebriante odore della
libertà – ma solo in Portogallo, ché in
Spagna perdura da quasi 40 anni la dittatura del cattolicissimo
Franco. Qui, nel cuore della Lisbona finalmente libera, si sono
dati appuntamento in un teatro stracolmo gli anarchici e gli
anarcosindacalisti lusitani, ma anche tanti provenienti dall’estero
– i più coccolati ed applauditi, gli spagnoli.
In questo ristorantino poco lontano dal teatro ci sono personaggi
come Balkansky, dell’Unione degli Anarchici Bulgari in
esilio, e altri vecchi militanti francesi, italiani, spagnoli,
portoghesi e di altre nazionalità che non ricordo.
Mi affaccio e Umberto mi viene incontro con il suo dentatissimo
sorriso. Mi presenta agli altri come un bravo giovane compagno,
ma la cosa pare strana ad alcuni di questi anziani militanti.
Il motivo? Non ero della Federazione Anarchica Italiana, e nella
loro concezione un po’ burocratica, o chiusa, era difficile
comprendere che un anarchico “bravo” non facesse
riferimento all’Organizzazione (con la “O”
maiuscola). Mi sentii un po’ a disagio.
Ci pensò Umberto, che della FAI e dell’IFA era
convintissimo esponente ma al contempo sapeva andare aldilà
di questi aspetti formali, a sciogliere l’atmosfera e
a spiegare ai commensali e compagni che in Italia c’erano
buone relazioni tra la FAI e tanti compagni che nella FAI non
si riconoscevano, ma che cionondimeno portavano avanti attività
serie – come noi di “A”.
Umberto
Marzocchi a ventisette anni
Punti di riferimento
Buon vecchio Umberto, che mi sei stato in tante cose Maestro
e con cui ho fatto delle memorabili litigate. Mi ricordo, sempre
negli anni ’70, nel breve volgere dell’oretta ferroviaria
che collega Firenze a Bologna, la tua capacità di coinvolgimento
mentre, in corridoio, raccontavi a decine di compagni assiepati
intorno a te, il riconoscimento del cadavere di Camillo Berneri
durante le tragiche giornate del maggio ’37 a Barcellona.
Per la nostra giovane ed entusiasta generazione, vecchi come
Umberto erano delle bandiere, dei punti di riferimento. E lui
ne era ben conscio e un po’ si crogiolava di questi occhioni
aperti, di questa nostra insaziabile curiosità di ascoltare.
Il mio Umberto è stato anche quello di Aurora, la mia
compagna, e di Gemma, sua sorella gemella. Un Umberto che le
due “failline” mi hanno sempre raccontato, quello
degli anni ’50 e ’60 che per loro era come uno zio
specialissimo – quello con cui trascorrevano ore nella
sede del Germinal a ciclostilare il Bollettino Interno della
FAI, quello che andavano a prendere e ad accompagnare alla stazione
di Avenza o a Villa Maria, la pensione che aveva scelto come
suo alloggio nel corso dei suoi mille viaggi da Savona a Carrara,
quello – soprattutto – che nel corso del Congresso
Anarchico Internazionale tenutosi a Carrara nell’agosto
’68 aveva strenuamente difeso insieme con il caliente
Failla l’autonomia dell’anarchismo dal pasticciaccio
para-marxista di Daniel Cohn-Bendit e dei “neo-anarchici”
sessantottini (ed una bella testimonianza di quei giorni ci
ha dato Massimo Ortalli all’indomani della morte di Failla,
su queste colonne – cfr. “A” 135, marzo 1986).
Questi miei ricordi sono ben poca cosa, a fronte della mole
di impegno militante sviluppata da Marzocchi, di cui il libro
di Giorgio Sacchetti – ne sono certo, conoscendone e apprezzandone
le doti umane e “professionali” – ci darà
certo conto. Ma fanno parte di un rapporto così profondo
che nemmeno la sua morte, quasi vent’anni fa, ha potuto
troncare.
A volte me lo rivedo al fianco e vorrei potergli parlare, ascoltare
la sua opinione su quanto accade, scaldarmi alla storia della
sua esperienza umana e sociale. Peccato che non sia più
possibile. Opperbacco!
Paolo Finzi
Assieme
alla sua compagna Elvira Angella (4 aprile 1922)
In Spagna (1936)
Insieme a Maria Jimenez (anni Trenta)
Riunione
per “Umanità Nova”:
da destra Marzocchi, Mantovani, Borghi, “La Signorina”,
Di Rosa, Catina, prof. Ruberti (primi anni Sessanta)
Tolosa
(Francia): convegno della CNT in esilio (fine anni Cinquanta)
Commemorazione
pubblica di Giuseppe Pinelli dopo il trasferimento della salma
da Milano a Carrara (fine anni Settanta)
Conferenza,
ad Ancona nel 1982, per il 50° anniversario della morte
di Errico Malatesta. Al suo fianco (braccia dietro la schiena)
c’è Luciano Farinelli
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