Si chiamava Manuel
Domingos Maria, stava lavorando nel cantiere olimpico dell’Autofrejus
quando è stato ucciso da una scarica elettrica. È
l’ultimo morto di lavoro in uno dei tanti cantieri olimpici
della regione.
Devono fare presto, presto, presto: la torta è grossa
e va mangiata a grandi fette. Costi quel che costi. Poco importa
che ne vada della salute di tutti, poco importa che l’ennesimo
immigrato ci lasci la pelle. La vetrina olimpica deve essere
ben lustra. Per un gioco di pochi giorni e miliardi di sponsor
cancellano valli, disboscano, fanno il deserto: si portano
via una ricchezza senza prezzo.
Quando lo spettacolo sarà finito, quando le luci si
spegneranno non resteranno che inutili scatoloni in una città
dove c’è gente che vive in strada. Una città
dove è sempre più difficile vivere, difficile
arrivare alla fine del mese, difficile avere servizi decenti,
difficile sfuggire dalla trappola di vivere per consumare,
lavorare tanto e male per comprare porcherie.
Alla fine non resta che una montagna di immondizia…
è l’emblema di un’organizzazione sociale
che bada solo al profitto ad ogni costo e considera la qualità
della vita una delle tante merci disponibili nel bazar dei
ricchi.
Destra e sinistra sono d’accordo: la Torino del dopo
Fiat affida il suo futuro alle grandi opere. Opere destinate
a distruggere l’ambiente e la salute di tutti, lasciandosi
alle spalle solo macerie. La città dell’auto
è ormai al tramonto, ma non il clima mefitico che gli
scarichi delle automobili ci impongono. Un modello di economico
e sociale dissennato viene sostituito da uno ancor più
folle.
In città, al Gerbido, verrà costruito il primo
inceneritore di Torino. L’inceneritore, sbandierato
come soluzione alla cosiddetta “emergenza rifiuti”
non servirà che gli interessi della piccola lobby che
da quest’affare trarrà grandi profitti mentre
ai cittadini non resterà che l’inquinamento da
diossina e veleni vari assortiti che bruceranno assieme ai
rifiuti anche la salute.
Valle trasformata in un deserto
L’Alta Velocità ferroviaria, che già
sta devastando ampi territori delle penisola, si prepara a
sbarcare in Val di Susa, un territorio già attraversato
da due strade nazionali, da una mostruosa autostrada e da
una linea ferroviaria internazionale. Un treno a trecento
chilometri l’ora renderà invivibile la Valle
mentre i pendolari muoiono nelle linee a binario unico abbandonate
all’incuria perché poco redditizie.
Un’opera pubblica destinata a trasformare una delle
più belle vallate alpine in un deserto rischia di divenire
una realtà, nonostante la ferma resistenza dei suoi
abitanti.
Negli ultimi 10 anni numerose sono state le manifestazioni,
i comizi, le assemblee popolari che hanno marcato in modo
inequivocabile l’opposizione della gran parte dei valligiani
ad un progetto destinato a portare solo inquinamento e distruzione.
In questi mesi le iniziative si stanno moltiplicando, perché
a Venaus stanno per partire i lavori per la galleria di servizio
di nove km collegata alla due “canne” principali
di 52 chilometri.
Le due gallerie, traforando la montagna da Venaus a S. Jean
de Maurienne, sono destinate a produrre danni ambientali considerevoli
(taglio delle falde, estrazione di materiali pericolosi quali
l’uranio e l’amianto, etc.). Si tratta, lo dicono
con "orgoglio" le stesse ditte che hanno vinto l’appalto
per conto del General Contractor LTF (Lyon Turin Ferroviarie),
di realizzare una linea di "pianura" (con pendenza
non superiore al 12%) in montagna (la montagna in questione
è l’Ambin, 3.500 metri di altezza).
Chi parla è gente con una vasta esperienza in materia
di devastazioni ambientali: la ditta che ha vinto l’appalto
per la costruzione del tunnel di Venaus, la CMC, una cooperativa
rossa di Ravenna, ha già dimostrato la propria perizia
nel Mugello, dove è sotto processo per il taglio delle
falde acquifere e per il grave inquinamento causato dai lavori
effettuati.
All’inizio di maggio, quando lo scontro tra la popolazione,
LTF, il general Contractor, e le amministrazioni regionale
e provinciale stava per imboccare una strada senza ritorno,
la neo presidente della Regione Piemonte, la “sinistra”
Mercedes Bresso, ha convocato i sindaci valsusini e i rappresentanti
del governo per reperire un po’ di soldi con cui pagare
la pace sociale.
I giornali hanno parlato di quattrini da destinare a non meglio
precisati beni culturali. Insomma una carotina per ammorbidire
l’opposizione dei valligiani.
La determinazione degli abitanti della Val Susa nel difendere
le proprie vite e le proprie case difficilmente sarà
scalfita dalle regalie di Bresso e, sempre che apra i cordoni
della borsa, del ministro Buttiglione; tuttavia lor signori
sperano che oliare con un bel mucchio di soldi amministrazioni
comunali dal budget limitato possa aprire crepe in un fronte
di lotta che sinora si è mostrato compattissimo.
Al punto che, in occasione delle recenti elezioni regionali,
i comitati della Val Susa si sono pronunciati per l’astensionismo
elettorale. In queste condizioni nessun sindaco può
pensare di avere una lunga carriera se non si schiera senza
infingimenti contro la TAV.
Non a caso tutti gli amministratori dei paesi della Valle
hanno promesso di essere presenti alle manifestazioni per
bloccare l’inizio dei lavori. Nei prossimi mesi potremo
valutare la saldezza dei loro intenti.
Ambiente, ma non solo
Quella che si gioca in Valle di Susa non è solo una
partita sull’ambiente ma è anche una battaglia
politica, economica e culturale in cui è in ballo il
destino delle trentacinquemila persone che l’abitano,
che, di fronte alla “fretta” della globalizzazione,
non sono che piccoli ostacoli lungo il “corridoio”
destinato a collegare sempre più celermente Torino
all’Europa. Ma loro non ci stanno e nonostante l’Alta
Velocità veda il consenso sia del Polo che dell’Ulivo,
nonostante gli enormi interessi in ballo continuano a battersi
per le loro case, per la loro salute, per il diritto dei loro
figli a crescere in un ambiente sano.
Già l’autostrada sino al Frejus, costruita nonostante
l’opposizione di tanti valligiani, ha distrutto ambiente,
posti di lavoro, servizi, rendendo sempre più difficile
la vita delle comunità valsusine. “Dove oggi
poggiano i piloni dell’autostrada” racconta un’esponente
dei tanti Comitati Antitav della Valle “vi erano prati
ed allevamenti. Paesaggio, posti di lavoro e la possibilità
di vivere in valle sono andati perduti per tanti di noi.
Il fieno ci tocca vederlo passare sui Tir che sfrecciano sull’autostrada:
viene da lontano a va lontano in gran fretta, lasciandoci
solo inquinamento e disoccupazione. Fermare il TAV è
indispensabile, non vi sono possibili ‘correzioni’
dell’impatto ambientale: ne va della stessa possibilità
di continuare a vivere nei nostri paesi”.
Quando fecero l’autostrada raccontarono la bella favola
dei posti di lavoro, delle possibilità di sviluppo,
del turismo. La gente ha imparato a proprie spese che la lunga
ombra scura dei piloni incombenti sulle acque perlacee della
Dora, un’ombra che si prolunga sulle case dei paesi,
è indicatore simbolico e materiale di gas di scarico,
rumore, prosciugamento delle falde acquifere.
Non tutti ci stanno
I pendolari non usano l’autostrada perché è
troppo costosa: un viaggio sino a Torino e ritorno costa carissimo.
Di fronte a questi progetti faraonici, quelli realizzati,
come l’autostrada, e quelli in procinto di realizzazione,
come il TAV, sono costantemente peggiorati i servizi alle
persone. Le stazioni minori hanno chiuso biglietterie e sale
d’aspetto perché poco remunerative: così
i pendolari, studenti e lavoratori, aspettano il treno all’aperto
in estate come nei lunghi inverni.
La città di Susa, dove c’è l’ospedale,
alcune scuole superiori ed altri servizi è collegata
con una linea minore che funziona poco e male. Se il TAV verrà
realizzato la gente farà fatica a raggiungere l’ospedale
mentre dei razzi a trecento chilometri all’ora sfrecceranno
ogni cinque minuti rasenti alle case.
Anche questa è “logica”, la logica del
profitto che non guarda in faccia nessuno. Studi eseguiti
e mai pubblicati o pubblicizzati di tre eminenti professori
del Politecnico dimostrano che un treno ad alta velocità
a pieno regime è come un aereo in partenza: produce
un fragore insopportabile. È stato calcolato che per
non subire le conseguenze dell’inquinamento acustico
bisognerebbe abitare ad una distanza di almeno 500 metri dai
binari, questo significa che si dovrebbe creare intorno a
tutto il tracciato del TAV un deserto della larghezza di un
chilometro. Ma la Bassa Valle in certi punti non è
più larga di un chilometro e mezzo ed è già
attraversata, oltre che dall’autostrada, dalle statali
24 e 25 e da una linea ferroviaria internazionale. “È
un rumore improvviso e nevrotico e se voi fate crescere un
bambino nei pressi di una linea ad alta velocità sarà
sicuramente ritardato” spiega il prof. Chiocchia, docente
di acustica del Politecnico di Torino.
I fautori del TAV cercano di trasformare la Valle di Susa
in uno spazio disabitato, un corridoio in cui corrono treni
superveloci destinati a collegare metropoli invivibili e mostruose,
fatte di anonime periferie e centri direzionali.
Ma non tutti ci stanno. C’è chi si oppone alle
devastazione del proprio territorio e delle proprie vite.
Sono gli abitanti della val Susa e quelli della zona Ovest,
ma anche quelli di Orbassano, di Beinasco, di Mirafiori, le
zone investite dal nuovo “termovalorizzatore”,
il mostro spara-diossina, che vogliono costruire. Ma sono
anche tutti coloro che in questa “civiltà”
dell’immondizia non ci vogliono vivere. Anche a Torino,
dove l’opposizione sta crescendo.
In Valle la gente ha la testa dura: i tecnici che hanno tentato
di entrare nelle case e nei terreni per compiere i propri
rilevamenti hanno trovato le porte sbarrate.
Il percorso delle ruspe non sarà certo agevole.
Una tappa importante della partita sempre più serrata
tra una valle ed i suoi abitanti e i mostri dell’acciaio,
della velocità e della finanza si giocherà il
4 giugno a Venaus. Quel giorno si terrà una grande
manifestazione che segnerà la partenza di un’assemblea/campeggio
permanente nell’area destinata a cantiere.
Di fronte alla devastazione annunciata del TAV, di fronte
alla folle corsa verso il profitto per i soliti pochi potenti
la parola e l’iniziativa tornano alla gente, alla gente
della Valle ed a quella della città, a quelli che in
quest’angolo del Piemonte vogliono vivere e non correre,
a quelli che della Val Susa amano i sentieri ed i boschi,
a chi desidera un futuro per se e per i propri figli.
Di fronte ai giganti è giusto ribellarsi.
L’estate, tra il Rocciamelone e la Dora si annuncia
molto calda.